mercoledì 18 novembre 2015
Eugenetica, omofobia e stupro mediatico: ovvero, era meglio morire da feti
Cosa fareste voi aspiranti genitori se un medico,
esami alla mano, vi dicesse che il figlio che state aspettando ha una buona
probabilità di essere omosessuale?
Il romanzo di Marco
Bazzato, "Aborto d'amore", parte da questa premessa che ad alcuni
potrà apparire inquietante ma pone una questione ancora più vasta, già a lungo
dibattuta, che continua a fomentare aspre diatribe tra sostenitori e
oppositori: la liceità dell'aborto. È giusto che un figlio
nasca contro
la volontà dei genitori? È giusto per i genitori? Per il bambino? Per la
società?
La storia che Bazzato narra, con un linguaggio crudo e violento che ben si
adatta alla vicenda ambientata in Veneto ai giorni nostri, è una di quelle storie
che non possono lasciare indifferenti, che non possono non far riflettere. Non
è certo un romanzo rilassante, anzi direi che è come un pugno nello stomaco, e
non è neanche un libro per tutti ma solo per coloro che non temono di
confrontarsi con tematiche difficili quanto attuali. Sconsigliata dunque la
lettura alle persone che si turbano facilmente e non sanno gestire
l'inquietudine, l'indignazione che inevitabilmente farà sorgere questa lettura,
sia che ci si schieri con coniugi Rampin - a cui è stata profetizzata la
nascita di un figlio gay - sia che ci si schieri con i sostenitori dei diritti
degli omosessuali o in generale con gli antiabortisti.
Che esista veramente il gene responsabile dell'omosessualità è tema dibattuto
in ambito scientifico e mai provato, ma il fulcro del suo romanzo è altro: ci
si interroga se i genitori hanno diritto a scegliere della vita e della morte
di un feto che sta crescendo ignaro nel ventre di Arianna Rampin, tipica madre
veneta con un bambino e due aborti naturali alle spalle. Un' altra interruzione
di gravidanza comporta dei pericoli medici, così la decisione è ancora più
sofferta. La privatissima questione familiare balza ad un certo punto alla
ribalta della cronaca e finisce sotto i riflettori dei giornalisti che, come
avvoltoi, calano per sbattere la questione in prima serata e fare audience. Tra
questioni religiose, etiche e giudiziarie si dipana la vicenda fino al suo
epilogo che ovviamente non spoilerò.
Il romanzo è ben scritto ed avvincente, costruito con perizia da un grande
narratore qual è Marco Bazzato (già autore di "Progetto Emmaus",
altra opera dai contenuti forti), ed è capace di tenere il lettore incollato
fino all'ultima riga. A me ha suscitato molte riflessioni personali che vorrei
qui esporre, prendendo come spunto proprio questa vicenda inventata ma che
potrebbe benissimo essere reale e precisando che si tratta di un mio personale
punto di vista.
Premetto che io sono un sostenitore della libertà, in campo sessuale come in
altri campi: tra adulti consenzienti per me tutto e permesso, in accordo col
diritto (una conquista peraltro recente; fino a non molti decenni fa avere
rapporti omosessuali in Inghilterra era reato penale, e lo è ancora in molti
luoghi del Terzo Mondo, un reato punito addirittura con la morte). Per me omo
ed etero hanno e devono avere gli stessi diritti. Tuttavia sono anche a favore
dell'aborto, che ritengo un diritto inalienabile della donna, e penso che per
un figlio o una figlia omosessuale non sarebbe un bell'affare nascere in una
famiglia omofoba, come non sarebbe, più in generale, una cosa positiva per un
figlio o figlia etero nascere in una famiglia che non lo/la desidera. Il
discorso si potrebbe allargare a quei bambini portatori di handicap che, se
potessero scegliere, forse sarebbero i primi a chiedere alla madre di abortire.
Mi rendo conto di dire delle cose forti ed anche in certa misura arbitrarie: in
fondo non si può per ovvi motivi chiedere il parere del diretto interessato,
ossia il feto. Ma il feto si può considerare una persona a tutti gli effetti?
Quando comincia effettivamente la vita? All'atto del concepimento? Al momento
della produzione dell'ovulo o dello spermatozoo che lo penetrerà? O forse è
ancora più antica ed affonda in vite precedenti, come insegna la dottrina della
reincarnazione?
Forse la vita fluisce eternamente dall'infinito
passato all'infinito futuro, come insegna il buddismo, e non ha un vero inizio
e una vera fine… ma il discorso ci porterebbe lontano ed è bene non divagare
troppo.
Il diritto, dicevo, di decidere della vita di un feto è un diritto della donna
che lo porta in grembo. Ma può essere anche un diritto della società dove
quella donna vive? Mi spiego meglio. Immaginiamo che così come fosse possibile
isolare il gene dell'omosessualità fosse possibile individuare anche quello
della criminalità. Se si sapesse che il tale feto ha buone probabilità di
essere un futuro serial killer, o uno stupratore o un violento, ecc… sarebbe
giusto interrompere la gravidanza? Io ritengo che non sia solo giusto, ma anche
doveroso. Auspico un futuro in cui il potenziale criminale venga fermato
addirittura prima di nascere: penso che ci arriveremo, magari tra uno o due
secoli o più, ma ritengo che sarebbe un fatto inevitabile se la premessa che la
propensione alla delinquenza sia genetica si dimostrasse fondata (tra l'altro è
una tematica che sto affrontando in un mio romanzo breve di fantascienza che
sto scrivendo in questo periodo).
E il gene dell'ateismo o del fanatismo religioso? In una società di fanatici
religiosi o di atei un elemento così diverso sarebbe sicuramente sgradito
(forse più tollerato dagli atei, ma fino ad un certo punto) e non avrebbe vita
facile. O il gene dell'omofobia? Una coppia di donne porterebbe a termine la
gravidanza se il loro figlio fosse un potenziale omofobo, oppure lo
accetterebbero comunque come un dono anche se crescendo odiasse le due madri?
Come si vede lo spunto di riflessione che mi ha dato Marco Bazzato mi porta
lontano. Ma Bazzato non parla solo di eugenetica e di omofobia; dipinge un
ritratto desolante anche del mondo del giornalismo televisivo, dell'assenza di
scrupoli, dell'invadenza dei media nella vita di privati cittadini che può
configurarsi come un vero e proprio "stupro mediatico". Anche su
questo dovremo riflettere; in particolare mi torna alla mente il mio lavoro di
ricerca mentre preparavo la mia tesi di laurea su "Comunicazione e
fantascienza". D'altronde ciò che era solo fantascienza quando scrivevo la
tesi, una quindicina di anni fa, oggi già non lo è più: quello dei media e
delle notizie è un mondo in rapidissima e continua trasformazione.
Tornando però al tema dell'aborto, vorrei concludere questa breve e, mi rendo
conto, incompleta panoramica su un argomento difficilissimo, citando il
pessimista Giacomo Leopardi che si dichiarava d'accordo con i saggi greci sul
fatto che è comunque meglio non essere mai nati, e preferibile morire presto (e
qui concedetemi un gesto scaramantico, visto che io non la vedo nello stesso
modo sul morire presto dal momento che abbiamo avuto la fortuna o disgrazia di
venire al mondo…).
Firenze, 16 novembre 2015
Da Segreti di Pulcinella,
rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai
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