È di pochi giorni fa la notizia che nel solo Iraq, la guerra civile, lo scorso anno ha fatto trentaquattromila vittime. Trentaquattromila, in questa cifra spaventosa non sono accluse le vittime causate da bombardamenti, massacri indiscriminati compiuti dall’esercito occupante da, quando hanno invaso il paese per detronizzare il dittatore da poco condannato per la strage di 146 curdi, ammazzato a sangue freddo tramite impiccagione, dopo il verdetto di condanna a morte.
Nessuno vuole cancellare la memoria dell’orrore nazista, ma non si può in nome di quella memoria cancellare o rimuovere, o fingere che non esistano orrori e i genocidi compiuti, senza andare troppo a ritroso nel tempo, negli ultimi vent’anni, quelli per uno strano gioco della politica internazionale, sono volutamente lasciati all’angolo, inseriti cinicamente in altre classificazioni, o interpretazioni capziose, dove però i superstiti non hanno diritto di parola, non hanno diritto di racconto nelle scuole europee ed italiane.
Il mondo civile avrebbe l’obbligo di ricordare l’olocausto, se questo ricordo non fosse circoscritto, se assieme a questo olocausto disumano, inumano, bestiale e criminale, fossero accostati tutti gli altri olocausti arbitrariamente dimenticati.
A Milano nella stazione del capoluogo lombardo, è stato inaugurato il Museo dello Scalo 21, ma circoscrivere la sofferenza al solo popolo ebreo, che non sono state le uniche vittime della barbarie nazista, quando a tutt’oggi i morti innocenti delle barbarie che si compiono in più parti del mondo provengono da altri regimi, democratici o totalitari che di si voglia, da democrazie che in nome di una libertà di parte occultano sofferenze, stragi, violenze, case bombardate e date alle fiamme di cittadini inermi, che al pari degli ebrei di sessantanni fa, hanno l’unica colpa d’essere nati sotto una bandiera, o in uno stato, o hanno una religione considerata avversa.
Non sarebbe giusto sentire nei prossimi giorni solo le testimonianze degli scampati ai Lager Nazisti, ma si dovrebbero ascoltare anche le storie d’altri cittadini, non importa di che provenienza etnica, religiosa o politica, che raccontassero le loro esperienze, le sevizie subite in centinaia di lager sparsi ancor oggi nel mondo, perché è accostando la sofferenza e l’atrocità passata con quella contemporanea, unendo sotto un abbraccio ideale, quanti costretti dalla criminalità oppressiva di un regime, non importa che si chiami repubblica o democrazia, dittatura di destra, o di sinistra, o retta da teocrazie sanguinarie, continuano a sterminare impunemente, che si capirebbe l’unità della sofferenza, la forza simbolica nel riunirsi sotto un'unica bandiera per impedire ricordando il passato è il presente, che nel mondo d’oggi, non esistono crimini o criminali di seria A o serie B, ma che la giustizia e l’esecrazione pubblica è indistinta, contro chiunque si macchia di crimini contro l’umanità.
La Shoah non appartiene solo al popolo ebraico, appartiene all’uomo, appartiene al bianco, al nero, all’ebreo, al cattolico, al musulmano, appartiene all’uomo che come frutto universale di questa Terra, continua ad essere vittima di divisioni, rancori odi intestini, vendette e soprusi, altrimenti la memoria diventa dogma, e il male assoluto di un popolo, di una religione di una storia, della cultura europea che ha sofferto le atrocità del nazismo, rischia di far diventare relativa la sofferenza d’altre storie, d’altri genocidi, d’altre mattanze ideologiche e barbariche che non si sono arrestate, ma semplicemente non sono commemorate, cadono nel dimenticatoio, nell’oblio, nel nulla.
La Shoah perché diventi vero patrimonio dell’umanità, lontana da speculazioni politiche ideologiche, o di Stati Canaglia, secondo un’opinione arbitraria, ma non per questo necessariamente condivisa da tutti, deve andare oltre il tempo che l’ha causata, trasformandosi, evolvendosi, in un esempio a politico, laico, privo di retoriche ideologiche, ma che abbracciano la sofferenza e il sacrificio di quanti sono vittime sacrificali dell’altare maligno edificato dall’uomo nel nome della sua sete di potere.
Considerare la sofferenza del popolo ebreo, come la sofferenza d’ogni popolo, di ogni uomo, come il dolore struggente, il pianto d’un bimbo che perde il padre e la madre, il pianto di un genitore che vedono dilaniati i propri figli da un attacco suicida, da un kamikaze, da una cluster bomb, da un cecchino che come un vile spara nel mucchio. Ogni morte innocente è Shoah, e sarebbe giusto vedere uniti in quest’abbraccio ideale ebrei, cristiani, musulmani, atei, uomini d’ogni confessione o idea politica vittime d’ogni disumana tragedia umana si abbracciassero e si confrontassero, parlando degli orrori, denunciando senza giudicare, senza condannare, per offrire testimonianza al mondo, che il ricordo degli orrori passati ha lo stesso orrore e dolore struggente degli orrori odierni, in qualunque latitudine, e indipendentemente dalle motivazioni, l’unico dramma finale, la barbara soluzione finale è la morte dell’uomo stesso e della sua umanità interiore.
Marco Bazzato
17.01.2007
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