lunedì 30 aprile 2007

La franzoni condannata in libertà

Finalmente è conclusa – almeno per ora – la vicenda dell’omicidio di Samuele Lorenzi ucciso a Cogne dalla madre Anna Maria Franzoni.
Una sentenza teoricamente giusta, ma fa discutere il fatto, che la donna, non sconterà – almeno per ora – nemmeno un giorno di galera perché non sussiste il pericolo di reiterazione del reato. La domanda che sorge spontanea però è: a cosa serve una con nana – virtuale – visto che l’omicida, condannata in due gradi di giudizio continuerà la vita di sempre? Nessuna misura restrittiva, nemmeno l’obbligo di firma, nulla di nulla. Il diritto e la legge – alla luce di questa sentenza – tenderebbe a far pensare che si può ammazzare il proprio figlio e farla franca.
Alla voce garantismo il dizionario recita: “principio giuridico che attribuisce rilievo primario alle garanzie dei diritti e delle libertà individuali, per prevenire ogni possibile arbitrio da parte dell’autorità statale sui cittadini” ben venga questo garantismo, ma alla luce dei due gradi di giudizio, si fa largo nell’opinione pubblica che si stia giungendo all’estremo, all’impunità.
«Per me le accuse sono ogni volta come una coltellata». Così si sarebbe espressa Annamaria Franzoni il giorno dopo la sentenza che la condanna a 16 anni di carcere per l'omicidio del figlio. La Franzoni dimentica che ogni giorno che passa in libertà, è una nuova coltellata al figlio morto, in quanto la responsabile (condannata) è a piede libero, e il garantismo non tutela in nessun caso la prima e unica vittima: il piccolo Samuele.
Un condannato, dovrebbe andare nel luogo che gli compete: la galera, non a casa a curare i figli, come se nulla fosse avvenuto, favorendo così nell’opinione pubblica l’idea dell’impunità.
C’è da premettere che la Franzoni, prima di tutto ha subito e continuerà sempre a subire un processo mediatico, non facile da sopportare: l’Italia, sin dalle prime battute di questa triste vicenda, si è divisa tra innocentisti ad oltranza e colpevolisti, dove però i due gradi di giudizio, non sono stati in grado di stabilire l’arma del delitto e il movente di questa assurda tragedia della “follia” di una mente dichiarata assente per pochi ma interminabili minuti, non trovano però l’assoluta certezza, che comunque sia stata lei a commettere l’orrendo infanticidio, ma condannandola comunque a sedici anni, che non sconterà fino a che anche la Cassazione non si sarà pronunciata a riguardo, ma forse nemmeno allora si saprà la verità con il rischio comunque, che un pericoloso infanticida, donna o uomo che sia, continui a circolare liberamente per il Paese.

Marco Bazzato
30.04.2007
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sabato 28 aprile 2007

Intervista a Lucio Lami ril pubblicata il 28.04 2007 nel quotidiano nazionale bulgaro: Duma


Lucio Lami, di antica famiglia toscana, è nato in Lombardia nel 1936.
Iniziò a La Notte nel 1960, con Nino Nutrizio, per poi passare alla Domus, per il varo della rivista economica Quattrosoldi, poi a Gente con Rusconi . In seguito venne chiamato alla Rizzoli, dove, a 30 anni, divenne il più giovane direttore di settimanali della casa editrice. Nel 1971, passò alla Mondadori, caporedattore a Epoca.
Nel 1974, con la nascita de Il Giornale, entrò a far parte della redazione di Indro Montanelli. Per quel quotidiano ha viaggiato per vent'anni, in tutto il mondo, come inviato speciale, corrispondente di guerra e collaboratore della Terza Pagina.Come corrispondente di guerra è stato sui fronti della Cambogia, del Laos, della Prima e della Seconda Guerra del Golfo, del Libano, dell'Afghanistan, del Ciad, del Polisario (Marocco), dell'Eritrea e tra le guerriglie dell’Irlanda, dell'Etiopia, della Somalia, dell'Angola, del Mozambico, del Nicaragua e del Perù. Per i suoi grandi reportages è stato a lungo in Africa, in Medio Oriente, nei Paesi dell'Est e in America Latina.
Per anni si è occupato dei rapporti fra politica e cultura: ha fondato e diretto la rivista Commentari, chiamando a collaborare grandi firme internazionali, da Popper a J.F.Revel.
Lasciato il Giornale, ha diretto il quotidiano L'Indipendente.
Per la sua attività giornalistica, ha ottenuto il Premio Max David (1980), il Premio Hemingway (1986), riservati agli inviati speciali.
Come saggista ha vinto il Premio Estense (1981) e il Premio Sacharov (1986), con il volume Il grido delle formiche (Rusconi) sul dissenso sovietico.
Tra i suoi saggi: La scuola del plagio (Armando); Dai confini dell'Impero (Sugarco) ; Morire per Kabul (Bompiani); Giorni di Guerra (Mondadori); Cuba libre era solo un cockteil (Spirali), Giornalismo all’italiana (Ares), Visti e raccontati (Ares).Tra i suoi libri di storia: Isbuscenskij, l'ultima carica (Mursia); La Signora di Verrua ( Rizzoli); Garibaldi e Anita corsari (Mondadori), Il re di maggio (Ares).Tra quelli di narrativa: La donna dell’orso (Scheiwiller) e Il paradiso violato (Ares)È tradotto in Francia, Spagna e America Latina.
E' Presidente del Pen Club Italiano (associazione mondiale di scrittori). Docente di giornalismo all'Università Cattolica di Milano.



- 1) Egregio Dottor Lami, per anni, è stato Presidente del P.E.N. Club Italia, cosa può dirci di quest’esperienza?
- Faticosa per una serie di motivi: il governo ha tagliato i fondi a tutte quelle organizzazioni culturali che non siano legate a partiti, per questo mi sono dimesso. Poi, gli scrittori tendono a isolarsi, c'é poco spirito associativo, più che dare, chiedono.

- 2) Com’è cambiato, secondo Lei,, negli ultimi anni il mondo degli scrittori italiani?
- Molti giovani si adattano a scrivere su commissione degli editori. Si cerca il best seller prodotto in laboratorio e talvolta lo si trova. O lo si compra dall'estero. Il libro è diventato un prodotto esclusivamente commerciale.
- 3) Sappiamo, che anche in Italia, si pubblica molto, ma si legge poco, è perché forse manca un’educazione alla lettura e alla letteratura, o ci possono essere delle altre cause?
- ) Le scuole non insegnano più a leggere, ma a "consultare" via computer.La formula "Scire est reminisci" non è più valida. Si privilegia il consumo di tematiche alla moda (fantasy, polizieschi). Il fenomeno non è causa ma effetto della diffusione dell'ignoranza, che comincia in casa dei "grandi" editori e dilaga.
- 4 Lei è stato per anni corrispondente di guerra, in varie zone del mondo, e questo l’ha portata a ricevere importanti premi giornalistici, come il il Premio Max David e il Premio Hemingway per gli inviati, com’è cambiato il mondo del giornalismo italiano, rispetto ai suoi esordi? Cose non Le piace del giornalismo attuale?
- Non mi piace la rinuncia alla deontologia. Il trionfo del "Comprati e venduti". La dipendenza delle carriere dal servilismo verso i politici. La pratica universale dell'ars absentandi.La morte dell'indipendenza intellettuale.
- 5) In Bulgaria, l’interesse per la letteratura italiana, non è mai scemato, anzi, negli ultimi tempi, ha preso nuovo slancio, manca però l’interscambio. Esiste secondo Lei un modo per equilibrare questa tendenza?
- Gli interscambi culturali dovrebbero essere affidati a istituzioni come il Pen e, prima ancora, agli Istituti Italiani di Cultura, ma il Pen è sempre alle prese con la ricerca di fondi che gli permettano di operare. Quanto agli Istituti di Cultura, costretti a fare le nozze con i fichi secchi, con bilanci ridicoli, spesso sono anche affidati a personaggi modesti, per ragioni di nepotismo o di intrallazzo politico. Sono pochi gli Istituti con gli uomini e i mezzi necessari e sono quasi sempre quelli che servono più alla politica che alla cultura.
- 6) Essere scrittore, non è un lavoro facile, in molti si cimentano, ma pochi sfondano a livello commerciale. Il successo commerciale, è sempre sinonimo d’elevata qualità?
- Il successo ha tante facce, può essere dovuto al caso, o costruito a tavolino.L'importante è non invaghirsene.
- 7) Lei è stato giornalista, ma anche un acuto saggista; oltre al naturale amore per lo scrivere, qual è essenzialmente la molla che la spinge ad un’accurata e minuziosa ricerca storiografica?
Io scrivo perchè mi diverto a farlo, perchè mi piace dare la caccia ai documenti, costruire delle storie. Ho nel cassetto libri che non ho avuto tempo di presentare agli editori, perchè stavo già scrivendone un altro. Sono un pianista che suona anche in assenza di pubblico.
- 8) Cosa non le piace della letteratura contemporanea italiana, e perché?
- La continua circumnavigazione del proprio ombelico. Ridatemi il Gattopardo e Il Mulino sul Po.
- 9) Il giornalista descrive i fatti, lo scrittore prende spunto da svariate realtà per creare le sue opere, il saggista e lo storico incide la Storia con la mano ferma del chirurgo in sala operatoria, a suo avviso, cos’hanno in comune queste professioni apparentemente così diverse? Dove assolutamente non si toccano?
- Il giornalista si affida sempre più acriticamente alle nuove tecnologie. Rischia di diventare solo un megafono.
- 10) Può indicarci alcuni errori tipici da evitare assolutamente per chi vuole diventare scrittore?
- Partecipare a corsi di scrittura.
- 11) Nella sua pratica come giornalista, scrittore, e non ultimo Presidente del P.E.N. Club Italia, quali sono state le figure letterarie, e non solo che l’hanno particolarmente colpita?
- La vita mi ha concesso un gruppo di amici che hanno influenzato il mio pensiero: Aron e Revel in Francia, De Felice , Romeo e Abbagnano in Italia, Uslar Petri e Paz in America Latina, Maximov e Bukovskij in Russia... La conversazione con loro era un vero ricostituente.
- 12) Ha avuto nel corso degli anni, la possibilità di conoscere opere d’autori bulgari?
- No. Ma uno dei miei amici più intimi, per almeno 35 anni, è stato un bulgaro. Si chiamava Citovic, era figlio di un grande cattedratico bulgaro, era anche esperto d'architettura.Finito in Italia fu accusato, nel dopoguerra, di aver fatto l'interprete per i tedeschi, in tempo di guerra.In effetti, parlava otto lingue diverse. Era un filosofo e non si interessava che di filosofia. Per vivere, faceva il giornalista . Umilissimo, accettava qualsiasi lavoro in redazione. Pochi si erano accorti che era un pensatore coltissimo. Morì in perfetta, disperata solitudine, mentre collaborava al Giornale di Montanelli.
- 13 Come vede il futuro del P.E.N. Club Italia, e cosa augura al suo successore?
- Di occuparsi degli scrittori imprigionati nel mondo, conservando tuttavia la matrice colta dell'associazione, senza trasformarla in un prodotto sociologico.
- 14 II premio P.E.N. Club da anni è uno dei più prestigiosi premi letterari italiani, a cos’è dovuto il suo crescente successo e importanza a livello nazionale, e non solo?
- Il Premio Pen ha successo perchè, a differenza degli altri 1500 premi letterari italiani, non è nelle mani degli editori, che se li spartiscono come mezzi promozionali, né nelle mani degli assessorati alla cultura, che cultura non hanno e pensano ai vantaggi politici. E' un premio che pensa solo alla qualità letteraria dei libri.
- 16) Per concludere, qual è il suo libro attualmente sul comodino?
- Per il lavoro di revisione tengo il dattiloscritto del mio ultimo libro appena terminato, sulla cacciata dei turco-musulmani dall'Europa, all'inizio del 700. Per mio diletto invece ho il libro "Racconti di un pellegrino russo", di un asceta anonimo, pubblicato più di trent'anni fa.

La ringrazio per la disponibilità accordatami.

Diritto all’eterosessualità

Gli attacchi estremistico-fobici di alcune organizzazioni che difendono i “diritti” degli eterofobici, si fanno ogni giorni più violenti e radicali, al punto da mettere all’indice e alla gogna mediatica il Family Day, manifestazione in difesa della famiglia naturale (uomo – donna) – programmata a Piazza San Giovanni a Roma per il 13 maggio 2007 alle ore 18 – che dall’inizio della storia ha consentito l’evoluzione e la sopravvivenza della specie, umana e animale.
Questa lobby vorrebbe imporre la loro ideologia – ad uno Stato Straniero: Il Vaticano – e che piaccia o no, è autonomo e indipendente, attaccando indiscriminatamente anche coloro che si riconoscono non nei dettami di una religione, ma nei dettami della scienza darwiniana dell’evoluzione della specie.
C’è un dato indiscutibile: l’eterofobico è per sua natura sterile e condannato all’estinzione con la propria morte, in quanto – mancando la controparte opposta sessuale – si nega – per libera scelta, /eo per giusta decisone della natura in quanto inadatti (che se ne frega dei “diritti” civili) – la riproduzione tramite accoppiamento e procreazione naturale.
È altresì deleterio che certa disinformazione, si accanisca – cieca ad un occhio – quando vengono denunciati casi di sacerdoti (maschi) che hanno compiuto atti pedofili con bambini (maschi) negando che questo sia un atto omosessuale compiuto da pedofili, puntando l’indice solo sulla viltà del reato, senza condannare atto pedofilo compiuto tra due persone, una elle quali è minorenne non consenziente.
Non si tratta di condannare l’omosessuale in quanto tale, ma l’omosessualità usata come vanto, quando si parla di “orgoglio” omosex o eterofobico che dir si voglia e Gay Pride, ma negata, quando persone affette da tale orientamento sessuale, negano che alcuni si macchino orrendi crimini contro i bambini.
Certo, non si può affermare con certezza l’equazione: omosessualità uguale pedofila, ma non si può non vedere che la maggioranza degli atti di pedofilia vedono coinvolte persone di sesso maschile, con bambini di sesso maschile.
Per quanto riguarda il Family Day, vilmente attaccato da organizzazioni eterofobiche e da alcuni esponenti politici – che dovrebbero rimanere in silenzio – in quanto anche queste persone, a meno che non lo possano dimostrare con prove reali – sono state generate da eterosessuali, non da eterofobici che li hanno concepiti tramite “accoppiamento”uomo- uomo o donna-donna. Quando ciò avverrà, significherà che la natura si è piegata al volere “dei diritti civili” imposti arbitrariamente a tutti i cittadini, usando come scusante “che l’opinione pubblica” è favorevole a certe “unioni”, non pubblicando però i nomi dei favorevoli, avendo come giustificazione il rispetto della privacy), senza leggersi i vari blog e siti, non confessionali, estranei alla Chiesa, dove l’omosessualità non è ben vista, come ainvece vorrebbero far credere.
La difesa della famiglia (anche laica o atea) – che si crea solo con l’accoppiamento tra eterosessuali – non come orientamento religioso, ma come fatto evolutivo e di rinnovamento generazionale per la specie umana, non è un atto politico, che può essere strumentalizzato e vituperato da gruppi eterofobici, che per selezione naturale, o per scelta individuale, sono, o si sono tagliati fuori dalla catena darwiniana dell’evoluzione come un ramo secco, o un lago chiuso senza sbocchi sul mare aperto della vita che genera vita.

Marco Bazzato
28.04.2007
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giovedì 19 aprile 2007

L’harem berlusconiano?

Si erano finalmente assopito, in Italia, lo scandalo delle foto che ritraevano il portavoce del governo Silvio Sircana – immortalato da un paparazzo – mentre dall’interno della sua auto parlava con un transessuale in una via di Roma. Le foto acquistate dal direttore del settimanale Oggi per la modica cifra di centomila euro, per fare un favore al portavoce del governo, al tempo non furono rese pubbliche. Il medesimo settimanale ha pubblicato nel numero uscito il 18 aprile, alcuni scatti “rubati” dell’ex premeir Silvio Berlusconi, sabato prima di pasqua, mentre si intratteneva con cinque giovani fanciulle in fiore all’interno del parco di 1200 cactus di Villa Certosa in Costa smeralda.
Silvio Berlusconi, si difende, puntualizzando: «Questa volta sono deciso ad andare fino in fondo all'azione legale. Quelle foto ritraggono degli ospiti escludendo ad arte le altre persone che erano presenti. Dietro alla scelta di pubblicare quelle immagini c'è una precisa strategia mediatica e politica».
Appare chiaro – che forse come dichiara il cavaliere – esiste una strategia politica dietro questi scatti rubati. Non si spiegherebbe altrimenti la disparità di trattamento fatta dal settimanale Oggi, dove il direttore Pino Belleri intervistato dal Corriere della Sera – appartenenti entrambi al gruppo RCS – dichiara: «Sono stanco di subire lezioni di giornalismo, in questo mese ho preso lezioni di giornalismo da tutti. Prima perché non ho pubblicato le foto, ora perché le ho pubblicate. . Di certo c'è che i fotografi non sono entrati nelle proprietà di Berlusconi, che le foto non sono state ritoccate. » e termina: «Altrettanto sicuro è che immagini così, di Putin, Bush o Blair che infilano una mano sotto la camicetta di una ragazza non ce ne sono. Foto del genere non potevo non pubblicarle. Se poi in Italia le vogliamo considerare normali, meglio cambiare Paese».
La realtà ha dei lati oscuri, in primo luogo, non c’è stata la levata di scudi da parte degli esponenti della maggioranza a difesa del leader di Forza Italia, anche se, rispetto a quanto avvenuto con Silvio Sircana, il quale con dopo il malessere iniziale, a sangue freddo, ha chiesto – nonostante l’intervento del garante della privacy – che le foto (pagate e peso d’oro per rimanere in un cassetto) fossero pubblicate.
Ci sono alcune domande che aleggiano nell’aria o rimangono tra i denti non solo degli addetti ai lavori, ma anche al pubblico: quanto sono state pagate? Perché sono state pubblicate e non è stata usata la medesima cortesia concessa a Silvio Sircana? E perché ora che esiste un provvedimento del garante, è stato ignorato?
Forse si voleva colpire Silvio Berlusconi, dove anziché ammettere il fatto ha cercato di giustificarsi, come un bambini colti con le mani nella marmellata.
Il pensiero va alla moglie Veronica Lario, infatti non si capisce perché stoicamente sopporti le marachelle del marito, e alla politica di Forza Italia, attenta agli alti valori morali cattolici, che anche il suo leader vuole difendere, senza essere il primo specchio di virtù familiare.
Ma soprattutto, cosa chiederanno i figli al padre, quando vedranno le foto che hanno già fatto il giro del mondo? Prima di essere un problema politico è un problema familiare di non facile comprensione e soluzione (eventualmente economica).

Marco Bazzato
19.04.2007
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martedì 17 aprile 2007

Antono Di Pietro in esclusiva per il quotidiano bulgaro Duma


Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, onorevole Antonio di Pietro, ha rilasciato un’intervista esclusiva al quotidiano nazionale bulgaro Duma, pubblicata il 17.04.2007
Ringrazio il Dottor Di Pietro in nome dei lettori bulgari e della redazione del quotidiano, per la disponibilità e la gentilezza.


Mar co Bazzato
1. Signor Ministro, vorrei iniziare – se lo desidera – con alcuni suoi ricordi degli anni in Germania, e com’era visto a quel tempo un emigrato italiano?

Bisogna dire che la Germania è stata sempre un Paese civile, quindi, a parte sparuti casi di razzismo, gli italiani sono sempre stati ben visti, soprattutto perché sono sempre stati dei gran lavoratori


2. L’Italia in passato era un paese di forte emigrazione interna e verso l’estero, ora è meta ambita d’immigrazione. Anche i bulgari – ora membri dell’Unione Europa Europei – come altri cittadini provenienti dagli ex paesi del blocco sovietico, a volte sono visti con sospetto e diffidenza. Cosa si sentirebbe di dire ai bulgari, quando sono vittime di questi pregiudizi? Ed eventualmente, come affrontarli e superarli?

Innanzitutto le cose oggi sono molto cambiate un po’ ovunque, per fortuna, e parlare di pregiudizi verso un popolo come i bulgari mi sembra un azzardo. In ogni caso posso dire, in caso qualcuno utilizzasse nei loro confronti del razzismo, di ricordare che, appunto, tutta l’Europa è un continente di emigranti, non per niente ha scoperto e fondato l’America, e quindi è come darsi la zappa sui piedi.

3. Di lei si dice che abbia azzerato un’intera classe politica italiana. In tutta franchezza, sente che sulle sue spalle grava questo peso, oppure ha solamente cercato di fare al meglio delle Sue possibilità il lavoro di magistrato?

Ho solo cercato di fare al meglio il mio lavoro di magistrato. Sull’azzeramento di un’intera classe politica, ci andrei cauto. Quello che si vede oggi in politica non è propriamente l’invasione dei volti nuovi.

4. La corruzione, sembra un male endemico – che non appartiene solo all’Italia – esiste secondo Lei una via maestra da seguire?

Non credo che esista. Forse perché non ne esiste una sola. La corruzione fa anche parte di una cultura, e di un modo di vivere dei popoli. Ognuno in fondo c’ha la sua. L’essenziale è tenerla a livelli tollerabili, estirparla completamente mi sembra un’utopia.

5. Se dovesse darsi una definizione come politico, come si definirebbe?

Non mi saprei definire, mi piacerebbe passare per un uomo politico che fa politica come un cittadino.

6. Lei non ha mai avuto paura dei cambiamenti, la Sua storia professionale lo dimostra, ora che è un Ministro della Repubblica, a parte responsabilità diverse, in cosa crede che le Sue precedenti esperienze, le possono essere utili per condurre il suo ministero?

Credo nella trasparenza e nella correttezza. E soprattutto nel rispetto delle regole. Io sto qui non per pigliare lo stipendio a fine mese ma per fare un servizio alla collettività.

7. Come si svolge generalmente la Sua giornata?

Arrivo molto presto in ufficio, prima degli altri, e sono l’ultimo ad andarmene. In mezzo ci sono un sacco di cose da fare, dagli appuntamenti istituzionali ai consigli dei ministri agli incontri con la stampa.

8. La politica italiana a volte è complessa da capire anche per gli italiani stessi, spesso si ha l’impressione che sia quasi un gioco di ripicche reciproche. Cosa l’ha spinta, e la spinge tutt’ora ad’essere uno dei mattatori in quest’ arena?

Guardi, non lo so, probabilmente la mia passione e la mia caparbietà. Mi piacciono le sfide nuove. Non mi sottraggo quando ci sono.

9. Durante questi mesi di permanenza al Ministero dei lavori pubblici, cos’è riuscito a cambiare, e cosa vorrebbe poter fare?

C’è ancora tanto da fare mi creda. Credo però di aver ridato fiducia alla gente, il caso Abertis e adesso quello delle concessionarie per la TAV sono stati due segnali di forte trasparenza e legalità che ho voluto dare. Con me non si può continuare a fare come se le regole non esistessero e si passa come niente fosse sulla pelle dei cittadini che pagano le tasse.

10. Lei ha un rapporto privilegiato con i Suoi elettori – ma non solo – ha un blog dove interagisce personalmente. Questo contatto quasi quotidiano, Le da una marcia in più, permettendoLe di rimanere vicino al “mondo reale” e ai problemi quotidiani dei cittadini?

Certamente, l’ho voluto proprio per questo motivo. Credo che internet offra strumenti di comunicazione immediata importanti, come il blog ad esempio. Si scavalcano, velocemente, tanti filtri che in passato sarebbe stato inimmaginabili ipotizzare.

11. In Italia è scoppiato lo scandalo Vallettopoli, può sembrarle strano, ma anche il pubblico bulgaro segue la vicenda, non solo come un fatto di gossip e costume. Lei, che opinione si è fatto?

Che ogni tanto esce fuori un pezzetto di malaffare, che purtroppo è generalizzato e connesso con tutto il sistema ma di cui ci si può occupare solo a compartimenti stagni. Non commento le vicende dei singoli personaggi coinvolti in questa vicenda, ognuno nella sua vita privata può fare quello ce vuole. Ciò che non va bene, e che giustamente abbiamo fermato, è fare ricatti sulla vita privata delle persone; intollerabile e incivile.

12. Esiste un confine invalicabile tra il diritto alla privacy, soprattutto del politico, oppure i cittadini dovrebbero essere informati delle vicende personali, con vere inchieste giornalistiche, sui loro rappresentanti?

Il confine è sottile. Quando il comportamento privato del politico è rilevante penalmente e per l’interesse pubblico allora il diritto alla privacy a mio modo decade, in tutti gli altri casi è fondamentale. Siccome a stabilirlo deve essere il magistrato che fa un lavoro estremamente delicato, è d’obbligo non solo lasciarlo lavorare in pace ma non rigirare la frittata, come ormai si fa sempre più spesso, e accusare il magistrato perché si è permesso di avviare quelle indagini.

13. Lei ha avuto modo di venire in Bulgaria in passato, che ricordi ha di quell’esperienza non solamente sotto il profilo politico?
Una esperienza che mi ha particolarmente affascinato. Nella gente ho trovato una serenità non comune, nonostante tutto. La pacatezza di un popolo on profonde e solide radici storiche e culturali.

14. I legami tra Italia e Bulgaria, sono storicamente più profondi di quanto il cittadino medio conosca, i bulgari guardano all’Italia con un occhio particolarmente benevolo, a volte non contraccambiato, cosa potrebbero fare – secondo Lei – i due Paesi, nei confronti dei rispettivi cittadini per accrescere la reciproca conoscenza?
E’ così. C’è bisogno di incentivare una reciproca conoscenza, soprattutto tra i giovani. Uno scambio culturale che può favorire la comprensione e l’accettazione tra popoli che hanno più punti in comune di quanto si pensi. Una disposizione che ci auguriamo si possa, un domani, affermare tra tutti i popoli della terra.

15. Come ex magistrato, conosce la giustizia e i suoi meccanismi, esiste la giustizia vera, oppure è ancora una magnifica utopia irrealizzabile?

Credo che la Giustizia sia un obiettivo da perseguire sempre, forse non ci si stancherà mai di perseguirla, forse ci saranno sempre impedimenti, ma è proprio di questa magnifica utopia il suo essere sfuggente.

16. Un Suo pensiero finale e un saluto ai lettori.

Innanzitutto auguro a tutti buona Pasqua, poi invito ogni cittadino a fare il proprio dovere, con onestà e senso civico, credo che sia il contributo più grande che si possa dare per crescere insieme, soprattutto in un momento come questo in cui l’Europa si allarga e nuove importanti sfide ci aspettano.

La ringrazio per la gentile cortesia e disponibilità accordatami.

sabato 14 aprile 2007

Guerriglia urbana a Milano

Non si sono ancora placate le polemiche a riguardo le ore di guerriglia urbana – con scontri tra cinesi e forze dell’ordine – e già i media si affrettano a riempire pagine di giornali, per cercare di dare la colpa ai ghisa milanesi – colpevoli d’essere ligi al dovere – avendo multato una donna, che oltre a fare carico e scarico fuori dall’orario consentito, viaggiava con la revisione dell’auto scaduta, e non immatricolata per l’uso promiscuo: persone e cose. La cinese si è difesa, dichiarando: «Non sapevo che in auto non si possono trasportare merci. Va bene pagare la multa, ma il libretto no, l'ho chiesto indietro alla vigilessa, un favore, a noi l'auto serve per sopravvivere.
Questa donna, vive da otto anni in Italia, guida l’auto e non è a conoscenza che esiste la revisione periodica del veicolo? È titolare di un’attività commerciale, e non conosce le leggi più comuni del commercio, e che non poteva trasportare merci su un’autovettura non immatricolata all’uopo? Ma d0v’è vissuta tutti questi otto anni? In Cina?
In cosa sarebbe stata discriminata? È stata tratta come ogni italiano che non è in regola con i documenti dell’auto, e i vigili, non hanno fatto altro che il loro dovere. Non risulta infatti che nessun italiano abbia scatenato guerriglia urbana per un libretto ritirato. Forse la costante abitudine di vivere in un’illegalità generalizzata, dovrebbe garantire l’impunità di una comunità chiusa – lo si è visto dallo sventolio di bandiere della Repubblica Popolare Cinese – non facendo più pensare ad una vita della città milanese, ma ad una manifestazione di protesta dei tempi della rivoluzione culturale Maoista, mancava solo il libretto tra le mani e il pugno alzato.
La polizia è stata brava a non comportarsi come la controparte cinese durante le manifestazioni non autorizzate di piazza, e nel caso dovessero riproporsi, sarebbe utile che venissero usati i metodi “pacifisti” della polizia della Repubblica Popolare Cinese, in quanto sentendosi ancora a tutti gli effetti cittadini della Bandiera Rossa che sventolano, s dovrebbe essere riservato il trattamento pari a quello che ricevono nella loro amata madre patria.
D’altronde la situazione d’illegalità generalizzata è una costante. Basta entrare in uno dei loro spacci – ufficialmente riservati ai grossisti – per sentirsi chiedere italiano stentato: “Con fattuLa o in nelo?”, contribuendo a quell’indotto vizioso dell’economia sommersa, dove in questa zona grigia si muovono anche gli italiani, attirarti dai prezzi irrisori, e dalla possibilità di non pagare l’I.V.A. contribuendo così all’evasione fiscale.
È strano che il governo attuale, e quelli precedenti, non abbiano mai indagato a fondo su queste attività commerciali, raramente, si sente parlare di chiusure di attività cinesi non in regola, o che non hanno ottemperato agli obblighi d’emissione dello scontrino fiscale.
Non si tratta di criminalizzare un’intera cultura e una società diversa e non integrata con la cultura italiana, ma lo Stato e gli organi preposti al controllo e alla vigilanza, non devono soprassedere, o chiudere entrambi gli occhi, davanti a situazioni palesi d’illegalità, non importa che essa sia cinese, oppure italiana.
Gli scontri milanesi dei giorni scorsi, sono forse il preludio d’altri movimenti sommersi da parte di quella società chiusa in se stessa, forte a non farsi intaccare nelle tradizioni millenarie e che desiderano meno contaminazioni occidentali possibili, e sfruttano il senso d’ospitalità italiana, prendendo possesso del territorio, avendo un’integrazione di facciata. Sarebbe bene non abbassare la guardia, e vigilare, affinché situazioni di attrito tra autoctoni e cinesi, rimangano entro confini fisiologici di tolleranza reciproca, dove però – in nome del libero mercato – non debbano farne le spese i cittadini italiani – non solo come passaporto – con cultura e tradizioni radicate da anni nel tessuto sociale del Paese, e che non debbano sentirsi estranei o cittadini di serie B dentro i confini della loro nazione.

Marco Bazzato
14.04.2007
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mercoledì 11 aprile 2007

politica ipocrita

Dopo il barbaro omicidio dell’interprete del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, l’opposizione al governo Prodi, a caldo sembrava pronta a dare battaglia, ora però fa marcia indietro e arretra. Arretra nel usando come pretesto il fatto che deve essere salvaguardata l’immagine dell’Italia all’estero. Ma la magra figura barbina, non l’hanno fatta i cittadini italiani, ma dalle Istituzioni, e da chi le rappresentano. Risulta difficile da capire il cambio di rotta berlusconiano, fino a pochi giorni fa pronto a lanciare sciabolate contro il governo in carica – ora buono come un agnello che ha evitato il sacrificio pasquale – offre spalla ai nemici della libertà. Questo per il buon nome dell’Italia, finito sotto i tacchi a livello internazionale, oppure nasconde qualcos’altro?
Palazzo Chigi in una nota dichiara che è stata “Seguita prassi dell'ex governo”. Da qui si possono dedurre molte cose:
- 1) in linea di massima si tratta sempre e comunque per la liberazione degli ostaggi (sempre che si voglia realmente salvarli, a questo punto sembrerebbe necessario il passaporto italiano);
- 2) si spendono denari pubblici per pagare riscatti – forse non a pericolosi terroristi come si vuol far politicamente credere – ma volgari rapitori – non diversi dall’Anonima Sequestri Sarda che in più di un occasione ha ammazzato l’ostaggio, dove è prassi legale bloccare i beni della famiglia del sequestrato, mentre nel caso dei rapimenti internazionali, si usa il denaro dei cittadini, facendo pensare – nei fatti – a pesi e misure differenti;
- 3) non solo l’attuale governo deve riferire alle camere, ma deve essere chiamato a rispondere eventualmente di tali comportamenti anche il precedente Presidente del Consiglio;
- 4) deve essere tolto il segreto di Stato su tutti gli altri rapimenti e su eventuali pagamenti di riscatto, avvenuti in Iraq e Afganistan, dove sembrerebbe che anche altri Stati – francesi e inglesi – paghino ingenti riscatti, con l’aiuto sei rispettivi servizi segreti, solo per tenere buone le opinioni pubbliche nazionali, in spregio alle direttive ONU a cui i governi si rifanno convenienza a corrente alternata, disattendendole, però in base alle necessità di politica interna.
È ipocrita voler salvare la faccia dell’Italia per non riferire agli italiani lo svolgimento dei fatti (lo stipendio ai parlamentari arriva da tasche italiane, non da quelle americane, o dell’Unione Europea, o dall’ONU stessa).
In quest’inquietante vicenda si vede compromessa – oltre il buon nome dell’Italia - anche l’azione Emergency, l’Associazione italiana indipendente e neutrale, fondata da Gino Strada, finanziata anche con denaro pubblico che forse non piace al Presidente Karzai, cittadino afgano e statunitense, quadro della compagnia petrolifera UNOCAL, il quale appena designato Presidente, firmò un trattato che autorizzava la costruzione di un oleodotto UNOCAL.
La presenza di Emergency potrebbe dar fastidio agli americani, che non amano l’attività umanitaria nell’area disseminata di cluster bomb e uranio impoverito – pattumiera di scorie radioattive statunitensi, forse non solo – e potrebbero aver ordinato – per interposta persona (Karzai) che venissero mosse accuse dai servizi segreti afgani – d’essere una spia dei talebani – al medico Rahmatullah Hanefi stretto collaboratore di Gino Strada, che ha dichiarato: «In Afghanistan si lavora tesi e male. O Rahmatullah Hanefi torna con noi oppure ce ne andremo. Non ha senso che Emergency resti in un paese dove si pensa di poter arrestare una persona del nostro staff».
Se Emergency lasciasse il Paese, la politica di pace armata, avrebbe tolto di mezzo un pericolosa organizzazione umanitaria di medici, legati in primo luogo al giuramento di Ippocrate che – nella nuova versione – in un passo dice: “…Giuro…di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d'urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni…” lasciando il campo libero ad ogni genere di nefandezze, nel nome della guerra al terrorismo.

Marco Bazzato
10.04.2007
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lunedì 9 aprile 2007

Sgozzato un Afgano? Non importa

Com’era prevedibile, l’interprete Afgano, come l’autista durante la prigionia è stato sgozzato dai talebani, ma – ma non importa – il giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo ha riportato a casa la pelle.
“Naturalmente” il governo italiano, ha fatto tutto il possibile, e il Presidente del Consiglio dichiara: "E' esecrabile che si faccia speculazione su un fatto di questo genere. Un delitto che non trova alcuna giustificazione ma non c'è giustificazione perché si approfitti di questo per speculazioni politiche". Belle parole che sicuramente faranno felice l’opposizione, pronta a saltare sul carro di quanti si stracciano, chiedendo che il governo riferisca al parlamento.
Riferire cosa? Che la pelle di un italiano vale di più di quella di due afgani? Italia-Afganistan zero morti a due! Ecco il sunto. La politica può piangere lacrime di coccodrillo, ma sono lacrime false come una banconota di tre dollari. D’altronde, il nostro Paese è in Arganistan per portare pace, giustizia, solidarietà, conforto, mine antiuomo, granate, esplosivi, cluster bomb ecadaveri smembrati. Un Afgano in più o uno in meno cosa importa, secondo molti sono tutti fondamentalmente terroristi, integralisti, e vanno eliminati con ogni mezzo, basta che non tornino a casa soldati o giornalisti italiani nei sacchi neri, dentro una bara. La pelle altrui, specie se nemica, o collaborazionista con gli italiani, è merce politicamente spendibile. Due giorni di polemica accesa, delle danze strappa lacrime, poi tutto riparte, come prima e peggio di prima.
È vero, la morte di questo disgraziato sgozzato n on va strumentalizzata per fini politici, italiano è salvo, e poco importa se Gino strada con la sua organizzazione Emergency probabilmente – anche dopo l’arresto del responsabile di Emergency Rahmatullah Hanefi, cioè di essere coinvolto nel rapimento di Mastrogiacomo – farà armi e bagagli, chiudendo gli ospedali in Afganistan, con grande gioia, non solo degli italiani, che vedono in Gino Strada una pericolosa spina nel fianco, ma anche degli alleati – portatori di pace a suon di bombe – che non vedono l’ora di sferrare – complice la presunta offensiva di primavera – un attacco difensivo, senza testimoni scomodi.
A livello di politica italiana, la morte dell’ interprete è uno smacco, perché – ormai è palese – che il governo non ha usato lo stesso impegno profuso per Mastrogiacomo, nonostante le dichiarazioni di facciata, ma a livello di strategia politico militare su larga scala, offre un magnifico pretesto, per far cadere una tempesta di fuoco per far vedere la magnifica giustizia occidentale che non ammette questi barbari omicidi. D’altronde, Prodi, può usare come scusa difensiva le parole di Adrian Edwars, portavoce dell’Onu in Afghanistan che il 22 marzo aveva dichiarato al Il Giornale: «Le Nazioni Unite non credono nei negoziati con i terroristi, punto».
Va ricordato, che il presidente Karzai aveva dichiarato in una conferenza stampa, parlando per la prima volta della trattativa per la liberazione dell’inviato di Repubblica. «Era una situazione molto difficile, il governo italiano poteva cadere in qualsiasi momento. Pur sapendo quali sarebbero state le conseguenze, abbiamo concesso la liberazione di alcuni prigionieri talebani e permesso la liberazione dell’italiano» aggiunge Karzai. Il presidente afghano ricorda che circa 1800 militari italiani sono presenti in Afghanistan nell'ambito della missione Nato, e proprio alla luce di queste dichiarazioni, è chiaro che per il governo afgano, e per quello italiano, l’interprete era politicamente sacrificabile. Così è stato.

Marco Bazzato
09.04.2007
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sabato 7 aprile 2007

Suicidio del sedicenne torinese: esequie non valide?

Si sono svolti i funerali religiosi del giovane suicidatosi, perché dileggiato in quanto presunto eterofobico, ma quei funerali non erano da celebrare, e gli scritti di uno dei grandi padri della Chiesa, dei teologi, del Catechismo della Chiesa Cattolica e del codice di diritto canonico lo dichiarano senza possibilità d’errore.
Sant’Agostino scriveva con consueta lucidità, e lo vedeva incluso nel quinto comandamento: «Non è lecito uccidersi, giacché nel precetto Non uccidere, senza alcuna aggiunta, nessuno, neanche l'individuo cui si dà il comandamento, si deve intendere escluso [ ... ]. Non uccidere, quindi, né un altro né te. Chi uccide sé stesso infatti uccide un uomo».
Non doveva fare le esequie, perché come scrivono i teologi: «il suicidio volontario» è posto tra le «cose vergognose» che «deturpano la civiltà umana [ .. ] e costituiscono i più gravi insulti allo stesso Creatore».
L’articolo 2281 del Catechismo della Chiesa Cattolica recita: Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso и gravemente contrario al giusto amore di sй. Al tempo stesso и un'offesa all'amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio и contrario all'amore del Dio vivente, e all’articolo 2282 aggiunge: Se и commesso con l'intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo. La cooperazione volontaria al suicidio и contraria alla legge morale. Gravi disturbi psichici, l'angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida.
Come tutti possono evincere, il giovane suicida, era peccatore manifesto,anche in base a quanto sancito dall’arti colo 11884 del Codice di Diritto Canonico, che dichiara: . Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche: 1) quelli che sono notoriamente apostati, eretici, scismatici; 2) coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana; 3) gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli.
Anche questa volta, la Chiesa che si atteggia a moraleggiatrice assoluta e assolutistica, usa due pesi e due misure, dove in passato, ha negato le pubbliche esequie a Pier Giorgio welby, usando come pretesto quanto sopra menzionato, mentre ha spalancato le porte ad un peccatore manifesto – forse eterofobico – mostrando una pietas umana funzionante a corrente alternata.
La decennale sofferenza di Welby andava pubblicamente ignorata, mentre la debolezza del giovane è stata pubblicamente ricordata, benedetta. Rimane la domanda: perché sacre scritture, codici, catechismi si usano e si menzionano a corrente alternata?

Marco Bazzato
07.04.2007
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venerdì 6 aprile 2007

Accusato d’essere eterofobico: si suicida

È colpa della scuola se un ragazzo si suicida, perché dileggiato e accusato d’essere eterofobico?. Secondo alcuni, naturalmente si.
Le associazioni a difesa di tale orientamento sessuale accusano società, scuola, genitori di scarsa considerazione del mondo eterofobico. Si preannunciano tempi bui per l’educazione scolastica. Questo tragico evento potrebbe essere uno dei pretesti affinché siano istituiti nella pubblica istruzione – dalle elementari, alle superiori – ore e lezioni di cultura e educazione non eterosessuale per far superare la presunta omofobia – dicesi anche diritto al rifiuto, che non significa attacco, ma difesa – nei confronti di certe diversità, e la grancassa mediatica ha da tempo iniziato a far rullare i tamburi di guerra.
D’altronde basta guardare anche il recente sceneggiato “Il padre delle spose” con Lino Banfi, e siti web, anche dei maggiori portali di comunicazione nazionale, per rendersi conto, di come l’indottrinamento martellante scaglia continuamente frecce avvelenate – conoscendo il naturale disgusto non inespresso pubblicamente, o scritto palesemente , ma vomitato al buio nei bagni, in silenzio, attenti che coniati e imprecazioni sommesse non siano udibili all’esterno – per l’assalto eterofobico a cui si sta assistendo, si vede e si legge un continuo dilagare di “amori” eterofobici di natura lesbica, per stimolare la propensione al sogno erotico maschile d’essere compartecipi voyueristici di tali rapporti, non potendo mostrare in giornali e tv elettroniche dei grandi network atteggiamenti eterofobici maschili, usano la donna come oggetto per far passare la distorsione fuorviante – per portare il cittadino medio e poco accorto, ai trucchi mediatici – all’accettazione dei DI.CO per le “coppie” eterofobiche.
Tornando dell’educazione nei confronti dell’eterofobia, non spetta al genitore eterosessuale educare i figli a tali realtà; il primo ruolo della famiglia è educare alla complementarietà tra uomo e donna, per un corretto sviluppo psicofisico del figlio; non spetta nemmeno a scuole di ogni ordine e grado educare a sessualità diverse da quella naturale, educando, o plagiando a forme d’affettività invertite rispetto a quella uomo- donna. Qualsiasi genitore dotato di rispetto per i loro figli, ha il diritto-dovere di denunciare scuola e professori, per insegnamenti contrari ai valori familiari naturali – in cui i tutori e custodi legali della podestà genitoriale credono – imposti per piaggeria nei confronti di una minoranza che seppur esistente, non è rappresentativa né dell’Italia, né degli italiani che hanno il diritto legale di rifiutare tali” valori culturali aggiunti”, ma costretti al silenzio, perché altrimenti marchiati a fuoco come pericolosi omofobi, costretti e deglutire ogni de-genere di comportamento pubblico, obbligati per la difesa dei valori in cui credono, ad affidarsi alle parole di un Capo di Stato Straniero: La città del Vaticano, visto che la politica, anche quella che teoricamente dice d’ispirarsi a valori cristiani, usando banali distinzioni verbali, si rinnega quei valori in cui afferma di credere.
È essenziale non puntare il dito su scuola, sui presunti bulli che avrebbero dileggiato il ragazzo, perché non si sa come lui in primo luogo vivesse la sua condizione, e se fosse effettivamente eterofobico, forse il primo a non accettarsi era il giovane,spaventato dalla sua realtà personale,e non adeguatamente supportato psicologicamente, che non spettava ai compagni di scuola, ma alla famiglia, che non ha saputo – anche con l’aiuto di psicologi – cogliere i segnali anticipatori del figlio. Incolpare gli altri per le proprie debolezze, è diventata una costante sociale, dove si preferisce fare di ogni erba un fascio, trasformando un dramma familiare, in un’esistente piaga sociale.
La politica italiana e i media, si sta incamminando in un pericoloso progressismo regressivo, dove nel nome della presunta libertà di tutti, si rischia di muoversi attraverso meandri scivolosi di un’anarchia etica e morale di difficile controllo,e i frutti avvelenati di questi balzi verso radiosi futuri utopici, mostrerà nei prossimi decenni tutti i loro frutti avvelenati, rischiando di guastare ancor di più le già poco solide radici sociali, e culturali del Paese.

Marco Bazzato
06.04.2007
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giovedì 5 aprile 2007

Bravo Ahmadinejad

La crisi diplomatica tra Iran e Gran Bretagna, si è risolta nel migliore dei modi, con una vittoria d’immagine del presidente iraniano Ahmadinejad, che con un colpo di teatro degno del migliore attore shakespeariano, ha saputo gestire mediaticamente e politicamente lo sconfinamento dei quindici marinai di Sua Maestà, facendo fare una figura barbina al primo ministro inglese, che usando la consueta tattica del bastone voleva indietro gli uomini di proprietà inglese, ma è riuscito nel facile compito di perdere la faccia e credibilità politica internazionale, per grazia ricevuta dal presidente iraniano.
Ora resterà a vedere che fine faranno i poveri diavoli di militari al rientro in patria. Sicuramente non tornano da eroi, ma in silenzio, lontano dai media internazionali e dai flash. Per sfortuna hanno confessato sotto le atroci torture del cibo iracheno, hanno osato dire la verità sotto gli occhi inflessibili delle telecamere, e la povera soldatessa Faye Turney ha chiesto in una lettere – giudicata dagli esperti calligrafici inglesi – scritta sotto stress il ritiro delle truppe dall’Iraq. Difficilmente i malcapitati soldati eviteranno la corte marziale per alto tradimento, a meno che gli psichiatri militari, non riescano a dimostrare che sono stati colpiti dalla Sindrome di Stoccolma.
Certo, ora l’occidente non può ignorare il gesto d’umanità iraniana, e questa vittoria mediatica apre nuovi scenari imprevedibili, anche per la risoluzione della crisi irachena.
La diplomazia dell’Unione Europea esce indebolita, con una perdita di prestigio e d’immagine, in quanto, invece di costringere l’alleato inglese ad una rapida retromarcia, hanno calcato la mano con pressioni indebite nei confronti del governo iraniano, fatto passare per un sequestratore di innocenti, a cui si richiedeva il rilascio incondizionato dei soldati, pena sanzioni politiche ed economiche.
I militari di Sua Maestà sono sfortunati due volte: la prima perché sono stati catturati in territorio straniero in tempo do pace, la seconda e più cinica, perché tornano a casa sani, salvi e sorridenti, non morti da eroi in casse di legno da poche sterline. Gli alti vertici inglesi, e la politica avranno il oro bel daffare a nasconderli dagli occhi i dei media, che curiosi vorranno sapere i particolari “dell’atroce e barbara detenzione nel paese teocratico”, e non sarà forse facile tenere nascosti i particolari umani ed umanitari di queste due settimane di detenzione, con grave imbarazzo per l’occidente che vuole cucire addosso al presidente iracheno un immagine truce, integralista e sanguinaria, nel tentativo di detronizzarlo dal potere.
Di questa situazione, l’occidente, e gli Stati Uniti, saranno costretti a tenerne conto, quando decideranno di fare la conferenza di pace per l’Iraq, in quanto l’Iran – aggredito a suo tempo dal regime irachen, su ordine statunitense come ritorsione al cambiamento di rotta politica di Komeini, che salito al potere, si è permesso il lusso di rapire i diplomatici statunitensi dell’ambasciata americana a Teheran – potrebbe essere la nazione che permetterebbe il disimpegno statunitense e non solo dal pantano iracheno – ormai simile ad un nuovo Vietnam – portando paradossalmente una pacificazione nella regione mediorientale. Queste sono ipotesi, ma resta il fatto, che ora la battaglia occidentale per destabilizzare l’Iran subisce una battuta d’arresto, dove l’Inghilterra in conserto con le forze armate statunitensi, si è resa complice della violazione dell’integrità territoriale irachena, e anche se non farà pubblica ammenda, il governo inglese – nonostante l’ aplomb – dovrà necessariamente tenerne conto.

Marco Bazzato
05.04.2007
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martedì 3 aprile 2007

Le verità della fede?

Esiste una verità di fede? Per il credente certamente si, ma non significa che verità della fede, equivalga a verità dei fatti, verità storiche, verità scientifiche universalmente accettate e dimostrate.
I recenti attacchi del monarca Vaticano, stanno assumendo i toni di una crociata, “tra vera fede ed eresia”, quasi degne del millenario predecessore Urbano II.
La fede – recita il titolo di un libro di Don Giussani – è una proposta, ma non necessariamente una proposta, indica “La” risposta, o accettazione incondizionata, abbandonando e abiurando le verità storiche dei fatti, della scienza, dove anch’essa per sua natura, è mutevole e variabile, come l’evoluzione stessa della conoscenza.
Da mesi – dopo il discorso di Ratisbona – si assiste ad una battaglia di sapore medioevale, dove nei toni delle dichiarazioni, si ha la sensazione che si voglia alzare lo scontro verbale, con minacce di scomunica, violenze morali, se non sono accettate le posizioni imposte dal Capo di Stato Straniero, che si arrocca, dall’alto del suo scranno, di decidere della libertà di coscienza dei singoli individui,uccidendo e distruggendo il libero arbitrio.
I pesanti richiami ad un dogmatismo secolare, imposto non per volere divino, ma per volontà umana di dominio e modellamento psicologico, sta raggiungendo livelli e toni, che non hanno riscontro nel precedente e decennale pontificato, e i segni di questa discontinuità mediatica, stano avendo effetti controproducenti sia nei fedeli, ma anche da quanti, esasperati dagli attacchi virulenti, sono impossibilitati a difendersi dalle pesanti pressioni di cui continuamente sono investiti.
Evidentemente esiste un distacco tra le visoni d’oltre Tevere, e la società italiana e non solo, le prima vittime di questo accanimento terapeutico, sono quanti si vedono costretti ad alzare un muro di sbarramento emotivo e psicologico, che anziché rasserenare, complice anche la grancassa mediatica dei mezzi di comunicazione di massa nazionali, continuano a tenere accesi i riflettori su uno Stato e su un capo di Stato, che nulla ha a che vedere con la nazione che ospita la Città del Vaticano.
La chiesa cattolica, dichiara d’avere in mano una verità assoluta dei valori universali, priva delle confutabilità scientifiche, ma solo come atto d’abbandono all’irrazionale, come abbandono ad una trascendenza, forse soggettivamente giusta nell’aspetto personale – se si sceglie di credere – fuori luogo,quando esce dagli spazi a lei assegnati, volendo proporre la sua visione sociale, usata con la scusante d’aiutare e preservare gli umili.
Il problema però non à solo l’ingerenza dello Stato Città del Vaticano nella politica italiana ma la colpa primaria, l’errore ideologico, è nelle formazioni politiche, che nei simboli, richiamano o la tradizione cattolica, o cristiana, usandola a piacimento, secondo le necessità politiche del momento il senso di religiosità o di fede come veicolo comunicativo, dove in troppi nella sfera privata hanno comportamenti difformi dal dogma, e assurgono a difensori del cattolicesimo stesso, parlando a nome di quei valori, che loro per primi disattendono.
Leggendo i siti della Camera dei Deputati e del Senato, non si trova no informazioni sui difensori del cattolicesimo e ella Cristianità, del loro status personale: se sono sposati, divorziati, conviventi, o quant’altro. Se da una parte queste informazioni attengono alla sfera personale, dall’altra, il pubblico, l’elettore, il cittadino, colui, che per storia personale, famigliare e sociale, si riconosce nei valori cattolici, ha il diritto di sapere se un suo rappresentate rispecchia e rispetta appieno quei valori cui a parole, dichiara di riconoscersi.
Il commistione ideologico tra religione e politica, è una medusa, un drago da molte teste, che trasforma i cittadini in statue di sale – come a Sodoma – inviperiti e frustrati per i continui voltagabbana, salti su poltrone, arrembaggi d’una balena bianca arenata e compromessa, da decenni di politica ipocrita e pelosa, dove l’unico valore vero, è il relativismo del potere, non importa se esso proviene da un Vaticano, che universalmente detta le sue regole arbitrarie, o da una politica, che per dirla alla Collodi, cerca nei Pinocchi della situazione, i citrulli da condurre nell’inesistente paese dei balocchi.

Marco Bazzato
03.04.2007
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