lunedì 30 ottobre 2006

Vladimiro Guadagno: un uomo nei bagni delle donne

È stata una doccia fredda per l’onorevole Vladimiro Guadagno la reazione della collega Elisabetta Gardini, quando si è trovata il parlamentare nel servizi delle donne. La parlamentare di Forza Italia si è sentita violentata nella privacy, in quanto l’onorevole Guadagno da anni noto transgender conosciuto con il nome d’arte di Vladimir Luxuria, invece d’usare il bagno degli uomini, come la sua carta d’identità e il rispetto anche delle comuni e semplici regole del vivere sociale, usa abitualmente i servizi femminili, per non imbarazzare gli eventuali colleghi maschi, pensando a questo punto a torto, di ricevere la solidarietà femminile.
Naturalmente le associazioni per i diritti degli omosessuali, delle lesbiche e dei transgender hanno gridato al razzismo, all’omofobia e quant’altro di più insultante si può dire nei confronti di una parlamentare che alla pari del collega ha chiesto solo un minimo di rispetto della privacy almeno nei servizi igenici.
Viviamo in una società che guarda ai diritti del singolo con un occhio orbo, dove vige solo il rispetto delle condizioni personali, delle scelte individuali di una sola parte della società, dove una maggioranza che non si riconosce in determinate scelte individuali del singolo, dovrebbe necessariamente piegarsi alle parole altisonanti della stampa schierata come dei Tank militari pronta a sparare quando qualcuno parla fuori dal coro imposto alle masse, ad una minoranza che ha il diritto d’essere tutelata e rispetta, ma che deve saper integrarsi con quelle che sono le regole sociali e personali ed opinioni dei singoli cittadini che si riconoscono nella maggioranza non più rappresentata, denigrata e bollata come razzista.
I diritti dei singoli non sono una realtà a senso unico, questo non significa che il sig. Guadagno non debba vivere la sua sessualità come meglio crede, sbandierando liberamente il suo essere transgender, le sue tendenze sessuali o quant’altro desidera, ma non può nemmeno pensare che l’Italia intera debba essere daccordo con lui, approvarlo, applaudirlo ed incoraggiarlo. È ora di finirla con la scusa che la società non capisce la sofferenza dei transgender, che non vengono accettati per quello che sono, per l’identità sessuale o quant’altro spesso dichiarano. Come giustamente gridano ai quattroventi che l’identità sessuale fa parte delle scelte personali e individuali, la smettano di voler coinvolgere a tutti i costi gli altri nei loro problemi, tanto loro comunque non risolvono quelli di coloro che la pensano in modo diverso da loro.
Questo non è nè razzismo nè la tanto sbandierata omofobia con che si viene marchiati a fuoco quando non ci si adegua, ma semplice buon senso.
Ma visto che il transgender non da importanza alla sua sessualità di riflesso si disinteressa all’importanza che altri danno alla propria, e non si vede il motivo per qui, se lui si disinteressa nel fare una scelta personale, tutti gli altri debbano sottostare al suo vacuo, approvando de facto la condizione in cui nemmeno lui si riconosce appieno, evitando così spiacevoli malintesi che vanno ad imbarazzare chi come l’onorevole Guadagno li crea e la deputata Gardini, che non essendo obbligata, si vedrebbe costretta ad accettare e subire passivamente, le scelte individuali di un maschio che vuole usare i servizi delle donne.
Tanto più che leggendo i vari articoli presenti nella rete, tutti definiscono al maschile l’onorevole Guadagno, e non si sforzano di fare un semplice salto logico: se lo scriviamo al maschile, allor significa che lo riconosciamo come maschio, e come maschio è entrato nel bagno delle donne. Dove sta lo scandaolo alla fine? Che indipendentemente da quello che l’onorevole Guadagno dice di se stesso è un uomo entrato nei servizi igenici delle signore, se un parlamentare eterosessuale avesse usato i servizi femminili cosa si sarebbe detto di lui?

Marco Bazzato
30.10.2006
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Congratulazioni Presidente Parvanov


Il presidente della Repubblica di Bulgaria Gheorghy Parvanov è stato rieletto con una maggioranza plebiscitaria alla guida del Paese. L’elezione seppur scontata e data favorita dai più, non fa altro che confermare la tendenza già riscontrata in passato della volontà degli elettori affinchè l’entrata della Bulgaria il 1 gennaio 2007 giunga sotto i migliori auspici.
Ho avuto modo in passato di incontrare in due occasioni ufficiali il riconfermato presidente e debbo dire che come italiano mi sono sentito lusingato dalla calorosa accoglienza ricevuta in occasione dei due eventi culturali a cui ho partecipato come scrittore residente nel Paese balcanico.
La sensazione che ho ricevuto specie nel secondo incontro durante l’ottavo Meeting Internazione degli Scrittori tenutosi a Sofia nel giugno 2006, e avendo avuto l’onore di consegnare nelle sue mani la prima copia fresca di stampa dell’edizione Bulgara di Progetto Emmaus, è stata quella di un uomo con la visione del presente e del futuro della Bulgaria ben chiara nella mente, e che nonostante il retaggio politico del passato, ha saputo prendere atto delle necessità dei cittadini bulgari provando ad andare incontro anche alle differenze vedute culturali, etiniche e storiche della nazione.
Un presidente che come storico guarda al passato con l’occhio benevolo di quello che deve essere cambiato, ma non gettato, dove forte dell’identità nazionale, e dei suoi abitanti, non disposto però a barattare per quanto possibile, le necessità di un piccolo stato che si trova finalmente proiettato nella centralità europea, e che diventerà nei prossimi anni uno snodo essenziale dei commerci tra l’occidente e il medio oriente.
La Bulgaria in questi ultimi anni sta uscendo dall’isolamento internazionle in cui da decenni era stata fatta cadere, e il presidente rieletto certo ha una parte importante in questo processo di trasformazione non solo del Paese al suo interno, ma anche internazionale, dove grazie anche alla sua relativa giovane età, certamente molto meno vetusta di tanti omologhi occidentali, fa apparire la Bulgaria sotto una prospettiva meno sconosciuta rispetto al passato.
Certo la continuazione del suo compito di rappresentanza sul podio internazionale lo porterà a caricarsi ancora sulle spalle il peso di una responsabilità non indifferente, ma che sicuramente visto il risultato delle elezioni non farà venir meno il suo impegno personale e sociale affinchè la Bulgaria sappia conquistarsi quel prestigio internazionale, che sebbene è un piccolo Stato all’interno dell’Unione Europea, quel ruolo anche di mediatore culturale che la storia ha saputo nel corso dei secoli far emergere, avviandolo verso un futuro certamente ancora irto di difficoltà e spesso di pregiduzi dettati dalla scarsa conoscenza della Bulgaria, specie da parte Italiana, ma che a tutt’oggi è il maggior partner commerciale del Paese.
C’è un ultima nota che voglio aggiungere che riguarda il Presidente Parvanov ed è riferita al discorso che tiene l’ultimo dell’anno e che mi ha toccato profondamente, cioè il fatto che egli stasse in piedi davanti alle telecamere e di riflesso davanti a tutti i cittadini. Questo nonostante le possibili differenze politiche che ogni cittadino bulgaro può avere, l’ho trovato estremamente rispettoso nei confronti di tutti, ed in special modo l’appello rinnovato alla necessità di mantenere viva e feconda la cultura bulgara e le sue storiche tradizioni di tolleranza e di rispetto. Come cittadino italiano, rispettoso delle leggi del mio Paese, ma pronto ad accogliere quanto di meglio una cultura diversa dalla mia mi offre, ringrazio personlmente il Presidente per l’esempio di umiltà che ha saputo dimostrare non solo ai cittadini bulgari, ma anche agli stranieri che come me vivono in questo piccolo ma speciale Paese.

Marco Bazzato

domenica 29 ottobre 2006

Presentazione del Romanzo "Comunque Bella" di Marco Boscaro


Marco Boscaro presenta il suo primo Romanzo: Comunque Bella. L’autore ha presentato il suo primo libro presso il “Café Liuvrè” /www.cafeaulivre.it di Padova Venerdì 20 Ottobre 2006.
La serata, complice anche l’atmosfera intima del locale che ha ospitato l’evento era calda e accogliente, e il pubblico presente ha apprezzato e partecipato con vivacità all’evento.
Un ringraziamento particolare va alla Prof. Paola Pace che ha curato la presentazione iniziale.
Ho avuto anch’io l’onore di presentare l’autore dove a seguito riporto il mio intervento svolto.


E' difficile al giorno d'oggi prendere carta, penna, oppure, come tutti ormai siamo abituati a fare, accendere il Pc raccogliere idee, iniziare a scrivere, rendere una storia che parte forse dai ricordi antichi della mente, farla diventare viva tramite la parola scritta. Marco Boscaro ci e' riuscito. La sua prima prova, il suo primo romanzo "Comunque Bella" ha in se la freschezza del debuttante, il coraggio di colui che incurante dei penseieri altrui si getta nella mischia, ben conscio della forza che tutto cio' necessita.
"Comunque bella" e' una storia semplice, ma e' proprio questa sua semplicita' che fa si che le parole scorrano veloci, che i gesti, gli atteggiamenti dei personaggi non siano stereotipati, e anche se alla prima lettura si ha l'impressione di trovarsi innanzi ad uno scritto che ondeggia tra il naif e il bohem, scendendo in profondita';. ritroviamo tutti gli usi, i costumi, i piccoli gesti quotidiani narrati con la parlata tipica dell'Italiano cresciuto all'ombra realta' Veneta. Le parole, gli atteggiamenti, i luoghi, le situazioni espresse, raccontano di un universo semplice, ma non per questo meno ricco e variegato di sfumature e colori.
Comunque Bella fa identificare il lettore nel vissuto, in quelle grandi e piccole storie che a molti hanno segnato i primi anni dell'eta' adolescenziale e adulta, senza mai perdere di vista il sogno, il desiderio d'andare oltre al quotidiano, la necessita' di toccare il cielo, senza aver timore di tornare a terra.
Auguro all'autore, che mantenga la sua verve , trattenendo il piu' a lungo possibile quanto di piu' umano e' presente nell'uomo, perche' con la frizzantezza del suo messaggio fa percepire che l'esistenza e' "Comunque Bella"


Marco Bazzato

29.10.2006



Partecipare ad un Master in Italia per una straniera, a volte conviene rinunciare

Spesso accade che una persona decida di frequentare un master di specializzazione in qualsiasi universitaria Italiana, ma siamo sempre sicuri che tutto ciò abbia un senso e sopratutto un seguito?
È successo poco tempo fa ad una cittadina straniera, che partendo dal suo Paese ha deciso di inscriversi in una nota facoltà universitaria del Nord Est. La persona dopo aver ottemperato ai termini del bando, è partita fiduciosa verso l’Italia con il desiderio di fare dei sacrifici, affrontando i disagi che la distanza, gli spostamenti, gli orari, e l’ambiente ostile Veneto che aveva già avuto modo di conoscere sulla pelle, spesso offre ai cittadini del suo Paese.
La candidata arriva nella città pronta ad affrontare il colloquio conoscitivo, secondo il programma e l’orario che le era stato preventivamente fornito. Il pomeriggio del giorno fissato, attende fiduciosa gli esaminatori, ma per uno strano gioco del destino si trova sola, faccia a faccia, senza la presenza di alcun testimone, con l’esamintore. L’uomo in questione, forse per un pregiudizio personale nei confronti del paese di provenienza della candidata, o per motivazioni sue personali che giustamente non ci è dato a sapere, appare svogliato, con lo sguardo assente, il colletto della camicia uno dentro e uno fuori, pone le domande come se indipendentemente dalle risposte date, si fosse formato già un suo pregiudizio soggettivo, anzichè oggettivo, come si imporrebbe a chi è chiamato a svolgere il lavoro di selezionatore. L’esaminatore non prende appunti, come se la memoria potesse sorreggerlo e fosse l’hard disck di un pc davanti al numero di candidati che in quei giorni deve visionare. Il colloquio dell’aspirante studentessa si conclude nello sconforto, presagendo che la mancanza di un’altro esaminatore sia di danno per lei. Cosa che puntualmente avviene. Dopo cinque giorni escono i risultati degli ammessi, e si vede esclusa dalla lista, confina in un angolo remoto, e che in una mail scritta nei giorni successivi al coordinatore del Master ha descritto così: “Avendo scorso la graduatoria finale, ho avuto la sensazione di trovarmi innanzi ad una graduatoria simile ad una classifica musicale, inquanto nei primi 50 posti, abbondano i punteggi doppi, tripi o quadrupli. Mentre dal 51 al 69 sembra assistere ad una discesa senza possibilita' di mediazione.” Non vinta però dal giudizio negativo ricevuto, chiede ad una terza persona di telefonare alla segreteria del Master. L’uomo dopo essersi presentato inizia a porre alcune domande in rapida sequenza alla segretaria, chiedendo sopratutto la possibilità della candidata di visionare il suo verbale di colloquio, l’addetta candidamente risponde che non è prassi del dipartimento verbalizzare i colloqui, quasi seccata però dal fatto che ci si stupisse per la mancanza dei medesimi.
Da notare che il dipartimento in questione ha prolungato i termini di scadenza, avvisando i candidati che già avevano presentato domanda in tempo utile, senze aggiornare il bando stesso, compiendo un irregolarità formale nei confronti di coloro che si erano attivati nei tempi stabiliti dal bando originale, e forse portando anche all’esclusione di qualuno di essi, forse a favore dei ritardatari, ma non permettendo ad altri candiati che avessero letto il bando nella rete di presentare la domanda di preiscrizione, visti i termini scaduti.
La candidata esclusa ha iniziato così una corrispondenza via mail con il coordinatore del Master, ricevendo, dopo aver esperesso in tutta franchezza i suo dubbi a riguardo la bocciatura, i dubbi inerenti all’allungamento della scadenza delle domande di preiscrizione, e sopratutto, dopo reiterate mail la possibilità di visionare il verbale del colloquio. Tra la candidata e il professore del dipartimento gli scambi verbali di fioretto non sono mancati, anzi al porre dei motivati dubbi sull’andamento del medesimo, il direttore ha risposto trasformando a suo piacimento i dubbi in insinuazioni, parola greve e offensiva, visto che in ogni parte d’Italia si usa dire: domandare è lecito, rispondere è cortesia, ma rispondere scortesemente e in modo arrogante, arrivando a vergare il foglio elettronco con frasi del tipo “Le ho negato, e Le negherò, ne sia sicura ogni diritto all'insinuazione: glielo ripeto, perché sappia come comportarsi. Forse non ne è convinta: ma Lei ha a che fare con gente seria!”
Una risposta così denota poca dimestichezza con i rapporti umani, ma sopratutto un modo alquanto strano di trattare con una persona, che indipendentemente dalla nazionalità, e ancor di più se straniera e non residente nel suolo italico, che null’altro fa che chiedere delucidazioni, dove colei che domanda non è vista con l’occhio benevolo di chi va a chiedere informazioni, ma come uno spirito ribelle che si permette di mettere in dubbio sacrilegamente il dogma dell’istituzione universitaria, dandole quasi in modo esplicito della maleducata, ordinando e imponendo ordinarle in modo discriminatorio e intimidatorio di rimanere su un angolo senza uscita, terminando oltretutto la frase con una puntuazione esclamativa che secondo le intenzioni dello scrivente dovrebbe servire a far abbassare il capo e non ammettere più repliche.
Dopo quella risposta di tal portata, dove un professore di filosofia dimentica Voltaire che disse “Non condivido le cose che dici ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirle”, la candidata si è guardata dal rispondere con lo stesso tenore, ma con fermezza ha ribadito nella successiva risposta che “...Naturalmente ogni persona si esprime con le sue parole, e risponde in primo luogo a quanto dice o scrive. Io rispondo per le parole "dubbi", ma non per la parola "insinuazioni", in quanto usate da Lei...”
“....Sono abituata, egregio Professore, che nessuna persona, chiunque essa sia, si permetta di mettermi in bocca parole e/o pensieri diversi dai miei, perchè' lo reputo un modo sgradevole di confrontarsi, e che tende ad annullare la possibilità del signgolo d'esprimersi liberamente, solo e solamente secondo le proprie parole”
terminando la mail con l’ennesimo invito al professore e all’esaminatore di poter visionare il suo verbale di colloquio, e pronta a farsi ricevere il lunedì successivo.
Cosa che puntualmente avviene. Il giorno fissato la candidata esclusa si presenta puntuale nell’ufficio del coordinatore ricevendo da lui e dall’esaminatore una calorosa accoglienza formale, così diversa dal tenore della mail ricevute i giorni precedenti. In quell’incontro avviene il colpo di teatro: il professore candidamente propone alla donna il suo reintegro al Master, cioè basta che versi la cifra richiesta nel bando e potrà frequentarlo, lasciando così alle spalle le polemiche precedenti. Nella stessa occasione le viene consegnato un foglio di carta che dovrebbe essere secondo le intenzioni dell’estensore il verbale non fatto, ma esso forse per povertà dell’università non è stampato su carta intestata, non è protocollato, non compare nessuna data e anche se è presente il nome dell’esamintaore e manca della firma del medesimo. Sconcertata davanti a tale comportamento preferisce il silenzio, anche perchè non si aspettava una tale remissività e appiattimento verso l’angolo sia da parte del professore, sia da parte dell’assistente esaminatore.
Il colloquio si conclude con le consuete strette di mano, e sorrisi forzati di persone che non vedono l’ora che la tenda del palcoscenico si chiuda, e la platea dopo lo scroscio d’applausi finali esca dal teatro felice e contenta, e il direttore ribadendole per l’ennesima il suo reintegro la accomiata.
La corsista riammessa esce dal vecchio palazzo universitario dai muri scrostati con la mente confusa, e i pensieri che turbinano a mille. La sceneggiatura sembrava quasi una riscrittura in chiave moderna delle “Baruffe chiozzotte” di Carlo Goldoni. Era stata formalmente riammessa, ma non aveva nulla tra le mani, se non le parole del professore, naturalmente come questa volta come testimone l’esaminatore del colloquio, e quel pezzo di carta che non è nemmeno buono per provare ad accendere un caminetto nei lunghi inverni nel suo Paese. Aveva due giorni per decidere, due giorni per fare il bonifico bancario e poi infilare la testa nella gabbia dei leoni. Prima la delusione dell’esclusione, le frasi non proprio bonarie che le erano state scritte nelle mail, poi il colloquio e il colpo di teatro della riammissione formale. Era troppo, era veramente troppo. Da una parte si sentiva vincitrice morale, era stata riammessa, ma era delusa dal comportamento professionale di alcuni componenti di un dipartimento universitario che gode di fama internazionale, e che dovrebbe essere sempre un fulgido esempio di correttezza sostanziale e formale. Alla fine sceglie di non iscriversi, sente che quel Bel Paese di qui tanti favoleggiano e solo una bella fiaba da raccontare ai bambini per addormentarsi. La realtà, l’amara realtà è ben diversa.
La candidata riammessa ha riscritto al professore ringraziandolo per l’ammissione verbale al Master, ma avrebbe desiderato che il tutto avesse avuto un finale diverso. Per tutta risposta il direttore del dipartimento risponde: "...comprendo a fondo dalla sua e-mail, ma lo avevo già ampiamente "intuito" prima, che purtroppo il suo rapporto con noi è impostato su basi tali da comprometterlo alla radice, nonostante tutta la nostra disponibilità.Le abbiamo fornito ogni spiegazione circa la valutazione che abbiamo dato dei suoi titoli e del colloquio. Per noi è ampiamente sufficiente, nella sostanza e nella forma. Decidiamo noi l'una e l'altra, e ci assumiamo la responsabilità dell'una e dell'altra.
Se abbiamo "peccato" in un senso, è nella direzione di essere con Lei fin troppo indulgenti: ad esempio, avremmo fatto meglio a mettere subito e con forza in evidenza la pesantezza delle opinioni da Lei espresse.
Lei naturalmente ha la facoltà di iscriversi che noi Le abbiamo accordato, ma deve sapere che se lo farà, dovrà da subito assumere nei confronti del nostro lavoro un ben differente atteggiamento.
“Per noi è ampiamente sufficiente nella sostanza e nella forma.”
Strano modo di esprimersi, anzichè essere esaurienti e fugare ogni dubbio, si preferisce una spiegazione ampiamente sufficente, quel tantino in più, tanto da affermare in teoria dire che si è stati esaustivi. Un professore universiatario dovrebbe ben sapere che con la sufficenza ampia, praticamente uno striminzito 18 o 20 non si fa molta strada nella realtà universitaria. Sembra una storia Kafkiana, che mi fa venire il mente un amico dei tanti anni fa che svogliatamente si accontentava di galleggiare, anche se boccheggiando a fatica, spesso annaspando, ma disposto alla mera sopravvienza, ben conscio della sua svogliatezza negli studi, anche lui spesso diceva: quando sono ampiamente sufficente di cosa dovrei preoccuparmi? Del futuro, tanto paga mamma e papà.
Ma allora perchè la candidata esclusa è stata riammessa, scavalcando forse altre persone prima di lei nella graduatoria? Forse perchè non ha accettato passivamente il responso?
A riguardo le dichiarazioni che la candidata avrebbe espresso, non erano opinioni, ma fatti inerenti solamente la realtà del suo Paese, fatti che sicuramente conosce in modo più ampio e con un approccio meno teorico, ma di interazione sociale e culturale, rispetto a quella dell’esaminatore e del professore. Aggiungo che la candidata ha esperesso opinioni solamente a riguardo la realtà del Suo Paese, e non dei Paesi limitrofi dove non ha esperienza diretta, e quindi l’aggiunta fatta dal professore non riguardava quanto espresso nel colloquio conoscitivo, quindi oltre ad essere fuoriluogo risulta inesatta e fuorviante. Il professore forse non accetta le opinioni diverse dalle sue, forse perchè cozzano con la visuale accademica di una realtà locale che sicuramente non ha convissuto per tutta una vita, ma solamente studiato, dimostrandosi anche poco propenso all’utilizzo empatico per approcciarsi in modo diverso e forse più ampio alla complessità di una realtà sociale che non neccessariamente conosce appieno.
“...Che purtroppo il suo rapporto con noi è impostato su basi tali da comprometterlo alla radice,” Non credo che sia stata colpa della candidata la compromissione alla radice del rapporto, in quanto il problema della radice non è della straniera che si avvicina all’università italiana per fare un Master, ma del dipartimento universitario che getta semi che fanno crescere radici non ancorate in una solida terra, ma in un terreno paludoso e forse non sempre salubre, come la storia di quel posto d’Italia insegna.
La candidata esclusa e riammessa forse è stata troppo combattiva per gli standard con qui il professore e il suo assistente è abituato a trattare.
Non è colpa dello straniero se la scadenza della domande di riammissione è stata spostata senza evidenziarlo nel bando stesso, lasciando fuori forse altri aspiranti corsisti che avrebbero voluto provare a candidarsi.
Non è colpa dello straniero se il dipartimento non è avulso ad ordinare ai i suoi esaminatori di prendere appunti veritieri delle risposte date dai candidati durante il colloquio conoscitivo, non è colpa della cittadina straniera se a seguito di una selezione in un ateneo prestigioso nessuno si prende l’onere di verbalizzare i colloqui dei candidati.
Non è colpa dello straniero che vive in uno Stato diverso dall’Italia se durante il colloquio con il direttore del dipartimento le viene consegnata un pezzo di carta privo di valore.
A queste domande dovrebbero rispondere l’esaminatore che non ha redatto il verbale e il direttore del dipartimento che permette un sistemico caos amministrativo. Dovrebbe rispondere dove sta la radice sana e la radice guasta, e sarebbe interessante a riguardo conoscere l’opinione del Rettore dell’Università in merito a questa serie spiacevole di incresciosi incidenti di percorso.
“...Ma deve sapere che se lo farà, dovrà da subito assumere nei confronti del nostro lavoro un ben differente atteggiamento.” Nel suo paese la candidata riammessa è stata abituata al confronto con i professori, abituata all’arte della dialettica, del contradittorio dove l’allievo o il candidato doveva con la forza delle parole convincere il professore della bontà dei suoi argomenti, ma forse in quell’univesità italica non si usa così, forse in quel rinomato dipartimento non è concesso il pensiero individuale, il ragionamento analicico e critico, forse i professori non amano gli studenti che cercano di uscire dagli schemi convenzionali e che fanno domande pertinenti, forse gli assistenti non sono avulsi ricevere critiche inerenti al loro operato.
Come italiano provo imbarazzo per questi comportamenti, con le risposte non proprio Oxfordiane che la candidata ha ricevuto tramite mail. Trovo avvilente il pontificare su giudizi non lusinghieri che la candidata avrebbe espresso a riguardo la situazione del suo Paese, che con tutto il rispetto, credo che conosca meglio del professore e dell’assistente che si è vantato d’esserci andato qualche volta, senza conoscere lingua, usi, costumi, avendo però la supponenza d’avere una visione d’insieme perfetta e non criticabile e indiscutibile.
Ho un appello da rivolgere a tutti gli eventuali corsisti esclusi attuali e futuri: quando vi rifiutano fate valere le vostre ragioni, chiedete spiegazioni esaurienti, chiedete di visionare i vostri verbali personali, non arrendetevi, non chinate la testa credendo che solamente voi potete essere in errore, o che il giudizio che vi è stato dato sia effettivamente obbiettivo. Non abbiate paura dell’assistente, dell’accademico, del direttore del dipartimento, sono persone come voi, con le loro virtù e con i loro difetti e forse anche con i loro errori, perchè anche voi come la candidata straniera esclusa che alla fine ha rifiutato, potreste essere ammessi al Master, anche se vi hanno esclusi.
Su una cosa il professore ha ragione e riguarda l’indulgenza ed è riscontrabile nella sua affermazione: “Se abbiamo "peccato" in un senso, è nella direzione di essere con Lei fin troppo indulgenti” Il peccato sicuramente c’è stato e si chiama presunzione, per quanto l’indulgenza non quella che è stata concessa alla candidata, ma quella che la candidata riammessa ha dato al dipartimento dopo l’accaduto. Alla fine ci sono degli sconfitti morali, e non è la rinomata istituzione universitaria, ma nemmeno la persona che dopo essere stata riammessa si è concessa di rinunciare al Master, gli sconfitti son ben altri.

Marco Bazzato
29.10.2006
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sabato 28 ottobre 2006

Ritorno a Nord Est


Dopo un anno di lontanza dall’Italia sono tornato nel Paese per un breve periodo di ferie. Quante cose appaiono diverse quando lo si osserva solo dallo schermo televisivo, o dagli articoli di giornali letti nella rete. Se ad un primo momennto la realtà vista da lontano poteva apparire tragica, il toccare nuovamente il suolo italico porta a rendersi conto della drammaticità e del declino che sta subendo. Sembra una china inarrestabile, uno scivolare verso l’abisso economico, sociale, culturale, che mai mi sarei immaginato di descrivere in modo così opprimente, e con una stretta al cuore, e un’altra aperta sulla mente cerco di capire quello che fino a poco tempo fà fù il mitico nord-est. Ora quello che è apparso ai miei occhi è un panorama desolante di una povertà non solo economica, vinto dalla concorrenza dei paesi che un tempo chiamavamo emergenti, ma sopratutto da una mentalità provinciale, che difficilmente negli anni a venire potrà reggere il passo dell’agguerrita concorrenza internazionale.
Ma non è solo l’aspetto economico che risulta desolante, ma anche l’aspetto culturale e sociale, che a parte i casi, per fortuna sopra la media e un apertura non pregiudizievole verso altre realtà extra Venete, appare in tutta la sua ristrettezza mentale.
Il mitico nord est arranca. Arranca sotto la spinta della sua doppia lingua, sotto l’impossibilità il più delle volte di sostenere una conversazione in Italiano. Il Veneto mi è apparso una regione così ancorata alle tradizioni, che non sa rendersi conto che la pianta dalle radici morenti genera molti frutti malati, e che difficilmente possono sopravvivere al di fuori del loro orticello innaffiato a spritz, ombrette di vino, e dialetto.
Ho provato ad osservare la regione privandomi dell’occhio critico, snaturandomi dalla volontà di dipingere solo quadri a tinte fosche, ma anche con le migliori intenzioni non ho potuto sottrarmi dalla sofferenza di vedere la regione che mi ha dato i natali che galleggia come se attendesse l’arrivo di qualche impossibile messia profetico. Galleggia tra urla di donne isteriche, nelle piazze, nei dialoghi privati, all’interno dei ristoranti, dove anche provando a richiamare l’attenzione della cameriera non si riesce a far cessare l’indescrivibibile frastuono, che sembra provenire dal profondo delle ugole impazzite, dal dolore rantolante di un coltello sventra l’addome, lacera i timpani, rendendo impossibile qualsiasi conversazione anche se a poche decine di centimentri l’uno dall’altra.
È un paese urlante, rumoroso, soffocato dallo smog mentale, dalla confusione, una regione che sebbene abbia alle spalle secoli di storia gloriosa, ora sembra una cartolina sbiadita consumata e consunta dal lento ed inesorabile incidedere del tempo. I Veneti una volta mastri calzaturieri, architetti, scrittori e poeti, sembrano più orientati a reinventare i fasti contadini di una tradizione morta, anzichè guardare al nuovo millennio con la rinnovata forza della tradizione culturale e sociale che hanno alle spalle, chiudendosi in un circolo vizioso, forse senza uscita.
È una regione che guarda allo straniero con l’occhio rancoroso di chi viene a rubare posti di lavoro che nessuno vuol fare, che guarda all’immigrato, qualunque esso sia come un ennesima bocca da sfamare alle spalle della collettività, dimenticando che la regione stessa, nel secolo passaato era costretta a lasciar morire i figli di pellagra e malaria, viveno in casoni insalubri e la mentalità clericale da bacia banchi asserviti li rendeva docili alla chiesa, pronti prima ad andare a pregare e poi a lavoare.
Una regione dove la frenesia è il pane quotidiano, è come un auto che corre a folle velocità verso un futuro fosco e nebbioso come la pianura padana, lungo un’autostrada perennemente intasata, alla rincorsa di una ricchezza materiale che rasenta la follia cieca, costretta a correre con il fiato in gola per l’esosità di un imposizione fiscale che sta soffocando non solo il ploletariato in via d’estinzione perchè delocalizzato, ma anche quella classe media che fino a pochi anni fa era il fiore all’occhiello, e rappresentava il biglietto da visita della piccola e media imprenditora, strozzata oggi ancor di più, da un governo nazionale che vede il piccolo imprenditore solo come un evasore e un parassita sociale da abbattere, e da tenere sotto controllo, vittima del grande fratello fiscale, mentre i veri evasori godono dell’impunità, avendo ditte registrate in paradisi fiscali, dove nessuno s’azzarda a mettere il naso per timore di scoperchiare il vermaio ivi presente.
La regione ha bisogno di una sveglia non solo economica, ma di un salto di qualità intellettuale e culturale, che non guardi solo a quel retaggio contadino che a parole tutti sembrano voler ricreare, ma che nei fatti nessuno non vuole e non può più avere.
Tante cose sono cambiate, e tante altre peggioreranno ancora se l’evoluzione individuale non andrà di pari passo con l’evoluzione del pensiero sociale, svincolato dal sentire individualista ma massificatrice fa si che si vedano nei caffè rinomati delle grandi città borghesi in piedi al banco intenti a mangiare un piatto di riso, somiglianti a somari che pasteggianno l’avena dalla greppia. Un paese così prima o poi sbatterà contro il muro della realtà, contro il cinismo che renderà inutile ogni forma di ricchezza economica e materiale, se non accompagnata da una visione diversa, più profonda, creante quella consapevolezza intellettiva meno attaccata ai valori di un esteriorità morente, ma più radicata nella coscienza individuale, dove l’uomo sappia essere uomo e non un ibrido che lo fa sembrare un timido asessuato, dove la donna sia meno matriarca e più donna, cosciente del ruolo famigliare e sociale, senza schiacciare e annichilire il maschio costringendolo a sedute di psicoterapia per togliersi dalla pelle i pensieri di un mammismo senza fine che li porta ad aver paura nell’altro sesso e rinchiudersi in fome di eterofobia difficilmente sradicabili dalla psiche.

Marco Bazzato
28.10.2006
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domenica 8 ottobre 2006

Nuove riflessioni su Maria, la piccola Bielorussa




Gli echi del ritorno in patria di Maria, la piccola bielorussa riportata in patria con un bliz notturno che ha lasciato sconvolto l’Italia intera, non si sono ancora spenti.
Poochi giorni fà i coniugi Giusti, i genitori affidatari erano ospiti di Bruno Vespa a Porta a Porta, assieme a loro c’era il collegamento l’ambasciatore Bielorusso Aleksei Skripko, che con la granitica esperienza di chi sa che non può recedere di un passo dalle posizioni ufficali del suo Paese, è riuscito a parlare molto, senza dire praticamente nulla di nuovo.
Ma non è sulla dialettica delle parti in causa che bisogna soffermarsi, ma su un’altro aspetto che in tutte le trasmissioni televisive sembra sia stato deliberatamente omesso: il fratelllino di Maria, che come un oggetto in ombra, un soggetto evanescente in questa triste vicenda, non e’ mai entrato in nessuna discussione. A prosposito del fratello, un articolo del quotidiano ilTempo “ha poi ipotizzato che la bambina in Bielorussia potrebbe andare in un Istituto o in una casa famiglia insieme al fratello più grande, di 13 anni. I coniugi Giusto hanno detto: «Maria e suo fratello si sono incontrati per la prima volta nel 2003 in Sardegna, ma per nostra iniziativa. Siamo venuti a conoscenza che Maria aveva un fratello durante il primo soggiorno in Italia della bimba, ma Maria non lo ricordava. Noi allora abbiamo organizzato l'incontro con il Fratello che si trovava in Italia presso una famiglia sarda. Ed è stato emozionantissimo». (1)
In queste vicende di viaggi ferie i piccoli orfani sono sballottati per mezza Euorpa, specialmente in Italia, visto che nel Bel Paese arrivano annualmente circa ventisettemila bambini per soggiorni curativi che possono arrivare fino a centoventi giorni all’anno, e nel caso di Maria, sembrerebbe che la piccola sia stata divisa dal fratello sempre per lunghissimi periodi, fino a dimenticarlo come se il legame di sangue che dovrebbe legarla a lui dovesse andare diluito fino ad essere dissolto completamente nel tempo, complici anche i lunghi periodi di lontananza, e forse del lassismo da parte Bielorusso, che non ha saputo vigilare correttamente sullo stato di famiglia della piccola.
Balza alla mente il totale silenzio anche da parte degli ospiti presenti in studio, psicologi e giudici del tribunale dei minori che hanno copletamente ignorato questa circostanza.
Ora , nonostante il gesto d’amore fatto dai coniugi Giusti che hanno cercato in tutti i modi di tutelare la piccola, forse ora che la bamibina è tornata in patria, non è completamente sbagliata la posizione di rigidità delle autorità bielourusse, che resosi conto anche dei numerosi errori compiuti in questa vicenda, dovrebbero avere come imperativo il riunire i due fratelli in un legamene affettivo e fraterno che per troppi anni è stato lentamente reciso.
Forse le autorità bieorusse vista l’apertura dimnostrata verso i coniugi Giusti, dovrebbe chiedere a quest’ultima se sono disposti ad addottali entrambi, in caso contrario sarebbe corretto per i due bambini che venissero recisi tutti i rapporti con la famiglia in questione, dandoli in adozione ad una coppia pronta ad adottarli entrambi.
Ora da esterni, è impossibile conoscere tutti i risvolti della vicenda, fermo restando tutti gli atti umanitari compiuto dalla coppia, sia nei confronti di Maria, sia nei confronti del fratello per riunirli nel 2003, tutti dovrebbero fare molti passi indietro, e che in primo luogo si pensasse al benessere di questi due piccoli, affinchè il dolore per la perdita della madre, l’abbandono, i soggiorni in orfanotrofio, le violenze denunciate dalla piccola, i lungi mesi e/o forse anni separati, diventassero in futuro ricordi da lasciarsi alle spalle, recuperando quel rapporto di fratellanza, che indipendentemente dal paese e dalla famiglia d’eventuale adozione deve essere tenuto in considerazione.

Marco Bazzato
08.10.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/
Note
(1) iltempo.it/approfondimenti/index.aspx?id=1043127

La chiesa rinvia l'abolizione del limbo


Dopo una telefonata giunta dai piani alti (dei Cieli), la chiesa in Terra ha rinviato l’abolzione del limbo. Da notizie non confermate, sembrerebbe che il Capo Supremo sia impegnato da tre miliardi di anni con un pianeta fascioroso in una galassia lontanta, e a seguito delle rivolte, degli scontri, degli attentati in atto tra le due fazioni: atei e razionalisti, non abbia potuto esprimere il parere finale se abolire o no questo luogo teologicamente esistente, in quanto occupato a portare pace tra i contendenti, che però non riconoscono la sua autorità.
È giunta anche una telefonata da parte di un angelo anonimo, che ha dichiarato che il problema della mancata cancellazione del limbo, è dovuto al fatto, che quando è stato istutito, l’opera è stata edificata senza le necessarie autorizzazione dogmatiche, e che basandosi solo molti sentito dire, trasformatosi nel corso dei secoli in tradizioni necrotizzate, nessuno sappia dove trovare i documenti originali, sempre che esistano.
Altre fonti affermano che gli attuali occupanti del limbo non vogliano andarsene finchè non avranno ricevuto le necessarie garanzie d’entrare in paradiso. Mentre gli ospiti eterni di quest’ultimo, rifiutano che gli sfrattati dal limbo entrino nel regno dei cieli, e sono in rivolta in quanto li considerano come immingrati clandestini, perché il loro documento d’entrata non è mai stato timbrato con l’acqua santa sul capo, e sono pronti allo sciopero delle intercessioni. Il capo della dei fascinorosi è San Pio X, imbufalito per l’annullamento del suo catechismo, e starebbe arringando altri Santi affinchè cessino per almeno mille anni la dispensa di miracoli, guarigioni, e ricrescita degli arti.
Un nostro cronista ha provato a contattare San Pietro, ma il detentore delle chiavi è irreperibile. Il suo portavoce ha dichiarato ai nostri microfoni che il Santo si è preso due anni anni di ferie arretrate, e non vuole essere disturbato, e in caso contrario à pronto a scendere in sciopero, con il conseguente rischio di bloccare l’ingresso al paradiso, facendoci capire che forse l’unico che può metterci una parola buona su questa situazione è il Figlio del Padre.
Dopo una serie di squilli il Figlio dell’Uomo ci ha risposto, ma essendosi espresso in aramaico, ci è impossibile riportare le sue dichiarazioni in quanto gli interpreti contattati di lingue antiche sono in agitazione. Da anni la loro categoria è priva di riconoscimento giuridico, e lamentento il continuo abbassamento dei prezzi per i servizi, da parte delle case editrici. L’unico che avrebbe potuto farlo era un vecchio sacerdote, ritiratosi all’ultimo momento, perché ha ricevuto una newsletter dal Vaticano che gli intimava il silenzio.
Abbiamo raccolto alcune frasi dai fedeli, ma la maggiranza pensava che il limbo fosse un ballo. Alcuni giovani invece hanno risposto felici della novità visto che nemmeno ricordavano la sua esistenza, mentre i piu’ anziani si sono dimostrati refrattari al cambiamento, ma in nome dell’obbedienza cieca e assoluta, hanno mascherato il loro disappunto con dei sorrisi tirati.
Il papa, stando ad alcune voci di corridoio sembrerebbe intenzionato a rinchiudersi in un eremo, seguendo le orme del suo illustre predecessore PioIX. Silenziosamente molti esultano per questa scelta.

Marco Bazzato
08.10.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

venerdì 6 ottobre 2006

Il limbo abolito?

Ogni tanto la teologia cattolica ci prepara delle novità. Dopo il macchiavelico errore di Ratzinger a Ratisbona, che come uno scolaretto ha dovuto farsi perdonare la cantonata del discosrso pronunciato, che forse non capito nemmeno da lui contro, la religione musulmana, la Commissione Teologica Internazionale si prepara a demolire la presunta convinzine imposta per secoli ai fedeli cattolici sull?esistenza del Limbo.
Dopo quasi settecento anni di onorato servizio il limbo va in pensione. Va in pensione con il suo carico di anime non battezzate, di neonati abortiti, che per più di mezzo millennio sono stati sospesi nell?incertezza. Va in pensione lasciando affranti madri e padri dai secoli passati fino ad oggi si sono dannati l?anima per l?eternità, soffrendo per la disgrazia a loro accaduta d?avere i figli morti prima del battesimo e consegnati alla vita eterna con l?infamante marchio del peccato originale impresso nell?anima. Ora chi chiederà scusa a loro?
Scordiamoci dei morti, freghiamocene del passato, e andiamo avanti, rigettando la teologia valida fino a ieri, e oggi e domani sarà teologia della fede rinnegata, dimostrando ancora una volta che la religione è colma variabili temporali, e funziona a corrente alternata, cancelliamo quello che hanno detto i Papi precedenti, le sentenze, encicliche, discorsi, e altro. Un intera letteratura da rigettare, un Dio che con un colpo di sbianchetto e una sanatoria edilizia smanetellerà la vecchia costruzione simbolica in disuso. Ma delle cose dell?aldilà ci penserà chi di dovoere, se ha tempo, voglia e non è troppo oberato da impegni universali.
Ma come la mettiamo con i vecchietti cresciuti all?ombra del terrorismo limbico, che hanno pianto e fatto giaculatorie per anni per quelle anime sospese? Un colpo di spugna e quelle ore passate a sgranare il rosario sono divenate improvvisamente nulle? Da oggi è stato tempo gettato al vento, visto che sono state trasferite d?ufficio non si sa dove.
Cosa diranno i sacerdoti nei prossimi mesi ai bambini che dovranno prepararsi alla prima comunione o alla cresima, costretti ad imparare a memoria il catechismo? Spiegheranno che questa storia del limbo scritta nei catechismi stampati quest?anno non è più vera? Come un errore della Chiesa infallibile?
Da oggi la dottrina del limbo è da dimenticare, da rimuovere dalla coscienza collettiva, rivoltando come un calzino l?indottrinamento per secoli ricevuto. La Chiesa, anzi i suoi vertici hanno sbagliato per l?ennesima volta nella storia, rinnegando anche le parole dei suoi Dottori e gettandole alle ortiche. Ora dovremmo giustamente attenderci che a questi Santi del Limbo vengano tolti gli onori degli altari, e degradati al rango di comuni fedeli?
Il Catechismo di San Pio X insegna (O insegnavava ormai? N..d.A.)che: I bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non godono Dio, ma nemmeno soffrono; perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il paradiso, ma neppure l'inferno e il purgatorio.? (1)
Alla luce di questa nuova teologia, le parole di San Pio X divengono nulle, cancellando così il Santo stesso, e le frasi imparate a memoria sono da rigettare, mettendo in dubbio oggi tutte le enunciazioni dello stesso? No esiste la scappatoia legale dell?articolo 9 nel Canone delle Leggi Ecclsiastiche - Le leggi riguardano le cose future, non le cose passate, a meno che non si disponga nominalmente in esse delle cose passate (2). Ma non esiste la scappatoia legale per cancellare una religione impressa a fuoco nelle anime, nelle menti, nel corpo dei credenti.
E il fedele in mezzo a tutto questo come si dovrebbe comportare? Abbassando il capo e tacere, sottomettendosi all?autorità di un Pontefice che non ha la levatura teologica del suo predecessore, in nome dell?articolo 212 del Codice di Diritto Canonico che recita: I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa.(3)
E indubbio che questa decisione scatenerà ampie polemiche in cielo e in terra, e potrebbe accadere che il Capo se ne infischi della decisione terrestre e mantenga inalterato lo status quo, anche perchè a pensarci bene, qui in terra nessuno può portarci la prova definitiva e finale che questo luogo che deve essere cancellato esista, sia mai esistito, e se mai esiste, viene veramente smantellato oppure no.
Perchè un credente che deve accostare la fede con la ragione, dovrebbe ora credere acritiamente e abbracciare la nuova verità rigettando quello in qui per secoli è stato indotto a credere e professare?
È strano che la Chiesa, e sopratutto i suoi massimi vertici, sempre così attenti ai concetti relativistici del mondo secolarizzato, applichi al suo interno i medesimi modelli tanto vituperati, arrivando a rendere relative le preunte verirità che dovrebbero essere intoccabili e inalterabili nel corso dei secoli e nei secoli? Perchè il fedele dovrebbe tacere, subire, accettare e rigettare le vecchie credenze, sottomettendosi alla nuova verità? Sarebbe interessante ricevere risposte pratiche da chi di dovere.

Marco Bazzato
06.10.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

Note
(1) verginedegliultimitempi.com/limbo.htm
(2) intratext.com/X/ITA0276.HTM
(3) vatican.va/archive/ITA0276/__PU.HTM

giovedì 5 ottobre 2006

Circoncisione tra religione, legalità, e rispetto dei minori

È giusto che lo Stato italiano, o le Aziende Sanitare Regionali finanzino pratiche di circoncisone religiosa? È la domanda che molti si stanno ponendo da quando nei giornali è apparsa la notizia che la regione Piemonte finanzia con 120 euro all'anno la circoncisone rituale. Come mai in uno Paese che si definisce per Costituzione laico, dove a norma dell?Art. 7 recita testualmente:Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, e l?articolo 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. (1)
Dove finisce il diritto religioso del pater famialias, indipendentemente dal credo professato, e dove inizia il dovere dello stato di proteggere i bambini, in questi casi i neonati o fanciulli prima della pubertè, da pratiche mutilative che potrebbero lasciare dei segni perenni nella psiche dell?individuo?
È importante tener presente che la sentenza del 26 novembre del 1999 titola: Circoncisione ed infibulazione: sussistenza del reato di lesioni personali volontarie. Dichiarando: La condotta del genitore che, per motivi religiosi, imponga ai figli minori di sottoporsi, rispettivamente, ad un intervento di circoncisione e di infibulazione, integra - stante nel caso di specie il vincolo della continuazione - gli estremi del reato di lesioni personali volontarie, di cui all?art. 582 c.p., aggravato ? ex art. 585 c.p. in relazione all?art. 577 ed ex art. 61, n. 11 c.p. - dell?avere commesso il fatto ai danni di propri discendenti e con abuso di autorità e coabitazione.
Anche se il docomento ?Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili (MGF): Liceità, etica, deongoligia e giuridica della partecipazione dei medici alla pratica di un rito alternativo (9 marzo 2004), scrive a pagina 9: Inoltre, premesso quanto sopra, nel valutare la liceità deontologica della "sunna lievissima", ci sembra doveroso tener presente il fatto che in Italia ha già trovato accoglienza la circoncisione rituale maschile su minore (in assenza di motivi terapeutici) e che in nome della ritualità si è ritenuto lecito sottoporre il minore ad un intervento che, non privo di rischi, gli provoca "una lieve effrazione dell'integrità corporea" (CNB "La circoncisoione: profili bioetica", 1998), con esiti permanenti sia relativi alla sensibilità maschile nel rapporto sessuale, sia cicatriziali (a differenza della ?sunna lievissima? che non produce danno).
Sono le due grandi religioni monoteiste che nei loro testi sacri ordinano ai propri credenti di sottoporsi a tale rito non privo di rischi, che provoca "una lieve effrazione dell'integrità corporea: la religione ebraica che nell'antico testamento recita nella genesi capitolo 17.10-14: . [10]Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. [11]Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi. [12]Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. [13]Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. [14]Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza». (3)
Mentre nella religione musulmana, la sura XVI versetto 123 recita: Quindi ti rivelammo: «Segui con sincerità la religione di Abramo: egli non era affatto un associatore», rimandando implicitamente all?antico testamento (4).
Viene da chiedersi, se questi genitori, che in passato certamente hanno provato sulla propria pelle questa pratica, se si farebbero fare la circoncisione da adulti, e/o se un adulto convertito ad una due religioni in questione, si farebbe circoncidere con la stessa "tranquillità" qui sono costretti dei neonati di pochi mesi?
Il rispetto del pluralismo religioso dovrebbe fermarsi davanti alla sofferenza di un bambino, con il rischi annessi e connessi, che dai medici non sono stati esclusi.
Rimane '?ultimo interrogativo, perchè lo Stato o una Regione dovrebbe stanziare dei fondi per una pratica non medica, per una necessità religiosa, incidendo sulla già esigue finanze pubbliche. Non sarebbe più conveniente che tutto ciò fosse a carico dei genitori, e poi metterlo in detrazione sulla dichiarazione dei redditi come si fa con il dentista?
Indipendentemente dalla religione professata, si dovrebbe pensare al benessere psicofisco dei più deboli, dgli indifesi, in questo caso neonati e bambini, che nel nome del diritto di famiglia e della loro giovane età non hanno voce in capitolo?

Marco Bazzato
05.10.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/


Note:
(1) quirinale.it/costituzione/costituzione.htm
(2)sanita.toscana.it/parliamodi/bioetica/Documenti_CRB/MGF.pdf#search=%22circoncisione%20rituale%20reato%22
(3)crs4.it/Letteratura/Bibbia/Libro01.html
(4) corano.it/corano_testo/16.htm

martedì 3 ottobre 2006

Attraversare la soglia della vita


Perchè si dovrebbe rispettare la morte? Perchè questa prostituta che alla fine prende tutto e tutti deve essere rispettata? Viviamo in una società figlia della falsità e dell?ipocrisia, in una società dove è lecito vedere morti ammazzati per finta ad ogni clik di telecomando, ma guai a parlare di morte sul serio.
Siamo avvolti dalla morte, siamo avvolti da un sudario nero che trasuda sangue, e bagna la terra, creando rivoli rossastri di carne strappata e decomposta.
Nella società del branding, dove l?immagine è tutto, fingiamo ancora rispetto per quella signora oscura che ci porterà comunque via con se. Ma è il canto dello cigno, il canto di quanti fingono di non vedere, di quanti rifiutano solo l?idea che a loro possa accadere.
Forse pochi hanno camminato in una corsia d?ospedale, sono stati degenti immobili per giorni, settimane, mesi a letto, hanno sentito il loro corpo che li faceva urlare di dolore, e reclamare una fine che non voleva arrivare.
Non possiamo avere rispetto per la morte, perchè lei non ha rispetto per la vita. Lei ruba la vita, la conduce, la guida, la condiziona, la manipola con la sua oscura presenza genitrce. La morte è una madre assassina, una madre che non ha pietà per i suoi figli, e li vuole decomposti ai suoi piedi, ma è una madre giusta.
Ho visto la signora in faccia molte volte, troppe. Ho visto il suo sguardo, ho sentito il suo profumo, ho udito il richiamo della sirena che vuole ammaliare, ma a tutt?oggi non mi ha preso. Mi ha sfiorato, toccato, è entrata in me, io sono entrato in lei, nel suo grembo, nel suo utero morente, ma che alla fine, mi ha nuovamente espulso, mi ha rigettatto come un coinato di bile verso la vita. Mi ha rifiutato. Ma'l?ho accarezzata, l'ho bramata, l'ho ricercata come un tossico cerca l?ennesima dose. Lei è una droga, un narcotico, un'anestetico, un tocco di Belladonna che sana ogno dolore. In lei non c?è dolore, non c?è gioia, nè pianto, non c?è sofferenza nè amore. Il lei c?è tutto e l?assenza del tutto. Il lei l'assenza del tutto è presenza.
Morire significa ritornare in un grembo diverso, in un grembo amico e nemico, un utero cullante e silenzioso, dove i battiti del cuore sono assenti, dove i pensieri sono inesistenti e in essi ti perdi per sempre.
La morte ha giocato con me poche settimane fa. L'ho vista per un lampo alle cinque del mattino con la vista sfocata, con gli occhi lacrimanti, e il mondo che mi girava attorno. Mi chiamava per l'ennessima volta, mi voleva per un?altro viaggio tra i confini della vita e della non vita. Ho viaggiato con lei, mi ha condotto per mano per tre interminabili giorni. Un filo sospeso, un mondo amico e già conosciuto, un mondo dove innanzi a se si vede solo un muro da attraverasare, un balzo da compiere, un sottile filo da strappare. Era come camminare sospesi nel cielo, dove i piedi erano appoggiati e tremanti su un?invisibile filo tenute, pronto a spezzarsi in ogni attimo. Sopra il cielo, in basso il vuoto, ed io sospeso, pronto a precipitare, pronto a voltare, pronto a spiccare il balzo verso l'abisso fatto di nulla.
Le gambe non mi reggevano, la vista si oscurava, andava e veniva a sprazzi come una lampadina impazzita. Tutto per un attimo esisteva e poi spariva, risucchiato nel vortice del non sentire e del non vedere.
Attorno a me persone affardellate sul mio corpo. Punture, monitor che lanciano oscuri segnali, buchi, buchi, buchi. Tanti buchi da rendermi violacee le braccia, le gambe, la mente e il cuore. Una parte me fuggiva all?arrivo di una nuova iniezione. Ricordi che credevo dimenticati tornavano agalla, immagini che pensavo d?aver cancellato balzavano fuori dall?oscurità del passato facendomi tornare l?antico terrore, l?antica gioia, l?antica amarezza per quello che non dovevo essere, ma alla fine sono diventato.
Ero per l?ennesima volta un pezzo di carne senz?anima e senza spirito. Per strapparti alla morte ti deve essere rubata la dignità. Devi essere esposto agli sguardi di tutti come un quarto di bue sulla vetrina del macellaio. Nell?attimo non ti rendi conto di tutto ciò. Hai un unico pensiero: fuggire, fuggire, fuggiere. Fuggiere il più lontanto possibile. Fuggire dalla vita, fuggire dalla morte, scappare dal quel corpo che ti imprigiona. Ti senti un carcerato, ingabbiato dentro un guscio di carne che non appartiene più a te. Si è priginieri dentro un ammasso di sangue, feci, urina, muscoli inerti. Gli occhi vedono, ma il cervello non registra i ricordi, si è fluttanti dentro una bolla di immagini virtuali, immagini che sfuggono alla comprensione dell?attimo, immagini che rimangono impresse in angoli oscuri della mente, e per che per l?ennesima volta ti fanno deviare la vita.
Molti dicono che in quegli attimi esista un aldilà, un Dio, un Padre che ti accoglie. Tutto è vero secondo le proprie paure, o secondo le proprie presunte certezze di fede. Ma tutto è falso. Alla fine c?è solo una soglia da varcare, un uscio da attraversare, un abisso sconfinato in cui cadere in eterno.
È una caduta che dura un attimo, ma senza fine. È una caduta che porta a cancellare ogni emozione, ogni ricordo, che conduce alla consapevolezza che oltre c?è solo carne consunta, divorata dai vermi, decomposta. Un ritorno alla polvere primordiale, una scomparsa totale, dissolvendosi definitivamente.
L?uomo vive con la speranza della seconda vita, con il barlume di un?eternità creato dal bisogno di credere in un aldilà, costruito sulla fasulla necessità di dare un senso alla vita stessa. Ma è una menzogna, è un atrocità infame, un?inganno, una falsa speranza, una falsa promessa. Ogni formula religiosa, afferma di crededere che oltre la morte c?è dell?altro, ma è solo la sconfitta della ragione innanzi all?ineluttabilità della morte stessa. È un volgare pretesto quando non si ha mai varcato per un attimo quella soglia oscura.
Cerchiamo una speranza di vita eterna perchè abbiamo timore e terrore del termine della vita presente, abbiamo timore e terrore di perdere i nostri ricordi, le nostre esperienze, i nostri affetti, i nostri difetti. Abbiamo paura della vita stessa, e pensiamo da morti come se fossimo vivi, pensando a quei concetti astratti che nell?abisso del nulla sono realtà inerte.
Vivere alla fine significa avere consapevolezza assoluta che si deve morire, vivere significa avere il coraggio d?abbracciare la morte, come si abbraccia la vita al primo vagito. Morire non è altro che una caduta eterna che dura un?attimo. Morire non è altro che un bisogno naturale della vita. Morire è l?assoluta certezza, che i morti sono vivi solo nei nostri ricordi, nei nostri pensieri, nelle nostre illusioni sull?aldilà, ma scomparsi noi scomapiono anche i nostri morti, i nostri affetti, dissolti tutti alla fine in un vorticoso nulla eterno.

Marco Bazzato
03.10.2006
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lunedì 2 ottobre 2006

Al rogo i piccoli negozianti


Basterà una sola violazione nell'emissione dello scontrino fiscale per giustificare la chiusura del negozio. La norma è inserita nel decreto fiscale che accompagna la Finanziaria, e prevede che la sanzione scatti dopo l'accertamento anche di una sola omissione dell'obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino. In precedenza, le violazioni «definitivamente accertate» per giungere alla sanzione dovevano essere almeno tre. (1)
L?accanimento terapeutico del governo Prodi per rendere completamente metastasica la piccola impresa commerciale ha toccato una nuova vetta. Immaginiamo il classico bambino che entra in un negozio ad acquistare dei doclumi, e ne esca senza scontrino fiscale, perchè non e stato battuto. La sfortuna vuole che il piccolo all?uscita si imbatta nella classica pattuglia di solerti finanzieri che lo fermano, compilano il verbale d?infrazione, con la conseguente multa che dovra esssere pagata dai genitori del piccolo evasore. Ma tutto ciò non basta. I pubblici ufficiali, si fiondano in negozio e vista l?enormità dell?infrazione accertata ordinano la chiusura del negozio. Dipendenti a casa, multa faraonica, rischio di perdita di posti di lavoro. Ma non importa. Gli affammatori dei poveri, i ladri nei confronti dello Stato devono venire soppressi a qualsiasi costo. Naturalmente in tutto questo i finanzieri non centrano nulla, sono solo gli esecutori delle leggi, seppur spesso inguste e punitive dello Stato.
La piccola impresa, il piccolo esercizio commerciale deve essere abbattuto dalla rivoluzione delle multinanzionali, non deve nè trovare ne pace, nè libertà, nè equità imprenditoriale.
E strano pero che una norma così restrittiva e punitiva non venga utilizzata per le grandi societa di capitali, quelle che creano fondi neri all?estero, quelle che hanno la sede legale nei paradisi fiscali, quelle che utilizzano arbitrariamente informazioni riservate per fare speculazioni di borsa. Quelle non evadono, non eludono, quelle sono uno specchio di trasparenza ed etica commerciale e fiscale.
Il piccolo imprenditore che cerca di sopravvivere nella babele impositiva quotidinana, invece non ha diritto d?esistenza, non ha diritto di sopravvivenza, è un nemico delle società di capitali senza capitali.
Il piccolo commerciante non può permettersi grandi operazioni di finanza creativa internazioanle (2), ma lì nessuna azienda chiusa, nessun colpevole, grandi titoli sui giornali, smentite pubbliche, e alla fine un immensa fumata nera.
Certo le piccola imprese commerciali, non possono usare come arma il ricatto sociale del licenziamento indiscriminato dei dipendenti per colpa delle malefatte dei loro amministratori, ma il principio di egualianza dovrebbe includere parità di trattamento repressivo, perchè è disumano, immorale, antietico chiudere un?esercizio commerciale per l?omessa emissione di uno scontrino fiscale, magari per un importo infimo, mentre coloro che hanno la libertà legale di costituire società di capitali in paradisi fiscali, e poi stornare decine di milioni di euro sia dalle casse societarie, sia dagli azionisti, uscendone spesso impuniti e puliti.
Quanti milioni di scontrini dovrebbe emettere una piccola azienda a gestione famigliare per nascondere, se fosse effettivamente possibile, qualche milione di euro alle maglie del fisco?
La casa della libertà si prepara a scendere in piazza, anche contro questa vessazione inutile, dannonsa, e pericolosa per la tenuta del tessuto economico italiano, fatto per lo più di piccole e medie imprese. Ma non dovrebbero scendere in piazza solo i commercianti, i proprietari di piccole attivita? spesso a gestione familiare, ma assieme a loro dovrebbero camminare fianco a fianco, senza bandiere di partito o di sindacati, anche i lavoriatori della grande industria, del terziario, dei servizi, i dipendenti precari dei grandi gruppi industriali acquistati con prestiti bancari o con denaro di difficile tracciabilità (visto che il segreto bancario funziona a corrente alternata), per ribadire che il dovere della legalità non è un obbligo solo del piccolo imprenditore, ma un dovere etico, che spesso latita perchè disperso in quell?immensa zona grigia di coloro che operano nei piani alti della grande finanza nazionale, e che al pari di tanti signori medioevali, considerano le aziende amministrate un feudo personale da spolpare, spezzettare, indebitare con ardite operazioni speculative,che lasciano sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie, vedi Bond Argentini (3) e scandalo Parmalat (4). E? strano, ma questi signori non hanno omesso d?emettere uno scontrino fiscale.
Sarebbe interessante avere l?opinione di un giurista e di un fiscalista su questa disparità di trattamento, lasciando stare l?aspetto ritenuto legale per legge, dovrebbero rispondere se queste differenze si basano sul valore fondante di un diritto equo e giusto o su cosa?
Ma si sà, vedere assieme piccoli imprenditori e dipendenti della grande, piccola e media industria a braccetto contro un governo, qualunque esso sia è una misera utopia, visto che le piazze sono patrimonio dei sindacati di sinistra, e difficilmente protestano contro il governo della loro parte politica, e i tesserati sono inviati ad accettare acriticamente ogni manovra finanziaria, mentre se dovesse scendere in piazza il centro destra il premier attuale afferma: «La Cdl vuol scendere in piazza contro la Finanziaria? Sarebbe politicamente pericoloso». Se una frase del genere fosse uscita dalla bocca dell?ex premier si sarebbe gridato allo scandalo, all?inaudito, all?attacco alle libertà democratiche del Paese, ad un attentato alla stessa Costituzione, mentre in questo caso silenzio, nessun sindacato si è stracciato le vesti, nessun ha parlato di diritti violati, nessun intellettuale politicamente oggettivo ha rimbeccato il premier dalle pagine dei quotidiani o dagli schermi tv.
Non si vuole incentivare l?evasione fiscale, ma incitare ad giustiza sociale tanto cara a parole a tutti, ma nei fatti spesso è latitante, indipendentemente che sia al governo il centro destra o il centro sinistra, ma con una costante invariata: chiunque oggi siede su banchi del governo imputa sempre al precedente le colpe dei disastri economici trovati. Comunque alla fine gli stipendi dei parlamentari crescono bipartiasan con voto plebiscitario da Politburò Sovietico, essendo i più alti dell?Unione Europea, mentre le tasche degli italiani con l?aumento delle imposte dirette, indirette, nazionali, regionali, provinciali e comunali, chissà perchè, diventanto sempre più vuote.
Fare politica costa. Già costa agli italiani, loro passano all?incasso.

Marco Bazzato
02.10.2006
Note:
(1)
ilgiornale.
(2)
comedonchisciotte.org
soldionline.it
(4)
societacivile.it

domenica 1 ottobre 2006

Il dolce piacere della morte

Hai mai visto in faccia la morte?
Hai mai sentito il suo delicato tocco? Il suo alito, il suo sguardo, le sue labbra leggiadre che sfiorano le tue per un istante?
La morte è una compagna, un?amica, una madre amorevole che ti segue ad ogni passo. Lei gioca con i tuoi sogni, si ciba delle tue paure, ti culla, allattandoti al seno del suo venefico latte.
Molte volte passa a fianco, tocca e sfiora. La vedete bella e splendente nel grigiore di chi ha appena detto basta alla vita. La vedete sorridente sulla pelle ingrigita di quanti avete amato, odiato, bramato, insultato e deriso. Lei osserva, sbeffeggia come un clown malefico abbigliata con una sgargiante tunica nera, imbellettata come la prostituta di Babilonia, radiosa mentre con enfasi fa squillare la tromba che distruggera le mura di Gerico.
Per tutti ha una parola di conforto, una maledizione, un imprecazione sommessa o urlata. Gioca, danza, scalpita e vomita come un narcomane in crisi d?astinenza, alla riceca dell?enneisma dose. Lei vuole, desidera, ama e brama, ci stringe a se tra le sue eteriche braccia, alitando l?acre sapore della carne consunta, l?acre aroma di un nettare eterno.
I figli dell?inganno eterno credono, si illudono di nascere e morire una volta sola. Credono che la vita preceda la morte, e che la non esistenza sia una conseguenza dell?esistenza stessa. Illusi, fallaci, visionari che percepiscono l?essere come un?eternità che nasce dal parto, dal primo vagito, dal coito inseminale che dovrebbe generare una nuova vita. Ma è un inganno, una bugia, una menzongna creata per annebbiare l?essenza della coscienza previta, la certezza della morte anteposta alla nascita stessa, l?esistenza del nulla prima del primo bacillo di coscienza.
Si è solo assenza di materia prima del rigetto della morte verso la vita. Un nulla assente dall?universo, dove l?essenza stessa è permeta dalla madre morte che abortisce verso la vita.
Si è feti espulsi da un grembo malato, da un grembo avvelenato che abbandona i figli alla vita, per poi strapparci dalla medesima, riconsengandoci a quel grembo oscuro fatto di nulla e terra decomposta.
Ma esso è l?ultimo atto di una morte sempre perenne, l?ultimo atto dell?esistenza figlia della morte.
Si muore ad ogni stante, ad ogni attimo, vivendo nella menzogna di ricordi deformi, di demoni che annebbiamo la mente, ingannandoci d?avere un passato, ingannandoci d?avere un futuro, mentendoci sull?esistenza dell?esistenza di un?inesistente presente.
Si cerca durante l?illusione della vita una via di fuga dall?ineluttabilita? della morte. Una via di fuga da quella madre assente che ricerca i figli fuggitivi, braccandoli come prede impaurite durante una battuta di caccia.
E alla fine li riprende a se, violentandoli tra atroci dolori, stuprando le psichi, segnando i corpi di mille indicibili dolori, straziando nell?agonia che farà bramare l?attimo in cui l?ultimo respito sarà la liberazione dall?inferno terrestre, sarà gioia nel tornare ad allattarsi a quel seno avvelenato e avvizzito che la mortale madre eterna farà riposare tutti per sempre.

Marco Bazzato
01.10.2006