martedì 28 febbraio 2012

Imu a partiti politici, Onlus e galassia No Profit? Sì grazie

Sì parte da un assunto essenziale: le Onlus “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, nella maggioranza dei casi svolgono reali attività al servizio della collettività, con i volontari che si adoperano, nei ritagli del tempo libero, per il prossimo.

Ma le associazioni no profit sono un universo con all’interno galassie e nebulose che nascondono polveri sottili e buchi neri, dove il denaro “sparisce” attraverso vie diverse.

Scrive Francesco Annarumma (1):  In Italia il settore non profit è ancora privo di controlli e soprattutto risulta ancora oggi essere un fenomeno non rilevato in maniera concreta né dal punto di vista giuridico né dal punto di vista economico: almeno non come in altri paesi europei quali Svezia, Norvegia, Germania o la vicina Francia.
A causa di questo in Italia anche nel settore non profit e nella beneficenza si annida il seme della corruzione.

In molti si chiedono ma cosa ci guadagna una persona a fare il volontario,a  perdere o investire il suo tempo – denaro – nei confronti del prossimo, mettendoci anche del proprio, impegnandosi la sera, i sabati, le feste comandate e quant’altro?

Risposta: è una libera iniziativa della coscienza dell’individuo a cui va dato il massimo rispetto.

Ma si parte da un assunto:in rapporto alla popolazione volontaria italiana quanti sono quelli  che lavorano nelle “aziende commerciali “no profit a gratis, dotate di strutture organizzative complesse, che ricevono “donazioni” dal basso e dall’alto, sottoforma d finanziamenti statali, dove il tutto appare come una clessidra, con  la sabbia – il denaro – vola dal basso verso il centro e dall’alto verso il centro, quasi senza soluzione di continuità. Una specie di Schema Ponzi (2) che arricchisce chi sta al centro della “ragnatela”, ma che deprime le tasche dei volontari e dello Stato.

Quanto effettivamente va a finire in percentuale e come si impiegano gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle a esse direttamente connesse?

Ma le domande che si pongono i cittadini sono altre: perché le onlus,  inquadrate “attività commerciali no profit” debbono essere esentate dall’Imu, come sembra che debba accadere per le scuole private – denominate paritarie – così come per i partiti politici?

È ancora caldo il tema del tesoriere dello scomparso partito della Margherita, che ha “stornato”, dalle casse del partito, all’insaputa dei dirigenti la somma di quasi 13 milioni di Euro, secondo stime prudenziali.

 Ed è alla luce di queste somme di cui l’ex tesoriere si è appropriato indebitamente che nei cittadini sorge la domanda sul perché viste le somme di un ex partito omeopatico, che girano nella politica, perché per dare il buon esempio e non essere considerati una “Casta privilegiata” che non vuole rinunciare ai propri agi, al pari delle altre attività commerciali, visto che lucrano – denaro – da parte dello Stato, grazie ai rimborsi elettorali, non versano anche loro l’Imu?

Proviamo a immaginare quante sono le sedi di partito, le sezioni periferiche, palazzi, appartamenti di pregio, ville, i terreni, che essendo di proprietà sia di partiti politici o come di Associazioni – commerciali – di volontariato no profit, che annualmente, con il beneplacito delle Leggi dello Stato, fatte ancora dai partiti – e torna la clessidra con la sabbia che scende e sale verso il centro – eludono legalmente le tasse, impoverendo la nazione?

Non si può dire che un partito abbia il bilancio in pari, visti i finanziamenti che riceve, così non si può dire che un’associazione o un “impresa commerciale” no profit, se reinveste gli utili d’impresa nelle attività caratteristiche debba essere esonerata dal pagamento dell’Imu, perché anche se i bilanci, dopo le scritture di rettifica fossero in pareggio, a seguito dei reinvestimenti nell’attività, l’utile operativo reale esiste, ed in quanto tale dovrebbe, per equità sociale nei confronti delle altre attività,essere pagato alle casse comunali. Anche su questo l’Unione Europea dovrebbe aprire un istruttoria, visto che al pari della Chiesa dovrebbero essere, grazie ai risparmi ottenuti, considerati indebiti aiuti di Stato. È giusto dare le colpe al Vaticano quando lo merita, ma anche il letame andrebbe distribuito con equità, ma i grandi media tacciono in questo frangente.

Prendiamo i partiti politici (3), osservando la tabella, è evidente anche agli occhi di un demente che i partiti lucrano  dal verbo lucrare –  [vc. dotta, lat. tardo lucrare per lucrari, da lucrum ‘lucro’; av. 1306]
v. tr. (qlco.; qlco. + su)
* Ricavare utili in denaro: sono riusciti a lucrare considerevoli guadagni | Guadagnare, spec. in modo illecito o disonesto: è stato accusato di lucrare su forniture e servizi | (fig.) Lucrare le indulgenze, godere il beneficio delle indulgenze concesse dalla Chiesa cattolica. Se la lingua italiana non è scritta da babbei, anche i babbei comprendono che i partiti e associazioni e “attività commerciali” no profit – assurdismo linguistico e forzatura interpretativa leguleia, trattengono somme che dovrebbero tornare alla collettività, cosa che i partiti in primis non fanno.

Basta vedere una qualsiasi tv commerciale per rendersi conto della nuova forma di elemosina del ventunesimo secolo: l’accattonaggio televisivo da parte del No Profit che investono cifre non indifferenti in spot pubblicitari “d’alto valore sociale” anche nelle fasce di maggior ascolto, quando il costo per minuto raggiunge picchi stellari, usando immagini stucchevoli e di disperati per far leva sull’emotività dei telespettatori, invitandoli a “donare” via  Sms, per quello che è il nuovo obolo lava coscienza, il nuovo credo religioso, basato sull’utilizzo strumentale di disgraziati, spesso provenienti da paesi poveri, che forse manco sanno che i loro i loro volti sono utilizzati per raccattar denaro che forse mai vedranno in minima parte.

 Infatti chi può dire se a questi è stata fatta firmare la liberatoria per l’utilizzo dei loro volti, o se ne ricevano qualche utile dallo sfruttamento mediatico delle loro difficoltà economiche, con gli stessi contratti che vengono fatti alle  grandi star che hanno alle spalle fior d’avvocati pronti a spaccare il capello in quattro? No, probabilmente scattano una foto, due riprese fatte da un operatore e via..chi si è visto si è visto. Alla faccia della privacy, del diritto d’immagine. Ma tanto sono cittadini del terzo mondo, no? Hanno fame, sono disperati, gli basta una scodella di riso o un po’ di manioca, latte e acqua e che i diritti d’immagine in uso nei paesi ricchi può andare a farsi fottere.

Chi si ricorda del dimenticato Edoardo Costa (4), uno dei protagonisti di vivere e “terzo pino” del kolossal hollywoodiano Die Hard 4 e della sua Associazione ONLUS, la C.I.A.K. (Construction Intelligence Association Kids  (5), condannato  per truffa ai danni dei bambini africani (6), scoperto e letteralmente snudantato da Striscia la Notizia? (7)

Partendo dal presupposto che tutto sia sempre formalmente legale, rimane il fatto che il vecchio proverbio “Il pesce puzza dalla testa”, i dubbi legittimi, dovrebbe mettere in guardia i cittadini a non cadere nella facile preda del populismo  e del pianto mediatico che in questi giorni sta facendo la Chiesa, e sottobanco anche le associazioni “commerciali” no profit, spalleggiate dai partiti politici, circa il pagamento dell’Imu.

 Perché su una cosa la Chiesa potrebbe aver ragione: ossia se viene chiesto a lei e tutte le strutture a essa collegate il pagamento dell’Imu, dovuta ai rispettivi municipi, lo stesso, per spirito di equità lo si dovrebbe fare per tutta la galassia “commerciale” no profit e per i partiti politici. Ed è chiaro anche il discorso di Monti, circa il salvataggio – a termini di legge – delle scuole private di proprietà ecclesiastica, che reinvestono nell’attività caratteristica, ma la Chiesa si è fatta usare, lasciandosi usare, perché sa benissimo che ad essa è collegata un ampia galassia no profit, dove ha preferito pagare per la parte più eclatante: scuole e ospedali, lasciando intatto il sottobosco delle organizzazioni  collegate.

Lo stesso dicasi per i partiti politici che hanno al loro interno nebulose e nebulose di No profit  – formale – , cooperative comprese, che passeranno indenni le forche caudine del fisco.

 Gli italiani non hanno ancora compreso che sono stati gabbati per l’ennesima volta e che solo la parte che emerge in modo lampante inizierà a pagare:la Chiesa, anche se riuscirà a trovare delle scappatoie, lasciando intatto il restante 90% di sommerso legale che continuerà ad eludere norma di legge l’Imu, perché lo Stato lo consente.

 La cosa più rivoltante è che i sindaci di tutti i comuni d’Italia, invece di coalizzarsi, tacciono asserviti al clero e ai rispettivi partiti politici d’appartenenza, dimenticando volutamente che le casse comunali spesso sono desolatamente vuote, ma preferiscono i questi frangenti fare la  orecchie da mercanti: ossia starsene  in omertoso e complice silenzio delle politiche nazionali, regionali e provinciali, da dove dipendono le loro poltrone.

 Marco Bazzato
28.02.2012


lunedì 27 febbraio 2012

Anche gli immobili ecclesiastici devo pagare l’Imu – Nello Stato città del Vaticano si “bestemmia?”

Ormai è chiaro, le gerarchie ecclesiastiche sono abbarbicate in cesso, alle prese con attacchi di dissenteria economica da Imu – Imposta Municipale Unica. Sembrano, a leggere tutti i giornali cattolici, in primis L’avvenire e Famiglia Cristiana, “venerato” da Adriano Celentano, in preda ad un’isteria da salasso collettivo, una sorta di delirum tremens, che li porta a farneticare nei loro giornali e settimanali, come se fossero in arrivo, per il Vaticano, le sette piaghe d’Egitto.

Si vedrà se dovranno pagare, ma si nutrono dei forti dubbi al riguardo, visto il pressing che puzza da ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, da parte degli emissari del Vaticano, anche attuato tramite i giornali a esso collegati.

Si dice, cosa oltretutto sbagliata, che l’Imu dovrebbe essere pagata da tutti i luoghi non strettamente di culto, lasciando così fuori una parte considerevole degli incassi che arrivano – in nero – alle chiese. Non bisogna dimenticare che l’obolo versato settimanalmente dai fedeli durante l’offertorio è esente da qualsiasi imposizione fiscale, così come matrimoni, ufficiature per i morti, battesimi, l’“affitto” della chiesa e del celebrante, che spesso vanno sotto il nome di “offerte a tariffa imposta”, e che andrebbero sottoposti a tassazione, visto che se si facessero i conti parziali di quanto ogni chiesa incassa annualmente, il monte totale, sarebbe sostanzioso, senza dimenticare le offerte di Natale, le benedizioni pasquali, il contributo per il riscaldamento, la manutenzione e via discorrendo. Soldi che entrano indirettamente nelle tasche del “Cesare Vaticano, non in quelle di Dio, che aborrisce  il denaro.

La bagarre, scatenata dai fiancheggiatori radicali del cattolicesimo militante, capeggiati da Avvenire e Famiglia Cristiana, e Celentano ci aveva visto giusto quando aveva detto che non parlano più del Paradiso, ma cose ludiche che contemplano la pecunia, in barba a Gesù Cristo che aveva scacciato i Mercanti dal Tempio – GV, 2 -13-25,  che come l’Armata Rossa dell’ex Unione Sovietica hanno puntato i cannoni mediatici contro gli ignari e ignoranti cittadini più manipolabili e timorati da Dio: gli anziani e i semianalfabeti, o affetti da analfabetismo di ritorno, i membri dell’associazione cattolica, Comunione e Liberazione, Salesiani, e altri marchi diversi che si riconoscono in uno Stato Straniero: Il Vaticano S.p.A. (1), pronti ad “aggredire” sottilmente il governo e gli italiani con piagnistei e pianti di miseria eterna, anatemi sussurrati o palesati pubblicamente, pur di non pagare l’obolo dovuto al Cesare Secolare.

I Cannoni di Navarone vengono caricati dall’Avvenire (2), da Vatican Insider del La Stampa (3) , paventando la chiusura delle Scuole dei Salesiani.

Amen.

Dove le cosiddette scuole paritarie cattoliche sono considerate no profit, beh, se la Finanza ci facesse le pulci in profondità, vedendo se sono veramente no profit,  i cittadini avrebbero la conferma della veridicità delle affermazioni. Fino a prova contraria, vanno prese con il diritto del beneficio del dubbio.

0Dice don Alberto Zanini, segretario nazionale Salesiani:  «Il governo tecnico doveva tenere nella debita considerazione la natura non profit di una attività tecnicamente “commerciale» Beh, che questo prete in primo luogo si schiarisca le idee: o la scuola è un no profit, allora questo è un altro discorso, oppure è registrata come attività commerciale, e come tale deve pagarci, come ogni attività commerciale l’Imu, al pari del pizzicagnolo o del salumiere.

Questa sono le tipiche ambiguità ecclesiastiche: lo stare sempre con i piedi tra le due sponde di un fiume, quella Vaticana e quella dello Stato italiano, pregando la loro divinità che l’ingrasso sia sempre una cosa infinita e dovuta.

Anche se le scuole private – attività commerciali – parificate a quelle pubbliche, dovessero chiudere, si libererebbero risorse da destinare al settore pubblico, rinforzando i settori vacanti da quelle ecclesiastiche, depauperate dell’eventuale proselitismo religioso che potrebbe essere fatto al loro interno.

Il ridicolo è che tutte le gerarchie ecclesiastiche, dal pulpito delle loro prediche, quando si tratta degli altri, straparlano di bene comune, del dovere di fare sacrifici per il bene della collettività, ma poi appena quando lo Stato, come per le fasce deboli della popolazione – prive di santi in Paradiso – gli mette le mani dentro i loro malloppi, diventano più infingardi dei peggiori lobbisti e intrallazzatori, pronti a far cadere un governo, tramite i parlamentari amici, che si nascondono all’ombra della Croce, come è stato fatto per duemila anni, per continuare a mante tenere i loro privilegi e le esenzioni che reputano di diritto divino.

In una nota uscita il 27.02, (4) , riferita alle presunte scuole paritarie – private – no profit: Ai fini dell'applicazione dell'esenzione è necessario che l'attività non chiuda con un risultato superiore al pareggio economico. O che eventuali avanzi di gestione siano reinvestiti totalmente nell'attività didattica". Così si legge nel documento del 2009 (la circolare 26 gennaio numero 2, ministero delle Finanze, direzione federalismo fiscale), che dovrebbe essere la base per una futura norma più dettagliata.

Peccato che il falso in bilancio sia stato depenalizzato. Si spera che gli organismi fiscali competenti passino con la lente d’ingrandimento i bilanci di queste scuole, non a livello formale, ma in profondità.

È  da quasi duemila anni, e dal tempo dei Patti Lateranensi che il Vaticano banchetta come un avvoltoio sulle carcasse degli italiani, ingrassandosi, con i vari governi che si sono succeduti, che gli hanno fatto da zerbino, assecondandone le voglie e i ventri panciuti e satolli, ricolmi delle regalie non volute che escono dalle tasche dei cittadini.

Il concetto di “Libero Stato in Libera Chiesa” dovrebbe essere un concetto assoluto e non relativistico, dove la Chiesa e le società imprenditoriali e commerciali, anche formalmente non profit, dovrebbero camminare con le proprie gambe, senza drenare o richiedere per vie diverse da quelle della liberalità dei cittadini, di ricevere sovvenzioni o oboli versati dall’Italia a uno Stato straniero e/o alle sue consociate nel territorio della Repubblica italiana.

Marco Bazzato
27.02.2012

  
(4) http://www.tgcom24.mediaset.it/politica/articoli/1038337/imu-alla-chiesa-la-maggior-parte-delle-scuole-cattoliche-sara-esente.shtml

sabato 25 febbraio 2012

La sindachessa e la bandiera del “Sole degli Appennini” nell’aula consigliare


“Impresa familiare” 

Erano molti i nomi che giravano tra i suoi concittadini, i detrattori e avversari politici. Alcuni la chiamavano “Franchina”, in onore e in odore da sudore e pelo ascellare del mitico Franchino, reso immortale nel celebre “Fantozzi subisce ancora”,   che le ricopriva le auguste e cadenti mammelle, dove a detta di chi l’aveva vista in spiaggia, giungevano quasi alle cosce.

Altri chiamavano lei e il marito “La famiglia Addams” dove la sindachessa interpretava il ruolo della nonna di Gomez Addams e il marito, “capellone” fino all’inverosimile, quello di zio Fester. Altri ancora la apostrofavano lo “Scrondo” per via d un’ipotetica somiglianza con  un personaggio televisivo degli anni ’80, oppure lo “scolo”, ma non si era mai inteso quello del lavandino o come malattia venerea. Sta di fatto che era una nemica giurata del sapone, dei deodoranti antitraspirazione, dello shampoo e del dentifricio.

Lo stesso Secondo Martinelli una volta in passato, avendo avuto l’auto guasta, era stato caricato dal donnone e dentro la vecchia Fiat 128 color prugna, cosparsa di ogni Mal di Dio. Il giovane di allora, quasi respirò a fatica, tanto era il tanfo nauseabondo emanato dal corpo della donna, dal sudore e dall’alito fetido che sapeva di pantegana lasciata a imputridirsi sotto il sole d’agosto, che aveva impregnato sedili e pannelli delle porte in finta pelle e dove anche le bocchette d’areazione emettevano aria che puzzava.

Ma era fatta così, Carmela Celodurista. Aveva uno sguardo da Bos taurus, da bove castrato affettivamente e fisicamente. Di professione, prima di dedicarsi alla politica attiva e militante, faceva la donna delle pulizie.

Strano ossimoro per una in guerra con l’igiene personale.

La donna era sposata, il marito Teomondo Scorfalo, detto Geppetto, di professione falegname avvinazzato, chiamato anche “Il sega”. Non se ne sono mai capiti i motivi rendiconti. Alcuni dicevano che fosse per via degli occhiali da miope e per le ore che passava in bagno fin dall’adolescenza, sognando d’essere Super Sex che gridava “ Fix tcten tcten” nei momenti di massima orgasmica tensione interiore o quando aveva alzato il gomito a forza di rossi o bianchetti scadenti, bevuti d’un fiato nella bettola sottocasa.

Gli Scrofalo avevano una figlia, Luisella, chiamata alle spalle, dalle amiche, “Il Cefalo”, per l’alto quoziente d’intelligenza mostrato alle scuole medie, avendo ripetuto la terza media – al Don Bosco – sei volte ed essendosi diplomata per corrispondenza alla “Scuola Radio Elettra”, conseguendo il diploma di lingua italiana per stranieri, Livello A2, con il minimo dei voti, dopo aver dato l’esame sette volte, dove la madre esasperata per i risultati del frutto del suo ovulo, aveva prima supplicato e poi pagato la commissione esaminatrice perché mettessero da parte i pregiudizi e le dessero l’agognato pezzo di carta. E così avvenne.

  Fu così che la figlia alla veneranda età di trentacinque anni riuscì a trovarsi un lavoro come svuota cessi, in una stamberga di albergo, denominato “Il Pennone”, frequentato da extracomunitari di colore, dove sebbene gli ospiti fossero stranieri, laureati in patria in Medicina, psicologia, psichiatria, ma che di professione erano costretti a fare i papponi, o a spacciare droga, Luisella, riusciva a farsi intendere, non perché brava, ma perché gli ospiti, nonostante pulci, zecche, pidocchi e cessi intasati, erano dotati, rispetto a lei, di Quozienti di Intelligenza superiori al suo – e ci voleva poco –  e riuscivano a intuire cosa volesse dire con le sue frasi smozzicate in italiano, infarcite da dialettismi arcaici, in uso dai contadini del diciannovesimo secolo.

Carmela Celodurista aveva iniziato la sua attività politica pochi mesi prima del compimento del trentesimo atto d’età, il lavoro del marito, “Il sega” non andava al meglio. I tavoli, le credenze, i comò che produceva nella modesta attività imprenditoriale erano sbilenchi, con la vernice scadente passata alla meno peggio, dato che usavano pennelli quasi privi di setole e smalti scadenti. Anche le pialle lavoravano alla ben e meglio, le parti lisce sembravano bassorilievi fatti da drogati in crisi d’astinenza, eternamente storti, tanto che ogni volta doveva metterci sui piedi degli spessori per metterli in piano.

Carmela non si perdeva nessuna manifestazione, convegno, dibattito politico del partito indipendentista al quale si era iscritta. Adorava il “commendatore”, così si faceva chiamare l’anziano leader, diplomato, come la figlia Luisella, alla “Scuola Radio Elettra” come aggiustatore di Radio a Galena. Anche il “commendatore” aveva figliato, un maschio, detto “Il Sardina”, per via dello sguardo intelligentissimo. Bravissimo con i congiuntivi e con la storia d’Italia. Tant’è che pensava che Camillo Benso conte di Cavour, non fosse il nome di uno statista nato a Torino del Risorgimento italiano, ma di un Cammello, dal nobile pedigree, appartenete a un Conte della Savoia.

La donna, lentamente, a forza di banchetti nelle piazze della città, e a colpi di ascella pelosa e pezzata, era riuscita a farsi strada, prima nell’opposizione e poi, quando il vento anche a Roma era cambiato, entrando nella stanza dei bottoni come assessore alle Pubblica Istruzione, cercando di far avere alla figlia una delega per le politiche scolastiche. Operazione non riuscita perché una giornalista di un quotidiano nazionale, Giuseppa Grana, dai colleghi veniva soprannomina Rogna era andata a scartabellare negli archivi della scuola media privata, ed era riuscita ad accedere a carteggio della Scuola Radio Elettra, in quanto la madre aveva fornito una falsa laurea in lingua e letteratura italiana.

A Giuseppa che manco sapeva che Luisella fosse la figlia dell’assessore comunale, ci era venuta in contatto perché stava facendo un’inchiesta sugli alberghi in prossimità della Stazione Ferroviaria che davano alloggio a persone prive di permesso di soggiorno, anche perché la madre aveva sempre detto che la figlia laureata lavorava per degli stranieri. Quando la vide che cercava di pulire un vaso alla turca con il suo spazzolino da denti, ne notò la somiglianza.

Ma Carmela non si accontentava, voleva di più. Non gli bastava la carica di assessore comunale, mirava più in alto: in Regione. E alla fine ci riuscì.

 Sono entrate nella storia le sue interpellanze come consigliere regionale circa la dannosità di saponi, deodoranti, dentifrici e shampoo, sui pericoli che questi cagionano all’essere umano. Per questo ne aveva richiesto la proibizione in tutto il territorio regionale.

 Mozione respinta.

 Così come era entrata nella storia regionale un'altra sua trovata: l’abolizione della lingua nazionale, con il ritorno al dialetto, tramandato alle giovani generazioni per via orale. Riteneva che i libri danneggiassero l’intelletto, senza contare, come forse era accaduto al “Sega”, che la vista di parole e immagini potessero portare all’abbassamento della vista e cancellassero le sapienze antiche dei progenitori. A suo scrivere andava proibito nelle scuole l’utilizzo dell’alfabeto, ma soprattutto dei numeri perché di origine araba. Tutte le operazioni, le somme, i calcoli, le moltiplicazioni, le divisioni e via discorrendo erano cifre “infedeli”. E voleva, anche se li detestava, il ritorno alla numerazione romana.

Mozione respinta.

Alla fine Carmela Celodurista riuscì nel suo grande sogno: avere due poltrone per il suo enorme culone. Con l’aiuto scellerato dei suoi concittadini che l’avevano eletta Sindaco, guidato da una giunta dove i componenti erano bene o male gli stessi da quasi quindici anni, che si scambiavano le poltrone, come ci si scambiano mutande scheggiate di feci vecchie e panni sporchi.

Così come era arrivata alla carica di Consigliere Regionale, in forza al partito, era risuscita a diventare sindachessa utilizzando armi non convenzionali, proibite dalla Convenzione di  Ginevra e dai successivi cinque protocolli, adoperando le sue ascelle, la pelle grassa e l’alito fetido, dove i cittadini, rincitrulliti dal tanfo che emanava, l’avevano votata come se fossero stati intossicati da gas urticanti o lacrimogeni, sparati dalla Polizia, contro degli inermi che manifestavamo, perdendo la partita.

L’ultima sua trovata è stata commessa tre settimane, durante un consiglio comunale, quando nell’aula consigliare aperta al pubblico, ha esposto, oltre al tricolore, la bandiera dell’Unione Europea, il vessillo comunale, anche quella del suo partito, “Il Sole degli Appennini”

Le opposizioni e la maggioranza sono insorte e sono scoppiati tumulti. Tumulti sedati quando la donna ha sollevato le braccia al cielo, mostrando le ascelle su cui si erano formate delle stalattiti o delle treccine rasta, con gli effluvi che si sono spanti per l’aula, costringendo gli astanti a mettersi i fazzoletti sul naso, cercando di trattenere i coniati di vomito. Alcuni non ci sono riusciti e hanno inzaccherato il pavimento di spaghetti allo scoglio, cozze, capesante, vongole e rane macinate.

Era presente anche la giornalista Giuseppa Grana, la quale nonostante fosse stata abituata in passato ai tanfi dei cadaveri decomposti delle zone di guerra, non è riuscita a trattenere lo stomaco, rigettando il cotechino con le lenticchie del pranzo di Natale, che per l’occasione, sebbene espulsi da quasi due mesi, erano tornati a far sentire la loro indignazione.

Due giorni dopo un suo articolo al vetriolo riempiva quasi una pagina del quotidiano nazionale, con tanto di descrizione dei cibi rigettati e con una foto scattata con un telefonino alla sindachessa con le braccia alzate al cielo, le ascelle rasta e i capelli unti sudati che  cadevano a ciocche sul volto, con tanto di forfora, che sembrava la striscia irregolare di una pista di cocaina.

Fu la notizia del Tg Rai delle 20.00, ma anche il Tg3 nell’edizione regionale delle 19.30 ne diede ampio risalto. Lo stesso fece la BBC, l’Abc e Al Jazeera. La tv satellitare del Quatar, anche nella versione inglese, che con dovizia di particolari, il giornalista parlava delle armi non convenzionali utilizzate per rendere a miti consigli gli insorti, poi stramazzati a terra.

Ma la giornalista non si era limitata al semplice articolo. Il mattino seguente, ancora prima di mettersi al lavoro, aveva inviato un pacchetto via Ups al Prefetto, sapendo quale sarebbe stata la sua reazione.

Il Prefetto ancora ufficialmente ignaro dell’accaduto alla vista del plico e del contenuto, sorrise amaramente preoccupato per l’ulcera.

Aveva convocato la sindachessa per il pomeriggio seguente. Quella bandiera illegale in un’aula consigliare, doveva essere rimossa, senza se e senza ma.

Carmela Celodurista giunse nel primo pomeriggio, abbigliata con il suo solito male arnese: vestiti macchiati e bisunti, capelli arruffati e grassi, alito e ascelle fetide.

Il prefetto ancor prima ancora che entrasse nel suo studio, a porta chiusa, si mise le mani, una sulla bocca e un'altra sullo stomaco, cercando di trattenere i coniati. Ci riuscì a fatica. La donna bussò. Aveva l’aria tronfia, la camminata sicura indipendentemente dai prosciutti in bella mostra dei polpacci villosi.

Il Prefetto, che non vedeva l’ora di ricacciarla nella sua latrina,disse senza tanti preamboli:
 «Quella bandiera di partito deve essere tolta! Intesi?»
La donna prontamente rispose: «Quella bandiera resta al suo posto!» alitandogli a pochi centimetri dal naso.

Il Prefetto sbiancò. Sembrava Paolo Bitta, quando vede quel cesso della Patty. Adorava guardarsi su Italia 1 le nuove serie di Camera Caffè, dopo che da You Tube erano state tolte le serie precedenti. 

Era bianco come un cencio. In quel breve attimo in cui la donna aveva aperto la bocca gli aveva visto le carie, i denti gialli e quelli piombati alla ben e meglio e un pezzettino dell’abbacchio della Pasqua precedente.

«Lei, ora torna al suo Municipio, subito e mi toglie quella cazzo di bandiera!» Sembrava De Falco della Capitaneria di Porto che ordina a Schettino di tornare a bordo. «Ci siamo capiti?»
«Ma è quasi buio, signore…»balbettò Carmela confusa. «.È quasi buio…ripetè a bassa voce, con un sussurro.
«Ci siamo intesi?»
«Sì»
«Non ho capito. Ripeta!» si sentiva come il Sergente Hartman  che sbraita contro a “Palla di Lardo”
«Signorsì, signore.» rispose spaventata tutto d’un fiato. «Lo farò immediatamente, signore.»
«Bene…Ah, un'altra cosa.» disse porgendoli il pacchetto ricevuto il giorno precedente.
La sindachessa lo prese e lo aprì, guardandone il contenuto stupefatta.
«Perché?»
«E ha il coraggio di chiederlo?»
«Ma signor Prefetto, il sapone, lo shampoo, il deodorante ascellare, il dentifricio fanno male  al corpo….»cercò di giustificarsi.
«Non me ne frega una sega se fanno male al suo corpo, fanno bene al mio stomaco e a quello dei suoi concittadini» gli gridò contro, infuriato.
«Ma io…»
«Vada a lavarsi, e inizi a presentarsi come un essere u mano, cazzo! È un ordine!»

E la donna girò il suo immenso culone diede di spalle al Prefetto e avviandosi vero la porta, sollevò il braccio destro  e dopo aver girato il collo si annusò l’ascella. «Quell’idiota di un Prefetto…Io non sento nulla…» si disse sottovoce, confidando di non essere udita.
Ma il movimento stesso dell’aria gli portò l’ultima zaffata.
Il Prefetto attese che la donna fosse uscita, poi tenendosi la bocca corse in bagno. Riuscì ad arrivare appena in tempo sulla tazza del water e rilasciò lo stomaco. Prima di tirare lo sciacquone fissò il contenuto del suo stomaco. “Maledizione”imprecò mentalmente: “dieci euro del cibo cinese gettato nel cesso dalla parte sbagliata…merda!”

Dall’autobiografia di Secondo Martinelli
I stesura
Marco Bazzato
25.02.2012

Carne morta


Note dell’autore, prima della lettura: opera dalle tematiche forti, adatta a un pubblico adulto e non impressionabile.

Carne morta incisa a Y
dalle spalle al pube
la pelle si apre
come tessuto raggrinzito.

Nell’aria volano odori
di carne e sangue
gli intestini escono dall’ alveolo
sguscianti serpenti impazziti
sull’addome esposto.

Il bisturi lacera, alza il costato e dai bordi del seno
cadono le protesi al silicone,
l’eterna dormiente più nulla sente, guscio svuotato
già in fuga verso l’ultima meta: il nulla.

Guanti di gomma, giacca cerata
occhiali schizzati, olfatto protetto dal mentolo
l’assistente gli asciuga il sudore dalla fronte
tra le recisioni  secche delle terminazioni nervose.

Un ago piantato con violenza in vescica
la siringa si beve pochi decilitri d’urina
parafilia di demone perverso
che svuota  il cono troncato del fu donna.

Cade lo stomaco e intestino nella bacinella
feci e resti di cibo e fluidi,
un meticcio attende il suo pasto
tra fameliche fauci spalancate, pregustando l’augusto banchetto.

Metallica è la voce del patologo
minuzioso oratore d’ogni incisione e movimento
attorniato da tirocinanti che vomitano l’anima
lacrimanti per i pasti rigettati.

Si avvicina un novizio dallo sguardo cinereo
 simile agli occhi spenti del cadavere disossato
cercante un impossibile conforto
ma il patologo lo sbeffeggia estasiato.

Un bisturi si avvicina alla cute
un’ incisione leggera e sicura
e lo scalpo vien tolto dal capo
tra grida di gioia e danze di giubilo.

La pelle del volto era già stata rimossa
denti, gengive, muscoli e nervi giaccono scoperti
le palpebre assenti mostrano i bulbi oculari,
pozzi neri fissano l’infinito.

La sega elettrica ruota sulla nuca
la duramadre si scheggia lanciando nello spazio
frammenti d’osso e fluidi
fantasmi pronti a far ricomparsa la comparsa nei deboli.

Il anatomopatologo rimuove la calotta cranica
mostrando un cervello esibizionista
pregno della magnificenza
di un pensiero emigrato.

Recide il midollo spinale
lama arrugginita che esce dal fodero
guaina sanguinate ove scorrevano  segnali
traslocati in altro loco assente

Pesa il cervello, massa informe delle astrazioni che furono
poco più di un chilogrammo
ventuno grammi è il peso dell’anima evaporata
che osserva un corpo dissezionato sconosciuto.

Sorride l’anatomopatologo
tutto è esposto come mercanzia avariata,
mercanzia smontata da un meccanico capace
che non sa ricostruire il puzzle senz’anima.

Il decano contempla la sua opera
come  in una macelleria
costate, stomaco, intestino
spalla e cosce, tutto in bella mostra.

Venghino gente,
 venghino al gran bazar della carne umana
dove il solo involucro sarà dato in sepoltura
portate i vostri bimbi al Grande Circo della Morte”

Si inchina
dopo l’ultimo invito
raccogliendo delle le frattaglie per il nero felino
anche lui ha diritto al banchetto.

La sera, seduto al desco ripensa alle gioie della professione
a quei corpi a sua disposizione
congiunge le mani, ringraziando il Signore delle Mosche
per avergli donato quella magnifica possessione.

Marco Bazzato
25.02.2012

mercoledì 22 febbraio 2012

Sanremo 2012, chi ha vinto?

Finalmente Sanremo è terminato, ma non accennano a fermarsi le polemiche circa l’intervento di uno sconosciuto, ai giovani, lo ha ammesso in diretta lo stesso vincitore di Sanremolab, Alessandro Casillo, che non conosceva uno straccio di canzone di Adriano Celentano, segno che per le giovani generazioni, la Rai ha gettato al vento una saccoccia di euro, essendo un cantante del millennio passato.  Così come non si fermano le polemiche sulla farfallina di Belen Rodriguez a pochi centimetri – con slip trasparenti – dalla “topa” “nutria” o “pantegana” che dir si voglia, o sul cognome di Ennio Morricone, storpiato in Moriccione, dalla giovane modella ceca, Ivana Mrazova, che candidamente e giustamente aveva ammesso di non amare la musica italiana, beccandosi una carrettata di critiche, omettendo gli strafalcioni fatti da Gianni Morandi, con il nome dell’artista serbo, Goran Bregovic, il cui cognome è stato ripetutamente stuprato linguisticamente dal conduttore. (1) o quello storpiato di Bruce Springesteen, e via “bestemmiando”. Senza dimenticare le polemiche circa l’eccesso di volgarità presente nel Festival, commissariato il martedì successivo, a qui era stato affibbiato un blando Torquemada.

Ma andiamo con ordine: Lo sconosciuto Adriano Celentano.

Ergo, come un cantante sul viale del tramonto da anni sa farsi pubblicità e diventare mecenate agli occhi degli italiani, con il denaro altrui: quello degli sponsor e del canone, per propinare un cazziatone, un pistolotto omeliaco fatto di ovvietà, trite e ritrite dai giornali, raccontate in modo populistico, mettendoci oltretutto di mezzo L’ Ascoltatore Onnisciente e Onnipresente, tirato in ballo senza motivo: Dio. Che centrava Dio con Sanremo? Non è mai pervenuto una sua opinione battuta dalle agenzie di stampa, circa un interessamento per Celentano o per la manifestazione canterina. Tirare in ballo una persona o un entità che non desidera essere messo in mezzo nelle ludiche faccende umane, oltretutto parlando di Dio o di un Paradiso che nemmeno nessun Papa in persona vivente, ha mai potuto osservare dal vivo, beh, puzza un po’ di propaganda o pubblicità occulta di un luogo teorizzato teologicamente, ma di cui non sino stati trovati risconti oggettivi, circa l’effettiva esistenza. Ergo, Celentano parlava a titolo personale e per sentito dire.

Riferito al fatto che dovrebbero andare chiusi L’Avvenire e Famiglia Cristiana, potrebbe anche aver ragione – ma quella è un opinione  di Celentano – il problema semmai è che l’Italia è piena di giornali, giornaletti, settimanali, mensili e trimestrali, che in modo diretto e/o indiretto ricevono aiuti dovuti dallo Stato e sarebbe ora che il governo dei tagli, nei confronti dei pensionati, agisse anche contro quei giornalacci inutili che drenano risorse pubbliche.

Il punto non è quello che ha detto Adriano Celentano, pensieri che molti italiani hanno, ma è la platea nazionalpopolare dove l’affermazione è stata fatta. Si può desumere che i direttori delle due testa non si siano preoccupate tanto di un improbabile chiusura, ma dell’eventuale calo delle vendite nelle parrocchie o nella edicole. Tranquilli: i quasi 15 milioni di telespettatori a fatica compreranno giornali, d’altronde le tirature giornaliere e settimanali stanno lì a testimoniarlo anche perché i lettori, per contarne la percentuale, bastano e avanzano 10 dita. E in ogni caso, i lettori intelligenti, non avrebbero smesso d’acquistare le due testate messe all’indice, solo perché lo ha detto Adriano Celentano. Così come i lettori intelligenti non inizieranno ad acquistarli.

Belen:

Belen non è una donna oggetto, ma  una persona soggetto che sa agire e muoversi nel mondo dello showbizz con rara maestria. E non si può parlare di sfruttamento della donna per via della farfallina quasi inguinale tatuata e messa in bella mostra. Se vogliamo essere onesti, Belen ci ha rimesso economicamente, essendo la sua performance un fuori programma, e una sua libera iniziativa non concordata con gli autori, e per questa esibizione extra non ha ricevuto un centesimo in più di quanto concordato. Certo l’unica cosa che ci ha guadagnato sono state le prime pagine dei giornali e le trasmissioni televisive che ne hanno parlato i giorni seguenti, segno che non c’erano in scaletta eventi o notizie più importanti della farfalla, ma non è colpa della soubrette se i media non vanno a caccia di notizie. La Rodriguez ha solo sfruttato l’indolenza e il lato morboso dei media.

Le volgarità in prima serata:

 Se ci sono state sono state poche e  come per la bestemmia di Berlusconi, come ha detto Mons. Rino Fisichella, va contestualizzata (2), lo stesso dicasi per il linguaggio che alcuni considerano da trivio, vanno contestualizzati all’interno di una performance comica sia da parte di Luca e Paolo, così come dai conduttori, che nel contesto delle necessità e delle emozioni del momento, l’unico linguaggio possibile poteva essere solo quello. In certi casi si toglie il trivio e cade il discorso. È un fatto di sintassi, parafrasando Marco Paolini in Vajont.

Gli strafalcioni linguistici: come sempre il provincialismo pecoreccio si dimostra in tutta la sua magnificenza in questi frangenti. Se sbaglia una straniera, specie dell’Est Europa, anche se vive in Italia da quattro anni, ecco che si aprono le carrettate dal cielo, con diluvi di critiche senza soluzione di continuità, come se la lingua italiana fosse stata violentata e vituperata, ma se certi errori balzani vengono commessi da un italiano con i cognomi stranieri, ecco che partono le giustificazioni possibili e immaginabili. Eppure il conduttore, nato professionalmente come cantante, ha meno giustificazioni della valletta straniera, in primo luogo perché lui la lingua italiana la parla da anni, e cosa non meno importante, dimostrando poco rispetto nei confronti dei cognomi dei suoi colleghi stranieri.

 E la domanda che sorge allora, per dirla alla Vittorio Sgarbi: chi è più capra?

La musica:

 Un insipido contorno a unno show istituzionale ma che ha perso lo spirito della competizione, con canzonette non adatte né ai mutati gusti delle nuove generazioni, per questo che il festival non lo guardano, nè come biglietto da visita verso una platea internazionale che sappia fare successi in altri Paesi. E basta dare uno sguardo a quelle che sono stati anche nei soli ultimi cinque anni dei successi internazionali, segno di una provincialità musicale che fatica a uscire dal getto.

Si dice che ormai la manifestazione sanremese sia appaltata da Amici, visto che molti cantanti provengono dai cosiddetti talent show. È chiaro che gli italiani abbiano una memoria storica e musicale limitata nel tempo. Non possiamo dimenticare che quelli che al tempo erano i giovani in passato, sovente sono usciti dal Cantagiro (3), con le nuove proposte che poi hanno avuto successo nazionale e internazionale. I talent di oggi, pur con le dovute differenze, ricalcano, con formule diverse, le stesse opportunità che venivano date in passato, solo che il veicolo oggi è quello televisivo.

Il punto però alla fine è se la musica italiana di oggi è in grado a produrre grandi successi su scala internazionale come è avvenuto in passato. Si può dire che a parte qualche raro caso sporadico, la musica italiana essendo diventata un prodotto a breve scadenza, le stelle nascono e muoiono nel giro di due stagioni, basta vedere il caso di Marco Carta, scomparso dalle scene musicali italiane, dimenticato anche da Maria De Filippi, visti anche gli scarsi risultati di vendita del suo ultimo album del 2010, 30.000 copie.

A riguardo la triade femminile vincitrice di Sanremo 2012, si dubita che abbiano la caratura per sfondare fuori dalla “provincia” Italia, proiettandosi all’estero, ma si auspica che non siano, come spesso accade, delle meteore che passano sul firmamento musicale, scomparendo quasi immediatamente nello spazio infinito del dimenticatoio.

E la Rai? Da un conteggio provvisorio sembra che con la manifestazione canterina ci abbia rimesso 3,5 milioni di Euro. E questi li pagano ancora gli italiani...(3). Non male vista la disastrosa congiuntura economica nazionale e internazionale. Sarebbe giusto che il parlamento indagasse, su questa perdita.

Marco Bazzato
22.02.2012



lunedì 13 febbraio 2012

Whitney Houston morta a 48 anni in un hotel


È stata trovata in nella vasca di u n hotel con attorno una mandria tonante di droghe e alcol, come ormai era diventato suo costume abituale dalla fine degli anni ’90 fino al ritrovamento del cadavere, dove sembrerebbe da quanto è dato sapere dal primo esame autoptico che sia morta per annegamento, ma per il tossicologico bisognerà ancora attenere.

 

Ora, come è accaduto per Michael Jackson (1), la massa si traccerà le vesta, mentre un esigua minoranza gioirà di felicità, in primis gli eredi, la casa discografica detentrice dei diritti, che come è accaduto per il lo sbiancato Michael Jackson, inonderà il mercato di raccolte commemorative.

 

La Houston è stata una grande cantate ma poi già verso la finedegli anni ’90, raggiunto l’apice, ha iniziato a sperimentare nuove forme espressive, come alcol, pere, psicofarmaci e via discorrendo. D’altronde basta guardarsi quanto scrive Wilkipedia nella pagina dedicata alla cantante (2).per comprendere su come si sia “divertita” a dissiparsi e a dissipare il suo enorme talento, tra le legnate ricevute da un marito drogato e fallito, almeno rispetto al successo della moglie, che si sentiva ombreggiato, dove la Houston passava più tempo attaccata al collo della bottiglia, a far raccolta di aghi per siringhe, piuttosto che incollata all’asta del microfono o in sala d’incisione.

 

Ora a cadavere ancora caldo, i media di tutto il mondo si sperticano in lodi circa la povera milionaria sfigata, con, almeno quelli italiani che manco riescono a mettersi d’accordo sui milioni di dischi. Si parte dai 160, fino a giungere ai 190, come in una gara a chi la spara più grossa, per aumentare la grancassa, in attesa del solito inedito o della raccolta acchiappa gonzi, che con tutta probabilità verrà stampata e distribuita in tutto il mondo alla velocità della luce, visto che il ferro – pardon il cadavere – va ingrassato, come la sella di cuoio di un cow boy, per cavalcarlo meglio, evitando se possibile, l’insorgenza delle emorroidi.

 

In questi giorni anche i media italiani hanno fatto il possibile, come lo fu per Amy Winehouse, un'altra tossica che si è “terminata”, trasformatasi appena dopo la morte a nuova icona, non si è mai capito per cosa, ma già bella e dimenticata. D’altronde, come la sua compare maggiore di pere la Houston, sulle copertine dei rotocalchi, negli ultimi anni ci andavano solo quando erano strafatte.

 

I veronesi, infatti,non hanno dimenticato la sua “straordinaria” performance, tant’è che durante lo stesso ci fu una fuga degli spettatori per recarsi al vicino mercato generale ortofrutticolo, per acquistarli in scala industriale, da scagliarli verso la tossica che, come un albero motore squilibrato, faceva battere i pistoni sul cielo del cilindro, inondandola di verdura, buona, una volta rientrata in camerino, di un minestrone atto a sfamare più di un centinaio di senza tetto.

 

È inutile menarcela. Sono stati quattro gli album che hanno letteralmente “spaccato” le classifiche, oltretutto dai titoli estremamente creativi: il suo cognome ripetuto come il mantra di un tossico in preda alla scimmia. Quattro album che le hanno offerto la possibilità di farsi, grazie al denaro guadagnato, una scorta quasi infinita di alcol e droghe varie.

 

È stata una brava cantante? Sì.

 

È stata una grande tossica e ubriacona? Urca, se non lo è stata!

 

Memorabile la sua foto tra l’immondizia, lattine di birra o con i capelli scompigliati, peggio di una medusa, gli occhi ciposi e le borse strafatte e rigonfie, con “lo sguardo perso per i cazzi suoi” – citato di Vasco Rossi, da “Vita Spericolata”

 

Non si vuole condannare la neomorta, ma mettere in luce l’ipocrisia dove questa persona, coperta di denaro come Creso, non ha voluto e non è stata aiuta per uscire dal tunnel, ove probabilmente è entrata dopo il matrimonio, osteggiato anche dalla famiglia con Bobby Brown, che la utilizzava come sacco da allentamento pugilistico. E che in una delle ultime interviste la Houston aveva dichiarato che non si considerava una tossica e alcolizzata, ma che poteva smettere quando voleva. Infatti l’11 febbraio 2012 ha trovato il modo per una cura disintossicante radicale e definitiva: “terminandosi!”

 

Il punto è che come per tanti appartenenti al mondo dello showbizz, che probabilmente sono sì stati adorati dal pubblico, ma sfruttati nelprivato come vacche da latte verde – dollari – dove a molti faceva comodo lo stato semicatatonico e autodistruttivo, non avendo così più il controllo sul loro patrimonio. E alla fine è morta sia una grande ex cantante come una grande tossica alcolizzata, il tutto in un unico fragile corpo e psiche.

 

Pace – forse – alla sua anima (sempre che anche questa non sia tossica e alcolizzata).

 

Marco Bazzato

13.02.2012

http://marco-bazzato.blogspot.com/

 

 

 

(1)  http://marco-bazzato.blogspot.com/2009/06/michael-jackson-e-morto.html

(2)  http://it.wikipedia.org/wiki/Whitney_Houston

domenica 12 febbraio 2012

Vigonovo ha bisogno di una nuova stazione di servizio?

Non mi è mai piaciuto occuparmi di cronaca locale. Ogni persona ha i propri interessi e gusti, ma quando notizie e foto giungono tramite amici che non ti hanno dimenticato, a differenza di alcuni parenti strettissimi con qui si condivide una parte del patrimonio genetico, dotati di priorità etiche e di morali differenti, che fingono che non si esista più, nella mente scattano non ricordi o rimpianti,ma i ragionamenti anche storici, che le nuove amministrazioni non ricordano, o che in virtù  del tempo trascorso,  possono appartenere ad un passato per alcuni remoto, ma per altri no.

La notizia che mi ha fatto risalire in mente Vigonovo e un articolo inviatomi da una persona con relativa foto, circa la nuova stazione di servizio che sta per sorgere in prossimità di Via Dante, a Vigonovo Ve, direzione Stra.

Ebbene, quella lunga e stretta stradina, quasi un budello o un’ansa intestinale deformata, è ben conosciuta dagli automobilisti della zona, dove i più idioti – con lo scrivente ci si mette tra questi, avendola percorsa fino a quasi dieci anni fa a velocità folli –, sanno che provenendo dalla località “Baita”, nel rettilineo lungo l’argine del Piovego, con un’autovettura e /o una moto di media clindrata, può imboccare la curva a quasi 180km, proseguendo verso il centro del paese, e prima d’arrivare  al “nuovo” ponte sull’Idrovia, dove tra le due “anse” dovrebbe sorgere una nuova stazione di servizio “No Branding” – nella direttrice in uscita dal paese – ossia si rifornisce di carburante extrarete, con i margini di ricavi lordi, e sconti sui carburanti da parte dei proprietari del servizio, che vanno oltre il doppio, rispetto a quello che la rete ordinaria offre ai gestori. E visto il margine quasi doppio dovrebbe portare a una diminuzione dei prezzi alla pompa, in linea teorica, di oltre gli 25  centesimi – per le benzine – ma è risaputo che le differenze tra gestori dei grandi marchi presenti nella rete e le “pompe bianche”  non superano i 10 centesimi, nonostante il Primo Ministro Mario Monti abbia affermato che con la liberalizzazione (fantasma) della rete (1) i prezzi dovrebbero scendere di altri 10 centesimi,alla fine sempre vanificati dai continui rincari.

Tornando a questa nuova stazione di servizio, ci sono voci discordanti e i cittadini chiedono chiarezza, e rispetto al miliardesimo di millesimo delle distanze tra il fabbricato e l’unghia dell’argine. Distanze che si presume certamente siano state rispettate, così come l’impianto sarà sicuramente stato autorizzato dalla preposta commissione provinciale sui carburanti, che avrà dato il beneplacito, nel pieno rispetto delle leggi vigenti (2).

Il punto non è se sono state rispettate le leggi, quello spetta ad altri eventualmente accertarlo, ma si pone l’accento non solo sulla pericolosità intrinseca della “stradina” provinciale SP 20,, ma sull’opportunità che un paese piccolo come Vigonovo, che conta poco più di 10.000 abitanti, distribuiti tra le frazioni, debba avere due stazioni di servizio, una in località Tombelle, che lavora da più di trent’anni e quella nuova in costruzione, che andrà a far contrarre l’erogato dell’attuale “pompa bianca”, visto che le amministrazioni comunali precedenti ci hanno messo decenni a far chiudere quello in Piazza Marconi. Punto vendita chiuso dopo che anche l’altro distributore sito all’ex numero civico di Via Padova 76/A  ha cessato l’attività nel 2004.

I vigonovesi non avranno forse dimenticato quel piccolo chiosco,per anni è stato Agip e poi, Ip, marchio a quel tempo appartenete al gruppo Eni. Il punto vendita sorgeva in una posizione infelice, nato dallo spostamento da Via Padova “vecchia” a via Padova “nuova”, quando ai primi degli anni ’70 è stato costruito il cavalcavia  sull’Idrovia incompiuta Padova-Venezia.

 Per anni ufficiosamente anche gli amministratori comunali dell’epoca si lamentavano con il gestore, che non era proprietario, circa la mancanza di visuale in uscita, quando si puntava il muso dell’auto verso Tombelle. Essendoci poca visibilità, si voltava la testa a sinistra, fino a quasi slogarsi le cervicali, per vedere se sopraggiungevano automobili, che spesso appena superata la curva dove anche oggi sta la fermata dell’autobus, prendevano velocità, schizzando come dannate sul quasi rettilineo, tant’è che verso al fine degli anni 90 avvenne un incidente mortale, all’altezza alla fermata, il traffico impazzito, l’autoambulanza che non riusciva a passare e i curiosi, sempre andati di moda, che giungevano sino al punto vendita, volendo lasciare quasi le auto in mezzo al piazzale, per andarsi a godere il giusto e sacrosanto, secondo il loro punto di vista, cadavere sanguinante, incastrato nell’auto e non ancora coperto da un lenzuolo bianco.

Si spera, se l’opera verrà edificata, che in molti non auspicano, che la direzione di marcia sia obbligatoria, verso la “Baita”, in modo che i clienti non possano, se non violando il codice della strada, tornare verso il paese dopo il rifornimento, come accadde all’impianto nella direttrice Via Padova, sull’Idrovia, con il gestore e i clienti infuriati – e altri soddisfatti – per il cartello di direzione obbligatoria a verso Padova e il divieto di accesso, provenendo da Padova, ma per non accedere al punto vendita, avendo l’amministrazione comunale fatto tracciare la linea continua,  cosa che la maggioranza degli automobilisti se ne fregavano, comprese  tante giovani promesse politiche e dipendenti dell’amministrazione comunale, entrando nell’impianto da Padova,  o tornado verso il centro del paese, a rifornimento ultimato.

 Una cosa del genere potrebbe ripetersi, con tutte le differenze del caso, se venisse aperta la nuova stazione di servizio, indipendente dal rispetto di tutte le leggi vigenti in materia.

L’impianto che era presente in Via Padova 76/A così come quello che dovrebbe sorgere in Via Dante, potrebbe avere un altro problema:l’entrata e dell’uscita delle autobotti per gli scarichi di carburante. Infatti, oltre l’intrinseca pericolosità delle operazioni di scarico, ove debbono vigilare al pari il trasportatore e l’addetto al piazzale, al momento dell’entrata e dell’uscita dell’autobotte l’addetto al piazzale quando vede l’autocisterna giungere, a volte si muove verso la strada per far defluire il traffico, con il rischio per la persona che può vedersi costretta a uscire dalla stessa proprietà o dai confini del punto vendita, per controllare il deflusso del traffico. E in una zona come quella, dove almeno in passato, e si presume anche oggi soggetta a rischi di forti nebbie, con la visibilità ridotta, questi sono fattori, ch potrebbero incidere sulla sicurezza delle degli automobilisti e degli addetti al piazzale, indipendentemente dal rispetto di tutte le leggi vigenti da parte della P.A.

E sono molti, oggi come allora, coloro che gufano attendendo che ci scappi il morto, o mal che vada un ferito grave, o se proprio dovesse andar in modo pessimo, un incidente senza morti o feriti ma con molte auto coinvolte. Sono in molti che già da oggi incrociano le dita, attendendo che il “lieto evento” si compia, in quanto vale sempre il detto dei sani e dei vivi: “meglio agli altri che a noi…”

“Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna.”
Aldous Huxley, Collected Essays, 1959

Marco Bazzato
12.02.2012



Francesco Schettino: dedichiamogli un monumento?

Non si dovrebbe scherzare sulle tragedie, qualunque esse siano, specie quando ci sono dimezzo dei morti e degli eroi che hanno dato la propria vita per salvarne delle altre, ma nella storia del Costa Concordia, la realtà ha superato la più fervida immaginazione di uno sceneggiatore di film catastrofici. E cercando nella storia del cinema si trovano dei capolavori indiscussi, dove i comportamenti di alcuni personaggi sembrano stati sceneggiati come una premonizione degli atti eroici e codardi, dove l’onore viene momentaneamente offuscato dalla viltà di uno che rappresenta solo se stesso, ma che infanga la divisa che indossa e le responsabilità che aveva scelto di assumersi, dove gli oneri sono stati dimenticati a favore dell’immagine fallace dell’onore e del rispetto.

Francesco Schettino non ha solo tradito la fiducia degli ospiti della nave da crociera, ma anche dell’equipaggio, senza dimenticare che ha disonorato la marina mercantile e l’Italia intera innanzi agli occhi del mondo.

Al comandante  Gregorio Maria de Falco vanno tutti gli onori dell’Italia intera e non solo, come a tutti coloro che si sono prodigati al meglio delle loro forze per aiutare i naufraghi, vittime della disastrosa disattenzione di Francesco Schettino.

Non è una provocazione, ma una necessità etica che gli italiani dovrebbero dare a piccioni e gabbiani di passaggio, affinchè possano lasciare il segno tra le braccia e il capo di questo possente, coraggioso e inde – fesso uomo di mare.

C’è poco da girarci attorno, Schettino è forse in questo momento il cognome più famigerato e ricercato in rete, più ancora di Mario Monti o di  Gnau Fufu, dando fama imperitura all’Italia e agli italiani, che da popolo di “poeti, santi e navigatori” sono diventati un popolo di “poeti, santi e slalomisti tra gli scogli, comandando una nave da crociera”

Anche gli Zulù ci stanno prendendo per i fondelli, senza dimenticare i lapponi, i congolesi e i danzatori Maori che con la loro Haka ci fanno gli sberleffi.

Ieri e oggi e domani, ascoltando la telefonata tra il comandate De Falco e l’anti eroe del sistema galattico per antonomasia, Francesco  Schettino,  trasmessa anche dai Tg serali dei seleniti e dei gioviani, con i pellerossa si sono riuniti attorno al grande fuoco, invocando Manitù, affinchè mai nelle loro praterie passi un cruiser comandato da Schettino.

 Il mondo si è “sbellicato dalle risate” – sempre che si possa ridere di un siffatto personaggio da macchietta, ascoltando i suoi piagnistei e lamenti, simili a quelli del cane Spank, che non facevano intenerire Aika Morimura.

Nelle ultime ore si sono diffuse voci incontrollate, provenienti dall’Artide e dall’Antartide, sembra che un gran numero di iceberg che si starebbero dirigendo di gran lena verso l’equatore, per un’insolita manifestazione di protesta contro il “prode capitano dall’elsa ammosciata”, per dar vita da uno sciopero fino allo scioglimento. Gli iceberg, dicono i soliti ben informati, sembra che si siano sentiti offesi e sminuiti del loro ruolo, per colpa degli scogli presenti sottocosta all’isola del Giglio, perché Schettino ha prestato “più” attenzione a loro che non queste montagne galleggianti.

Ma il vero antieroe di questa pagina nera della navigazione è stato il comandante Gregorio Maria de Falco, che nella famosa telefonata (1) si possono trovare, pur nelle abissali differenze tra lui e il sergente maggiore Hartman (2) di Full Metal Jacket (3), delle forti assonanze, quando si rivolgeva alla recluta  Leonard Lawrence . detto Palla di lardo:  (la trascrizione dei dialoghi è stata eseguita dall’estensore dell’articolo.)

« I tuoi genitori hanno anche figli normali?»
«Signor sì, signore!»
«Si saranno anche pentiti d’averti fatto? Tu sei talmente brutto che sembri un capolavoro d’arte moderna. Come ti chiami sacco di lardo?»
«Leonard Lawrence, signore!»
«Lawrence, come d’Arabia?»
«Signor no, signore»
«Il tuo è un nome da nobili. Sei di sangue reale?»
«Signor, no, signore»
«E tu li succhi i cazzi?»
«Signor, no, signore»
«Palle, tu ti succhi una pallina da un capo all’altro del tubo per innaffiare!»
Signor, no, signore»
«Non mi piace il nome Lawrence. Solo finocchi e marinai si chiamano Lawrence. D’ora in poi tu ti chiamerai Palladi lardo.»
Signor sì, signore!»
«Mi trovi carino soldato Palladi lardo? Ti sembro buffo?
Signor, no, signore»
«Allora stropati dal grugno quel sorriso da stronzo.»
«Signor sì, signore!»
«Bene, prenditela pure comoda, tesoro.»
Signor sì, signore! Ci provo, signore.»
«Palladi lardo, ho deciso di darti tre secondi. Esattamente tre fottuti secondi per toglierti quel sorriso da cretino dal muso. In caso contrario ti strappo le palle dagli occhi e ti fotto il cervello…Uno…Due…Tre…».
«Signore, non ci riesco, signore.
«Balle, mettiti in ginocchio, sacco di merda.»

«Soldato Palla di lardo, come lo vuoi ridurre il corpo dei marines?»
«Signore, non lo so, signore.»
«Allora sei un cretino, soldato Palladi lardo. Vorresti farmi credere che non riesci a distinguere la destra dalla sinistra?»
«Signor, no, signore.»
«Allora l’hai fatto apposta per essere diverso dagli altri?»
«Signor no, signore»
        schiaffo al volto
«Questa che cos’era, Palladi lardo?»
«Signore, la sinistra, signore»
«Sei proprio sicuro, Palla di lardo?»
«Signor sì, signore!»
        schiaffo sul volto
«E quest’altra cos’era, Palla di lardo?»
«La destra, signore.»
«Non mi prendere più per il culo, Palla di lardo. Raccogliti quel cazzo di coperchio.»
«Signor sì, signore!»

«Cristo di un Dio. Palla di lardo, perché il lucchetto della tua cassetta è aperto?»
«Signore, non so, signore»
«Soldato Palla di lardo, se c’è una cosa in questo mondo che non riesco a tollerare è un lucchetto di cassetta aperto. Questo lo sai, non  è vero?»
«Signor sì, signore!»
«Sono le persone come te che al mondo incremento la razza dei ladri. È vero o no?»
«Signor sì, signore!»
– cassetto aperto e contenuto svuotato
«Avanti, coraggio. Vogliamo vedere se manca niente»
«Oh, Gesù, Gesù e questo che cos’è?...Ma che cazzo è questo? cos’è questo, Palla di lardo?»
«Signore, ciambella con crema, signore»
«Ciambella con crema? E come ci è arrivata?»
«Signor sì, signore!»
«E come ci è arrivata qui?»
«Signore, l’ho presa alla mensa, signore.»
«.È permesso portare viveri in camerata, Palla di lardo?»
«Signor no, signore.»
«Sei autorizzato a mangiare ciambelle con crema in camerata?»
«Signor no, signore.»
«E perché no, Palla di lardo?»
«Signore, sono in sovrappeso, signore.»
«Perché sei un ciccione ributtante e fai schifo, Palla di lardo»
«Signor sì, signore!»
«E perché hai nascosto una ciambella con crema dentro la tua cassetta? Palla di lardo»
«Signore, perché avevo fame.»
«Perché tu avevi fame, Palla di lardo?»
«Il soldato Palla di lardo ha disonorato se stesso, e ha disonorato il suo plotone. Io ho cercato d’aiutarlo, ma ho fallito. Io ho fallito perché voi non avete aiutato  me. Nessuno di voi ha dato al soldato Palla di lardo le dovute giuste motivazioni. Quindi, da adesso in poi, quando Palla di lardo farà una cazzata, io non punirò più il suddetto, io punirò tutti quanti voi. E quindi io ho idea, signorine, che voi siete in debito con me di una ciambella con crema. Avanti, coraggio a pancia sotto. Apri la bocca. Loro pagano la ciambella  e tu la mangi. Prendi, via»

Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines

«Altri due, forza. Forza. Forza col culo di là dell’ostacolo, Palla di lardo Ma che fai Palla di lardo? Tu non fai nessuno sforzo per superare questo maledetto ostacolo del cazzo. Se Dio voleva farti superare questo ostacolo ti faceva spuntare le ali al culo!»
«Signor sì, signore!»
«Fai passare il culo dall’altra parte, avanti.»
«Signor sì, signore!»
«dai che se ce la fai me lo dici? Scommetto che se aldilà dell’ostacolo ci fosse una bella fica, ci arriveresti eccome, in cima all’ostacolo. Dico bene?»
«Signor sì, signore!»
«Hai un culo che pare un quintale e mezzo di Chewing-gum masticato, te ne rendi conto, Palla di lardo?»
«Signor sì, signore!»
«Uno per il comandate. Uno per il corpo dei Marines, avanti coraggio…tira su…Quello per i Marines non l’hai fatto. Su avanti Palla. Spingi, Palla, spingi. Una bella spinta, Palla. Andiamo. Tu cerchi di fregarmi, Palla di lardo. Tira su quel colo! Vorresti farmi credere che non sei capace di fare neanche una flessione? Sei una montagna di merda molle, Palla di lardo. Non ti voglio più vedere. Vai su tu, Biancaneve!»
«Forza, forza, ciccia molla. Svelto, datti da fare. Sali su. Sali su! A vederti sembra di guardare un vecchio che cerca di scopare. Te ne rendi conto, Palla di lardo? Avanti, coraggio. Vai troppo piano. Muoviti. Muoviti. Soldato Palla di lardo, fai quello che vuoi, ma non mi cascare di sotto, mi faresti morire di crepacuore. Alza di là. Alza di là. Allora che cazzo stai aspettando, soldato Palla di lardo? Alza dall’altra parte! Muoversi! Muoversi! Allora mi vuoi proprio deludere? Hai deciso così? Allora rinuncia e vattene via, brutto tricheco grasso di merda. Vattene via dal mio ostacolo del cazzo! Scendi giù da questo ostacolo del cazzo! Scendi! Muoviti! Altrimenti ti strappo le palle, così ti impedisco di inquinare il resto del mondo! Io, giuro che riuscirò a motivarti, Palla di lardo. A costo di andare ad accorciare il cazzo a tutti i cannibali del Congo!».

«Avanti muoviti e cammina, Palla di lardo. Più svelto. Muoviti! Ma tu ci sei nato sottoforma di viscido sacco di merda, Palla di lardo? O ci hai studiato per diventarlo?. Muoviti, più svelto. Tirati su! La guerra è già bella che finita prima che arrivi tu, lo capisci, Palla di lardo? Ma che fai? Mi ci lasci l’anima, Palla di lardo! Tu vuoi morire per fregare me? Avanti, crepa. Fai vedere. Muoviti. Svelto! Svelto! Svelto!...che c’è? Ti gira la testa? Ti senti svenire? Ma Cristo di un Dio!

«Questo è il mio fucile. Ce ne sono molti come lui, ma questo è il mio. Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita.»
«Tornate in branda! Ma che cazzo di cinematografo è questo? Che vi prenda un accidente. E voi che cazzo state facendo nel mio cesso? Come mai il soldato Palla di lardo non è in branda dopo il silenzio? Come mai il soldato Palla di lardo ha un fucile in mano? Come mai non gli hai ancora strappato le budella, soldato Jocker?»
«Signore, il dovere di questo soldato è di informare il suo istruttore che il soldato Palla di lardo ha un caricatore di cartucce blindate e il colpo in canna, signore.»
        respiri profondi di Palla di lardo
«Adesso stammi a sentire, Palla di lardo. Stammi a sentire bene. Io voglio quell’arma. E la voglio subito. Adesso tu posi il tuo fucile per terra, ai tuoi piedi e fai un passo indietro.»
– respiri e gemiti profondi di Palla di lardo
«Che c’è in quella zucca marcia che non funziona mai? Mamma e papà ti hanno fatto mancare il loro affetto quando eri bambino?»

Marco Bazzato
18.01.2012