domenica 26 ottobre 2008

Vessela Lulova Tzalova



Nella foto da sinistra a destra: Maya Raikova, coordinatrice de “La Dante Alighieri” di Sofia, la scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova, il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Sofia, Dottor Ezio Peraro, e lo scrittore Marco Bazzato

Vessela Lulova Tzalova




La scrittrice e traduttrice bulgara Vessela Lulova Tzalova col Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Sofia, dottor Ezio Peraro.

Vessela Lulova Tzalova



La scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova, membra dell’Associazione degli scrittori bulgari e dell’Associazione dei traduttori di Bulgaria,la serata di presentazione del suo romanzo Peccabilità, Slaviani editore, svoltasi presso la Casa di Cultura (Citaliste) Pencio Slaveikov, giovedì 23 ottobre c.a.

La scrittrice bulgara ha avuto l’onore d’avere tra i graditi ospiti il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Sofia, dottor Ezio Peraro, Maia Raikova, coordinatrice de “La Dante Alighieri” di Sofia.

Il romanzo è stato presentato dal critico letterario bulgaro Blagovesta Cassagova.

Riforma Gelmini: avanti tutta


Nessuna riforma piace, tanto meno quelle inerenti all’istruzione. Troppi soldi, spesi male, troppi docenti di ogni ordine e grado, spesso sottoutilizzati, personale non docente in eccesso. Eppure nessuno vuole cedere un passo, timorosi, a torto o a ragione di perdere non solo il posto, ma anche quel poco di prestigio che la figura dell’insegnante, nonostante gli stipendi miseri, ha.
Si sta assistendo al solito caos studentesco. Classi di ogni ordine e grado, in rivolta. Lezioni per strada, in piazza, come ambulanti, studenti universitari che occupano le facoltà, ma soprattutto tanta disinformazione, ma soprattutto un’idea alquanto vaga dei problemi reali.

C’è qualcuno che soffia sul fuoco della protesta, trasformando un semplice problema di esuberi, come ne accadono ogni giorno in aziende in crisi, vedi Alitalia, in un problema sociale, ma soprattutto di disordine pubblico, dove le forze dell’ordine sono tenute freno, non potendo, per ordini politici, ristabilire l’ordine scolastico.

Qualsiasi azienda malata, con i bilanci profondamente in rosso, deve per sopravvivere ai propri errori gestionali, anche del passato, tagliare i rami secchi, le spese inutili, ridimensionare, per poter offrire gli stessi servizi, le stesse prestazioni, riducendo gli esuberi, senza andare troppo per il sottile, cosa che abitualmente qualsiasi impresa privata fa quotidianamente, senza questo carnevale boccaccesco di sbarbatelli che gridano ai quattro venti come degli invasati, molto probabilmente senza sapere per cosa sono stati mandati a protestare.

Mentre col comparto statale, enorme serbatoio di voti, questo da decenni è impossibile, è una chimera, che ha portato, per colpa della mala gestione della cosa pubblica, allo sfacelo attuale, ma visto che abitualmente – in politica – non si paga per le colpe attuali, figuriamoci se è possibile che qualcuno paghi, a parte insegnanti e personale non docente, per le colpe – pregresse.

La Gelmini, piaccia o no, indipendentemente dal colore politico, sta provando a tagliare dei rami morti nel comparto dell’istruzione di ogni ordine e grado. Questa decisione coraggiosa, presa badando anche ai bilanci, è logico, per chi è stipendiato nell’istruzione dallo Stato, non piaccia e tutti hanno paura, alla fine, di rimanere col classico cerino in mano e la cattedra, meta prima agognata, in quanto sinonimo di sicurezza eterna, tolta da sotto il naso, costringendo molti a trovar nuove occupazioni, come già accade anche alle tutte blu o a molti laureati che non riescono a trovare impiego.

I sindacati, le associazioni studentesche, hanno poco da occupare, sabotando le lezioni, impedendo a quanti – a ragione – si disinteressano dei problemi personali degli insegnati, vogliono continuare a studiare, ma che però in questo frangente il diritto allo studio viene impedito dagli occupanti facinorosi, senza alcuna conseguenza penale od amministrativa, interrompendo, con la scusa dell’autogestione, un servizio pubblico, che per legge deve essere garantito dai docenti stessi, ma che nessuno, pena la paura dell’impopolarità sociale, si azzarda a sanzionare ed arrestare con qualsiasi mezzo legale, anche con l’ausilio delle forze dell’ordine, che prima secondo il premier avrebbero dovuto entrare nella aule, per consentire il normale svolgimento delle lezioni, facendo però poi vergognosamente marcia indietro, lasciando campo libero ai rivoluzionari ex e post sessantottini.

Nessuno, sindacati per primi, seguiti dai docenti, e spalleggiati dagli studenti che vedono in questa ricreazione mascherata la possibilità di bigiare pubblicamente le lezioni, si rendono conto che la borsa è vuota, che il capo famiglia, lo Stato in questo caso, è stato per decenni un amministratore poco accorto, ora è costretto a fare economie, che non piacciono a nessuno.

Per fare forse un esempio in teoria banale,ma che rende l’idea della situazione. Poniamo il caso di vivere in una famiglia che per anni si è indebitata, per fare la classica bella vita, vivendo sopra alle proprie possibilità economiche, una bella famiglia allargata. Ma un bel giorno le banche, stanche di far credito, chiudono i cordini della borsa, costringendo il capofamiglia a prendere decisioni drastiche: basta auto di lusso, abiti firmati, viaggi in paradisi esotici, ferie e vacanze da sogno e quant’altro. Tutto finito. Naturalmente, questa non è la situazione degli insegnanti, in quanto, esclusi i professori universitari, gli stipendi sono, per dei docenti in sovrappiù o mal utilizzati, da fame, in Europa occidentale, il che è ben diverso, visto che un insegnante di liceo, in Bulgaria, a fatica arriva a 400 euro al mese, e dove sognarne 600 sembrerebbe come aver sbancato la lotteria di capodanno.

Va ricordato ai contestatori italiani, non importa che siano docenti o studenti, che l’Italia, è al 28 posto, su 30, quindi in zona retrocessione, per quanto concerne l’istruzione, tra i Paesi più industrializzati (OCSE) e nessuno vuole, visti i risultati, pagare pegno, venendo come avviene a Monopoli, eliminato dal gioco perché indebitato sino ai capelli.

Vediamo. I docenti non sono mai colpevoli della svogliatezza degli studenti, e quest’ultimi non sono colpevoli se gli insegnanti sono incapaci o inadatti all’insegnamento e se rimangono zucche vuote. Senza contare, che gli insegnanti, di ogni ordine e grado, danno colpa alla scuola, in generale,se questa non funziona, mentre la scuola se la prende con le varie istituzioni, indiscriminatamente per scaricare i propri panni sporchi, creando il classico minestrone – andato a male – del tutti colpevoli, nessun colpevole, ideale per non cambiare mai nulla, salvo protestare se l’insegnamento, in un modo od in un altro, prova ad evolversi, anche tornando – con meno insegnanti – all’antico.

Per la serie: ogni cosa è buona solo se si aumento i posti - anche senza far nulla – di lavoro, ma se invece si parla di razionalizzazione o mandare a casa inefficienti e lavativi, le cosiddette mele marce, che in ogni luogo di lavoro che si rispetti esistono, ecco che scatta la rivolta, l’attacco, l’andare in piazza, coinvolgendo nel caos generale i fruitori dei servizi, cioè gli studenti.

Chi deve pagare in tutto questo.? piaccia o no, vanno eliminate le cattedre inutili, il personale non docente in esubero, tornando, alle elementari, al maestro unico, che così tanto non piace, forse perché la generazione vecchia, quella figlia del sessantotto si sente anche impreparata sotto l’aspetto didattico ad insegnare le nuove materie, come ad esempio inglese e informatica, che abitualmente, per quanto riguarda i bambini delle elementari, sanno usare il pc e navigare in rete, molto meglio dei genitori, figuriamoci eventualmente di un maestro over 50.

La scuola non vuole aggiornarsi, perché gli insegnanti per primi, dopo aver studiato anni e preso il cosiddetto posto fisso, preferiscono campare sugli sforzi passati, piuttosto che aprirsi alle nuove realtà, in quanto, al pari del sacrificio che quotidianamente compiono gli studenti, costa fatica ed impegno, ma questo, nonostante un esigua ma importantissima minoranza che fa quotidianamente c on fatica il proprio dovere, ai più è – per diritto divino acquisito – sconosciuto, dimenticato e rimosso dalla coscienza individuale e collettiva.

Marco Bazzato
26.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

domenica 19 ottobre 2008

Riforma Gelmini, scioperi eteroguidati



Si sta assistendo, negli ultimi giorni, al solito balletto di fancazzismo da parte di docenti e studenti, felicemente gaudenti, con la complicità anche di genitori snaturati, alle proteste, tipiche d’ogni inizio d’anno scolastico,queste settimane contro la riforma Gelmini.

Il bello è che i primi a tremare, per i loro – inutili – posti di lavoro, sono i maestri elementari, così spaventati dall’idea di non poter più in futuro far comunella o in classe o nei corridoi, che non esitano a coinvolgere i bambini ignari della storia, spesso mezzi analfabeti, poco istruiti e quindi manipolabilissimi, per far pressione contro il Ministro della Pubblica Istruzione, rea di volerne spedire a casa un bel po’, ripulendo – dalle scorie – gli organici in eccesso.

Ma dietro a questo baialame, che odora da letame da mercato delle vacche, fa riflettere il fatto, che anche troppi genitori, educati alle scuole elementari al maestro unico, ora come citrulli si siano fatti abbindolare, passando dalla parte del nemico, il pubblico dipendente statale che non vuol mollare la sedia.

La scuola italiana, classifica Osce alla mano, funziona come un’auto lasciata a marcire – da decenni – sotto le intemperie, da un autodemolitore, eppure tutti vorrebbero che camminasse comunque, un po’ come vivere nell’illusione mistica che un morto possa essere resuscitato.

È da codardi mandare in piazza dei minori a protestare. Solo i vigliacchi si nascondono dietro a dei bambini, strumentalizzandoli, usandoli come pretesto – falso – per salvare i loro miserevoli posti di lavoro, come se ai bambini d’oggi importasse di questo o quell’insegnate. Infatti i “nostri”pargoli, vivono in condizioni di costante alterazione mentale, circondati da genitori assenti, faide familiari, divorzi, guerre per l’affidamento – economico – dei piccoli “innocenti”, ma che hanno negli occhi la freddezza di Jack Torrance di Shinning e figuriamoci – con l’orgia di insegnanti che vedono ogni giorno – cosa a loro interesse, se invece di tre citrulli, ne vedono solo uno. Nulla. Alzano le spalle, continuando imperterriti a lanciarsi quaderni, penne, matite, tirarsi i capelli, picchiarsi, sputarsi addosso – manco fossero cammelli – e dispettucci vari ed avariati.

Alla sinistra è felice della strumentalizzazione dei bambini, si frega le mani per l’alto senso di “maturità” dei prepuberali, che chiaramente, pur di non fare lezioni in classe, andrebbero a dimostrare sotto una delle finestre del Papa, a favore della pillola abortiva, delle unioni gay, o per l’introduzione di un corso di educazione omosessuale – senza sapere che “robe” sono qegli affari strani la – a scuola, in nome della purista libertà d’insegnamento dogmaticamente predicata dalla sinistra extra parlamentare.

L’Italia è un Paese che vive nella memoria – comunista – storica falsata, che vive nell’idea fallace che rimettere il grembiule ai bambini, sia segno di rigurgito fascista, di un ritorno agli anni del ventennio della Buon Anima, ma come sempre questi orbi a destra – omettono di dire che anche nei Paesi dell’ex blocco sovietico, fino all’arrivo della “democrazia”, i Paesi del Socialismo reale, imponevano agli alunni l’uso del grembiule, nel nome dell’uguaglianza socialista. Mentre oggi, questi comunisti a sinistra col portafoglio rigonfio a destra, vogliono, con la menzogna zingaresca della multiculturalità che i poveri si sentano dei castrati familiari e i ricchi possano sfoggiare abiti firmati, nel nome del Capitalismo socialista di stampo cinese, così amato da Berlusconi, Veltroni e Bertinotti per motivi diversi.

Eppure si farebbe presto a risolvere un po’ di problemi economici nella scuola. Basterebbe abrogare sin da subito l’ora – inutile – di religione, rispedendo nel loro Stato straniero d’adozione – il vaticano – preti, pretini, e laureati – inutili – in teologia (scienza ecotplasimca del fumo) che occupano, su segnalazione vescovile, posti di lavoro pubblici, senza portare un grammo di contributo sapienzale in una scuola morta.

La scuola è in rivolta, per l’ennesima volta, non per migliorarsi, ma per proteggere i propri privilegi, senza dare nulla in cambio agli studenti stessi per accrescere il sapere e le conoscenze. È una scuola che puzza peggio di una tomba di famiglia scoperchiata, dove i resti dei cadaveri sono stati ritrovati in posizione sodomitiche e sadomasochiste, lanciando nell’aria gli effluvi malsani dei corpi decomposti da secoli, che vorrebbero imporre al mondo la prosecuzione dei loro odori pestilenziali di decomposizione e morte.

Un qualsiasi maestro intelligente, fregandosene dello spirito di corpo, farebbe scongiuri, sacrificando a qualche divintià pagana galli, gatti neri, gufi e rane pur di far si che “l’adorato “collega, col quale si reca, durante le ore di lezioni, a prendere il caffè, lasciando che i bambini si picchino in classe, che i più forti e pluripipetenti brutalizzino i più deboli, venga licenziato, felice anche di cedere l’anima al Signore delle Tenebre, se dopo la decapitazione – metaforica – di metà del corpo insegnanti , inutili, gli stipendi si alzino almeno del trenta percento, permettendo allo Stato di risparmiare, riservandolo alle vere necessità della scuola il restante settanta.

Ma la competizione tra insegnanti, non essendo stata insegnata a loro, non può essere applicata, in quanto il concetto tutto italiano di produttività, ricalca ancora il modello sessantottino, che ha distrutto la scuola, occupando posti e cattedre, senza conoscere il significato della parola merito, assunti – mangiando pane a tradimento – con la scusa che altrimenti le piazze della penisola sarebbero state incendiate dai manifestanti, e questo rigurgito rosso, usando ancora una volta i minorenni, continua tutt’ora, segno evidente che i “cattivi maestri” sono ancora ai loro posti di potere, pronti a mandare le truppe allo sbaraglio pur di salvare i loro stipendi.

Marco Bazzato
19.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

venerdì 17 ottobre 2008

Romanzo Peccabilita' di Vessela Lulova Tzalova

Vessela Lulova Tzalova, sotto il qui nome d’arte è celata Vesselka Bazzato è lieta d’annunciare che in data 23 ottobre 2008 alle ore 18.00 si terrà la presentazione del suo romanzo “Peccabilità” Slaviani Editore.


La serata si svolgerà presso la Casa di Cultura (Citaliste) Pencio Slaveikov, Boulevard Cerni vrah, 35, quartiere Losenetz (tram n. 9 e 10, fermata albergo Kampinsky Zografsky) Sofia.

Il libro sarà presentato dal critico letterario Blagovesta Kassabova. Conduce la serata Romagnola Miroslavova.

L’autrice, già membra dell’Associazione Nazionale dei Traduttori di Bulgaria, è da poco stata accettata nell’Associazione Nazionale degli Scrittori bulgari.

Il romanzo, in lingua bulgara, narra le vicende della giornalista bulgara Olivera Ganeva ed il poeta italiano Mauro Bianchi, il tutto intrecciato con satanismo e viaggi tra Bulgaria, Italia, Francia, Svizzera, Israele.

In Peccabilità, si narrano le vicende della famiglia Bianchi, le affiliazioni oscure dell’alta borghesia italiana, che per anni restano sepolte tra gli scheletri della dinastia, portate alla luce da Olivera Ganeva.

© MB International Literary Agency

mercoledì 15 ottobre 2008

25 Ottobre:Giornata dello sbattezzo


Sta sollevando una montagna di polemiche la “Giornata dello Sbattezzo” indetta dall’UAAR, col solito silenzio vaticano che odora di condanna contro gli eretici.
La polemica, oltre un aspetto prettamente religioso, assume dei contorni civili che toccano l’etica e il rispetto delle scelte individuali dei cittadini, che non si riconoscono nel rito – generalmente inferto – agli infanti da parte dei genitori, che li ha resi affiliati inconsapevoli – con la scusa usata per secoli del
Limbo ora rimesso alla volontà salvifica di Dio, senza alcuna certezza – ad uno Stato Straniero: Lo Stato città del Vaticano, retto da un monarca assoluto, che come si ricorda, durante l’ultimo incontro il Presidente della Repubblica Italiana e il Re Benedetto XVI, è stato accolto con gli onori riservati ad un Capo di Stato e poi al Capo della seconda religione del pianeta, dopo l’Islam.
D’altronde, non va dimenticato, che lo stesso
Gesù detto il Cristo, il Messia, secondo i Vangeli canonici, ha istituto il battesimo, per gli adulti, nel fiume Giordano, prassi poi cambiata nel corso dei secoli, fino a giungere al battesimo dei neonati per cancellare – per sempre – il peccato originale, rendendo i fedeli figli di Dio.
Va tenuto presente che il battesimo – che significa immersione nell’acqua, non è un’invenzione né Cattolica, né Cristiana, ma che affonda le sue radici nel
Mitrarismo, ossia il culto persiano di Mitra, antica divinità oggi considerata pagana, pagani che il cattolicesimo ha combattuto per affermare la sua supremazia, non solo spirituale, ma soprattutto economica, nel mondo occidentale.
Ma oggi cos’è il battesimo? Per un neonato, fino a quando non raggiunge l’età della ragione minima – ma non della conoscenza –ossia verso i sette od otto anni, praticamente nulla, poi col tempo, le convenzioni sociali e familiari, fanno si che questo rito, come altri riti, si sedimentino nella memoria individuale, continuando ad accettarlo come un dato di fatto indissolubile dalla propria persona e dalla propria anima.
Ma il battesimo oggi è soprattutto un enorme business economico, dove le famiglie si svenano per festeggiare la fronte momentaneamente bagnata del pargolo, che non capendo cosa avviene attorno a lui, abitualmente piange e strilla come un indemoniato, dove solo il conforto della madre riesce a calmarlo. Senza contare il corollario di costi aggiunti, come ristorante, bomboniere, vestiti, padrini – i quali spesso nemmeno credono a tutto ciò, salvo poi disinteressarsene del cammino spirituale del figlioccio, in quanto hanno altro a cui pensare.
Ma è con l’arrivo dell’età della ragione, sovente in tempi adulti, che si scopre che da bambini, come anche durante la prima comunione, sono state fatte
promesse, dettate dall’ignoranza, spinti da un isteria religiosa familiare collettiva, dalla non conoscenza dovute all’età, instillando dei sensi di colpa di difficile cancellazione.
La conoscenza, la
gnosi, osteggiata per due millenni dalla chiesa, combattuta come eresia, ossia la possibilità di scegliere diversamente rispetto a quanto dogmaticamente inculcato, perché consente, a patto che non vada contro il Cattolicesimo Romano Universale , il Libero Arbitrio, da inizio i problemi reali.
Infatti la Chiesa, definisce atei quanti avendo la conoscenza e non la mettono al servizio del cattolicesimo, accettandone in parte od in toto i dettami perché, a loro avviso, andando contro l’istituzione umana dello Stato città del Vaticano, ci si metterebbe – affermano – contro i voleri di Dio, il quale la Sua esistenza, non avviene tramite l’accertamento della ragione, ma tramite un atto di Fede o plagio, dipende dai punti di vista, che in molti potrebbe essere anche letto come circonvenzione in quanto limitati dal sapere o impossibilitati, perché assillati da problemi più importanti della vita, come ad esempio unire il pranzo con la cena, o trovare un posto di lavoro dignitoso per mantenere la famiglia, non possono permettersi il lusso d’andare a ricercare realtà storiche controverse, con poca attinenza con le difficoltà di tutti i giorni.
Lo sbattezzo, per chi ritiene corretto farlo, è un gesto già compiuto da tempo dai Testimoni di Geova, che chiedono, dopo la conversione alla loro nuova religione, la cancellazione dei nominativi dal registro dei battezzati presenti nelle parrocchie, come diritto, in quanto membri di una nuova comunità religiosa.
Ma se questo che viene compiuto da chi abbraccia un'altra religione, macchiandosi secondo il cattolicesimo e non solo, del reato di
APostasia, è abbastanza taciuto, oppure pubblicizzato – per interesse politico, come nel caso di Magdi Allam, il giornalista egiziano convertitosi con fanfare e Trombe di Gerico mediatche dall’Islam – che significa sottomissione – è diventato suddito sottomesso al cattolicesimo il 22 marzo del 2008, ricevendo da Benedetto XVI: battesimo, comunione e cresima, durante la veglia pasquale, tutti assieme .
Il problema inerente allo
sbattezzo, nasce in quanto i registri parrocchiali sono di proprietà di uno Stato Straniero, dove gli genitori, consegnano l”Anima” del figlio, visto che nel rito nella cerimonia religiosa non esiste il consenso informato, che la stessa Chiesa, che si erige Maestra di Verità, omette di dire, in quanto il tutto è regolato da accordi tra Stati, in questo caso Italia e Stato Città del Vaticano.
Lo sbattezzo, indipendentemente dall’aspetto di Fede, per chi continua ad averla, ha come ricaduta pratica la perdita diaccoliti,
sudditi, perché battezzati” del Vaticano, dove il vescovo di Prato, nel 1958 è stato assolto in quanto le contumelie sono state espresse in Chiesa, come capo religioso e morale riconosciuto e questo da l’esempio come la teocrazia, non solo allora, ma anche oggi in Italia sia impunemente strisciante.
Alla
chiesa universale romana, paradossalmente considera deteriore il risveglio, oggi a macchia di leopardo delle conoscenze individuali degli esseri umani, diventando un problema politico, economico e sociale di difficile controllo, in quanto la perdita di potere sulle menti dei cittadini italiani, equivale ad una perdita economica non indifferente. Basti pensare anche al fatto della mancata celebrazione di matrimoni, battesimi ed esequie, senza contare il danno d’immagine, che poi anch’esso ricade in mancati introiti.
Paradossalmente, sbattezzarsi, indipendentemente dalla propaganda mediatica della Chiesa, all’alluce anche della cancellazione del
Limbo, non fa perdere all’uomo la condizione – se mai esiste – d’essere Figli di Dio, ma attacca direttamente il cuore venale del piccolo Stato “indipendente” vaticano, che si regge in piedi anche grazie alle elargizioni – errate – concordatarie, firmate prima con i Patti Lateranensi da un primo ministro fascista, Benito Mussolini, morto fucilato, e successivamente, con l’Accordo di Villa Madama, aggiornato da un Presidente del Consiglio – Bettino Craxi – morto, secondo la giustizia italiana da latitante all’estero, o in esilio volontario in un Paese straniero in Tunisia, ad Hammamet.
Non va dimenticato, che proprio perché secondo la religione cattolica, il battesimo è un sacramento incancellabile, eterno, la Chiesa, su richiesta dei familiari, non potrebbe nemmeno negare le esequie cattoliche, proprio per il fatto Battezzare, significa cancellare
il Peccato Originale e attualmente non risulta l’esistenza di rito per rimettere il Peccato Originale, tramite un immersione diversa da quella effettuata la prima volta.
Da come si evince, anche sotto l’aspetto prettamente teologico, la negazione del sacramento delle esequie religiose, dei sacramenti quali la confessione e comunione, proprio per l’appartenenza eterna, non allo Stato Vaticano, ma a Dio dell’anima non possono, nel caso la persona lo richieda, essere rifiutati. A tal proposito va ricordato la negazione dei funerali religiosi a
Piergiorgio Welby, con motivazioni pretestuose, mentre al dittatore cileno Augusto Pinochet, a Francisco Franco, venerato come santo dalla Chiesa Cattolica Plamariana, in quanto quest’ultimo spalleggiato dall’Opus Dei, non sono stati negate le esequie religiose, segno che se amici del Vaticano, si possono commettere ogni genere di nefandezze, salvo poi aver comunque, in un modo o in un altro, forse, salva l’anima per l’eternità.
Da come si evince alla fine, il famigerato Regno di Dio in Terra, tenuto in mano dal cosiddetto Vicario di Cristo, Re dello Stato Vaticano, detentore di quel potere temporale, che se detenuto da altri è osteggiato verbalmente, ma anche e purtroppo con fatti storicamente accertato, non è altro che un accozzaglia di azzecca-garbugli legulea di bassa lega, legante pretestuosamente – usando il nome di Dio e di Suo figlio il Cristo – non storicamente certo, visto anche che nella stessa Bibbia Cei i riferimenti storici dell’epoca sono esili e sfilacciati – ad una serie di laccioli umani, ai più sconosciuti , che rendono l’uomo non libero nella fede ma, schiavo di una religione, che di divino non detiene dal III secolo, con l’
Editto di Costantino – più nulla di questo Gesù sconosciuto dalla stessa storia dell’epoca di Erode Antipa.

Marco Bazzato
15.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

martedì 14 ottobre 2008

Sbattezzo si, sbattezzo no

25 ottobre 2008, Giornata dello Sbattezzo

Gesù Cristo, secondo i vangeli canonici, battezzava sulle rive del fiume Giordano, adulti, non infanti, cioè persone in grado di intendere e volere, esattamente come fanno tutt’oggi i testimoni di Geova, quindi il fatto che degli adulti consenzienti chiedano la cancellazione – nel loro diritto – dal registro dei battezzati, la trovo una cosa eticamente civile. Poi non va dimenticato la secolare diatriba, inerente all’esistenza del Gesù come personaggio storico, quasi sconosciuto, anche come afferma la Bibbia Cei, agli stessi storici dell’epoca, ma diventato atto di religiosità dopo il II secolo d.C.

Personalmente mi tengo il mio battesimo, ma credo nella libertà individuale delle persone, di rifiutare da adulti, un rito che gli è stato inferto da infanti, avendo il diritto e pretendendo la cancellazione dall’elenco dei battezzati presenti nelle parrocchie, cancellazione che non piace ad uno Stato straniero: Lo Stato città del Vaticano e al suo monarca, in quanto abbassa il raiting della Chiesa Cattolica Universale.

lunedì 13 ottobre 2008

Marina Petrella: il dovere di morire in carcere


La giustizia umana è bastarda. Ne sanno qualcosa le vedove del processo Moro, che si sono viste uccidere, per la seconda volta i mariti, ora dallo Stato francese, con la complicità di un’italiana, Carla Bruni, recatasi al capezzale di una brigatista condannata – in Italia – all’ergastolo per confortarla sul fatto che non sarà estradata.

Questa in sintesi è la storia di
Marina Petrella, che prima di cadere in depressione perché arrestata in Francia, se ne stava tranquillamente rintanata, cercando di lasciarsi il passato alle spalle, cercando di dimenticare – sperando d’essere dimenticata – d’aver fatto parte del gruppo militarista romano delle Brigate Rosse.

E ora, solo perché quest’ergastolana latitante depressa, si fa alimentare con un sondino, in Francia, il governo “amico” le permette di rimanere impunita, con la Premier Dame che le tiene la mano, usando il pretesto umanitario.

Perché in Italia, la “moribonda” non poteva essere” curata”?

Anche i salami capiscono che questa è una decisione politica e l’umanità non c’entra nulla. Il governo francese si è preso l’onere di salvare l’onore dell’ergastolana latitante, cercando una falsa giustizia politica favorevole ai carnefici ed umiliante per i morti, che non possono combattere, schiacciando ancor di più i famigliari delle vittime.

Naturalmente la sinistra esulta per l’atto “umanitario” francese. Esulta per la grandezza d’Oltralpe che si prende amorevolmente cura di una ex povera ragazza,oggi depressa, perché se fosse ribattuta – come merita – in Italia, se la giustizia fosse vera giustizia, uscirebbe dal carcere coi piedi in avanti, non importa tra quanti anni.

Tant’è che i sinistri sinistrorsi, parlano, nel caso la Petrella fosse stata rispedita in Italia, di vendetta a scoppio ritardato, di vendetta dello Stato a distanza di trent’anni dagli eventi per cui è stata condannata in forma definitiva in vari processi. Ma la sinistra, come sempre, vuole l’umiliazione totale delle vittime e l’elevazione al rango di Martiri dei colpevoli, che secondo loro sono perseguitati politici, stesse parole che usa Berlusconi, quando qualcuno dei loro accoliti dalle mani sporche rischia l’eterna gattabuia.

Perché oggi, per un’assassina, che tale rimarrà per sempre, in quanto il morto non può resuscitare, si dovrebbe provare una qualsiasi forma di pietas umana, nei confronti di una criminale spietata, che in passato non si è fatta scrupolo ad uccidere, a rapinare, a sequestrare per la causa della politica armata delle Brigate Rosse?

I politicastri “amici o fiancheggiatori dei brigatisti ” dovrebbero invece che provare solidarietà per degli sporchi colpevoli, dovrebbero dimostrare sentimenti umani – se mai ne fossero capaci – nei confronti delle vittime, e dei superstiti. Mentre questi stolti sono pronti a parlare di “umanità” nei confronti di un’ergastolana latitante, protetta da uno Stato “amico” e felici della decisione presa, perché permette alla loro protetta ideologica di restarsene tranquilla senza pagar pena.

La Petrella, per rispetto nei confronti delle vittime, infischiandosene del suo stato di salute, dovrebbe essere riportata in Italia, con qualunque mezzo, a costo di provocare un incidente diplomatico, sbattendola – con le adeguate cure mediche, se mai fosse veramente necessario – in un carcere di massima sicurezza, sino al termine dei suoi giorni, senza contatti con l’esterno e tanto meno con i famigliari, figli compresi, affinché capisca nella propria pelle l’orrore della morte che ha inferto agli altri, trovando nella dipartita da questa vita, l’espiazione totale del male compiuto, morendo dimenticata, come tutte le vittime del terrorismo, uccise ogni qual volta si parla di amnistia per brigatisti degli “
Anni di Piombo”.

Marco Bazzato
13.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

domenica 12 ottobre 2008

Bulgaria-Italia: Italiani idioti


Gli szhabari, mangiatori di rane, come vengono spregevolmente – a ragione – chiamati gli italiani, hanno per l’ennesima volta mostrato il peggior volto all’estero, in occasione della partita Bulgaria – Italia terminata, dopo quasi due ore di sonno, 0 a 0, dove l’unica emozione è stato il tentativo d’aggressione degli animali italiani, rinchiusi in un settore dello stadio Alexander Levsky di Sofia, nei confronti degli ospiti, che guardavano l’italietta che si crede grande, solo se chiusa come scimmie in un recinto, comportarsi da primate.

Ma le scaramucce erano iniziate prima della partita, in un bar della capitale bulgara, quando al grido di “Siamo fascisti”, questi figli di cento padri ignoti e mamme che lavorano sui viali, si sono avventati conto i cittadini bulgari, che attendevano gli italiani, per l’ennesima volta – prendendola nel cul.. – a braccia aperte.

Ma l’errore più grave, è da imputare alla polizia bulgara, che in divisa antisommossa, anziché voltare gli occhi dall’altra parte, lasciando che lo sparuto gruppo di fascinosi le prendesse di santa ragione, è intervenuta placcando gli italiani esagitati, senza fracassare – erroneamente – nessun cranio, allontanando i tifosi bulgari.

A farne le spese, nelle prossime settimane, dopo il rientro in patria dei primati, sarà la numerosa comunità italiana in Bulgaria, che conta all’incirca, ufficialmente, 2000 persone, per lo più impegnate nel commercio e nell’industria, molti di loro sposati con cittadine autoctone, che al rientro a casa dallo stadio, saranno stati guardati, nonostante l’amore coniugale, come dei portatori di lebbra, sebbene non responsabili dei loro connazionali, esattamente come accade in Italia, quando un romeno commette un reato, che subito è colpevolizzata, a livello pregiudiziale, l’intera comunità.

L’esempio che questi “quattro” idioti hanno dato ieri sera a Sofia, a livello comportamentale, è da ritenersi identico a quello dei delinquenti romeni – tutti – così odiati a livello generico soprattutto dall’irrazionale e ritardata mentalmente, estrema destra italiana, che ha la pretesa d’essere faro – spento – di civiltà italica.

Il bello è che i bulgari, oltre a ricordare una partita mediocre, sotto tutti i punti di vista, delle due nazionali, per i prossimi mesi, avrà di che sparlare della “civile” Italia, lampadina bruciata di sapienza e valori etico-sportivi, fulgido esempio di tolleranza nei confronti dell’ospite, con la pretesa, peggio di un Hooligan sbronzo inglese, marcio come un cane infetto, guardando al “Bel Paese” come ad un covo di puzzoni dall’alito fetido, dagli occhi ciposi e pensieri, i pochi rimasti, come il rinnovarsi della Cloaca Massima umana, di romana memoria.

Vergognarsi, cospargendosi il capo di cenere, non ha senso, ma va ricordato che la colpa è anche del Ministero dell’Interno, in quanto soggetti erano conosciuti, e sono stati lasciati partire, forse ben consci che avrebbero fatto svergognare – peggio della nazionale calcistica, che non ha mai vinto a Sofia – l’Italia e gli italiani.
Esseri sub umani come quelli, andrebbero ammanettati ad un palo, manganellati preventivamente prima della partenza, all’aeroporto, rilasciati al termine, senza prestare cure mediche, al rientro degli azzurri, rimanendo senz’acqua e cibo per giorni in balia degli agenti atmosferici – fulmini compresi – fino al giorno, se mai avverrà, che riacquistano la ragione.

Ma la polizia italiana, ancora una volta, è stata troppo buona con questi portatori di pus mentale, e il danno d’immagine, come sempre ricadrà sugli altri.
Complimenti!

Marco Bazzato
12.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

sabato 11 ottobre 2008

Il Papa: Solo la parola di Dio è solida


“Il silenzio è d’oro”, dice un proverbio.

Ma per il Re dello Stato Città del Vaticano, questa regola aurea, è scritta sulla sabbia, spazzata via ad ogni alitar di vento.

Nemmeno durante la crisi delle borse mondiali, ha preso la palla al balzo, tacendo.

Ecco cos’ha detto il
panzer teutonico: «Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine». Lo ricordi chi «costruisce solo sulle cose sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi». Lo ha detto il Papa, parlando a braccio, in apertura dei lavori del sinodo dei vescovi sulla Bibbia. «Solo la parola di Dio - h
a detto - è una realtà solida».
Prima semplice domanda: perché si mostra sempre? Non potrebbe fare come la maggioranza dei suoi sottoposti, cioè lavorar tacendo, senza farsi vedere in pubblico, ripreso in Italia prima e mondo visione poi?

Va detto a quello li, piaccia o no, che gli italiani che si recano in chiesa, ogni settimana, secondo le ultime statistiche, non superano i settemilioni, all’incirca 1/8 della popolazione. In termini assoluti, una miseria. I cattolici sono – per ora – la maggioranza relativa del Paese. Bella figuraccia per un Papa che parla – senza portare prove – di un unico dio, relativo però per quattro gatti. Il cattolicesimo in Italia, se continua così, si dimostra ogni giorno di più una setta.
Ma cosa accadrebbe se anche questa sparuta minoranza, un bel mattino, svegliandosi dal come religioso, decidesse di non dare più il misero euro che ogni domenica lascia all’offertorio? Partendo dall’ipotesi che tutti rimettono un euro, il salasso domenicale sarebbe di 7.000.000 milioni di Euro, che moltiplicati per quattro settimane, farebbe schizzare l’importo delle questue a 28 milioni. In un anno 364 milioni, 728 miliardi delle vecchie lire. Questo solo in Italia. Immediatamente partirebbero campagne pubblicitarie per non impoverire il papato che potrebbe rischiar d’andar a mandare a fare i clochard tutti i cittadini del piccolo Stato Vaticano.

Ma volendo sognare, cosa accadrebbe se improvvisamente nessun firmasse per l’otto per mille –
6.000 milioni di Euro all’anno – allo Stato Vaticano? Il tedesco direbbe ancora che solo la parola di dio è solida? Chiaramente inizierebbe a preoccuparsi, forse anche centellinando la dispensa.

Si potrebbe però avere anche un'altra goduria, cioè se il ministro della pubblica istruzione decidesse di licenziare tutti gli 80.000 inutili insegnanti di religione, preti principalmente, ma anche i laici, che bivaccano tutto l’anno, un ora per classe, nelle scuole pubbliche dello Stato italiano, visto che i giovani se ne infischiano della cultura religiosa, preferendo dedicarsi al bullismo, al sesso, alle droghe e allo sballo, alla faccia delle loro belle parole.

Visto che allora secondo il vetusto monarca, solo la parola del dio cattolico è vera, cosa se ne fa il suo piccolo, ma potentissimo staterello di case, palazzi, banche, presenze in consigli d’amministrazione, banche private dentro proprio il piccolo Stato da lui diretto?

Perché costui non ordina ai suoi accoliti di vendere tutto, facendo come il poverello d’Assisi, dando tutto ai poveri? Per un motivo semplice: predicare dall’alto di un trono dorato, addobbato con abiti ridicoli, sgargianti e con le dita inanellate è facile, ma scendere nell’arena, vivendo in mezzo ai comuni mortali, vicino agli ultimi, a coloro che non giungono a fine mese, spogliandosi di tutto, è ben altra cosa, e il Ratzinger lo sa bene, per questo non lo fa. Troppo difficile visti i suoi 80 anni suonati che si metta a fare il predicatore scalzo.

A molti può sorgere la domanda: questa qua tiene contatto con la realtà quotidiana, fatta di problemi reali, di sogni infranti, fatta dalle difficoltà anche di conciliare il pranzo con la cena, pagare le bollette, rispondere per le rime ad un vicino rumoroso, oppure mantenere i nervi saldi quando qualcuno attacca e denigra senza motivo? Evidentemente no, visto che costui ha passato la stragrande maggioranza della sua esistenza dentro le “sacre” mura religiose, nelle chiese, nei conventi, in seminario, distante dal mondo che corre frenetico, dal brusio della vita reale, dai rumori e dal caos che quotidianamente sovrasta l’esistenza delle persone veramente normali.

È chiaro che il boss vaticano fa il suo lavoro, ma non si capisce per quale motivo i media italiani, a differenza di quelli stranieri – che se ne fregano – debbano andare dietro, porgendoli platea, rimandando ogni starnuto, movimento di stomaco o intestinale, ogni retorica, spacciata per fede, ma mai provata, visto che il 99,999% dei casi si esprime per citati e lo 0,001 è pensiero proprio, quando BXVI non aiuta in nessun problema pratico di tutti i giorni, ma solamente pontifica. Si sa per fortuna, che prima o poi, anche i ponti più solidi, alla fine crollano. Basta avere pazienza ed attendere, intanto però portafoglio – per loro – chiuso e tappi sulle orecchie per non sentire, e dito sul pulsante del telecomando, o pollice inumidito sulla pagina del quotidiano, per toglierla immediatamente dagli occhi, potendo continuare a vivere meglio, con i quotidiani problemi, che nessun pontefice né può, né tanto meno vuole praticamente risolvere.

Marco Bazzato
11.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

giovedì 9 ottobre 2008

6.000 MILIONI DI EURO NON REGALIAMOLI PIU' AL VATICANO

Ricevo e pubblico

Sono soldi dei cittadini italiani che ogni anno si intascano i preti. Cancelliamo il Concordato col Vaticano. Lo Stato Italiano deve smetterla di regalare milioni di euro a Ratzinger e alla sua cricca.

«Ma quando una lunga serie di abusi e malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre tutti gli uomini all’assolutismo, è loro diritto, è loro dovere, rovesciare un siffatto governo, e provvedere nuove garanzie alla sicurezza per l’avvenire.» Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776.

di Ennio Montesi

E’ giunta l’ora di incazzarsi oppure no? Ogni anno oltre 6.000 (seimila) milioni di euro vengono regalati - re-ga-la-ti - dallo Stato Italiano allo Stato Vaticano, cioè ai preti. In cambio di cosa? di niente. Ogni anno il signor Joseph Ratzinger e la sua cricca di uomini in gonna, pizzi e merletti si mettono in tasca - grazie al furbesco meccanismo dell’8x1000 - la bellezza di 6.000 milioni di euro, nostri. I preti si pappano mezza finanziaria di soldi che appartengono a tutti noi cittadini italiani. Si tratta di un vero e grave sopruso e di una mancanza totale di rispetto, di lealtà e di onestà verso gli italiani soprattutto verso tutti quelli che sono angosciati dall’incubo delle rate del mutuo, dalle bollette da pagare, dall’affitto di casa, dal lavoro precario, dalla disoccupazione e dall’interminabile catena di incubi economici dalla quale non si arriva più né a fine mese, né a mezzo mese.

Ed è anche naturale incazzarsi per l’affermazione cialtrona fatta dal signor Ratzinger il 6 ottobre 2008 al sinodo. Ecco il ridicolo commento di Ratzinger diffuso col solito suo accento tedesco e la sua faccia di bronzo: “Nella crisi delle grandi banche scompaiono i soldi, ma non sono niente, perché tutte le cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine. Lo ricordi chi costruisce la propria esistenza, solo sul successo, la carriera, e i soldi”. Dargli del faccia di bronzo probabilmente è poco, ma ognuno sostituisca col termine che gli aggrada. Ci dobbiamo allora chiedere perché il signor Ratzinger non rinunci ai nostri soldi dell’8x1000, ma anzi ogni anno ce la meni a non finire con pubblicità martellante bussando a cassa, la nostra cassa? Perché lui, il signor Ratzinger, non fa invece un atto di coraggio, di lealtà e di onestà rinunciando al Concordato, quindi ai nostri 6.000 milioni di euro annui? Se qualcuno glielo volesse chiedere lo può chiamare in Vaticano al numero di telefono: 066982, tanto non ha nulla da fare. Per sfornare simili idiozie non ci vuole alcuno studio speciale. Proprio quest’individuo medioevale agghindato in cuffietta rossa, mantellina di ermellino, sciarpa ricamata d’oro, scarpette di velluto, scettro intarsiato e patacche varie appese al collo (come i personaggi infantili e disturbati delle favole di Andersen) viene spudoratamente a darci lezione sull’inutilità dei soldi mentre l’altra sua mano è già aperta, avida e su un dito spicca un anello d’oro grande come una prugna. Ratzinger pretende, esige, vuole e si mette in tasca la somma colossale di 6.000 milioni di euro di tutti noi italiani. Una specie di super-pizzo di 6.000 milioni di euro che lo Stato Italiano, quindi tutti noi italiani, gli dobbiamo dare senza fiatare e a tutti i costi. Ci vuole una bella faccia da prete per dire quello che ha detto. E Ratzinger ce l’ha.

In concreto, come si fa a risparmiare questi 6.000 milioni di euro ogni anno evitando di sprecarli e non farli entrare nelle tasche senza fondo dei preti? Se esiste ancora uno straccio di parlamento italiano eletto dai cittadini e un seppure miserevole governo e una seppure pietosa opposizione la soluzione è semplicissima. Bastano pochi minuti e il problema è presto risolto: cancellare il Concordato tra Stato Italiano e Vaticano. E’ sufficiente la cancellazione del Concordato e la banda del Vaticano non sarà più mantenuta e foraggiata a spese di noi contribuenti italiani. Senza il Concordato i 6.000 milioni di euro restano in tasca all’Italia e finalmente con quei soldi ci si possono costruire scuole, ospedali, asili, istituti di accoglienza per anziani, di cose da fare certo non mancano in questa Italia alla canna del gas. Con tutti quei soldi si potrebbe dare vita ad almeno altre due nuove compagnie aeree di bandiera italiana funzionanti e moderne ogni anno. Altro che Alitalia! Ci potremmo permettere altre Alitalie, sistemare le strade che fanno schifo, fare funzionare i treni che fanno schifo e gli ospedali che fanno schifo.

Se ci aspettiamo che i volponi del Vaticano non pretendano più i nostri 6.000 milioni di euro significa che siamo un popolo di italioti e di imbecilli. Il debito pubblico è altissimo, il recesso è in atto, le borse tracollano, la crisi economica ci sta inondando come uno tsunami, le banche falliscono e quelle che non falliscono fanno fallire le famiglie e i pensionati, ma nonostante tutto, da mentecatti, continuiamo imperterriti e testardi come muli a regalare 6.000 milioni di euro ogni anno agli stregoni del Vaticano.

Sta a noi italiani esigere dallo Stato Italiano l’interruzione immediata del super-pizzo di 6.000 milioni di euro annui cancellando il Concordato. Così ci togliamo una volta per tutte questo cancro economico che ci assilla e fa regredire la nostra economia. Se non siamo buoni ad ottenere questo semplice atto dovuto, beh, allora significa che ci meritiamo ancora peggio di come stiamo. E dobbiamo incazzarci solo con noi stessi.


Ennio Montesi

Questo testo è in regime di Copyleft: la pubblicazione e riproduzione è libera e incoraggiata parchè l’articolo sia riportato in versione integrale, con lo stesso titolo,
citando il nome dell’autore e riportando questa scritta.


Nella foto, lo scrittore Ennio Montesi, fondatore di Axteismo

Fonte:
http://nochiesa.blogspot.com
Diffusione: Axteismo Press l’Agenzia degli Axtei, Atei e Laici
http://nochiesa.blogspot.com

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martedì 7 ottobre 2008

“Progetto Emmaus”, di Marco Bazzato



Vive, il mondo cristiano, di una promessa: Gesù di Nazareth, il Dio fatto carne che con la resurrezione sconfisse il supremo male della morte, ritornerà sulla Terra. Su questa certezza per i fedeli, sulla medesima, intrigante ipotesi per i non credenti, si sono spesi secoli congetturando il tempo, il luogo, la modalità di un ritorno così sconvolgente.

Marco Bazzato è l’autore che, più di recente, ha messo in moto la sua inesauribile fantasia per riportare tra noi il Cristo scegliendo, non certo a caso, di inserirlo in un presente che con le sue mille contraddizioni, con il progressivo distacco dalla spiritualità determinato dal materialismo imperante, non potrebbe presentarsi come più opportuno, e al tempo stesso scomodo, per una tale, tramutante venuta.

Non si pensi che l’autore di “Progetto Emmaus” voglia, attraverso il suo racconto, rubare il mestiere ai saggisti: la sua opera va semmai ad inserirsi nella corrente letteraria della fanta-teologia oggi in ascesa perché, proprio oggi, si fa sentire più acuto il bisogno del Grande Emendatore capace di curare i mali di un mondo che, il Pontefice stesso, definisce “gaudente e disperato”.

Ecco allora che Bazzato si fa avanti per gridare, attraverso la sua versione del ritorno del Salvatore, una denuncia forte e priva di qualsiasi reticenza o clemenza, contro i duemila anni di corruzioni e degenerazioni che hanno stravolto il senso stesso del Verbo. Sembra, anzi, che l’Emanuele dei nostri giorni immaginato dall’Autore non sia che l’efficacissimo pretesto per denudare dei suoi vistosi ma falsi orpelli ogni responsabile di un deviazionismo tanto nocivo.

Un pretesto - dicevo - ma intenso e ben definito assieme alla descrizione della sua corte di contemporanei seguaci; i medesimi che già gli furono accanto due millenni or sono. Non ne manca quasi nessuno: da Pietro a Giovanni a Paolo, dalla Maddalena a Maria stessa, trasfigurati nel costume epocale che ci è proprio, eppure così riconoscibili all’interno dei loro immutabili ruoli. E nella storia si muovono anche i nemici di allora divenuti gli avversari di oggi che, per non turbare uno status quo sorretto da giganteschi interessi inscindibilmente concatenati tra loro, ancora macchineranno affinché il sommo potere divino non venga a turbare quello bassamente terreno.

Qui non si dice, ovviamente, la conclusione di una vicenda che procede a tratti come un incalzante film d’azione per riassestarsi poi sulla connotazione del mistery più fitto: ma sappia il lettore che le trame ordite al fine di impedire che il disegno di Emanuele si realizzi, coinvolgono la CIA e il Mossad, gli emissari del mondo islamico, il potere finanziario internazionale, i governi degli Stati più potenti del pianeta. Tutti rotanti attorno ad un Vaticano conflittuale e lacerato dove l’Opera è un’influente congregazione, fulcro delle azioni messe in atto per neutralizzare gli intenti del redivivo Salvatore.

Conseguente ed ottimo è il modo in cui Bazzato assegna un ruolo fondamentale ai media, all’elemento cioè mancante nel secolo zero e che oggi, invece, è capace di determinare tanto; vuoi a favore, vuoi contro qualsivoglia vicenda debba coinvolgere una pubblica opinione in parte manovrata e in parte addirittura inconsapevole dell’evento straordinario, immenso che si sta consumando sotto i suoi occhi svagati.

Un Cristo-Emanuele ben tratteggiato nella sua sofferta debolezza fisica ed ancor più sicuro e determinato nella volontà divina che sorregge il suo disegno, si muove dunque nel romanzo procedendo sopra la traccia della scrittura di Bazzato come se nuovamente camminasse leggero sulle acque. Uno stile letterario scorrevole e piano, quanto mai attuale; a volte persino eccessivo nell’intrecciarsi dei dialoghi di protagonisti e comparse, contrassegnati da un linguaggio ordinario che si discosta in modo volutamente smaccato dall’eloquio antico, o fuori da ogni tempo, del Nazzareno.

Da questo insieme di coinvolgenti alchimie, insomma, deriva un libro che avvince, privo delle tanto comuni fasi di tedio. Infatti è davvero sorprendente la densità degli eventi che l’Autore propone in un susseguirsi che non dà tregua e che spinge il lettore alla conclusione dolce-amara della vicenda ad un ritmo più che incalzante.

Non è compito del recensore indagare sull’attendibilità delle ipotesi, né di certo è un dovere del romanziere proporre temi e narrazioni più condizionati dal reale che dall’inventiva: resta però una piacevole opzione del lettore quella di affrontare un libro vivace e ricco che saprà intrattenerlo facendolo anche riflettere sul degrado degli alti ranghi di una società di cui tutti, se non artefici, siamo certamente e tristemente partecipi.

Anna Antolisei
Giugno 2007

* * *

Risveglio dal sonno cristiano




Questo sonno religioso è uno dei più continuativi della storia umana. Esso purtroppo aveva assai pochi centri d'attrazione, forse le forze centrifughe spesso avevano il sopravvento sopra le forze centripete, e inoltre si sentiva grande scarsezza di fascino. I motivi? Ormai sono storicamente noti: tradimento, vittoria fariseica, crocifissione, persecuzione dei cristiani, inquisizione, eresie…e sopra a tutto questo, da duemila anni pendono le reliquie martirizzate del Redentore. Che tuttora sono lì.

Ma cosa succederebbe se il sonno diventasse nuovamente realtà? Una domanda eretica che Marco Bazzato ambiziosamente si pone, e insistentemente cerca la risposta nel suo romanzo Progetto Emmaus.

Ad uno sguardo di sfuggita, questo è un libro con un appesantito inizio avventuroso: l'azione domina sul ragionamento, lo spazio designato per le deduzioni dell'autore è abbastanza chiuso, e le svolte sono più biografiche, piuttosto che la sfida rivolta verso il torrente della coscienza.

Dove sono però le precedenze di questo libro che vale la pena d'essere consigliato? Devono essere cercate innanzitutto nel suo carico morale. Nella critica verso l'ordine mondiale, non però da sinistra o da destra, ma dal punto di vista dell'umanesimo; nella sua furiosa negazione della piaghe rodenti dell'Istituzione Vaticana.

Il conflitto tra la Fratellanza, alle spalle di cui chiaramente si nasconde qualche tardivo ambiente gnostico, probabilmente di specie massonica in cui è implicato un cardinale di origine polacca, che successivamente diventerà Papa; e dall'altra: l'organizzazione Opus Dei che usa i principi di Sant'Ignazio de Loyola. L'Opera è durevolmente intrecciata nelle strutture del Vaticano, che in effetti sono una proiezione del antico conflitto tra eresia e potere ecclesiastico.

Ma nel romanzo sono propagate le profondità storiche di questo contrasto: Esseni e Farisei, cristianesimo primitivo e cristianesimo di Stato, Cristo e Satana, il Tempo di Salomone, e la chiesa di Pietro e Paolo, gnosi e cattolicesimo, eresia e sacra inquisizione, il libro segreto dei Bogomili di Concorrezzo, e la Sacra Scrittura canonizzata dalla chiesa.

La tecnica moderna e metodi medioevali e inquisitoriali, si fondono idealmente per realizzare il Progetto Emmaus. Il romanzo ha una domanda fondamentale: è possibile con mezzi meccanici corrispondenti come sostanza ad un'epoca materiale come quella attuale, far tornare il Redentore sulla terra affinché riprenda nuovamente come una spugna cosmica i nostri peccati bimillenari?
Fino a che livello Emmanuele copre l'immagine di Gesù? Questo rimane come un punto interrogativo durante l'intero romanzo. Uno però è condotto categoricamente: se oggi il Messia apparisse nuovamente all'umanità, verrebbe accolto come ingannatore, brigante, distruttore dello status quo della chiesa, mettendo in pericolo il potere sacerdotale. Anche la risposta dell'autore del romanzo è inequivocabile; che cosa attende questo Redentore nella vecchia Europa? Sofferenze inquisitoriali e per la seconda volta la crocifissione; e nella nuova Atlantide al di là dell'oceano - un processo che lo porterà alla condanna, e nel caso migliore, il successivo spegnimento tormentoso in qualche manicomio.
Il messaggio di Marco Bazzato è enunciato chiaramente: la storia del Golgota è destinata a ripetersi, se è destinata a ripetersi anche la storia di Betlemme. Detto con altre parole: né nei confronti del semidio, né nei confronti dell'individuo semplice, qualcosa è generalmente cambiato in duemila anni di storia terrestre.
E la salvezza? E la luce nel tunnel? Per Bazzato essa è nell'unità dei figli di Abramo: Giudei, Cristiani, Musulmani contro le istituzioni e i poteri delle tenebre. Solo così Emmanuele potrà essere liberato dal crocifisso e riportato nel Tempio; solo così potranno guarire le sacre ferite nel suo corpo, e tramite lui potranno essere concepiti i figli dell'Eden. Questa unione è stata vista nuovamente dalla visione dei Bogomili e dei Catari- come resistenza contro Satana e la sua entrata solenne attraverso la porta Vaticana, spalancata davanti a lui.

Il romanzo è un racconto ansimante per la battaglia eterna dell'elitarismo del Tempio e la profanazione della Chiesa. Dove si trova però lungo questa strada l'autore? Lui tuttora non è penetrato nella Dimora, perché altrimenti il suo verbo e il suo pensiero sarebbero stati diversi. Le lingue iniziatiche suonano più metaforiche e più assorte, con una grande sensibilità verso il mistico. Ma da un'altra parte, Bazzato da un tempo ha girato le spalle anche alle folla all'atrio del Tempio. I doni che porta e lascerà sotto le sue colonne sono antichi: umanismo, fede, tolleranza religiosa, e libero pensiero.

Gli basteranno però, le forze e il tempo per vedere il mondo della vanità, anche dal lato interno del suolo del Tempio? Qualche segni parlano in merito ad una simile supposizione: i riferimenti verso gli Apocrifi, il suo fatidico rapporto con la Bulgaria-Terra di eresia secolare, di tolleranza religiosa millenaria, come la sua curiosità verso frutti proibiti vietati dal Dogma.Forse il suo appello per l'alleanza religiosa ha sorpassato assai il tempo. Forse fino ad un certo punto, questa speranza può apparire naif, che i figli dell'Eden scendano sulla terra in sembianze umane, tramite l'amore tra uomo e donna. Forse il vagabondare dei personaggi del romanzo possono assomigliare al movimento caotico delle particelle di Brown, e l'ultimo messaggio finale del libro è più pessimistico, di quanto presuppone l'amore nella piramide di Cheope, e la cicatrizzazione delle ferite di Gesù. Alla fine, la sorte dell'alunno può ancora perdersi nella nebbia del tempo futuro, e anche dalla strada di apprendista, del Maestro e il paladino della Rosa e della Croce, dividendolo ancora in trentatre gradini. Ognuno di essi, porta un dono all'adepto, ma a volte la ruotine sovrasta e ferma l'evoluzione. A volte non basta la fede per continuare a salire verso il mistero. A volte l'animo umano non sa se è meglio continuare a sognare, oppure finalmente svegliarsi dal sonno religioso. A volte il velo, coprendo gli occhi, impedisce di vedere la porta del Tempio di Salomone.Passerà Bazzato il suo suolo? E cosa troverà lì?

Il vertice della Piramide appartiene ad un altro mondo che è invisibile al non iniziato, sono pochi i prescelti che entreranno in esso, e meno solo quelli di che sono destinati a vedere la prima pietra del mondo di Dio.

Probabilmente il restarne fuori, porta e crea meno disagi. Marco Bazzato però in nessun caso non è quell'adepto che una volta affacciatosi innanzi al suolo del Tempio si rifiuterà d'entrarvi dentro.
Natalia Andreeva
Germania, 2006

lunedì 6 ottobre 2008

Leni Danarova e Arida Capotekrava e l’oscurità dell’esistere






C’era una volta, o c’è oggi, ma domani non si sa ce ci sarà – come tutti del resto, in quanto dalla vita se n’esce solamente morti – in un Paese lontano, una piccola donna rotondetta, quasi grassa od obesa – dipende dai punti di vista – oggi forse sulla cinquantina, con gli occhialetti con montatura marrone, simile, come colore a quello di una “boassa” di vacca stitica, mioope e dala falcata minuta, che fa tanto Enrico Cuccia, l’ex presidente di Mediobanca, scomparso da tempo.
La signora si è laureata – al tempo del socialismo reale – nella più rinoma
ta Università dei Balcani, prima della caduta del Muro di Berlino, quando non contava non la bravura, ma la “Fedeltà alla Causa”, al partito, ma principalmente se aiutate dal cognome paterno, reduci della seconda guerra mondiale, che in quelli anni si aprivano, grazie a legali corsie preferenziali, strade e carriere immeritate.

Oggi Leni Danarova è una donna soddisfatta, felice del suo ruolo, del posto nel mondo accademico, serena perché pensa di saper insegnare – come una bulletta del Rione Santità pluriripetente, urlante ma omertosa – le regole della grammatica straniera in cui si crede Regina assoluta ed incontrastata, dove dall’alto della cattedra può catechizzare ideologicamente i poveri sudditi universitari, che vorrebbero apprendere di più della lingua straniera ma, pena sguardi biechi di riprovazione, sono costretti solo a prendere appunti, tacendo, senza fare domande, perché forse probabilmente se fatte fuori dal quel poco di in seminato e germogliato in testa , gli studenti riceverebbero deplorevoli silenzi.

Leni si limita ad entrare in classe, appoggiando sul pavimento la pesante borsa, dove tiene gelosamente nascoste, ma imparate a memoria, ogni singola lezione, e inizia a pontificare, educando.
Leni parla, ma non ascolta, guarda,
ma non osserva, vede, ma non memorizza. Tutto attorno a lei sembra sfocato e indistinto, col mondo che passa alla velocità di un Eurostar in viaggio verso uno schianto mortale, verso un deragliamento figlio dell’imperizia, verso un’ultima stazione, dove l’unica vita d’uscita certa è la morte. Morte non genera altro che pianto e stridor di denti, lamiere accartocciate, vetri infranti e corpi smembrati.
Leni insegna quasi rabbiosamente, con un tono di voce basso, modulato come una Sirena portatrice d’eventi nefasti, visto che nel suo Paese la bassa voce significa rabbia e minacce, perché ha paura. Ha paura, che un domani, non troppo lontano, gli studenti, fatte adeguate esperienze,fuggiti al suo macchiavelico controllo, possano imparare a ragionare con le loro teste, capendo che tanto forse è stato detto, ma poco gli è stato spiegato, perché costei vorrebbe eternamente essere – manco fosse una divinità eterna – la ferrea detentrice del sapere, negando che alla fine, come per tutti, l’ultima sua dimora, sarà nella “collina degli stivali”.

Gli studenti basiti tacciono. In quelle giovani menti, desiderose di sapienza giungono, come gli echi d’una battaglia campale della I guerra mondiale, i colpi di mortaio e cannone sparati dalla voce stridula di Leni che vorrebbe, prima, farsi udire da se stessa, provando a sentire quel richiamo bambino, ucciso dalla storia, schiacciata con orgoglio dal peso di una dittatura che a suo tempo la vedeva gaiamente in prima linea, e fiera verso il “Luminoso Futuro Socialista”, col braccio irrigidito sul tronco e la mano destra al cuore, cantando a squarciagola, come una campana col batacchio malformato e stonato, l’inno nazionale, all’annuale parata militare, urlante e decantante le lodi delle sconfitte fasciste.
Gli anni trascorsero, alla velocità di un film muto di Buster Keaton. Gli universitari passavano sotto i suoi occhi e sgrinfie, cambiando. Mentre le giovani e fresche menti erano sostituite da nuove generazioni d’universitari, lei come una cariatide – semestre dopo semestre, anno dopo anno, decennio dopo decennio – sempre più incartapecorita, rimaneva.

Rimaneva integerrima, come il soldato giapponese, il quale non sapendo che la II Guerra Mondiale era terminata da sessantanni, resta suo posto, sull’avamposto in un’isola sperduta del Pacifico, non segnata nemmeno sulle mappe di navigazione.

Gli studenti passavano come meteore che si disintegrarono all’ingresso nell’atmosfera, trasformandosi in scie luminose, stelle cadenti e morenti, scavanti minuscoli crateri nel terreno; come in una specie di selezione darwiniana, solo i più resistenti sopravvivevano alla furia devastatrice del suo indottrinamento.
Solo gli universitari più scaltri, prevalentemente “femmine”, col pelo sullo stomaco come “La donna scimmia”, sebbene non con la preparazione migliore, riuscivano ad entrare nelle sue grazie, ma a patto che si rimettessero in modo completo e totale al suo volere, firmando un patto di sangue con Satana, Signore delle Mosche e delle anime perdute.

Leni sapeva tutto, insegnava tutto: grammatica, filologia, etnocultura, ma soprattutto teoria della traduzione. Insegnava con la forza bruta di un bulldog randagio, risultante per deficit mentale, mal addestrato, senza aver per anni tradotto un libro. Eppure si reputava una recensente scafata del lavoro altrui, senza averne mai affrontato le difficoltà. Ma l’atrocità più nefasta era che insegnava agli studenti come tradurre, dando ogni genere degenere di cognizioni teoriche, o testi da elaborare da un linguaggio arcaico ad un linguaggio contemporaneo, salvo poi, forse in futuro, farne qualche libro, impossessandosi del lavoro altrui, affibbiandoci il suo nome in bella vista.

Poi un bel giorno di un passato lontano, è arrivata la prima traduzione, il primo libro. Un libro di un Capo di uno Stato teocratico straniero, e per riconoscenza verso quel dio che ne negava l’esistenza, provò ad elevare una preghiera al cielo, ma non conoscendone una – in quanto il suo Dio socialista imponeva l’ateistica ignoranza religiosa, ma indottrinata ai sacri testi di Stalin e Mao, ma provò a pregare, durante un temporale della Madonna, dove tuoni rombavano in cielo e i fulmini si scaricavano a terra. Poi finalmente le sue “preghiere” furono esaudite, in modo misterioso dal Cielo, e un chicco di grandine, grande come un limone, la colpì al capo, facendola stramazzare sul marciapiede, dove rimase per ore. E il mondo, per alcuni minuti, sempre troppo brevi, ebbe pace e silenzio.

Ad un certo punto il Muro cadde e il mondo cambiò. In quella parte d’Europa, per anni dimenticata dall’occidente, si era affacciata una nuova realtà, il nuovo mondo, la nuova utopia, l’Eldorado da seguire, la nuova ideologia diventandone servi vili e servili, attaccando – per l’ennesima volta – la carrozza, dalle ruote craniche bucate, alla locomotiva dei vincitori, svendendo al miglior offerente la propria identità, la propria essenza perduta – da sempre – nel giorno dell’aborto della coscienza.

Ma a Leni nulla importava. Il passato, il socialismo reale, i partigiani antifascisti, le tessere privilegiate per entrare all’università, per accedere – senza alcun sforzo, a parte quello della presenza come dormiente alle lezioni, ed in seguito alle vette più alte dell’insegnamento – non per qualità proprie – ma sulle spalle del padre. Tutto dimenticato, spazzato via come quei giovani che, piccone alla mano, univano Berlino in un'unica città,dentro un'unica storia, costruendo la nuova storia, ma soprattutto celando sotto il tappeto , rimuovendo dalla mente, le vergogne del passato.

In quel tempo, pochi anni dopo la caduta del Muro, aveva finalmente ricevuto – per grazia di un dio a cui nemmeno credeva – la libertà. Libertà di pensiero, di parola, ma soprattutto la libertà più grande: quella d’essere bandiera sventolante a seconda della direzione del vento.

Leni era come un cane da caccia, irriconoscente, addestrato a fiutare la preda. Sapeva servire ogni padrone, eppure non si faceva scrupoli d’azzannarlo, se in preda ad un raptus, al collo. Il suo nuovo dio, la nuova scoperta, il nuovo mondo si chiamava Capitalismo, senza rinnegare mai la sua primogenitura culturale: il Totalitarismo. Creando nel suo Paese, ma essenzialmente nella sua testa, il primo Capitalismo totalitario, come un Ceauşescu dei coatti, nel campo culturale e universitario,voleva sentirsi signora e padrona.
Solo lei doveva essere regina assoluta ed in
contrastata del sapere e della conoscenza tra il Paese occidentale, in cui si credeva esperta, e la sua patria. Lei e nessun altro, pena la morte sociale ed economica, mascherata esclusivamente dalla Sua da libertà d’espressione, andava usata contro chiunque osasse attaccare il suo feudo illuminato da un oscurità atroce e senza via d’uscita, ove lei, da decenni si era persa nei meandri e fagocitata nei corridoi nascosti ed imperscrutabili della sua stessa mente.

Gli anni dopo la caduta del Muro di Berlino passarono. Ed a lei si spalancarono le porte della Università straniere. Poteva finalmente sfoggiare il suo sapere, alla sua erudizione grammaticale, la perfetta conoscenza. come un matematico artistico, delle ferree regole che regolano una lingua. Poteva insegnare, fuori della sua patria, alle giovani menti straniere.

Era orgogliosa, felice come una bambina che può rapinare un negozio di giocattoli con una pistola ad acqua, certa di rimanere, per decenni, impunita. Quando rientrava in patria sentiva che il mondo – nel suo Paese – era ai suoi piedi. Poteva raccontare ai bifolchi che cercavano d’uscire dal lungo stallo dell’economia dovuto al dopo 1989, quello che voleva, accrescendo in maniera esponenziale il proprio ego, sentendosi, come uno dei leggendari Cavalieri della Tavola Rotonda, invincibile.

Gli anni trascorsero. Lei, andava e tornava in patria, tenendosi però ferocemente incollata la poltrona universitaria, al deretano ricco di cellulite e smagliature e pelle a buccia d’arancia, attenta che nessuno fuori del suo cerchio“magico, che non fossero fedeli adepti iniziati, non potessero, non solo mettervi piede, ma nemmeno respirare la sua alitosi di sapienza infinita.

Giunsero finalmente le traduzioni. La prima, tenendo non si è mai capito come, due piedi su tre argini, per un Paese sovrano terzo, per un monarca teocratico assoluto dello Stato più piccolo, ma economicamente dal reddito pro capite, più ricco del mondo.
Era giuliva, felice. Felice come una bambina diabetica che entra in un negozio di dolciumi, infischiandosene delle conseguenze, ingurgita bignè alla crema, brioches, caramelle, dolcetti ipercalorici, col rischio di coma e costretta poi ad abbondati iniezioni in dosi da cavalo, di insulina.

Ma quel primo testo libro fu un fuoco fatuo. Fuoco che si eleva dai cimiteri, da sotto terra, dove i corpi iniziando a decomporsi, emanano gas venefici, che salenti in superficie, sottoforma di fiammelle blu creano leggende nere e incubi, principalmente alle bambine col rischio di calvizie precoci, costringendole a portare la bandana, come se sottoposte a cicli di chemioterapia.

Ma Leni anni prima era andata oltre le proprie possibilità scrivendo una grammatica, che oggi è vista dagli specialisti come un insulto alla lingua dell’ autodivinizzatasi. Il libro à tuttora presente nei mercati rionali della capitale, venduto clandestinamente come merce avariata e tossica, quasi sottobanco sui carretti trainati da somari o vecchi ronzini, degli zingari e in rete, sebbene in pochissimi, visti i nuovi testi ora editi, hanno più interesse all’acquisto di un libro che oggi profuma come la carcassa di un dinosauro rimasto per mesi sotto il sole equatoriale.

Eppure nel corso dei decenni, Leni, quasi sicuramente avrà pestato i piedi a troppa gente, troppi professori suoi colleghi, che alla fine, col dente avvelenato, hanno trovato il modo di farla sentire come una scolaretta delle medie, costringendola ad un angolo, di cui, se ne avesse coscienza e conoscenza di dove è stata gettata, acquisterebbe una piccozza, iniziando a scavarsi – dopo aver sfondato il pavimento della stanza, demolito le fondamenta – una fossa, dove nessuno, nemmeno i figli all’estero,saprebbero come trovarla. Ma questo sarebbe poi avvenuto, oggi a sua insaputa, nell’ottobre del 2007, quando, dicono i ben informati, una commissione di un concorso di traduzione, istituto da un istituzione culturale dove Leni si crede esperta, senza nemmeno sapere chi fosse, ha invitato la vincitrice a “lavorare alacremente, tornando a studiare dalle prime classi elementari, sia sulla lingua di cui ha orgogliosamente, ma incautamente, la cattedra, sia sulla propria lingua materna, che a detta dei suoi connazionali, risulta quasi completamente incomprensibile, come se fosse stata scritta da un aliena di X Files, o di Indipendence Day.

Intanto Leni continuava come una Vedova Nera, l’aracnide che si ciba dello sposo, dopo le nozze, a tessere la sua tela, circondandosi come un Andrei Cikatilo fallito, dimenticato, e giustiziato, di adepti che la facevano apparire ai discepoli adoranti come una Mamma Ebe, santona ed imprenditrice, condannata per circonvenzione d’incapaci, percosse e plagio, ad auutoedificarsi il culto della personalità di leniniana memoria.

Il suo gruppo, composto da sole donne, come amazzoni, estintesi dalla storia, ha come capofila, pronta ad inviare ai materassi le picciotte, una certa Arida Capotekrava.

Arida Petrorakova è una donna, anzi, una single, una signorina – i maligni pensano addirittura illibata – che nel suo Paese, essere “libera” a quasi trent’anni la rende candidata ideale per la corona dizitella a vita, tutta casa e cattedra, a parte quando si diletta, da principiante o novizia virginale, a qualche lavoricchio, malfatto, di redattrice di libri. Uno solo, per quanto oggi è dato a sapere. Anche lei, come al Sua Signora, Grande esperta, oltre che di grammatica ed etnocultura, di teoria della traduzione, senza uno straccio di libro tradotto.

La grande occasione di Leni per dimostrare all’universo, alle galassie, alla Via Lattea, per la precisione al terzo pianta del Sistema Solare, lala Terra, anzi per la verità al suo Paese, o per meglio dire ad un circolo ristrettissimo la sua maestria, finalmente giunge nel 2007, quando le è stato consegnato il libro di una “Misteriosa fiamma di una regina” solertemente tradotto, a quanto si biascica dopo qualche bicchiere di grappa, ad un prezzo fuori mercato, quasi da cravattaio, per il più grande editore del Paese, che nonostante qualche sguardo sbieco, ha accettato, in fede poverino, a scatola – piena di vermi – chiusa.
Il libro, a quanto si dice nelle taverne più malfamate della capitale,
è stato elaborato nella lingua materna della nostra, prendendosi un tempo che portava quasi alle calende greche (o che avrebbe quasi permesso l’edificazione della Grande Piramide di Giza, in Egitto, nella Valle dei Re, quelli veri dove) – quando il destino si dice bastardo – ha dovuto essere redatto, cosa più unica che rara da ben due redattori, e una di queste era Arida Capotekrava, più un esperto linguista, per la pulizia finale del testo della lingua di Leni. Chiaramente l’editore, dopo aver imprecato contro qualche divinità, si è reso conto – troppo tardi – in che razza di “luamaro” si era cacciato, e dovette correre ai ripari. Ma si sussurra anche negli ambienti editoriali, che una volta visto il lavoro svolto, anche dai redattori, si sono messi le mani sui capelli, anticipando quanto poi, nel 2007 ad ottobre, avrebbero detto i colleghi stessi di Leni, quando questa vinse un concorso per la traduzione, indetto da un istituto culturale straniero, del romanzo “Pietre malate”.
Ci sono state in passato molte voci di corridoio, che nascoste dall’anonimato, hanno affermato, che Leni abbia cercato spesso di tradurre dei libri, ma quando era contattata,schiava servile della superbia e della voracità danarifera, sparava cifre da manicomio criminale, dove gli editori a volte annebbiati dalla fama, accettavano, chiedendo a riprova della sua sublime magnificenza alcune pagine di traduzione, salvo poi strapparsi con le unghie i bulbi piliferi, quando leggevano il tradotto in forma incomprensibile, mandando – giustamente – a monte il contratto e rivolgendosi altrove.

Dice la leggenda che “la lenza” di Leni, fino a poche settimane fa, non sapesse il significato dell’idioma “Che Lenza”, il che dice tutto sulla sua presunta conoscenza della lingua che pretende d’insegnare alla giovani generazioni. Ma d’altronde, ripercorrendo il suo passato, la sua storia, non ci si può aspettare nè di più, e nè di meglio, in quanto, molti dicono, che il fumo sia molto, ma che l’arrosto se l’è mangiato lei stessa.

Le malelingue spifferano che Leni e i suoi compari, che emanano assieme emanano affluvi nauseabondi da “Banda dei quattro”, non si sono fermate, e che l’esimia, dando sfoggio pubblicamente, davanti ad una platea di cento persone, abbia fatto l’ennesimo buco nell’acqua, andando a fare le pulci ad un libro, di cui dopo un’attenta rilettura delle critiche di bassa lega di Leni, anche al più inesperto dei traduttori è risultato chiaro che questa si è persa perduta nei propri liquami della sua vanagloria. D’altronde dice sempre il solito anonimo ben informato, dice che una che confonde “olio profumato” per “olio santo” – perché traduce i testi di un teocratico monarca straniero, che ogni domenica si affaccia, come una qualsiasi domestica, ad un balcone che da sulla piazza del mercato – dimostra che il contatto con la realtà, col mondo reale è definitivamente morto e sepolto.

Ma l’apoteosi del ridicolo di Leni Danarova e Arida Capotekrava hanno provato a raggiungerlo, quando quest’ultima, in spregio ad ogni più elementare norma etica scritta e non, ha avuto l’ardire di proporre la sua ex professoressa per un premio come migliore traduttrice, quando anche un somaro , che non fa altro che brucare, ragliare, urinare, defecare e montare la somara, sa benissimo che sarebbe stato in conflitto d’interesse , se fosse andato a proporre qualche suo collega di traino del carretto per il premio del miglior servitore dell’anno. Evidentemente Arida Capotekrava, troppo elevata – secondo lei – per capire queste cose semplici. Il tutto non le è passato nemmeno per la testa, o se fossero passate, sarebbero entrate da un orecchio ed uscite – senza trovare ostacoli di sorta – dall’altro, disperdendosi nell’etere come la rugiada mattutina che evapora, quando il sole inizia a scaldare – il mattino – l’erba, non quella fumata.
Questa fiaba nera, tristemente satirica di Leni Danarova e in parte di Arida Petrorakova sta forse lentamente facendo il giro del mondo, piano piano, a passo felpato, senza far rumore, per giungere, un giorno – forse – alle orecchie delle due tapine, che vittime, la Leni del proprio ego, e Arida della propria sudditanza nei confronti della “Gran Maestra”, continua a vivere, vegetando, come un malato eterno in coma irreversibile, nell’illusione di risvegliarsi, forse un giorno, dal sonno della ragione.

Oggi si vocifera che Leni Danarova, non insegni più nell’università ove si è laureata, ma che sia passata – dopo aver vinto il concorso – alle sudditanze di un’università privata, felice di proseguire la sua storia e il rapporto – secondo lei – idilliaco con i poveri studenti.

Questa fabula è per grandi e piccini. Per i grandi perché tornino ad avere la purezza dei bambini che guardano al mondo con occhi incantati e privi di malizia, con gli occhi puri della fanciullezza, indipendentemente dal luogo di nascita o cultura di provenienza, indipendentemente dalla lingua e dall’estrazione sociale.

È una fiaba, anche nera e dura per tutti i bambini, affinché, una volta “grandi” nella società e adulti, ricordino con cuore colmo d’orrore la triste e dolorosa fiaba di Leni Danarova e di Arida Capotekrava, ricordandosi nella vita di non essere mai come loro, perché alla fine, il fuoco eterno, le fiamme salenti al cielo dell’inferno, che giungeranno dopo il trapasso le arderanno per l’eternità, lasceranno questa terra, questa valle di lacrime pianto e gioia, con l’ultimo barlume di coscienza, prima d’esalare l’ultimo respiro, con l’itera vita che scorrerà loro innanzi agli occhi, non avendo però, poi il tempo, di chiedere perdono a nessuno e andandosene col cuore gonfio, all’ultimo battito col rimorso d’essere vissute inutilmente, provando quel dolore che nessun moribondo dovrebbe mai conoscere prima d’esalare l’ultimo respiro, correndo impauriti poi, per l’eternità, verso l’oscurità.

Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti, è puramente casuale.


Marco Bazzato
Scrittore
06.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/






domenica 5 ottobre 2008

ПОКАНА



Заповядайте на представянето на романа
„Греховност” от Весела Лулова Цалова,
което ще се проведе
на 23 октомври 2008 година
от 18.00 часа
в читалище „Пенчо Славейков”- София,
кв. „Лозенец”, бул. „Черни връх” 35
(трамваи № 9 и 10,
спирка хотел „Кемпински Зографски”).
Слово за книгата
ще произнесе литературният критик
Благовеста Касабова.

giovedì 2 ottobre 2008

Borse: tracollo mondiale


La mandria tonante, come si usa dire tra i broker, continua a correre, a fuggire dai mercati mondiali che stanno collassando. Il governo degli Stati Uniti prima, ed ora altri Stati europei, stano collettivizzando le banche, in preda ai debiti dovuti dal dentiere in cassaforte i cosiddetti fondi degli Edge Found, praticamente fondi spazzatura, le quali, peggio dei topi che sento l’odore del veleno, fuggono per paura di rimanerne vittime.

Tutte le banche mondiali, di riflesso fondi d’investimento, assicurazioni, fondi pensione, che hanno acquistato a scatola chiusa merce che gli operatori di borsa, tutti, sapevano essere carne morta, avariata, eppure presi dalla smania del guadagno facile, del guadagno speculativo, hanno riempito i forzieri nell’illusione che questi potessero crescere in eterno, eppure ora tutti hanno il sacro terrore d’avere il cerino in mano. Banche e assicurazioni, americane ma non solo, che sono state maggiormente esposte, hanno dovuto portare i libri in tribunale, dichiarando fallimento, chiedendo l’amministrazione controllata e di conseguenza la nazionalizzazione o collettivizzazione di stampo comunista, cosa impensabile nell’ultra liberista America fino a poche settimane fa,dove le varie banche nazionali, prima tra tutte la Federal Reserve statunitense si vedono costretti ad immettere denaro nel circuito borsistico mondiale pe placcare la fame e l’ira degli speculatori internazionali, confidando che questo non porti comunque al collasso il sistema finanziario internazionale.

Ma cosa può fare il cittadino, l’uomo della strada?

In primo luogo rendersi conto che le banche, anche quelle italiane, hanno gestito – tramite i fondi – i risparmi dei clienti in maniera fraudolenta, acquistando prodotti finanziari senza il dovuto controllo preventivo, fidandosi delle società di certificazione, che come nel caso anche del crak Parmalat erano fraudolenti e falsi, avendo de facto la responsabilità anche penale di ogni singolo operatore bancario che ha proposto – a dei profani – incauti acquisti ai clienti, senza averne loro per primi adeguate conoscenze, o fidandosi delle parole o degli bilanci altrui.

Il cliente di una banca, non può essere il pollo da spennare, scaricando ancora su di lui le responsabilità anche economiche di eventi che nè i broker delle banche, nè le banche, né le istituzioni monetarie internazionali non hanno saputo, voluto arginare, bloccando sul nascere la speculazione che per anni si è autoalimentata e che oggi si sta sgonfiando come un palloncino bucato, con l’elio che esce nell’atmosfera.

I clienti oltre a rimetterci i guadagni, rischiano di perdere il capitale, dovrebbero rivolgersi alle associazioni dei consumatori, facendo causa ai dipendenti bancari che hanno proposto certe forme d’investimento, e successivamente le banche stesse, con cause collettive, le Class Action.

Le banche italiane, dice Mario Draghi, sono solide. Dice, eppure Unicredit continua a perdere in borsa, questo la dice lunga che le parole sono parole, ma la fuga degli investitori da questa banca, è un’altra cosa.

Ma in America, nonostante il silenzio dei media italiani, montano le proteste dei risparmiatori davanti a
Wall Street, questo rende l’idea di come la situazione sia drammatica, e senza soluzione di continuità.

Per fortuna qualche banchiere, pochi per ora, ha avuto il coraggio dei gesti estremi, scegliendo l’onorevole via – secondo la cultura giapponese – del suicidio. “È il caso di
Kirk Stephenson si è buttato sotto un treno in un elegante sobborgo di Londra”, l’auspicio è che questa presa di coscienza colpisca anche altri esponenti, non importa se di alto livello, o semplici impiegati costringendoli ad uscire di scena con onore, colpiti dalla vergogna per aver tradito la fiducia dei risparmiatori.

Il punto essenziale non è quello di salvare i mercati internazionali, quelli sono problemi che al piccolo risparmiatore, per assurdo devono interessare relativamente poco, in quanto questi dagli speculatori e dal mondo borsistico, sono definiti il “parco buoi”, che guarda caso, spaventa moltissimo se d’improvviso decidessero di non dare più nessun assenso a stipulare fondi comuni d’investimento,ma questi schiavi del risparmio, che mettono via Euro su Euro a costo di sacrifici e privazioni finanziarie familiari, sono il vero bacino dove speculatori, complici broker e banche, che invece di comportarsi come bravi padri di famiglia, si comportano come un papponi, sfruttando il lavoro ed il risparmio altrui, per speculare nei mercati internazionali, con gli esisti che oggi vediamo, non solo in tv, ma soprattutto nei risparmi, che sono stati investiti nei fondi,che si stanno vaporizzando, senza che nessuno risponda in sede civili e penale di nulla. “È il mercato” dicono.

D’altronde le banche ed i fondi, hanno le “mani pulite” visto che fanno firmare carte e scartoffie, dove se da una parte prendono denaro, dall’altra scaricano sul cliente le colpe per aver investito – in fiducia – in determinate speculazioni. Ma se una banca, un fondo d’investimento, un broker non ha la possibilità pratica di controllare dove investe il denaro altrui, come può poi alla fine, quando tutto va a rotoli, essere solo l’investitore finale, il risparmiatore a pagare?

D’altronde, oggi, come ci si può ancora fidare del sistema bancario e speculativo, quando questi sono completamente disarticolati dalle reali realtà micro e ,macroeconomiche, dove il tutto si basa su proiezioni – teoriche – di crescita eterna, bilanci truccati, artifizi contabili che tendono a nascondere le perdite, scaricandole in modo diverso e sempre più creativo sul parco buoi, ed incassando gli utili, distribuiti agli azionisti, che nulla hanno a che fare con i risparmiatori.

La borsa, da decenni è diventata come una chiromante ciarlatana, come le zingare che predicono a prezzi salatissimi maledizioni, se non si versa l’obolo per togliere le fatture. La borsa è il ricettacolo dove tutto è mescolato, triturato in blocchi, chiamati fondi comuni d’investimento, dove entrano prodotti all’apparenza buoni, ma i fatti lo dimostrano che questi prodotti scaduti. Prodotti finanziari che se fossero cibo commestibile nessun essere umano dotato di un minimo d’intelligenza si metterebbe coscientemente nello stomaco.

Oggi la borsa è come il latte cinese alla melanina, come la mucca pazza, come i prodotti firmati contraffatti; basta vedere la guerra che giustamente si instaura contro i venditori abusivi e le relative multe anche ai clienti che li acquistano, mietendo quotidianamente vittime, ma sempre pesci piccoli, disgraziati, siano essi venditori sfruttati, sia acquirenti “del vorrei ma non posso” e si rifugiano nel falso.

Ma col sistema finanziario no. Quello è un mondo intoccabile, e i risultati si vedono. Quello è un mondo, una zona grigia e morta, dove i comuni mortali non possono alzare la voce, non possono reclamare trasparenza, sono costretti a subire, anche coloro che non investono in borsa a rimetterci.

Gli investitori internazionali tremano, hanno paura del tracollo. I governi – complici – perché hanno deregolamentato, non hanno vigilato sulla trasparenza, col denaro ancora dei contribuenti, cercano di mettere un dito sulla diga che si sta disgregano, confidando che le macerie del tutto non li travolta. Ma naturalmente, come sempre gli amici degli amici, che si sono disinteressati per anni degli altri, e continuano a farlo, ora cercano d’arginare l’onda anomala, confidando che come uno tzunami, questa si arresti prima d’arrivare alle zone abitate, spazzando via la popolazione, in questo caso ancora i piccoli risparmiatori.

La musica deve cambiare, i pianisti dovrebbero cambiare, i musicisti dovrebbero essere liquidati senza buonuscita, non importa che essi siano finanzieri, politici locali o nazionali, le banche centrali dovrebbero tornare a vigilare, non sul debito solamente, ma soprattutto sul risparmio, cambiando le regole nazionali e globali, altrimenti, vista l’abilità della finanza creativa nel camuffarsi, peggio di un camaleonte, ogni volta in spoglie diverse, ma sempre mortali, all’uscita da questa crisi, se ci sarà a breve un uscita, nel medio e lungo periodo si riassesterà alla partenza del mercato finanziario globale con le stesser regole drogate di quelle attuali. Ma è difficile pensare che si possa nel volgere di pochi mesi ad un ritorno coi piedi per terra da parte dei governi, delle istituzioni e dei grandi interessi finanziari internazionali. Quest’ultimi faranno il possibile affinché a bocce ferme, terminata al tempesta, il tutto cada nel dimenticatoio, nell’’oblio per consentire nuovamente al parco buoi, ai piccoli risparmiatori a tornare ad avere fiducia nel sistema finanziario e bancario locale, nazionale ed internazionale, facendo attività di lobbismo in modo che eventuali aggiustamenti siano di facciata, ma praticamente minimi, altrimenti i desideri d’arricchimento facile e speculativo potrebbero essere, se le regole fossero etiche e valide per tutti, praticamente impossibile, visto che lo sanno anche i muri che in borsa ci si quota solo esclusivamente per raccattare denaro altrui, altrimenti nessun imprenditore serio, senza il fiato alla gola, non andrebbe a far l’accattone, con proposte pubbliche d’acquisto d’azioni, se non fosse con le spalle al muro e non mirasse, una volta piazzato il prodotto finanziario morto, passare all’incasso, quando i titoli salgono e guadagnando senza ritegno sulle plusvalenze, e lasciando come oggi accade l’osso coi vermi al parco buoi, cioè gli ignari risparmiatori di turno che si sono fidati dei fondi fantasma.

Ora in Italia, dopo le rassicurazioni del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, bisogna vedere cosa effettivamente accadrà alle banche di casa nostra, e se effettivamente lo Stato, salvaguarderà i risparmiatori, usando per l’ennesima volta il denaro, al pari degli americani, dei cittadini, per salvare dal tracollo risparmiatori incauti e non, e grande speculazione internazionale, che ha ormai compromesso seriamente il nostro sistema creditizio.

Marco Bazzato
02.10.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/