mercoledì 10 gennaio 2007

Più Stato e meno mercato? Ovvero sonno letargico della nazione

Spesso rileggendo le mail che mi giungono, mi sorgere la certezza che l’italiano provi un forte senso di disaffezione a tutto e a tutti, comprensibile visto l’andazzo, e il cappio al collo che come una garrota si stringe sempre di più la gola dei cittadini del Bel Paese. Da una parte si predica tolleranza assoluta, ma questa parola ha stancato, questa richiesta urlata ai quattro venti, diventando anziché sinonimo di libertà un sinonimo di tirannia, e forse l’Italia al pari del Venezuela, ha bisogno di meno mercato e più Stato, dove non siano le multinazionali a dettare le politiche europee e nazionali, ma siano gli Stati che dettano le regole interne, e non asserviti a leggi macroeconomiche, a banche mondiali, a società di rating che nel nome della produttività esasperata, dei contratti atipici, dell’esproprio del TFR a favore dei grandi fondi d’investimento, rischiano in caso di crac, vedi Parmalat, il far volatilizzare i risparmi di una vita.
C’è una crescita abissale della sperequazione economica, dove il precariato, la difficoltà di trovare lavoro a tempo indeterminato, e la deriva dell’innalzamento della soglia di povertà sta sommergendo sempre di più quella che un tempo era la classe media italiana, ridotta al lumicino, e pervasa da fremiti di povertà ante miracolo economico Italiano.
Il paese e gli italiani vivono affondati fin quasi alla gola dal debito statale e privato, dove le banche, le finanziarie martellano a ritmo di fucina industriale, le teste degli Italiani, spingendoli ad indebitarsi per ogni inezia. Porta a casa oggi e paga tra sei mesi è il motto sia dei grandi centri commerciali, sia delle industrie automobilistiche con i piazzali pieni di prodotti invenduti, e attuano la politica degli sconti e del credito al consumo del somaro da battaglia per imporre ad un mercato Europeo sempre più asfittico autovetture sempre più grandi, che consumano come il Titanic, o prodotti tecnologici e non, fabbricate sfruttando le nuove forme di schiavismo imprenditoriale, create spesso in aree protette di regimi totalitari, patrie spesso dell’odiato comunismo dal capitalismo d’assalto, che scenderebbe a patti con il grande Satana pur di produrre senza regole e garanzie sociali.
Arriverà il giorno che l’Italia si sveglierà da questo sonno della ragione, da questa corsa esasperante e sfiancate, e capirà che deve invertire l’ordine di marcia, che deve arretrare non di un passo, ma di dieci, se vuole garantire il sostentamento tignoso dei cittadini.
Una volta esisteva l’esproprio proletario, oggi vige la regola consolidata, che i risparmi sono succhiati da connivenze dubbie, per mantenere sperperi, privilegi scandalosi, che non creano ricchezza, e la marea di denaro drentata ai cittadini, in forme nuove e fantasiose, alimentano il mercato del parassitismo, dove le regole funzionano solo per ceti più deboli, costretti a subire vessazioni e angherie, costretti a stringere la cinghia ogni giorno di più, vedendo eroso il loro potere d’acquisto e sussistenza.
L’Italia da decenni ha una classe politica, non importa il colore, che taglia i servizi essenziali, e spreca sul futile, che ingrassa, erogando contributi a pioggia ad aziende decotte e indebitate fino all’osso, dove nessuno paga per gli sprechi, dove tutti hanno ragione e nessuno ha mai torto.
Forse ha ragione il Venezuelano Chevaz che sta rimettendo nelle mani dello Stato i beni che dovrebbero appartenere di diritto alla nazione e ai cittadini, non ai capitali stranieri, dove l’esempio della rapina su scala planetaria avviene in Iraq, in quanto i proventi del petrolio andranno per il 75% esenti tasse alle multinazionali petrolifere, depredando la nazione e gli iracheni della loro principale ricchezza, e la comunità internazione, Unione Europea, Italia compresa tace asservita e silenziosa davanti a questo ladrocinio.
Una volta si poteva dirsi padroni in casa propria, ma oggi sono gli altri i padroni delle nostre vite, i padroni dei nostri pensieri, delle libertà sempre più risicate, dei diritti fondamentali messi in discussione con la scusa di una guerra al terrorismo internazionale, dove però paradossalmente le stragrande maggioranza delle vittime sono civili innocenti.
Si assiste impotenti, succubi, piegati, a genocidi non più in scala locale o nazionale ma su scala globale, e il conto delle vittime degli ultimi anni, non importa da che parte stiano, fa impallidire anche l’olocausto di Hitleriana memoria.
In un mondo dove l’informazione viaggia più veloce dell’uomo, nessuno può più esimersi dal dire io non sapevo, le colpe sono solamente di altri, ma il movimenti di libero pensiero sono ostacolati dalle forze dominanti, sono ostacolati da coloro, che nell’ingorda ignoranza miliardaria vedono l’uomo solo come un oggetto, un numero su un pezzo di carta, una percentuale statistica, un soggetto da manipolare, e ancora troppo manipolabile che deve essere piegato al pensiero dominante, senza possibilità di respiro e di tempo stesso per pensare e riflettere.
La regola di meno stato è più privato sta strozzando l’economia, non solo degli stati poveri, ma anche delle superpotenze, dove pochi oligarchi, siano essi banchieri o industriali, non importa in che settore, non rendono conto all’uomo di strada, ma al profitto, agli azionisti, così alla fine nessuno paga per le colpe di pochi che ricadono su tutti, e il risorgimento italiano è cessato nell’anno 1870, sprofondando il Paese nel sonno letargico che continua tutt’ora.

Marco Bazzato
10.01.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/