venerdì 27 febbraio 2009

Povia, Luca era Gay. Vincitore morale



A bocce ferme non si può che affermare che il vincitore morale del Festival di Sanremo sia Povia e la sua stupenda canzone Luca era Gay.

A nulla son servite le manifestazioni dell’ultima serata, gli articoli di giornale, i proclami sbandierati a destra e manca, verbalmente violente come una dichiarazione di guerra, per arrestare la scalata al successo del cantante sanremese, con buona pace di chi lo vorrebbe impalato e messo in graticola, reo d’aver raccontato una storia.

Gli italiani – che non sono idioti – hanno capito il messaggio, fino in fondo, e hanno dato il loro responso, innapellabile, anche se francamente, in un Italia affetta da eterofobia strisciante e mediatica, sarebbe stato troppo invocare il primo posto, in un Paese, secondo i gay, affetto da omofobia.

Ma l’italiano è stanco di vedere, come si è chiesto Aldo Grasso,la «gayzzazione della tv»? Gli italiani sembrerebbo stanchi, esausti, con i nervi a fior di pelle, nel vedersi imporre omosessuali ad ogni ora del giorno e della notte, come se – oggi – essere gay fosse un valore aggiunto, da imporre a tutti, per far piacere ad una minoranza.

Povia, col suo testo equilibrato, ha lanciato un segnale chiaro, recepito in maniera straordinara da quanti lo hanno portato al secondo posto del festival, facendo passare finalmente un sano messagigo d’amore etero, un messaggio che edifica e che costriusce una famiglia naturale, compsta da marito (uomo), moglie (donna) e figli biologogici avuti dalla coppia, mettendo al primo posto – finalmente – l’unica famiglia naturale esistente in natura, l’unica famiglia che da continuità alla specie umana e che come tale deve essere tutelata, senza riserve, da ogni tipo d’attacco politico-ideologico strumentale che sta facendo letteralmente morire il Paese, che vede l’incremento delle nascite solo da parte dei cittadini extracomunitari, che continano ad avere nel D.N.A il concetto di famiglia, intesa come atto d’amore riproduttivo, non solamente, come viene inteso dagli omosex, finalizzato al soddisfacimento fisico, che muore un attimo dopo l’orgasmo.

Quello che ha fatto male, è stato vedere il cantante, sabato, scortato da uomini in divisa, segno chiaro di quanto la libertà d’espressione sia oggi un’utopia, riservata ad una minoraza eletta, ad una minoranza che non vuole ingerenze, contro il loro pensiero unico dominante, una minoranza spalleggiata anche da apostati eterosessuali, nemici dell’eterosessualità stessa, che per piaggeria e vanagloria, hanno svenduto la coscenza all’altra metà del cielo, inesistente. Arruffapopoli pericolosi, pronti a saltare sul carro dei vincitori, pronti a difendere l’indifendibile, offendendo alla maggioranza delle persone di buona volotà, per accreditarsi - come paladini prezzolati – ai detentori del potere, o a quanti vorrebbero sovvertire l’ordine legale, portando in alto una presunta bandiera di legalità, appoggiandoin modo smodato i “matrioni” tra persone dello stesso sesso, o la fecondazione eterologa ai portatori di eterofobia.

L’attacco che questa minoranza organizzata ha messo in essere contro una canzone, contro un’artista è stato respinto, praticamente con la forza brutale della democrazia, con la forza di un televoto, che ha elevato Povia al sescondo gradino del podio,in barba ai gufi, in barba a tutte le accuse capziose, pretenzionse ed oscurantismi, di stampo, per assurdo, clericale che avrebbe voluto la canzone “Luca era gay” all’indice, nemmeno fosse un testo eretico, un testo da appestati, un testo infame ed offensivo per qualuno o contro qualcosa.

La musica, indipendentemente da quanto o cosa si canta, è patrimonio primo dell’artista che la crea e del pubblico che l’ascolta, la segue, l’apprezza anche, quando il testo come quello di Povia pè equilibrato, ci ragiona sopra. La musica, una canzone non può sottostare ad diktat politici, non può essere censurata, indipendentemente dal contenuto. Certo può essere criticata, non condivisa, non ascoltata, ma non per questo si deve attaccare mediaticmaente un’artista solo per il fatto d’aver cantato qualcosa, che secondo alcuni, andrebbe contro la “morale” imposta da una minoranza agguerrita, contro una maggioranza, che almeno in quest’occasione non si è dimostrata nè silenziosa, nè distratta e/o assente, distante dalla tematica si personale del testo stesso, ma che potrebbe avere un valore sociale più ampio di quello che al primo ascolto potrebbe apparire.


Marco Bazzato
27.02.2009
http://marco-bazzato.blogspot.com/

mercoledì 18 febbraio 2009

Sanremo 2009: Povia, Luca era Gay




Che dire del brano di Povia, che già prima d’essere cantato aveva dato inizio ad un valzer di polemiche – inutili – ed attacchi – violenti, contro il cantante, reo d’aver espresso , in parole e musica, un’esperienza vissuta da un amico?

Semplicemente stupendo.

Non esistono altri aggettivi per descrivere la delicatezza del testo, la poesia e la leggerezza con cui è stata affrontata una tematica, da alcuni faziosi, ritenuta intoccabile, manco fosse un dogma religiosamente laico.

Si è visto fin da prima della presentazione del cantante, che Paolo Bonolis era imbarazzato, confuso, ma comuque sicuro d’aver fatto la scelta giusta, nonostante poco meno di un’ora prima, Roberto Benigni, avesse rovinato la sua magnifica performance decantando un brano di Oscar Wilde, forse gettato, alla carlona, per fare da contraltare alla canzone, rea di lesa maestà omosex.

Ma il pubblico, gli spettatori, a differenza di quanto vorrebbero imporre anche un certo tipo di giornalismo partigiano, hanno le idee chiare sull’argomento, tanto è che gli applausi finali sono stato copiosi e d’approvazione, nonostante fosse inquadrato Franco Girillini, presidente onorario dell’Arcygay, che scuoteva il cranio sconsolato.

La maggioranza degli italiani aveva bisogno di un’artista che sollevasse il velo dell’omertà dilagante, dell’omologazione mediatica imposta, senza possibilità di contradditrorio, che trasforma ogni opinione difforme a quella del pensiero omosex mediaticamente dominate in offese, calunnie ed attacchi verbali, indegni per un Paese che ha la presunzione di definirsi democratico. E per fortuna che Bonolis ha dato – anche se non nè aveva assolutamente nessun diritto – la parola a Grillini, che dopo aver la espresso la sua opinione, al pari del cantante, ha letto un messaggino telefonico, che raccontava di un’esperienza privata, sbandierata in pubblico, senza porsi la domanda se al pubblico in sala e ai telespettatori a casa la cosa fosse di un qualche interesse.

Tra le altre cose, sono ridicole le dichiarazioni di Vladimiro Guadagno, che ha la pretesa assurda di parlare a nome di tutti gli italiani, mettendo in bocca ai cittadini pensieri o parole pro omosex che probabbilmente non hanno mai pensato nè tantomeno voluto che li venissero affibbiate. Guadagno, quando parla, farebbe bene parlare esclusivamente a titolo personale, in quanto è offensivo farsi mettere in bocca da un altro espressioni non proprie, senza contare che oggi Vladimiro Guadagno è un meteorino come tanti nel varigato mondo dello spettacolo.

D’altronde che Povia abbia ragione lo si evince dalle proteste faziose che si sono scatenate contro di lui, segno inequivocabile che col suo brano ha cantato una reatà scomoda, che non deve essere narrata, che non può essere diffusa, non tanto per la presunta omofobia, sbandierata peggio di quelli che gridano sempre, senza motivo, “Al lupo! Al Lupo!”, oppure “Affogo! Affogo!, ma perchè si ha paura di un brano che farebbe rialzare la testa e le convinzioni della maggioranza silenziosa dei cittadini, continuamente sono costretti a sorbirsi, dai media i comportamenti omosex, come se questi fossero un valore aggiunto alla alla qualità, e non un modo per affossare la qualià stessa dei programmi, facendo leva sulla morbosità – malata – delle persone.

A tutt’oggi su
You Tube si trovano parodie volgari, dimostrando chiaramente cos’è la “Cultura Gay” se mai ce ne fosse bisogno, ma senza il brano incriminato dagli omosex, sebbene per fortuna, grazie a musicjam.it è possibile leggerlo, nonostante secondo questi “democratici” andrebbe censurato. Alla faccia della libertà d’espressione e della Costituzione Italiana.

Il brano di Povia, “Luca era Gay” indipendentemente dalle opinioni, tutte di una minoranza rumorosa che ha accesso ai media, è bello, melodico ma sopratutto ha un testo ricco di contenuti forti, che portano a riflettere, a ragionare, a pensare, non importa se in chiave progay oppure, naturalmente pro diversità vera, quella etero, quella che cerca ama e rispetta e anche, possibilità e volontà permettendo, di procera naturalmente, generando vita, facedo progredire al specie unama verso il futuro. Questo, come nella favola di Esopo “La Volpe e l’Uva, naturalmente, da fastidio, secca, rompe, sfracella, col rischio di far cadere rovinosamente a terra il castello di nulla, mal efabbricato sulla sabbia, un castello di fumo sugli occhi, dove osservando bene Benigni prima e Bonolis poi, quando si sperticavano in lodi e salamelacchi al mondo gay, era chiaro che erano parole dette per circostanza, per obblighi contrattuali, costretti da ordini superiori, lanciando ingomignosamente il tizzone ardente contro il cantante, ma in loro, fissandoli attentamente non si poteva altro che leggere, nel profondo, che gioia per il coraggio di Povia per essere andato, non contro corrente, ma verso i fatti, raccontandoli con delicatezza e senza volgarismi di bassa lega, dimostrando oltre ogni ragionevole dubbio che l’ex gay, Luca, si è denudato senza paura, davanti a tutti, dando al mondo la sua anima, dichiarando il suo amore, all’unica e vera altra metà del cielo: Il sesso opposto.

Sarebbe bellissimo, per l’Italia intera, se il brano di Povia vincesse, in quanto sarebbe una vittoria meritata, sentita forse dalla gran parte dei cittadini che oggi vedono in lui e Luca dei paladini dell’amore vero, e la vittoria, non sarebbe altro che un atto d’amore vero nei confronti della musica, che oggi come non mai ha bisogno di verità.

Marco Bazzato
18.02.2009
http://marco-bazzato.blogspot.com/

martedì 17 febbraio 2009

Saneremo 2009



Prende il via questa sera l’ennesima kermesse di Sanremo, la 59º per la precisone e come sempre le immancabili polemiche della vigilia non si sono fatte attendere. A dar via alle danze contro la libertà d’espressione e libera cura, sono state le associazioni omosessuali, attaccando pretestuosamente Povia per il titolo della sua canzone Luca era Gay, in quanto a detta di questi non si può parlare di libertà personale e scelta dell’individuo, a meno che non sia per rimarcare i “valori” gay, dove ieri sera con l’ennesima presenza di Vladimiro Guadagno a Porta a Porta se ne è avuta la dimostrazione, tanto è vero che anche Bruno Vespa ed altri ospiti, Paolo Bonolis compreso, a fatica digerivano l’ex parlamentare, fisiologicamente maschio, che voleva usare il bagno delle donne, ora dotato di petto al silicone.

Non sono mancate anche le bordate di Patty Pravo, riferite all’ectoplasmica presenza di Mina.

Mina chi?

Risulta ai più assurdo come si possa continuare ad omaggiare questa cantante che da anni non si esibisce più in pubblico, che non affronta “fisicamente” i suoi innumerevoli fans, preferendo nascondersi in Svizzera, ma celebrata quasi come “il capo del Gran Consiglio dei dieci assenti”, sebbene da decenni ormai non ci sia più un suo intervento pubblico.

Come del resto è tutta da valutare la presenza di Roberto Begnigni, che ha dato via a polemiche e cause legali, per via della cessione, da parte della Rai all’attore Premio Oscar delle sue passate compassate televisive, per una cifra teorica di 350 mila euro, anche se molti quotidiani riportano che i diritti potrebbero fruttare al comico toscano quasi due milioni di Euro. Naturalmente si possono anche capire le difficoltà economiche del guitto, che dopo il fiasco madornale di Pinocchio, non è più riuscito a afar cassa, cercando di risolevarsi le ossa con la Tigre e la Neve del 2005 e da quell’anno in poi, solo Dante, in piazza.

Poi da anni è chiaro che il Festival ha perso appel, interesse, incapace a sfornare cantanti che travalicano i confini nazionali con risultati, in termini di pubblico e di vendite, degni di nota, portando a pensare che la manifestazione stia da tempo raschiando il fondo il barile della creatività, oppure perchè la musica italiana, da tempo, è vittima – a parte qualche rara eccezzione – di un provincialismo assordante.

D’altronde ebasta sfogliare la lista dei
Big in gara per rendersi conto che la maggior parte sono vecchie glorie, aventi sesclusivamente mercato mediatico, mentre i cosidetti big recenti, Renga, Tricarico o Marco Masini e altri sono cantanti da balera estiva. Infatti quelli che vendono veramente non hanno bisogno del palco sanremese per avere visibilità, visto che i fatti parlano per loro.
Il festival da anni non parla più di canzoni, ma di contorni, degli ospiti pagati oltre ogni ragionevole buon senso per risollevare un prodotto in stato vegetativo permanete, per cercare di far invertire una tendenza che non vuole tenere assolutamente conto della mutate condizioni di mercato. Un festival culturalmente e musicalmente rimasto fermo agli anni settanta, mentre il mondo e l’Italia è cambiata, dove nuovi personaggi musicali si sono affacciati – alcuni come meterore – nel panorama nazionale ed internazionale, salvo poi scomparire per sempre.

Come sono assolutamente pretestuose le polemiche, sebbene in periodo di magra economica, l’appannaggio faranico dato al conduttore e direttore artistico, Paolo Bonolis, un milione di Euro, in quanto già nel 2007
Michelle Hunzinker portò in saccoccia la stessa cifra, solo per fare la cooconduttrice, con Pippo Baudo.

Il Festival di Sanremo, indipendentemente dai risultati, non è altro che un enorme indotto pubblicitario e mediatico, un circo rituale che si ripete immancabilmente per la gioia – economica – di giornalisti, fotografi e direttori di giornali, che hanno la possibilità per quasi due mesi di parlare e sparlare del nulla, del vaquo, del vuoto pneumatico della ragione, che si nutre di aspettative dei telespettatori, memori – in parte – delle edizioni precedenti, ma che a palco chiuso e luci abbassate ed amplificatori spenti, non dimostra altro che essere un enorme casa vuota, priva di muri portanti, finestre e arredamento, che vien guadato dagli italiani ma non solo, per la tradizione che incarna, per il suo glorioso passato, per le liti e gli scandali, veri o presunti che i media sanno creare per far salire la febbre dell’attesa, ma che a conti fatti, non fa altro che rinverdire eternamente i luoghi comuni e gli stereotipi della musica italiana, amata si in patria e all’estero, ma che oggi, a differenza del passato glorioso, nonsa più esporatare arte, cultura e sonorità degne di nota, che rimangano nella memoria collettiva degli amanti della musica italiana, sparsi per i quattro angoli del gblobo.

Marco Bazzato
17.02.2009
http://marco-bazzato.blogspot.com/

sabato 14 febbraio 2009

Senza parole

Non è abitudine dello scrivente lavare i panni sporchi in piazza, specie di quanto accade a Sofia, in Bulgaria, Paese che amo per la cultura, le persone, il carattere dei cittadini che da anni dimostrano ogni giorno di più il loro amore verso l’Italia, gli italiani e la cultura del Bel Paese, affetto da parte mia mai ricambiato forse a sufficenza, o se riccambiato in modo probabbilmente incompleto.

Ma si sa, esiste sempre un’enorme differenza tra il cittadino comune e l’èlite, o peggio quelli/e che nanno la presunzione, in base al posto che occupano, di considerarsi l’èlite, spalleggiandosi a vicenda, sostenendosi a volte anche in modo eticamente indecoroso per i ruoli che occupano, avendo la presunzione d’essere Depositari del Verbo, sebbene i fatti, dimostrabili,indichino l’opposto. Queste persone, queste docenti, indipendentemente da quello che possono pensare, o voler far pensare all’opinone pubblica, rappresentanto per fortuna solo se stesse, grazie a Dio non sono rappresentative nè dei bulgari, nè tantomeno della Bulgaria, anche se si illudono d’esserlo.

Questa casta non è degli insengnati di scuola elementare, media e superiore, ma appartiene a quella restante, innominata. Sono un circolo ristretto, anzi ristrettissimo, un circolo quasi di stampo carbonaro dove il mazziniano mutuo sostegno regna sovrano, intoccabile, inarrivabile e si potrebbe quasi osar dire invincibile.

Eppure hanno paura.

Hanno paura della verità, hanno paura dei fatti, hanno paura proprio dei loro stessi atti pubblici, pubblicati sottoforma di traduzioni letterarie, per questo preferiscono l’attacco preventivo, celato dietro il fuscello di libertà di giudizio, sottoforma di libertà d’espressione, salvo poi dopo aver sganciato, una di queste, i propri strali-missili verbali contro qualche malcapitato/a di turno, fugge via, adducendo ad improrogabili impegni, come un F117 Stealth ammazza-civili, denominati eufemisticamente “danni collaterali” scomparendo nel crepuscolo, non avendo il coraggio di partecipare ad un pubblico contradditorio.

Questa casta è nemica stessa della cultura e della lingua italiana scritta, ma si crogiola in se stessa quando – in forma servile – riceve omaggi e piaggerie, autoincensandosi del proprio potere sui sudditi- studenti-servi della gleba.

Naturalmente queste teoriche hanno tutti gli strumenti nelle loro mani e nella testa per insengare, come docenti, teoria della traduzione, la quale però non si ferma con la nozionistica fine a se stessa, ai testi di grammatica imparati e ripetuti, come 33 giri rigati, a memoria, esprimendosi come scrisse in Pinocchio, Carlo Collodi, “Come un libro stampato”. Se la conoscenza si limitasse a questo, si starebbe freschi e in teoria, tututti, una volta apprese le regole insengate e di riflesso imparate sarebbero perfetti.

Sfortunatamente così non è.

Scriveva Aldo Savoldello, in arte Silvan, in un libro del 1976, “Silvan, Manuale di Silvan”, “Sapere un gioco e niente, saperlo fare è gia qualcosa, saperlo presentare è tutto”. Che parafrasando diventa: “Spere una lingua è niente, saperla insegnare è gia qualcosa, saperla tradurre, comprendendone e trasmettendone e fondo i significati è tiutto. Ma la realtà è ben diversa, drammaticamente diversa, miseramente diversa. È una realtà fatta di non conoscenza, di non aggiornamento, o per meglio dire di ignoranza, che deriva da ignorare, non sapere, una realtà che conosce e trasmette dell’Italia solo vecchi stereotipi, un’Italia ferma agli anni ottanta e novanta, di un’Italia che – a detta di questi – è viva solo nella letteratura antica, nei classici, imposti agli studenti come programmi didattici, fatti digerire a malavoglia, ma che non tiene conto dell’evoluzione della lingua, che non tiene conto dell’evoluzione della cultura, miseramente povera nel lessico contemporaneo, totalmente assente nell’idiomatica, un’Italia ferma ai luoghi comuni più arcaici, stereotipando l’italiano perchè non ci si aggiorna sulla contemporaneità, perchè è più facile ripetere per mesi, anni, decenni sempre i soliti testi, piuttosto che impegnarsi a ricercare, trovare, leggere, in lingua italiana, nuovi autori contemporanei,mparando ed insegnando agli studenti ad esprimersi in un linguaggio più attuale e ricco e diverso nelle sue differenti sfumature linguistiche locali.

Eppure questi/ sono i depositari del verbo, e guai a chi osa rompere il cerchio magico, guai a chi si permette, non essendo passato sotto le loro forche caudine, portare un’Italia diversa, più viva, contemporanea, un’Italia fatta di attualità, politica, eventi culturali e cinematografici, un’Italia che può e deve essere raccontata, conosciuta e fatta conoscere in modo più artisitco, meno teorico, meno dogmatico, quando tutti i dogmi, politici e religiosi sono stati spazzati via dall’attualità, quando delle idelogie non sono rimaste altro che vecchie macerie fumati di una storia che, seguendo l’onda del tempo e dei cambiamenti sociali e culturali, viene continuamente riscritta.

Purtroppo questo circolo ristretto è vittima, non è dato a sapere, se in forma cosciente opure no, di arcaismo culturale, antistorico che forse non può o non si vuole colmare, presumibilmente non per mancanza di mezzi, ma perchè l’aggiornamento costa fatica, sacrificio, sudore della fronte e consumo di cellule neuronali, di sinapsi, di lavoro, di nuovi carichi – che forse non si vogliono prendere – della corteccia celebrale, tutto ciò poi ricade sugli studenti, su coloro che pur studiando la lingua italiana, risultato totalmente privi di preparazione pratica, di conoscenza – perchè non trasmessa – e alla prima prova di lavoro come traduttori, fanno letteralmente cadere le braccia, quando i testi passano al vaglio di un redatore esperto di entrambe le lingue e culture. Tutto ciò a questo grupposcolo non va giù, risulta di difficile se non di impossibile deglutizione, creando così in quest’èlite degli attacchi di bile, degli attacchi rancorosi, espressi in forme e modi che non fanno a loro alcun onore.

Questa è una realtà volutamente mandata in cortocircuito, una realtà disarticolata dalla realtà stessa, dove l’Italia e la cultura italiana sta perdendo, per la complicità lassista di a questo grupposcolo, che come diceva anni fà una professoressa italiana, riferendosi agli alunni italiani, malscolarizzata, sebbene docenti e insegnati hanno superato a pieni voti gli esami finali, dopo aver prima terminato con successo, e licenziati anche, gli studi liceali, col rischio, neppure troppo velato, che nel giro di pochi anni non ci siano più studenti che dopo aver frequentato anche i numerose scuole superiori dove si insegna anche lingua italiana, non vogliano più continuare questo percorsi di studio post liceali, perchè alla fine anche tra studenti le chiacchere girano uscendo dall’alveolo degli stessi, andando a finire in altre orecchie interessate a conoscere in modo approfondito questi eventi.

Il problema è che forse il decano o la decana di questo circolo ristretto, ha perso e fatto perdere al suo sguarnito seguito il contatto col mondo reale, con le realtà studentesche ma non solo, con le persone che escono e tornano in patria, dopo esser stati in Italia, rientrando culturalmente e linguisticamente arricchite, studenti di altre realtà, spesso non collegate con l’Italia intesa come cultura, storia e arte, ma per professioni diverse e che toccano, anche per mesi, con mano il cambiamento, l’evoluzione, la diversa stratificazione sociale cosi poco attinente con gli stereotipi che abitualmente, in questo circolo ristretto manca, in quanto probabbilmente forse interessati a percepire i cambiamenti avvenuti.

A farne le spese in oltre che gli studenti è la lingua e la cultura italiana stessa, che grazie anche a questi “detentori di verità” sta perdendo appel in modo sostanziale, portando le persone a cercare forme alternative di conoscenza della lingua e della cultura italiana, allontanandosi anche dai consueti canali i istituzionali.

Lo scrivente, come italiano che ama il Paese che da tempo lo ospita, è profondamente rammaricato per la deriva autoritaria che questo circolo ha creato contro uuna diffusione veicolata attraverso diversi canali, che non siano i loro, della cultura e la lingua italiana, rinchiudendosi a riccio in un fortino, evitando il confronto, spaventati forse dalle critiche che potrebbero sorgere una volta fatte adeguatamente le pulci ad cun certo lavoro di traduzione di un libro di una scrittrice di un’isola italiana, massacrato dalla traduttrice, che ha ricevuto una remunerazione, che il bulgaro medio guadagna in più di un anno, non proveniente dalla Bulgaria, con molti dubbi palesi, sulla qualità e professionalità del testo tradotto, debitamente esplicitati dalla commissione stessa, sempre che questi non vengano cambiati in corsa dopo la lettura di questo testo da qualcuno/a, anche se lo scrivente ribadisce d’averne una copia nelle sue mani, consegnatagli pochi giorni dopo la pubblicazione del nome del vincitore/vincitrice.

Si è preferito non fare nomi e cognomi, tanto ai lettori italiani, come alla maggioranza dei bulgari, questi non direbbero nulla, non sarebbero altro che entità evanescenti, prive di importanza alcuna, che verrebbero rimossi dalla memoria collettiva ed individuale pochi minuti dopo esser stati letti, ma ai diretti/e interessati e a coloro che gravitano attorno alla lingua e alla cultura italiana in Bulgaria, sono notissimi, spesso senza averne reali motivi specie come insengnati pratici dell’arte della traduzione, sia per le loro traduzioni svolte, ma il dovere di cronaca ed il diritto della libertà di parola ed espressione scritta – come mi è stato espressamente detto da uno/a di loro durante una conversazone telefonica, vale in Italia come in Bulgaria, sancito da entrambe le Costituzioni, a patto che non si diffami il lavoro la persona e l’onorabilità professionale e umana altrui.

È altresì chiaro ai diretti interessati, nel caso avessero qualcosa da replicare hanno a disposzione il numero cellulare dello scrivente, i gli indirizzi mail e naturalmente lo spazio pubblico anche nel blog. Chiaramente il silenzio non farebbe altro che avvalorare quanto scritto, come per assurdo, confidando che sia solo una fantasticheria errata dello scrivente, qualsiasi forma di ritorsione, professionale o come già udito, attraverso interposte persone, che hanno riportato voci di corridoio, già forse in essere, additando lo scrivente come un soggetto pericoloso per la persona che mi ha riportato la notizia.

Come scritto all’inizio, questa non vuole essere una polemica personale, ma alcune persone, una in particolare ha fatto si che un mio gesto di cortesia si trasformasse da parte di questa in un attacco premeditato, mascherato da libertà d’espressione – per dei sinonimi che a quella li non piacevano, ma che dopo un riscontro fatto con calma, quelli indicati da codesta saputella come le opzioni più valide si sono dimostrate inesatte e decontestualizzate – nei confronti di un’altra persona; un attacco senza precedenti, dimostratando alla platea basita, quanto fosse forte il racore e la rabbia contro questa sua collega, nel campo delle traduzioni artistiche, che non ha mai studiato sotto le sgrinfie di questa “gentile” ma che ha saputo dimostare tutto il suo disprezzo – una copia del suo intervento sgrammaticato in lingua bulgara è in mio possesso – inviatomi dalla medesima, privo naturalmente delle aggiunte verbali che ha implementato durante l’intervento. Intervento spalleggiato da un’adepta nel circolo elitario che forse aveva dei debiti di gratitudine da saldare pubblicamente, in quanto dallo scrivente era stata messa al corrente, circa un anno prima, delle modalità di vittoria di un concorso per la traduzione di un libro italiano. Va detto che quest’adepta in passato aveva “corretto” ossia redatto la sua mentore per un altro libro, tradotto dall’italiano, che a detta di molti filologi di lingua bulgara, ma anche da lettori comuni, sebbene sia firmato – come traduzione da una persona sola – ha in se stili e modalità differenti di traduzione, come se il lavoro fosse stato fatto a più mani, cosa che probabbilmente la redattrice era al corrente, per questo al momento opportuno si è lasciata andaare a lodi sperticate nei confronti della traduttrice stessa e di riflesso verso se stessa.

Per la cronaca, va detto che questa “esperta traduttrice” e profonda conoscitrice della lingua italiana, maestrina di Teoria della Traduzione” davanti al semplice idioma come “prendere all’amo”, non sapeva cosa volesse significare. Cosa resta per tutto il resto?

I lettori potrebbero pensare che dietro questo lungo articolo ci sia, da parte dello scrivente acredine, rabbia, invidia o voglia d’offendere o far de male. Nulla di tutto ciò, perchè abbassarsi al livello di chi offende gratuitamente ed immotivatamente, nascondendosi dietro il pretesto, puerile ed infantile, della – come si dice in Bulgaria – “Libertà del Verbo” porrebbe lo scrivente ad un livello pari, se non inferiore di quello di questa gentil persona, dall’animo socialisticamente nobile, ora votata anche alle traduzioni del Papa Tedesco, facendo sorgere il dubio atroce e lacerante su come si possano tradurre delle epistole teologiche o d’alto contenuto metafisico senza avere un’adeguata preparazione religiosa e teologica alle spalle, in quanto educata, durrante il socialismo reale, a considerare parafrasando Stalin “La religione come oppio dei Popoli”, trasmutatasi come un novello Saul, converitasi improvvisamente al cattolicesimo più acceso, il giorno dopo la caduta del Muro di Berlino. Almeno il Conte Volpi di misurata, aveva fatto per un pò l’esule in Svizzera, prima di rientrare in patria per trasformarsi, con una nuova verginità politica, in un acceso sostenitore della Repubblica e della democrazia.

Naturalmente per questa persona va provato solo profonda compresione cristiano affetto per le sue esuberanti paure espresse in malomodo verbalmente aggressivo, confidando che possa trovare una tranquillità emotiva personale, affettiva e professionale, anche se a differenza – per fortuna – di molte sue amiche di circolo, non è una zitella cronica, che chiaramente non è una colpa, ma una realtà sopratuttto in Bulgaria, sfavorevole per la donna stessa, in quanto se superati i trent’anni non è stabilmente accasata è guardata con occhio sbilenco dai maschi in quanto forse considerata portatrice di anafettività personale sociale e professionale cronicizzata.

Quello che questo grupposcolo non ha ancora capito, o finge di non aver capito, che la traduzione artistica di prosa d’arte, si chiama traduzione artistica perchè deve essere fatta con arte, maestria, fantasia, con conoscenza ampia sia dell’ideomatica del testo originale, sia di quella della propria lingua materna, cosa che indipendentemente dalla “teoria della traduzione” l’essere artisti, nel senso più ampio del termine è una qualità innata della persona, una dote, un dono, un talento che non può essere insengato con lezioni teoriche, ma che può essere sviluppato, indirizzato, sgrezzato, reso brillante come un gioello solo se è gia presente nelle persone, altrimenti e come voler insengare ad una capra l’alfabeto fenicio, o peggio insegnare l’alfabeto fenicio senza nemeno mai averlo visto, studiato e digerito.

Il problema di fondo sta tutto qui. O si è capaci, oppure no. Questo club ristretto, per terminare, non vuole che nessuno metta il naso, o peggio, che possa, non appartenendo alla loro èlite, giudicare il loro lavoro, capendolo fino in fondo, infatti per invida malcelata detestano tutti coloro che non si muovono seguendo i loro canali e le loro indicazioni. E questo li fa infuriare, oltre ogni ragionavole dubbio.

Chiramente si vuole ribadire, a scanso di pregiudizi nei confronti dei bulgari, che la meschinità, l’invidia, la cattiveria, il diffondere malelingue, attaccare quello che si considera un nemico, quando in partenza si sa essere deboli, è una prerogativa universale, insita nell’uomo, indipendentemente dalla nazionalità, dal colore della pelle e dalla religione d’appartenenza, che appartiene – indistintamente – alla parte più bassa, abietta, primitiva e istintuale dell’uomo, che non fa onore nè a se stesso, neppure in troppi casi alla sua “presunta” intelligenza e sensibilità personale e sociale.

La cosa più avvilente sotto l’aspetto umano è quella di scoprire persone, che prima erano quasi mitizzate per loro bravura, per la loro competenza e capacità, in virtù proprio dei ruoli ricoperti, ma una volta scavato oltre la patina dell’apparenza, dell’immagine, dell’apparire, ci si ritrova innanzi ad un abisso che non fa onore al ruolo stesso che ricoprono, ci si ritrova innanzi a delle capacità divinizzate che non corrispondono alla realtà dei fatti, facendo crollare miseramente il castello, costruito sulla sabbia, che la mente umana, complice l’eccesso di superlativi assoluti, sovente espressi l’uno verso l’altro, non trovano corrispondenza, o peggio lasciano scoraggiati e confusi, disillusi per quanto si è toccato con mano, portando a pensare che dove c’è eccesso di fumo, sotto sotto esista un rischio palese od occulto di trovarsi innanzi ad un arrosto striminzito e carbonizzato, secco come un albero lasciato privo d’acqua artistico-letteraria e che farebbe di tutto affinchè nuove realtà, più competetenti e libere, intellettualmente e culturalmente, abbiano un palcoscenico, perchè nessuno, a loro avviso, deve permettersi di offuscare la loro splendente luce riflesssa l’un altra e che fa vivere il gruppo, che accecandosi a forza di compliementi, non vuole e odia il confronto con le stesse realtà professionali, che non siano del loro enturange, e che finchè avranno fiato, faranno di tutto per annichilirle. E molti/e, come si dice in questo caso, sono stati – come si dice in bulgaro – fuori dalla nave, senza tanti complimenti.

Di tutto questo bisogna ringraziare quest’èlite per la loro dignità etica, umana e professionale. Come dice un vecchio proverbio “Tutto il mondo è Paese” infatti i Servelloni Mazzanti Vien dal Mare, i Kobran, gli Guidobaldo Maria Riccardelli, i Mega direttori galattici, i Semenzara sono realtà appartenenti al Villaggesco mondo culturale italiano, ma che hanno un valore transnazionale, universale, applicabile in ogni Paese, senza distinzione alcuna, e che alla fine lasciano delusi, ammareggiati, sconfortati, perchè i siffatti personaggi sopra elencati, crocifiggerebbero tutti in sala mensa, solo per aver provato ad osare di dire o pensare qualcosa di diverso dall’unico coro dominante che dovrebbe illuminare di civilità, ma che sono esattamente come la matricola 1001/bis, di una mediocrità mostruosa.

Marco Bazzato
14.02.2008
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martedì 10 febbraio 2009

Eluana Englaro è morta


E’ scritto nel Talmud di Babilonia: “Chi salva una vita salva il mondo intero”.


Eluana Englaro è morta. Condoglianze una sega!

Può apparire barbarico, ma il barbarismo non è dello scrivente. Il barbarismo è di coloro che hanno sostenuto l’omicidio medico, desunto dalle presunte volontà della vittima.

Eluana, contro ogni previsione sbagliata dei medici, se ne è andata prima del previsto, come se il tutto fosse stato orchestrato dall’alto da qualche misteriosa forza divina, sempre che esista qualche divinità. Il suo corpo debilitiato dalla fame e dalla sete, che secondo i medici non poteva percepire ha detto basta, lasciando l’Italia ma non solo atterriti e disgustati da una volontà del padre, che in un delirio di onnipotenza ha deciso il destino della figlia, condannandola a morte, decesso avvenuto alle 20.10 ora italiana, secondo quanto comunicato dai media.

Eluana è la vittima sacrificale di un certo modo di far politica, è morta innolata sull’altare pagano dell’ideologia assissina che ha usato cinicamente il lassismo delle istituzioni italiane, costringendo la magistratura a decretarne la dipartita.
Ora a destra in molti si strappano le vesti, eppure per anni hanno dormito sugli allori, confidando che Beppino Englaro desistesse dai suoi propositi, ma questi non si è arreso davanti a nulla e nessuno, e ora reclama un rispettoso silenzio ipocrita, quando lui per primo ha trasfornato il dramma di Eluana in un evento mediatico.
Questa morte reclama giustizia e vendetta, non innanzi agli occhi di Dio, ma davanti alla giustizia umana, che se fosse giusta dovrebbe essere spietata e senza possibilità d’appello, scavando fino a far uscire carne e sangue nelle responsabilità individuali, mediche e politiche di questo assassino annunciato.

Nemmeno un cane rognoso sarebbe stato lasciato morire così, ma bensì con una pietosa sbadilata sul cranio, che gli avrebbe spappolato istantanemente il cervello, portandolo alla morte immediata. Eluana, a differenza di un cane, non ha avuto nemeno questo privilegio, non ha avuto nemmeno l’onore di una morte immedita, è stata lasciata morire di fame e di sete, uccisa, stando ai primi referti medici, secondo alcuni quotidiani, da un attacco cardiocircolatorio, secondo altri da un blocco renale dovuto alla disidatrazione.

Ora molti esponenti della classe medica sostengono che la donna non ha sofferto, ma chiaramente sono tutte opinioni velate dal dubbio e dall’incertezza su cosa effettivamente possa avvenire nel cervello di una persona in stato vegetativo permanente, in quanto non è assolutamente certo che una persona che non risponde agli stimoli esterni e/o interni non li percepisca, ma che visto il suo stato non possa comunicarli in modo compiuto.

È straziante pensare che un essere umano sia lasciato morire di sete, una delle morti più atroci che la natura possa riservare, senza contare che se effettivamente il decesso è avvenuto per blocco renale – lo scrivente lo sa per esperienza – questo è uno dei dolori più insopportabili che un corpo possa sostenere, superiore addirituttura a quello di un parto, e tutto questo è stato commesso deliberatamente nel pieno “interesse” dei medici, improntati tutti ad osservare le reazioni dell’agnello sacrificale, probabbilmente anche per scopo di ricerche mediche future.

Beppino Englaro ha dichiarato che che la figlia non avrebbe mai voluto viviere da vegetale, ma si dubita che Eluana, cosciente o no, abbia mai voluto morire di fame e di sete, vittima dei reni bloccati dell’urina che non viene più prodotta e con le scorie che intossicano completameente l’organismo, sino a portarla alla morte.

Non è necessario essere cristiani cattolici, fanatici integralisti dello Stato Città del Vaticano, oppure dediti a pratiche devozionali, secondo alcuni più o meno dettate dalla superstizione popolare, o secondo altri dalla fede in una vita ultraterrena, per capire che si si trova innazi ad un evento di inaudita gravità umana e politica, dove anche il centrodestra ha delle colpe politiche ed etiche che vanno oltre ogni ragionevole comportamento di responsabilità politica, in quanto “Il Caso Englaro” era dominio pubblico da anni, ma nessuno dei precedenti governi, anche di centrosinistra, esattamente come quello attuale, non hanno mai voluto affrontare energeticamente il “vernaio” bioetico del Testamento Biologico, fino a quanto lo Stato Città del Vaticano non ha dato il silenzio/assenso.

Viene da chiedersi cosa accadrà a livello politico dopo le esequie della donna uccisa? La prima indicazione è gia disponibile: il governo ha bloccato il decreto d’urgenza, visto che è inutile, rimandandolo – forse – come disegnodi legge alle prossime settimane, segno chiaro e tangibile che l’interesse per il problema Englaro era esclusivamente mediatico e quindi una priorità generata dall’opinone pubblica e ora che lo sgomento e il silenzio dovrebbe regnare sovrano in segno di rispetto, porta il tutto a non renderlo più attuale e che probabbilmente, come spesso accade, cadrà nel dimenticatoio fino ad un nuovo caso.

Eluana non è stata lasciata andare, ma è stata costretta a morire per colpa del lassismo della politica, dei politicanti che hanno demandato facendo si che la magistratura decretasse al posto del governo o che legiferasse il parlamento, perchè non avevano “le palle” per decidere in nome del Popolo italiano, come da mandato conferito dagli elettori, tradendo il mamdato popolare, tirando loro a campare e lasciando – menefreghisticamente parlando – qualcun’altra crepare.
I pianti politici di coccodrillo sono inutli, sono carne morta, esattamente come Eluana, sono il Canto del Cigno di una politica bipartisan che tra differenze e distinguo e veti contrapposti non agisce, non legifera, preferendo una letargia del quieto vivere, piuttosto che impegnare risorse intellettuali e politiche – se a questo punto esistono – per venire incontro ai bisogni dei sudditi.

Passi il comportamento negligente della politica davanti a questo evento omicida a livello nazionale, ma la figurccia che avanti al cosidetto mondo civile difficilmente sarà dimenticata. Ancora una volta – se mai fosse necessario – il Paese viene messo alla berlina dai media stranieri, passando forse alla storia come il primo omicidio di Stato dovuto all’imperizia politica per il non saper legiferare nei tempi giusti, dando l’immagine di un Italia allo sbando con una classe politica divisa e frazionata su tutto, incapace d’uscire dagli schemi di partito, completamente disarticolati, come se fosse in stato vegetativo permanente, che si bea quando riesce a far passare una moratoria all’ONU contro la pena di morte, ma che poi non riesce a legifare rapidamente per salvare la vita di una persona incapace a difendersi, spegnendo così il Faro di Civiltà Giuridica del Diritto Romano.

Quest’oggi la politica ipocrita chiede silenzio, chiede rispetto per la famiglia, per il padre che non ne merita nemmeno un po’, il tutto non per solidarietà nei confronti di Eluana, visto che se la politica avesse avuto rispetto per la vita umana si sarebbe attivata molti anni prima dell’omicidio-suicidio assisitito dietro il paravento di un protocollo dubbio, ma per il sacro terrore – della politica che vive sotto scorta – che ha dei cittadini e dell’opinione pubblica.

Indirizzare il Paese in questo momento al silenzio non significa altro che chiedere di mettere subito una lapide su tutto, dimenticando e rimuovendo dalla memoria collettiva il fannullonismo politico. Eluana forse poteva essere salvata, se il parlamento avesse avuto la volontà – visto quello che ogni parlamentare porta a casa ogni mese – di lavorare sabato e domenica, portandosi avanti come fa ogni buon lavoratore responsabile, il lavoro, ma così non è avvenuto. È stato più comodo diramare comunicati stampa, farsi mettere sotto il naso un microfono, sparando la solita litania di frasi di circostanza, anzichè agire. La domenica per i politici cristiano-cattolici è sacra, e l’orazione e la preghiera non può essere distolta da banali sedute parlamentari, da riunioni dei capigruppo. D’altrode bastava vedere le immagini di lunedì sera, per rendersi conto di quanto il “dramma Englaro” fosse sentito dai Senatori a destra e a manca: l’emiciclo era praticamente quasi vuoto, alla faccia della necessità di legifare d’urgenza.

Vergogna!

Innanzi a questi comportamenti delle iItituzioni, dei nostri orani di governo, Camera e Senato non può esserci silenzio rispettoso, ma sdegno politico e sociale e mediatico, lo stesso sdengo che lo scrivente ha sentito quando ieri sera tornanto a casa, ha visto che il satellite, ricevendo i programmi italiani dal medesimo, i tre canali della tv di Stato, Rai 1, Rai, 2 e Rai 3 l’audio per tutta la serata era assente. Si ricevevano solo le immagini, ma mute, mentre gli altri canali italiani – Mediaset – si ricevevano perfettamente. Molto probabbilmente un gusto tecnico, anche se ciò potrebbe portare a pensare ad un atto deliberato di oscuramento audio internazionale, proprio per non far udire quanto stava avvenendo in Italia. Naturalmente si spera che non sia così e che ogni congettura sia destituita di ogni fondamento.

La vicenda Englaro ci si augura che non temini con le esquie della donna, ma che si apra un dibattito serio, non solo politico, ma anche sotto il profilo delle responsabilità penali di quanto avvenuto, perchè non nè umano nè etico che si possa uccidere una vita umana senza alcun riscontro oggettivo scritto, ma solo sulla base di dichiarazioni del padre.

Non ci si può stringere in un abbraccio di condoglianze alla famiglia Englaro quando una morte è avvenuta con questo sistema, perchè la morte di Eluana Englaro è un offesa alla dignità della vita e della morte stessa, visto che è stata inferta in un regime di teorica insensibilità sensoriale.

Addio Eluana, in qualsiasi posto tu ti trovi ora, sei più amata che dal tuo padre biologico, che per non soffrire più lui ti ha offerto in sacrificio alla medicina, alla politica, agli interessi di partito e di ideologia.
Buon viaggio.

Marco Bazzato
10.02.2009
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lunedì 9 febbraio 2009

I Radicali dietro Beppino Englaro?



Domenica sera è andato in onda Telecamere, condotto dalla burrosa giornalista Anna La Rosa, tTa gli ospiti in studio c’era Marco Cappato. La conduttrice dopo che era tata trasmessa un’intervista a Pietro Crisafulli che accusa Beppino Englaro di aver mentito sulla volontà espressa da Eluana riguardo il porre fine alla sua esistenza in caso di coma vegetativo permanente. Ma questo, come si evince dal video, è una parte delle accuse mosse. Pietro Crisafulli è andato oltre, chiamando in causa direttamente i Radicali, che sarebbero – a detta dell’intervistato – dietro l’operazone “Eluana Englaro”, creata ad arte per spingere – come fu a suo tempo per l’aborto - l’opinone pubblica all’accettazione di pratiche malthusiane.

Al termine dell’intervista registrata, il presidente dell’associazione Luca Coscioni, ha rinnuvato gli insulti a Pietro Cristafulli, accusadolo d’essere un « parassita», in quanto al tempo della vicenda Welby, si era schierato nella barricata opposta, provita, a favore del fratello. Il radicale, sempre in prima linea quando si tratta di battaglie per i liberismo estremo, per aumentare il numero dei drogati, in nome dell’antiproibizionismo, ha un concetto così personale della libertà altrui, a patto che non sia d’ostacolo alla propaganda del suo partitucolo, composto da quattro gatti, e che non avendo rappresentanza in parlamento, perchè i gli elettori da anni lo considerano contronatura, sono costretti – sembrebbe – a sovenzionare operazioni omicide, davanti alla magistratura, pagandone, si presume, le parcelle, per manipolare l’opinione pubblica, piegandola ai loro pervesi voleri.

Anna La Rosa si è però ben guardata dal domandare al Radicale se è vero che dietro a Beppino Englaro ci fossero i Radicali. Già il non chiederlo è stata un’ ammissione non detta di paternità, che non giova alll’immagine della giornalista, nè tantomeno ha fatto un favore al diritto d’informazione dei cittadini.

Naturalmente se fossero vere le accuse formulate da Pietro Cristafulli contro Beppino Englaro, cioè che la figlia non ha mai chiesto d’essere ammazzata, ma che tutto parte dal padre della donna in stato vegetativo permamente, la magistratura dovrebbe intervenire per appurare la verità, acquisendo la registrazione di Telecamere, bloccando nel contempo quella che si paventa come un’esecuzione per fame e sete di Eluana, perchè se trovassero riscontro le frasi di Pietro Cristafulli, ci si troverebbe inanzi non a una volontà presunta della figlia, ma ad una volontà omicida del padre.

È chiaro che si si potrebbe trovare davanti ad una manipolazione dei fatti e della realtà che va indirezione diamettralmente opposta rispetto alle volontà di Eluana, usata a favore della volontà di Beppino Englaro, ma peggio ancora, montata e finanziata –senbrebbe grazie agli aiuti – da un partito politico che della morte, nel nome della libertà dell’individuo, ha sempre fatto il suo cavallo – morto – di battaglia.

Il punto essenziale è che tutto si basa sulle “presunte” volontà di Eluana, frutto del racconto dei genitori e di alcuni amici, mentre la magistratura stessa non avrebbe tenuto conto delle voci contarie, rispetto a quelle accettate come verità quasi dogmatiche.

La situazione sarebbe stata ben diversa se esistessero prove certe, non basate sul sentito dire, circa i desideri di Eluana, come ad esempio un testamento scritto, una registrazione, un qualsiasi straccio di prova che possa avvalorare, oltre ogni ragionevole dubbio, che quanto oggi in essere è frutto del diritto di autodeterminazione della paziente in stato vegetativo permanente.

È chiaro che gli attacchi alla Chiesa Cattolica da parte di Beppino Englaro siano alquanto pretestuosi, non tanto per l’ingerenza dello Stato Città del Vaticano nella vita dei cittadini italiani, ma perchè non ci si trova innazi solo ad un problema etico, ma ad un accertamento di una verità che ogni giorno di più risulta sempre più labile e fragile, che potrebbe infrangersi – se venissero svolte ricerche giudiziarie e fiscali approfondite, da un un momento all’altro.

Appare strano che a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Beppino Englaro, andando a spulciare nelle dichiarazioni dei redditi, su come in questi anni abbia potuto far fronte alle spese giudiziarie e di cancelleria, parcelle di avvocati e quant’altro si è reso necessario per condizionare anche l’opinione pubblica. È palese che questa mole di ricorsi e controricorsi debba aver avuto un costo non indifferente per il padre, e che in un modo o nell’altro qualcuno potrebbe averlo sovvenzionato, non importa se Associazioni e/o partiti politici, ma che nessuno abbia svolto una seria inchiesta – anche giornalistica – circa l’origine delle disponibilità economiche per i costi legali, questo non fa onore al gionalismo italiano, che appare più interessato a far da microfono e cassa di risonanza, piuttosto che giornalismo investigativo.

Rimane oltre all’accertamento della verità sulle presunte dichiarazioni di Eluana Englaro un problema etico e legale di fondo, cioè la mancanza – per ora – circa la possibilità del testamento biologico, che non può essere affronato o discusso sotto la spinta emotiva dell’opinione pubblica e tantomeno sotto i diktat di uno Paese straniero, come il Vaticano, che pur avendo il diritto di liberà d’espressione, non deve fare pressioni velate e non sia all’opinione pubblica, sia alle forze politiche italiane, che hanno il diritto e dovere di legiferare secondo coscienza.

Rimarrà da vedere, se Eluana non morirà prima, cosa potrà accadere dopo che il decreto legge sarà approvato, ma sopratutto se una volta calmatesi le acque, il tutto cadrà nel dimenticatoio, in quanto l’obbiettivo è stato raggiunto, oppure – a boccie ferme – ci saranno vere indagini sui finanziatori politici di Beppino Englaro, l’eventuale provenienza del denaro, in quanto non risulta che sia mai stata aperta una sottoscrizione pubblica per sostenere la famiglia nella sua battaglia contro la giustizia e la politica – lassista – italiana, per porre in essere le “presunte” volontà di Eluana Englaro.

Marco Bazzato
09.02.2009
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giovedì 5 febbraio 2009

Eulana Englaro: quando la morte è un diritto?


Ci sono argomenti che dividono l’opinione pubblica, argomenti che segnano profondamente la coscienza colettiva e individuale dei cittadini, dove trovare una posizione comune è impossibile. E il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente da quasi un ventennio, è uno di questi, il cui dramma finale, forse sta giungendo al termine.

Eluana, piaccia o no, ha il diritto di morire, ha il diritto, nonostante quanti non direttamente coinvolti emotivamente in prima persona, si ostinano a voler combattere per una vita che non è più vita, ma semplice esistenza vegetale. Eppure lo Stato italiano, manovrato alle spalle dallo Stato Vaticano, continua a negare il diritto alla cessazione delle funzioni biochimiche della donna, nascondensi dietro un’etica costellata di dubbi, nascondendosi dietro ricerche mediche che dicono tutto ed il contrario di tutto, arrivando a scrivere una legge per il testamento biologico impraticabile, che non da alcun diritto nemmeno a coloro che in anticipo desiderano porre fine, se mai giungesse il momento, alle proprie sofferenze e a quelle dei propri cari.

Esiste, in senso relativo, il diritto alla vita, difeso dalla Costituzione Italiana, con tutte le sue varie eccezzioni, prima fra tutte l’aborto, inteso come libera scelta della donna, dove in modo consenziente decide di disfarsi di quanto concepito, ma innanzi a questo diritto – acquisito – non esiste il diritto di scegliere come e quando morire se colpiti da gravi malattie.

Non può essere uno Stato, un parlamento che decide arbitrariamente su come una persona debba non morire, imponendo una vita che non è più tale sotto l’aspetto personale, sociale e affettivo, imponendo alle famiglie di tenere in vita arificialmente il dolore, perchè un sondino di alimentazione non può essere tolto, perchè non si può staccare un respiratore artificiale che regola l’attività polmonare e di conseguenza la respirazione.

Morire, in determinate situazioni, è un diritto inalienabile, un diritto irrinunciabile di ogni essere umano che deve poter sceglire in anticipo le forme e i modi di quando interrompere – per sempre – le proprie funzioni vitali, dando l’ordine ai familiari d’eseguire indiscutibilmente le volontà; l’intromissione dello Stato all’interno della sfea individuale, punendo i medici che aiutano ad eseguire le volontà del paziente o dei famigliari, è una barbara forma di ritorsione che impedirebbe il compiersi dei desideri del paziente o dei cari.

Ora nel caso specifico di Eluana Englaro, molti affermano che la sua sarebbe una morte per fame e sete, usando questo pretesto per bloccare il protocollo che porterebbe allo spegnersi delle funzioni biologiche della donna, i cui tempi sono incerti, il quali potrebbero protrarsi anche per giorni. La soluzione ci sarebbe, eppure nessuno ha il coraggio di nominarla: Aiutarla alla cessazione delle attività biochimiche del corpo con farmaci adatti, ma questo aiuto è sistematicamente negato, in nome di un’etica di parte, che nega in modo sistematico il diritto di autodeterminazione dell’essere umano.

In Italia esistono tra le altre cose, due parole tabù: Eutanasia e suicidio assistito, condizionate da una visione catto-cristiana dell’uomo, reso prigioniero nelle maglie di una religiosità che non tiene conto delle diverse concezioni d’interpetazione dell’esistenza, a differenza di altri Paesi più evoluti, dove è possibile procedere, come ad esempio in Svizzera, al suicidio assistito, senza che i medici siano incriminati, ma senza essere costretti dalla legge ad applicare l’eutanasia o il suicidio assistito, pena il differimento all’ordine dei medici, ma dando assoluta libertà di coscienza e di scelta alla classe medica.

Non va dimenticato che in tempo di guerra, ogni medico istantamemente decide le sorti del paziente ferito, lasciandolo morire o aiutandolo a sopportare il dolore affinchè il trapasso non si riveli penoso o umamanemnte insopportabile, se può essere curato, prestando le attenzioni del caso. Ed è alla luce di tutto questo che il malato terminale, la persona sottoposta dalla malattia a dolori atroci ed insopportabili, che il paziente è letteralmente in guerra con la vita, e sa che questa è una battaglia perduta in partenza, dove solo attraverso la liberazione dalla vita, tramite una morte dignitosa e umana, potrà trovare la vera guarigione e pace nell’attimo stesso che esalerà l’ultimo respiro, per poi lasciarsi cadere, venendone divorato dalla distruzione – per sempre – del corpo.

Arroccarsi nel pretestuoso diritto alla vita, quando già da vivi essa è non vita, è una contraddizione ideologica che porta al rifiuti di vedere ed accettare la realtà stessa per quella che è, costingendo esseri umani – socialmente e umamanente morti – a continuare a vivere una vita che già da tempo non gli appartiene, condannandoli ad una barbarie disumana che non ha nulla a che vedere nè con la vita stessa, nè con la difesa ad oltranza di un principio ideologico-religioso anacronistico, completamente disarticolato dalle reali necessità liberatorie dei pazienti incurabili, che per in libera scelta desiderano abbracciare la morte come forma alternativa di vita.

Non va dimenticato tra le altre cose, purchè non diventi sistemico, che il diritto all’eutanasia e al suicidio assisito libererebbe una quantà di risorse economiche e di professionalità, che potrebbero essere impiegate profiquamente per il mantenimento di chi vuole essere tenuto in vita a tutti i costi, e rirsorse per la ricerca stessa, sempre insufficienti.

Continuare, come sta facendo per l’ennesima volta il governo Berlusconi, rendendo carta straccia delle sentenze dei giudici che a lui non piacciono, è un attacco senza quartiere al diritto di libera scelta, al diritto del cittadino di veder rispettate le proprie volontà. Il torbido spettacolo mediatico che la giustizia politica italiana sta fornendo al mondo civile, rasenta l’autolesionismo all’amatriciana.

Indipendentemente però da come andrà a finire, una domanda da tempo probabbilmente affiora nei pensieri degli italiani: Il padre di Eluana, Peppino Englaro, dove trova tutto il denaro per pagare avvocati, consulenti, medici che sostengono l’iniziativa fatta in nome e per conto di una donna che non ha lasciato volontà scritte? Chi paga per lui, chi lo sostiene economicamnete in questa battaglia anche politica, non solo culturale contro l’Italia e la maggioranza dei cittadini che non sono pronti ad accettare l’idea dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Si dubita fortemente che Peppino possa aver fatto tutto di tasca propria, senza nessun contributo esterno di qualche associazione italiana o straniera interessata a rendere fruibile agli italiani la dolce morte.

Domande che nessun giornalista si è dato pena di porre agli interessati, eppure questo è un tema che dovrebbe mettere curiosità agli italiani, in quanto nessuno – a meno che non sia milionario in Euro – può sostenere per anni una battaglia del genere – fatta d perizie, controperizie, ricorsi sopra ricorsi e quant’altro la legge mette a disposizione non gratuitamente – senza avere adeguata copertura finanziaria alle spalle. E Peppino Englaro non ha mai chiarito questa sua posizione, che certamente non incide sul giusto diritto della privacy della figlia, ma che gli italiani hanno il diritto di conoscere e chese i media non si sono mai disturbati d’approfondireci sarà un perchè. Sasrebbe piacevole conoscere le risposte degli interessati.

Perchè la aGuardia di Finanza, sempre così solerte a contollare i piccoli commercianti, non controlla il signor Englaro, chiedendo i giustificativi, per conoscere sia i costi, sia coloro che l’anno sostenuto in tutti questi anni? Se quella di Peppino Englaro è una battaglia culturale giusta, lo deve essere anche a livello fiscale e di contributi eventualmente ricevuti e deve essere in grado di dimostrarlo in ogni sede, sia fiscale sia mediatica.

Marco Bazzato
05.02.2009
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martedì 3 febbraio 2009

Italia, Paese razzista o garantista?


Italia razzista? A detta di molti sembrerebbe di si, visti gli ultimi fatti di cronaca nera che hanno coinvolto cittadini comunitari ed extracomunitari per violenze arrecate o subite, dove in molti si chiedono che deriva stiano prendendo alcune mele marce, abitanti nella penisola italica, non importa se autoctoni o stranieri?

Fare della facile demagogia da quatro centesimi. Per questo ci sono i politici , sempre in prima linea, quando si tratta d’andare atrovare in carcere qualche carnefice, spazzolato a dovere in caserma dalle forze dell’ordine, indignandosi come ha fatto la parlamentare Rita Bernardini, beccandosi dal popolo della rete una sequela di improperi indegni, ma giusti, per un Paese civile, che però danno il polso di come sia la situazione italiana e di come politica e magistratura, a differenza delle forze dell’ordine, siano latitanti sotto l’aspetto politico i primi e giuridico i secondi, dando l’ impressione di voler, nascondendosi dietro le norme, di aggevolare criminali rei confessi, premiandoli e proteggendoli anche se commettono atti infami contro la dignità umana. D’altronde non ci si potrebbe aspettare di meglio da chi scientemente protegge Caino e condanna Abele al silenzio el doversi trattenere dal gridare al mondo la rabbia ed il disgusto che prova e cova dentro di se, pena il rischio di vedersi indagato – da qualche difensore o magistrato troppo zelante – per minacce.

D’altronde c’è poco da stupirsi, gli italiani, se mai esisistono come nazione, sono razzisti, non almeno pubblicamente, ma a quattrocchi si, basti pensare a come nord e sud da decenni si frontaggiano semplicemente con i termini “terrone” e “polentone”, oppure accusando tutto il sud d’essere o mafioso o camorrista, o viceversa da sud a nord, accusandoli d’insensibilità sociale cronica, di vivere per lavorare o essere in parte malscolarizzati e via discorrendo, solo per citare alcuni luoghi comuni, giusti o sbagliati, duri a morire nelle coscienze individuali e sociali del Bel Paese.

Ma la colpa più grossa è della politica che ha cercato, specie con la sinistra mania dell’accoglienza a tutti i costi, d’imporre una tolleranza sociale sempre a fatica mal digerita, ma subita anche mediaticamente, dovendo accettare a tutti i costi l’altro, come se questi avesse piùdiritti del nativo nel proprio Paese.

Invece di proclamare politicamente la tolleranza, che non è altro che un atto impocrita d’accettazione sociale dell’altro, la politica dovrebbe educare all’indifferenza, ad alzare le spalle, fregandosene, fino a che questi non superano il livello di guardia, fino a che chi rompe le regole legali del quieto vivere, non si macchia, non importa se italiano o straniero di reati contro la persona e/o il patrimonio.

Il buonismo è tolleranza mascherata sovente da sfruttamento padronale delle difficoltà dell’immigrato, strumento utile quando si tratta di sgobbare in nero, raccogliendo frutta, sotto gli occhi vigili dei caporali, oppure ottimo per pulire culi di vecchie grinzose i cui figli o parenti prossimi sono disgustati dall’odore di piscio e merda degli anziani,o piscio, merda e vomito che gli italiani, troppo raffinati non vogliono più pulire, preferendo il fancazzismo, lasciando i lavori sporchi agli inferiori, ossia gli immigrati comunitari, prevalentemente provenienti dall’Est Europa, salvo arrabbiarsi se le aperture delle frontiere importano, complice un sistema politico e giudiziario assente, della feccia, stessa feccia umana e sociale che è anche patrimonio di alcuni italiani, che spinti, non tanto dall’odio ma dall’inedia sociale, da droga e alcol si lasciano andare ad atti disumani e di inaudita ferocia sia contro i propri connazionali, che se si ha denaro si riesce ad andare agli arresti domiciliari, sia contro stranieri, ma che passano quasi di striscio nei media nazionali, pronti ad imbastire vuote discussioni sul perchè certe persone, più affini alla razza animale, che non a quella umana, si lasciano andare ad atti di bestiale ferocia ed insicriminata violenza.

Cercare spiegazioni è inutile, serve solo a portare acqua e denaro ai servizi che dovrebbero occuparsi al reinserimento sociale di questi rifiuti socali, che non meritano alcun tipo di comprensione nè dalla politica,nè dalla magistratura, che grazie agli avvocati, riesce sempre a trovare delle scappatoie per non far condannare alla giusta pena i rei confessi.

Alcuni si sono indignati, a sproposito, se sono state usate le maniere forti nei confronti dei rumeni accusati di stupro, per farli confessare. Ma quello che indigna non è che siano siano volati qualche ceffone, più o meno forte, ma che gli stessi metodi di persuasione non vengano utilizzati anche cotro gli italiani, che sono la maggioranza di coloro che commettono reati di violenza sessuale. Il vero razzismo, in questo caso non è qualche sganascione ben assestato, ma il fatto che questi siano stati inferti solo a cittadini stranieri, e non ad italiani.

I crimini contro la persona, complice una legislazione troppo garantista, sono in notevole aumento. Infatti i colpevoli sono consapevoli che il sistema giudiziario italiano è fallito e colasassato, che l’Italia è al 151 posto al mondo, su 180 nella speciale classifica delle disfunzioni del sistema giudiziario, che ci mette in coda addirittura ai Paesi del cosidetto terzo mondo, salvo poi avereil coraggio d’andare in casa d’altri – questi sono i politici – a insegnare come si deve amministrare la giustizia. Se poi qualcuno gli tira qualche scarpa o gli prende a calci in culo...beh non c’è da indignarsi, ma applaudire per il coraggio dimostrato d’aver rispedito a casa i pontificatori falliti.

C’è poco da dire. L’Italia, per quanto conserne la giustizia, è vista dagli altri Paesi europei come un Paria, un parassita drenadenaro, una zavorra ricolma di rifiuti sociali in libertà, mentre per i delinquenti, di qualsiasi cabottaggio, è il Bengodi, il Paese dei Balocchi e della Cuccagna, Nirvana della Criminilità, organizzata e non, che può agire indisturbata ed impunita, visto che ormai la destra forcaiola è morta e la sinistra rammollita, da sempre ha messo nei posti chiave ex terroristi, per dimostrare la necessità di riscatto, anche dopo che si ha ammazzato.

D’altronde, la parola d’ordine degli ultimi anni, dal centro destra al centro sinistra è una sola: Garantismo radicale, senza compromessi. Garantismo fino all’autolesionismo sociale, sino al giusto diritto di rivolta delle piazze, sino a far nascere nei cittadini il desiderio – abietto – di farsi giustiza da soli, spingendo all’estremo l’esasperazione delle persone, che ormai sono in ostaggio di una politica che pensa solo a salvare se stessa ed i propri privilegi e quella degli amici, ma si disinteressa completamente delle necessità di sicurezza, equità sociale e giustizia dei cittadini, bollandoli spegievolmente come giustizialisti, animati da senso di odio e vendetta nei confronti dei carnefici, come se voler giustizia fosse una colpa infame da veder annichilita in ogni modo.

Dall’inizio dei governi Berlusconi, se da una parte, con l’ausilio della Lega ed in parte della defunta Alleanza Nazionale si ha, senza successo, potuto mettere un freno all’immigrazione incontrollata, vedi gli sbarchi dei clandestini a Lampedusa, con le tante promesse della Libia di frenare le partenze ed il conseguente sperpero di denaro pubblico per aiutare il “povero” colonnello Gheddafi”, dall’altra la politica italiana è divenuta ostaggio del garantismo bipartisan, che appare sempre di più come una Sindrome di Stoccolma, cioè di solidarizzazione e solidarietà politica nei confronti dei carnefici, che con la scusa del diritto a tutti i costi, sono trattati con i guanti di velluto, facendo apparire le vittime come se loro stesse fossero i colpevli di quanto è avvenuto alle loro vite.

La politica fallimentare dei due più grandi partiti italiani, che sebbene sembrano voler litigare – pubblicamente – su tutto, camminano in un abbraccio che sta letteralmente strozzando il cittadino, che ormai ha paura d’uscire all’aperto, d’uscire alla sera, che non può permettersi quasi di camminare per strada, perchè rischia d’essere investito da qualche tossico ubriaco marcio – subito a piede libero – che non possono dormire di notte perchè gli animali in piazza, non importa se italiani o stranieri, debbono sbronzarsi come bestie, gridando come scimmie furise senza che nessuno intervenga, perchè le forze dell’ordine sono eternamente a secco di uomini e mezzi e quindi il tutto si volge nell’impunità più assoluta.

L’Italia è diventata il paradiso delle minoranze, dei tossici, alcolizzati, drogati, farabutti, di quella feccia sociale a cui non si dovrebe nemmeno offrire alcun spazio su giornali per discutere dei loro “problemi” inventati, quando si fanno prendere dai fumi dell’alcol o dalle sniffate di cocaina. Eppure sono un enorme serbatoio di voti, sono una ributtane minoranza a cui tutte le forze politiche, in un modo o in un altro fanno la corte, facendo passare il messaggio blasfemo che qualunque cosa commettano – come per i politici d’alto rango – resta impunito, perchè il garantismo sarà sempre dalla loro parte, a dispetto di diritti delle vittime che reclamano giustiza, ma che l’Italia, pelosamente buonista di stampo berlusco-veltroniano ha dimenticato e rimosso, perchè troppo occupata a non far venire a galla i malaffari di una classe politica, non importa di che colore, senza etica, incompetente e arruffona, il cui unico interesse è quello di salvaguardarsi dalle intercettazioni, dalle inchieste, dagli articoli giornalistici, e in fine dalla galera, che vive scortata e protetta, come nemmeno i dittatori sudamericani abitualmente fanno, perchè hanno timore della lunga manus dei cittadini, ormai stanchi, demotivati e scoraggiati da una politica che tiene conto solo dei diritti di ladri, briganti, assassini e tangentari, ma che dimentica – per codardia – le vittime, relegandoli al ruolo di figure martinali che non meritano nè rispetto, sia dalla politica, sia dalla magistratura, che è costretta ad applicare leggi infauste, che sviliscono il ruolo dell’accusa, dando poteri quasi ditattoriali alla difesa, che può fare il bello ed il cattivo tempo, tanto le patrie galere sono piene, nessuno vuole costruirne di nuove, addombrando scuse banali, e quindi stupratori, ladri, assassini, camorristi, mafiosi, politici e quant’altro possno continuare ad “operare” in assoluta impunità.

Marco Bazzato
03.02.2009
http://marco-bazzato.blogspot.com/

Europa verso il collasso economico?


Sta arrivando. La mandria di bufali sta arrivando, spinta dalle politiche criminali delle banche, che prima si sono arricchite gonfiando a dismisura i bilanci, prestandosi denaro l’un l’altra, senza fornire garanzie di solvibilità, ed ora quando il sistema è colassato, scaricano le colpe della loro ingordigia sulle aziende, chiudendo i rubinetti del credito, e di riflesso sui cittadini che vedono sfumare i posti di lavoro per via della contrazione della domanda, senza che nessuno di questi grandi banchieri venga portato in tribunale e processato per fallimento, ma rimanendo invece saldamente al loro posto e andando a battere cassa ai vari governi, costretti a nazionalizzare le perdite, facendole ricadere sui cittadini, proseguuendo così nella spirale senza fondo del debito.

I governi da parte loro cercano d’aiutare gli amici – i finanzieri e banchieri – comprando partecipazioni in banche decotte, senza mettere in atto vere misure, non a sostegno delle banche, salvaguardando i risparmi dei correntisti, qualcunque siano le cifre nei conti correnti, ma untellano i debiti con iniezioni di denaro inutili, senza voler andare legalmente e penalmente a fondo delle singole responsabilità individuali.

Ed ora i cittadini europei scendono in piazza. Prima in Grecia, poi in Francia, e non ultima l’Inghilterra, sul piede di guerra, questa volta contro gli italiani, rei di rubare lavoro agli inglesi, mentre le borse di mezzo mondo continuano a sprofondare nel baratro, bruciando miliardi di euro di capitalizzazione, senza che nessuno possa o voglia effettivamente porre freno ad un mercato finanziario impazzito.

È chiaro che urgono nuove regole, stringenti; regole che non diano spazio alcuno agli speculatori, nazionali ed internazionali, è chiaro che gli Stati dovrebbero intervenire con più violenza nei sistemi bancari corrotti, senza andare per il sottile, incarcerando preventivamente direttori e presidenti, fino a aquando non forniranno spiegazioni esaurienti, basate su documenti cartacei, sui responsabili palesi ed occulti di un sistema finanziario che mostra – se mei c’è ne fosse bisogno – tutta la sua corruzione e spegio totale delle regole etiche e professionali, a salvaguardia dei correntisti e dei piccoli investitori, visto che i grandi ci hanno marciato senza pietà, ed ora sono ancora quelli che drenano denaro, per salvarsi dal collasso già in fase avanzata, andando la rubarlo dalle tasche dei cittadini, che rischiano di non avere di che sfamarsi.

Non si è sentito nessun governo scagliarsi contro il sistema bancario, non si è sentita la voce della BCE, che dovrebbe governare l’economia finanziaria nella zona euro, porre l’accento sulle responsabilità delle varie banche centrali nazionali, che non hanno saputo o voluto vigilare, come dovrebbe essere il loro compito, sui vari istituti di credito, grandi e piccoli, che si sono lasciati ingannare, oppure lo sapevano, dai titoli spazzatura o dal credito facile. Ed ora nessuno sa come venirne a capo, perchè incidere in profondità il busturi nelle carni dell’intero sistema politico-bancario-finanziario porterebbe sicuramente a dover incriminare la maggior parte della politica finanziaria europea ma non solo di crimini economici contro l’umanità.

Dovrebbe essere l’ONU stessa, nella sua veste di osservatore indipendente, se mai questa definizione fosse vera, che come per il Processo di Norimberga, metta sul banco degli imputati politici, finanzieri, banchieri e speculatori, condannando, come fu per i criminali nazisti, i responsabili del disastro economico alla pena di morte, oppure al carcere a vita, senza possibilità d’appello.

Ma nessuno in Europa o al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, ha il coraggio di processare il sistema. Lo stesso sistema che prima gridava il diritto del liberismo sfrenato, lo stesso sistema che pontificava sulla sua saldezza e sulla sua etica, e che oggi col cappello in mano bussa alle porte dei vari governi, come gli ultimi dei barboni, a raccattar denaro, con la scusa che tutti sono responsabili e che quindi nessuno può essere incriminato e condannato, altrimenti il già fragile castello di carte, costruito su menzogne, franerebbe nella polvere, trascinandosi dietro tutti gli emicicli parlamentari dei Paesi industrializzati.

Ora alcuni politici italiani, gridano che deve essere rivisto il Trattato di Schengen, per via delle presunte ruberie, da parte degli stranieri dei posti di lavoro agli autoctoni, che nella magioranza dei casi non vogliono fare i lavori umili, o troppo degradanti.

Modificare il Trattato di Schengen sarebbe oltre che inutile anche dannoso per le varie economie nazionali, anche per quella italiana, in quanto molti cittadini comunitari, provenienti dall’Est Europa, o extracomunitari, sono andati ad occupare quei posti di lavoro aborriti proprio dagli italiani, perchè indegni per loro. Mentre, se una stretta dovesse esserci, questa dovrebbe essere attuata sui flussi finanziari che viaggiano da un capo all’altro del mondo senza controllo e che hanno permesso alla speculazione di impoverire il mondo industrializzato, che era comunque vittima di un eccesso di produzione, che prima o poi avrebbe dovuto comunque cozzare contro il muro della saturazione dei mercati. Ma in questa sporca faccenda, nessuno vuol metterci mano, timoroso d’andare ad intaccare i grandi potentati economici che fanno il bello e il cattivo tempo sull’economia globalizzata è ben lungi dall’avere degli schemici etici che rendano sicuri i cittadini, al riparo da collassi economci, provocati ad arte, per aumentare il livello di povertà e di riflesso incrementare la necessità di controllo nei confronti delle popolazioni, che spinte dal bisogno e dalla paura di perdere le loro sicurezze giugono a protestare, pagandone poi le conseguenze civili e penali, se provano a far sentire le loro ragioni, disturbando i manovratori occulti che non vedono di buon occhio coloro che cercano la giusta e sacrosanta giustizia, ma che non vuole essere ricercata da coloro che governano perchè forse complici di un sistema economico globale, corrotto e marcio fino all’osso.

Marco Bazzato
03.02.2009
http://marco-bazzato.blogspot.com/