sabato 30 dicembre 2006

Buon anno a tutti

Mancano poche ore alla fine di questo 2006. Per molti sarà un anno da dimenticare, per altri un anno da ricordare e scrivere negli annali della propria esistenza. Molti sono nati, in troppi sono morti, ma è la continua banalità della ruota della vita.
Augurare buon anno può sembra assurdismo quando il passato si brucia negli ultimi istanti prima di mezzanotte, attendendo con ansia i tappi che saltino, e lo spumante che scorra a fiumi per festeggiare il nuovo che arriva.
Già il nuovo arriva con il consueto carico di buone proposte, speranze, attese, e certezze svanite alle prime ore dell’alba, quando con la mente annebbiata dall’alcol e dalle libagioni si torna a casa, si poggia la testa sul guanciale, cercando di riprendersi dalle follie della notte precedente.
Per me, anche quest’anno sarà un capodanno festeggiato due volte, prima con l’ora italiana e poi con quella bulgara. Sarà una serata uguale alle altre, ma diversa perché prima dello stappar di bottiglie, ci riuniremo davanti alla tv per il consueto discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, prima italiano, e poi bulgaro, dove con il rispetto dovuto alle istituzioni del mio Paese, ho trovato ammirevole vedere il Presidente bulgaro in piedi davanti alla nazione, e dove mi auguro di ascoltare anche quest’anno i richiami alla cultura, alla forza intellettuale ed umana di questo piccolo stato che allo scoccare della mezzanotte sarà un nuovo membro dell’Unione Europea.
Molte immagini passeranno nella mente d’ognuno negli ultimi istanti, negli ultimi momenti di quest’anno che ci sta lasciando, molto sarà consegnato alla storia personale e sociale d’ognuno, dolori, amarezze, gioie, ingiustizie, atti di carità e coraggio, atti di viltà umanamente disumana.
Si chiuderà un ennesimo sipario, per riaprirlo un attimo dopo nella speranza che il nuovo inizio, o la continuazione del precedente passato, possa cambiare il corso dell’esistenza d’ognuno e di tutti, ma come spesso accade, l’utopia cede il passo alla disillusione, cede il passo ad un mondo che cambia sempre più rapidamente e vertiginoso, per rimanere, alla fine immutato.
Un paio di slip rossi, un piatto di lenticchie. Tradizione, modernità e mondanità, fusi in una danza, in un silenzio assordante, dove vorremmo sentirci in armonia con il tutto, ma esso ci sfugge, si allontana da noi, e noi da lui.
Vorremmo un mondo diverso, senza ingiustizie, un mondo di fiaba e amore, dove il confine tra bene e male sia giusto e definito, ma i ventri rigonfi di affamati, barboni e drogati continuano ad essere presenti e abbandonati al loro destino. Si vorrebbe un mondo di salute e prosperità, dove la malattia fosse piaga scomparsa, e la morte, un’amica bastarda che non bussa alla porta di nessuno, dove la sofferenza, i pazienti distesi in un letto d’ospedale con gli aghi conficcati nelle vene, con bacinelle per vomito e feci siano dimenticate, dove la sofferenza dia un senso alla vita, un senso ad una vita diversa, anche se rinata in nuove vesti.
Tutto corre, vola, solo l’esistenza umana del singolo continua ad essere scandita da secondi, minuti, ore, giorni anni. Tempo passato in silenzio, in contemplazione, passato e consumato in frenesie, abbondanza, ritocchi esteriori per non vedere che tutto cade e s’affloscia. Tempo passato in preghiera, cercando si sentire la Parola di Dio, questo Dio spesso assente e distante, che sembra abbia abbandonato il mondo al suo destino infernale e crudele voluto dall’uomo. Questo Dio che nel silenzio del suo mistero, si fa presente, si fa forma di vita e guida verso la morte, questo Dio conducente verso l’alba della nuova vita che giunge dopo il travaglio del parto facendosi neonato.
Vorrei sentire quel grido d’infante, quel grido d’amore che solo il pianto d’un bimbo che ha appena varcato la soglia del mondo sa dare, quel pianto di speranza, identico in tutte le lingue e che non conosce guerre e divisioni, paure e dolori, quel pianto puro che guarda al futuro sconosciuto di questo mondo che dovrà imparare a conoscere, crescendo, amando, odiando, diventando santo o bandito, politico o brigante, banchiere o strozzino.
Auguri a quanti operano sulle strade, a quante battono nei vicoli oscuri, o nelle vie illuminate delle tangenziali, alle schiave del sesso prigioniere di briganti senza morale, nella speranza che possano trovare pietà amore e libertà, ai carcerati che nel silenzio rimbombante delle celle possano tornare ad una vita normale, dignitosa degna d’essere vissuta in una legalità che si vorrebbe equa per il ricco e per il povero, ad una legalità che non condanni il ladro affamato, e che assolva il terrorista, il pedofilo o l’omicida il giorno seguente.
Auguri al ricco, al povero, al dotto e all’ignorante, auguri all’uomo, perché il domani non sia simile a ieri, perché il dì a venire, non sia lo specchio deforme degli errori ed orrori passati.
Auguri soprattutto a quanti non festeggeranno, agli schiavi delle guerre, causate da pochi vigliacchi, subiranno torture, agonie e pene, a coloro che giacciono impotenti davanti alle avversità naturali e indotte dall’uomo per la gretta e superba stupidità vorace.
Non desidero un mondo perfetto, ma vorrei che l’imperfezione nefasta e funesta che indistintamente tutti ci avvolge s’affievolisse, non per incanto, ma per scelta, non per imposizione di perfezione, ma per ricerca della stessa, e per un’evoluzione che parte dal profondo del nostro essere si diffonda come un virus benigno, portante da una compresione diversa, più vera, meno ipocrita e arrivista.
Un caldo abbraccio agli Italiani e Bulgari, all’Europa tutta, all’Asia e Oceania, Africa e Poli indistinti, con la volontà e la speranza, che oltre l’illusione della conoscenza e del sapere, c’è all’interno d’ognuno un mondo sconosciuto e diverso, un mondo da scoprire e conoscere, ma soprattutto una vita da amare e da vivere attimo per attimo.

Buon 2007
Marco Bazzato
30.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

Pacs: perché no

Continua il dibattito tra i favorevoli e i contrari ai Pacs. Lasciando all’angolo l’appello del Papa sul valore dell’integrità della famiglia, in quanto avendo ribadito un ovvietà naturale ed anche storico-sociale, non si capisce perché, specie da parte della sinistra italiana, e ormai da alcuni settori del centro destra, ci sia un appiattimento a favore di un riconoscimento legale dei medesimi, in quanto per decenni è stata la sinistra stessa ad attaccare l’istituzione del matrimonio sia esso religioso, sia celebrato davanti ad un ufficiale dello stato civile.
Questi signori dopo aver predicato per anni l’inutilità del vincolo matrimoniale, spingendo verso la dissoluzione dei civili canoni legali, ora si sono resi conto che la presunta libertà predicata, è diventato un problema sociale di difficile soluzione. Ma l’ammissione degli errori politici non fa parte del patrimonio culturale della politica stessa indipendentemente dal colore d’appartenenza, ecco perché affetti dal virus della viltà preferiscono spingere l’opinione pubblica verso la legalizzazione di forme di convivenza che potrebbero già da ora essere sancite dal un normale contratto matrimoniale davanti ad un ufficiale comunale, ma se poi la scusa dei pacs è usata come cavallo di troia per legalizzare anche le unioni eterofobiche, che potrebbero essere sancite con un contratto davanti al notaio, mentre si preferisce l’affondo alle radici della società stessa.
È evidente il fatto che si vorrebbe far superare e dimenticare il concetto di famiglia tradizionale, e che giunti a questo punto si dovrebbe usare il nome di famiglia vera o reale, in quanto è l’unica che nel nome del bipolarismo delle figure genitoriali assicura stabilità, emotiva e psicologica all’interno del nucleo naturale stesso di base della società.
Molti mi hanno accusato di posizioni filovaticane, clericaleggianti, attaccate alla tonaca di un moralismo superato e becero, quando in precedenza espressi queste posizioni non integraliste, ma ancorate alla naturalità della vita stessa, nata e sviluppatasi attraverso i secoli molti millenni prima della religione cristiana, additandomi come nemico delle diversità, di strette visioni mentali, e quant’altro.
A tale proposito una lettrice mi ha scritto:Mi i spiace che nel 2006 ci si aggrappi ancora alle leggi naturali per giustificare o meno la presenza di tutele sacrosante. Vorrei porre alla tua attenzione una mostra che sta avendo un grande successo ad Oslo e che dimostra come l'omosessualità sia un comportamento normale in centinaia di specie animali.
Tesi rispettabile, ma bislacca, in quanto si dimentica che la natura ha le sue leggi immutate dalla notte dei tempi, e la volontà limitata, politica e parziale di parificazione alle leggi naturali, è un sovvertimento della natura stessa, perché come adduce la lettrice, ci sono centinaia di specie omosessuali, omettendo che sul pianeta ci sono centinaia di migliaia di specie animali, e questa percentuale omeopatica che sfugge ai canoni naturali anche nel regno animale, null’altro che un’anomalia nella natura stessa. Parificare l’anomalia significa dare un risalto numericamente improprio all’anomalia stessa, mettendo in secondo piano la naturalità delle centinaia di migliaia di specie animali presenti sulla terra. Se poi un uomo desidera paragonarsi ad un bufalo, o ad un'altra specie animale per giustificare certe tendenze sessuali, questa è una sua libera scelta, ma non significa, che tutti si debbano sentire felici di tale paragone. Ma il culmine arriva, quando si parla di tutele sacrosante, usando la santità come scusa politica facendo impropriamente leva sui sentimenti religiosi, che nulla hanno a che fare con comportamenti e/o leggi della società laica.
Educatamente ho risposto che Io non mi aggrappo a false presunte leggi naturali, se sei in grado di smontarmi con i fatti e prove che queste leggi naturali sono fallaci, fammelo sapere, saro' felice di prenderne visione e discuterne.
Credo che sia doveroso partire da un assunto storico. Mai fino al pochi decenni fa si è pensato a dare uno status giuridico alle coppie eterofobiche, non perché la società non fosse pronta o indifferente, ma perché la storia stessa ha insegnato l’inutilità di una regolamentazione di fatti privati che toccano la sfera affettiva, sentimentale e carnale di due unità, ma che la somma dei loro presunti sentimenti non potrà mai portare naturalmente a tre o più, ma sarà uguale a zero, perché impossibilitati a portare all’evoluzione della specie tramite la procreazione naturale.
Se viviamo in uno stato civile, laico, aperto alla civiltà giuridica, le istituzioni dovrebbero farsi promotrici di un referendum propositivo affinché il cittadino possa esprimere senza condizionamenti il proprio convincimento, non come astrazione di pensiero, ma liberamente orientato verso il nucleo familiare che l’ha generato, indicando così se è favorevole o contrario allo stravolgimento giuridico delle realtà biologiche della vita. Il legislatore, che spetterebbe essere al disopra delle parti, non dovrebbe farsi condizionare da lobby di pressione seguendo, a responso avvenuto, quello che i cittadini e il popolo sovrano vuole nel segreto dell’urna referendaria, non quanto dichiarano nei sondaggi, dove sovente i pensieri sono contrari a ciò che si sente realmente, perché sovente rendere pubbliche le riflessioni personali è considerato pericoloso e ipocritamente politicamente scorretto.
Facendo una ricerca nella rete si può appurare che non sono più di una quarantina i paesi nel mondo che hanno una legislazione a favore dei pacs per le coppie eterofobiche, il che rispetto alle centosessantaquattro nazioni accreditate all’ONU, risultano essere una minoranza delle medesime. Questo porta a dedurre, che gli Stati che una legislazione orientata verso la tutela delle unioni, convivenze o matrimoni eterosessuali non sono nazioni regredite intellettualmente o culturalmente, barbare, ignoranti, insensibili, o quant’altro di dispregiativo o regressivo si possa scrivere o semplicemente penare, bensì Paesi prudenti, e accorti, che non si fanno condizionare dalle tenenze del momento, ma desiderano mantenere forte il peso delle loro tradizioni storico-sociali e culturali, auspicandosi di cedere il più tardi possibile, utopicamente mai, alle pressioni delle lobby. Questo indurrebbe a sperare forse vanamente che tuttora, a larga maggioranza planetaria, regge un solido argine di convinzioni etiche e morali radicate, augurandosi che non vengano spazzate via dal vento progressismo radicale di quanti vorrebbero stravolgere convinzioni di coscienza, pensieri individuali, sociali, religiosi e culturali acquisiti a livello sovrannazionale dall’uomo nel corso della sua evoluzione.

Marco Bazzato
30.12.2006
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venerdì 29 dicembre 2006

Ammazziamo Saddam

L’ex rais di Bagdad è stato condannato a morte da una giuria di suoi pari, cioè i nuovi servi dell’amministrazione americana, che come il dittatore deposto hanno nella coscienza il genocidio dei curdi, con i gas gentilmente forniti dalle precedenti amministrazioni U.S.A.
È un peccato che la filiera giustizialista, abbia preso di mira solo il pesce piccolo iracheno, anche se dittatore del suo paese, e che la stessa giustizia non nazionale, ma internazionale non abbia messo sul banco degli imputati i manovratori occulti di questa vicenda.
Ammazzare Saddam, numericamente parlando, significa aggiungere un altro cadavere alla catasta, ma si ammazzerebbe come un cane, il burattino, il fantoccio, un feticcio che però con la sua morte rischierebbe d’incendiare ancora di più la regione.
Non si vuole salvare la vita ad un mostro per un senso d’umanità falsa e pelosa, ma perché quella morte porterà come conseguenza ad altre morti, altro sangue, gettando per l’ennesima volta benzina su una pira che non accenna a spegnersi.
Impiccarlo, mettergli il cappio al collo, dove per l’occasione centinaia di persone si sono presentate per eseguire la sentenza, equivale ad abbassarsi al livello animale di Saddam e alla sua internazionale combriccola di vigliacchi che se ne stanno rintanati nei loro uffici, e si godranno con pacata e misurata soddisfazione il vederlo penzolare, felici d’aver eliminato un “amico” scomodo, un dittatore che in passato era visto come baluardo di civiltà, contro il dispotico regime iraniano.
È interessante la cultura occidentale. Prima fornisce armi, tecnologia, osanna dittatori e criminali feroci, poi, come stracci vecchi, invade e distrugge un paese per decenni considerato amico, miete centinaia di migliaia di vittime innocenti, usando bombe al fosforo, all’uranio impoverito, contamina falde acquifere, mette un paese ricco di risorse naturali alla fame, lo depreda. Ma se questo popolo si ribella all’invasore straniero, al ladrocinio internazionale, non vuole nel suo suolo governi fantoccio, desidera l’autodeterminazione che all’articolo cinque recita: Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna[1], eccolo diventare un paria internazionale, eccolo diventare un paese terrorista, fucina di terroristi, un paese dipinto come distruttore delle libertà fondamentali dell’uomo stesso, un nemico dell’umanità, e come tale va schiacciato, sterminato, contaminato e distrutto.
Ammazziamo l’ex dittatore, facciamolo penzolare dalla forca con gli occhi fuori dalle orbite, l’osso del collo spezzato, così finalmente il mondo sarà più civile, più libero dopo che il vecchio assassino, penzolerà dibattendosi sulla forca, e con la sua morte, i dispensatori di pace armata, i vigliacchi che armano il mondo, tireranno un sospiro di sollievo, perché finalmente, la pace e la giustizia universale degli ipocriti sarà fatta dai suoi complici.
Manca poco alla resa dei conti finale, alla nuova fuga così simile a quel giorno di Saigon del lontano 29 aprile 1975[2], quando l’invasore liberatore, se né tornò a casa, sconfitto, con la bandiera americana insanguinata tra le mani, ma nel futuro come in passato, ci sarà pronta la grazia presidenziale che salverà dalla forca o dal carcere a vita i mandati dei misfatti e dei crimini contro l’umanità che il popolo iracheno ha subito da parte dell’invasore, e la feroce giustizia dei vincitori sputerà per l’ennesima volta sulla memoria delle vittime innocenti.

Marco Bazzato
29.12.2006
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[1] Carta di Algeri: Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli.
[2] zmag.org/italy/pilger-cadutasaigon.htm

mercoledì 27 dicembre 2006

Lettera a Sua Santità

A Sua Santità Papa Benedetto XVI, 23 dicembre 2006
Vescovo di Roma,
Vicario di Gesù Cristo,
Successore del Primo Apostolo,
Capo supremo della Chiesa Cattolica,
Patriarca d’Occidente,
Primate d’Italia,
Arcivescovo e Metropolita della provincia ecclesiastica romana,
Sovrano dello Stato della Città del Vaticano,
Servo dei servi di Dio



Sua Santità,
Ci rivolgiamo a Lei, con l’evangelico saluto della II lettera ai Corinzi, 13: 11.
Le scrive l’Episcopo Hristo Pissarov, presidente della Chiesa Cristiana Apostolica ed Ecumenica, fondata come conseguenza delle persecuzioni di Stato e da una minoranza dei Cristiani Ortodossi di Bulgaria nel luglio 2004. Noi cristiani scacciati, ci siamo uniti nell’ideale di una comunicazione più completa, e senza ostacoli tra i fedeli in Gesù Cristo.
Accettando i segni della Provvidenza Divina nella storia ecclesiastica, ci rivolgiamo a lei, come Vicario di Gesù Cristo, per sostenere con la preghiera i nostri cuori colmi di cordoglio, per le nostre care sorelle infermiere, il medico palestinese e gli altri fratelli, i quali immeritatamente sono diventate vittime del regime autoritario di Muhammar Gheddafi.

Credendo nelle virtù del Vangelo, e nelle acquisizioni dell’umanismo contemporaneo, accettando pianamente l’Enciclica Evangelium Vitae del defunto Papa Giovanni Paolo II, noi fermamente e irremovibilmente crediamo che la più grande virtù del mondo della creazione è la vita umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, perciò come cristiani respingiamo decisamente la pena di morte.

Nello spirito di queste virtù ci rivolgiamo a Lei come capo supremo della Chiesa Cattolica, e Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, affinché accettiate in modo paterno la nostra preghiera, accompagnata dalle firme di un gruppo d’attivisti e intellettuali, per pregare innanzi all’altare dell’Altissimo per la liberazione delle sei infermiere bulgare e del medico palestinese, ingiustamente incarcerati da otto anni, e secondo il progetto della Divina Provvidenza, e personalmente l’intercessione della Sua dolce volontà, siano usati tutti i mezzi possibili per far trionfare la libertà e la giustizia.

Le porgiamo i nostri più fervidi auguri per le imminenti festività natalizie, augurando a Sua Santità salute, longevità, e pace nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo!

Ci raccomandiamo alle sue sacre preghiere, rimanendo fedeli nella fraternità di Gesù!


Episcopo Hristo Pissarov




I membri del comitato organizzativo:
Episcopo Hristo Pissarov teologo e filosofo
Pastore Velislav Altanov teologo e culturologo
Kalin Manolov giornalista e editore
Vessela Lulova Tzalova giornalista e traduttrice
Marco Bazzato poeta e scrittore

Amare la vita equivale ad amare la morte

In questi giorni di feste, belle brutte, allegre, o infelici, si fa un gran parlare di vita, di morte, di diritto di scelta, libero arbitrio, che verte in una direzione o nell’altra, dimenticandosi cioè, nessuna esclude l’altra, in quanto senza la vita non ci sarebbe la necessità d’esorcizzare il primo demone dell’uomo e dell’umanità, che indipendentemente dalla latitudini, dalle culture e tradizioni, ha sempre assunto un ruolo essenziale nella vita sociale di ogni popolo: la morte.
Ma è la nostra società postindustriale, post religiosa, laica, vorrebbe protrarre all’infinito la vita stessa, rimuovendo la malattia, la vecchia, il decadimento psicofisico del corpo, creando una quantità di modelli falsi e fasulli, tutti atti a cancellare come fosse un parente sconosciuto, un amico con qui abbiamo litigato in passato e non vogliamo più vederlo.
Accettare la cultura della vita, significa accettare la cultura della morte, amarla, sentirla come una parte vivente in noi stessi, in quanto la vita stessa appartiene alla morte costante che vive e si rinnova nell’uomo. La morte è invisibile, ma presente, morte di cellule, morte che emettiamo dai rifiuti corporei che tornano nei ciclo stesso della natura.
A voler andare oltre anche i ricordi sono una specie di morte, sono immagini immagazzinate sotto forma di impulsi elettrici, ma spesso i essi sono come un disco di vinile rigato, un disco incantato che gira a vuoto, come un motore perennemente su di giri che rischia di fondersi, e con essi anche la nostra vita segue quella onda anomala del reflusso dei pensieri che può aspirarci all’infinto l’esistenza finché essa non s’arresta completamente.
Ma alla fine cos’è la morte, se non la semplice cessazione delle funzioni biologiche, il semplice spegnersi di un interruttore dei ricordi, calato per l’eternità nell’off?
Questo buio, questo vicolo cieco, quest’oscurità malvagia, maligna e suadente è come una fattucchiera ammaliatrice, dove, nonostante la repulsa, è una gioia immergersi, sentirsi parte di quell’universo immateriale dell’inesistente che ama essere accarezzato, cullato, protetto, come un infante che emette i sui primi vagiti, come un bambino di pochi mesi che muove i primi passi.
Questa signora di nero vestito, questo cranio ossuto con le orbite vuote è un bimbo, è la parte più oscura, arcana, che costantemente vive nell’uomo come un cancro maligno che ci cannibalizza giorno per giorno, ci divora e consuma dall’interno come un virus conosciuto, ma di cui nessuno tiene tra le mani l’antidoto.
La morte nella sua bruttezza ha la sua bellezza. Ha il volto cinereo di un corpo privo del soffio della vita, ha il livore d’un cadavere che si decompone lentamente, ha l’aroma dolciastro che si attacca sulla pelle, impregnando vestiti, corpo e psiche, scavando un solco profondo all’interno d’ognuno, ha il freddo tepore della carne lasciata gelare per giorni nel frigo. La morte è quel cancello di separazione tra materia ed etere, quel muro di Gerusalemme, di Berlino, quel muro di pregiudizio difensivo e offensivo che si ha per lo sconosciuto, per l’avverso. La morte è un paletto conficcato nella carne, attraversa la gabbia toracica e lacera il cuore, e come un vampiro si ciba dell’uomo, cancella sogni, illusioni, delusioni, fantasie sante e perversioni malate.
Cantava San Francesco d’Assisi: Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare. Questa lode tenera e vera, questa ode all’immaginifico senso della non materia oltre alla vita, ci conduce per mano verso quel trascendente evocato per necessità, per fede, per bisogno individuale e sociale di non sentirsi soli, dispersi e perduti, ci guida con tenera dolcezza all’ineluttabile accettazione di un trapasso che va oltre brevità dell’esistenza finita, oltre quell’illusione d’eternità corporale che ci si dipinge nei volti, si rimodella nei corpi, per allontanare lo spettro sagace, l’avvoltoio carnefice, che si ciba fin dal concepimento di una nuova vita, della vita stessa.

Marco Bazzato
27.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

lunedì 25 dicembre 2006

Funerali religiosi per Pinochet, funerali civili per Piergiorgio Welby

L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi puт essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’« accanimento terapeutico ». Non si vuole cosм procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
Articolo 2278 Catechismo della Chiesa Cattolica
In questi giorni di feste vere o presunte, sante o ipocrite, abbiamo assistito alla negazione dei funerali religiosi a Piergiorgio Welby da parte del Vicariato di Roma, che si à trincerato come un’azzecagarbugli dietro un codicillo del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Non so se questa sia la Chiesa voluta o no dal Salvatore, certo non voleva una Chiesa senza speranza e priva di umana carità nei confronti della sofferenza dell’uomo, e non è certo questo l’amore universale per tutte le creature che il Creatore voleva per l’uomo.
Questo Dio così invocato, spesso a sproposito, non avrebbe voluto vedere la “sua” Chiesa che celebrasse i funerali del dittatore Pinochet, dove il vescovo castrense, monsignor Juan Barros Madrid, ha officiato la messa funebre, ma lì nonostante il clamore mediatico mondiale, la gerarchia ecclesiastica si è asservita al potere politico, lì il feroce dittatore che aveva le mani grondanti di sangue, è stato protetto anche dopo la morte da qualche strana forma parassitaria di immunità.
Quel Cristo che la Chiesa festeggia in pompa manga non sarebbe andato volentieri in combutta con Erode, anzi, forse lo avrebbe scagliato nel fuoco della Geenna.
La Chiesa e il vicariato Romano si è comportata come il Sinedrio di duemila anni fa, ha scelto l’ingiusto a favore del giusto, mostrando un volto arrogante, completamente scisso dai bisogni essenziali e primari dell’uomo: la giustizia e la carità.
Se esiste un Dio in cielo, terrà conto il giorno del giudizio dei comportamenti di disparità e disprezzo della sofferenza, per l’attaccamento a quei codicilli che Gesù stesso come scrive il Vangelo di Matteo 23: 13-15, 23-29, 33,36, aveva apostrofato con queste parole:
13Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci 14.
15Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.
23Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
25Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!
27Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.
29Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti,
33Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 36In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione.
Queste parole dette dal Salvatore e trascritte dall’evangelista Matteo, ieri come oggi, secondo l’assolutismo a cui l’uomo dovrebbe fare riferimento, hanno la stessa forza, la stessa verità immutabile nei secoli, e possono essere riferite ai comportamenti ecclesiastici sopradescritti.
Il giudizio sferzante del vicariato di Roma nei confronti dell’ uomo Welby non è un giudizio, ma una condanna, una colpa feroce scagliata contro l’uomo da un’istituzione che si arrocca un diritto che non le compete: il giudizio finale, e questa condanna senza appello, questa condanna irriguardosa, mascherata dall’ipocrisia che non viene meno la preghiera della Chiesa, per l’eterna salvezza del defunto, e la partecipazione al dolore dei congiunti.
L’uomo non sa che farsene di una retorica priva d’umanità, dignità, irrispettosa del dolore umano, irrispettosa nei confronti della famiglia, priva di pietas divina, ma colma d’umano giudiziosionalismo disumano.
Welby indipendentemente dalla viltà del giudizio di alcuni uomini in tonaca è al cospetto di quel Divino così predicato. Siamo sicuri che quando verrà il momento di questi lorsignori, sono certi d’aver accesso, tramite la sofferenza salvifica al loro cosiddetto paradiso, oppure troveranno le porte sbarrate, chiuse, perché nella loro misera vita terrena, si sono arroccati il diritto di rispondere a nome del Divino, il loro divino, nascondendosi dietro codicilli per togliere ad un uomo nella dignità della morte che ci rende tutti uguali anche l’ultimo saluto?
La Chiesa, no, anzi è più corretto dire persone che usando il nome di questa Chiesa hanno sbagliato, ma non hanno sbagliato i fedeli nel leggere un ennesimo comportamento oppressivo, discriminatorio, fatto di pesi e misure diversi, a seconda del potente di turno, queste Eccellenze, questi pecorai hanno allontanato le pecore dal loro gregge, consegnandone molte al braccio secolare del secolarismo che tanto a parole aborriscono, ma de facto incitano.

Marco Bazzato
25.12.2006
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domenica 24 dicembre 2006

La malattia non è mai un caso privato


In un editoriale dell’Avvenire[1], l’editorialista, fa affermazioni, nascoste sotto forma di domande, grevi, e al limite della calunnia, quando scrive: “Vuole trasformare il suo tragico caso "privato" in un caso "pubblico", per orientare, come è lecito che faccia un leader politico, la politica sanitaria del paese?” riferendosi al caso Welby, il giorno precedente alla morte dell’uomo.
Ho provato orrore quando ho letto simili parole. Orrore e raccapriccio, quando una persona, di cui non conosco il suo vissuto personale, ma conosco il mio, scrive che il dolore è un fatto privato, e che come tale deve rimanere circoscritto. Va forse vissuto nella vergogna del silenzio per non turbare la presunta sanità dei sani?
Non so se il signore in questione ha mai sentito la spada di Damocle sul capo, se si è mai svegliato nella notte urlando per dolori insopportabili, desiderando la morte come senso assoluto di liberazione dal male? Se non l’ha provato sulla sua pelle, lo invito ad un rispettoso silenzio, nel nome di quanti non sanno che farsene di teorie da strapazzo quando il corpo urla, e tutto nell’essere dolorante desidera solo la cessazione di quello che taluni, sadicamente chiamano dolore salvifico. Salvifico da chi, e per chi?
Il dolore è sempre un fatto pubblico, perché quando un familiare soffre, assieme a lui si condivide la sofferenza, soffrono amici, i medici che si sentono impotenti e che non sanno a che santo voltarsi per trovare una cura adatta.
Affermare che il dolore è un fatto privato, è un insulto privo d’umanità nei confronti del dolore stesso, da parte di una persona che si reputa Cristiana, ma quanto scritto in forma interrogativa, sa molto d’Anticristiano.
Ho letto un editoriale intriso di filosofia di bassa lega, una filosofia priva del rispetto primario del dolore e della sofferenza, totalmente assente e fredda nei riguardi di quanti, non solo il defunto Welby, ma di quanti ogni giorno si dibattono sui letti d’ospedale, nelle case di cura, negli ospizi, una filosofia dove anche l’umana pietà è morta, sconfinante nel disumano.
Partendo da queste spaventose affermazioni, si potrebbero addirittura sposare le tesi stesse della dolce morte, in quanto questi casi privati, non essendo di pubblico interesse potrebbero essere tranquillamente essere lasciati abbandonati al loro destino, visto che nessuno li dovrebbe udire e sentire. Era forse a questo che realmente voleva arrivare?
I radicalismi estremistici spesso s’incontrano, si stringono la mano e si abbracciano, fondendosi in un'unica voce indistinta che va sotto il nome d’assolutismo impositivo del pensiero unico.
Come essere umano, come cittadino, come ex paziente che per anni ha visto davanti ai proprio occhi il cappio oscuro della morte danzarmi sul corpo martoriato, dove senza vergogna dichiaro che sovente ho pensato e sentito che unica via d’uscita fosse porgere il collo a quel cappio, e lasciarmi penzolare affinché l’oblio totale dal dolore mi cogliesse, non posso che essere solidale nei confronti di quanti, vittime di dolori indicibili, e in piena coscienza invocano la liberazione dalle catene fisiche della vita stessa, quando essa supera la soglia della non vita ,e anziché l’esistenza essere un altare di libertà, un tabernacolo di speranza, la vedono, la sentono, la vivono sulla pelle come patibolo, come una pira da cui attendono la dissoluzione tra le fiamme.
È facile formulare ipotesi astratte, teorie astruse e d edificanti per lo sciocco, ma il dolore è un fatto reale, non una mera astrazione intellettuale, il dolore è una piaga che spurga pus venefico in ogni cellula del corpo malato, e non è un fatto privato.
Formulo anch’io un ipotesi: non è per caso che si creda che il popolo sia ancora bue, sia una massa primitiva e medioevale da guidare al pascolo come meglio si crede, bastonandolo sulle ferite, quando esse gridano e suppurano per il dolore stesso? Voglio spingermi oltre. Conosco molte persone che per vigliaccheria, o per storia personale non si sono mai confrontante con alcun tipo di dolore fisico o psichico, e dall’alto del loro pulpito, colmi di vuota sapienza, giudicano, condannano, attaccano quanti vivono in quell’androne infernale, e hanno la favella semplice, e i pensieri, forse un po’ troppo confusi da teorie spicciole?
No, non ci siamo, non ci siamo proprio. Spingersi a politicizzare un evento doloroso, usando metaforici sfottò nei confronti di un essere umano, che esattamente come lei, ma che a differenza di lei, ha passato i suoi ultimi vent’anni attaccato ad una macchina per respirare, mi troppo. È troppo proprio per il dolore che quell’uomo a subito, è troppo per il dolore che i familiari hanno visto giorno per giorno nei suoi occhi e di riflesso anche nei loro, ma è un caso privato vero? Non deve importare a nessuno, nessuno deve sapere. Non era un personaggio pubblico, e non doveva diventare un personaggio pubblico, doveva restare un miserabile malato, non doveva alzare la testa per battersi per quello che lui dentro di sé, nel suo profondo, nella sua interiorità sentiva giusto per se stesso.
Alcuni benpensanti affermano che la politica ha strumentalizzato Welby usando il suo dolore e la sua sofferenza per potare avanti le loro battaglie. Certo, sicuramente sarà vero, ma alla fine è stato Welby che in primis ha vinto la sua battaglia, ha ottenuto la sua vittoria, trovando quella pace agonista che qui, da vivo, tempo aveva perduto.
Ma Piergiorgio Welby ha subito un’ultima infamia dopo la morte, un ultimo sfregio ad un uomo coraggioso che ha saputo lottare per i suoi ideali[2]. Il vicariato di Roma ha negato i funerali religiosi, perché, precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti.
Questo mi porta a chiedere lumi sui funerali del dittatore cileno Pinochet. Strano che la chiesa cattolica locale, che naturalmente fa riferimento al Vaticano, non abbia rifiutato le esequie religiose pubbliche ad un feroce dittatore, macchiatosi di orrendi crimini, lì non c’era il catechismo della Chiesa Cattolica, con i suoi codicilli atti a fermare il rito, e nemmeno il Papa, sempre così attento al relativismo assolutistico morale ed etico, non ha speso una parola per bloccare una tale infamia irriguardosa nei confronti dei familiari delle vittime.
Sarebbe interessante una dotta risposta da parte di eminenti teologi, sacerdoti, dottori in filosofia, ma soprattutto da parte dell’editorialista dellAvvenire, che spiegasse l’arcano mistero della fede.
Welby è morto, ma come il predecessore di Benedetto XVI, ha reso pubblico il dolore, la sofferenza, senza vergognarsi della sua condizione, senza tenere nel privato il dolore, che secondo qualche benpensante dovrebbe andar messo nel sacco delle immondizie, rendendoci partecipi del suo calvario, del suo Golgota, scegliendo quando per lui era giusto morire, e da uomo libero, ha vinto la sua battaglia personale per un suo diritto, tutto il resto è solo politica spicciola, è accanimento terapeutico immorale ed oscurantista di quanti pensano che l’uomo non sappia ragionare e discernere con la propria testa, ciò vale per quanti spingono a favore dell’eutanasia, e per quanti si battono per il diritto alla vita, dal concepimento, fino alla morte naturale.

Marco Bazzato
23.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

[1] db.avvenire.it/avvenire/edizione_2006_12_21/articolo_711526.html
[2] romasette.it/modules/AMS/article.php?storyid=122

Un grido di buone feste

Arrivano i giorni della sordità, dei ventri rigonfi, dei vini frizzanti che scorrono a fiumi. Giorni della delizia, dell’abbondanza. Giorni dove a nessuno si nega un sorriso, dove le mani si stringono in abbracci veri o fasulli che nascono o giungono dal cuore, e ipocritamente si stringono mani covando vendette tra sguardi omicidi, pronti ad infiammarsi sotto la cenere.
Arrivano i giorni del tutto e del nulla, dei buoni propositi dimenticati il giorno seguente.
Giorni in cui per un attimo, vilmente ci crediamo fratelli, mangiando alla stessa tavola imbandita.
Suona la musica. È una campana a morto, è l’urlo di battaglia del riposo del guerriero, l’urlo silenzioso di chi è pronto ad una nuova guerra, di chi pavido attende tremante la nuova crociata, dove il sangue scorrerà copioso e, a grumi seccherà sulla terra gelata.
Udite a distanza il rumore di passi e danze tribali, è l’urlo disumano dell’uomo che attorno al fuoco brucia l’ennesimo corpo, è un grido di bestia affamata pronta con le fauci a strappare un brandello di carne salata.
Sentite quei rintocchi glaciali che tagliano la mente, lacerano lo spirito, entrano in profondità negli angoli più remoti dell’essere. Sentite quei rintocchi, sono come il suono ritmico d’un cuore che batte all’unisono con le grida del travaglio del parto. Ascoltate quelle grida, quel dolore abissale che scende nel ventre lacerato, facendo breccia con la testa nell’antro della vita. Percepite quella testa, quel piccolo frugolo silenzioso, che vibrando impazzito, s’affaccia alla nascita, e che inevitabilmente verrà condotto come agnello sacrificale al calvario della morte sul Golgota. Lo vedete? È lì, tra incitazioni e urla invasate, parole gridate, tra lacrime e pianti di gioia per quel piccolo corpo. Esce imbrattato di placenta e sangue. Tace perchè il mondo che si pone innanzi ai suoi occhi chiusi ha il volto decadente di un pianeta condannato all’estinzione, condannato alla guerra, al sopruso, alla vendetta della follia omicida e suicida, un mondo che si specchia negli sguardi morti, nell’incidere lento come cadaveri erranti cercanti una pace eterna tra i vivi, ma che mai verrà.
Venite, emette il primo vagito accolto tra braccia amorevoli d’una madre venerata, cullato tra le braccia forti d’un padre sconosciuto, sentite il raglio d’un asino che non capisce la follia di quella presenza, scaldata dal calore animale d’un bue che forse vorrebbe essere altrove.
Chi sei sconosciuta creatura? Chi sei, re dei vivi e dei morti, signore delle speranze perdute, a cui affidiate e confidiate affanni e sventure?
Chi sei, che vuoi osanna, preghiere, vuoi essere simbolo di vita in un mondo perduto, mentre la morte signora stende la mano sul capo di tutti, che ubriachi di lazzi e giochi danzano giocondi sulla tomba del mondo?
La campana a morto continua a rintoccare, continua a suonare il suo grido di battaglia infinita, chiamando a se anime sante e dannate, assassini e immacolate, peccatori, malfattori, prostitute e papponi, senza distinzione alcuna.
Attendete l’ultimo squillo di questa notte benedetta e dannata, l’ultimo rintocco prima di giacere tra le braccia d’un sonno, e al risveglio, sarete accolti a feste finite nel nulla del nuovo giorno.

Marco Bazzato
24.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

venerdì 22 dicembre 2006

Intervista esclusiva allo psicostorico Iakov Levi



Chi e’ Iakov Levi?

Sono uno psicostorico. La psicostoria è la scienza che studia le motivazioni psicologiche, che sono sempre inconsce e latenti, alle radici degli eventi storici . Come lo psicoanalista analizza le radici inconsce dell’agire del singolo, lo psicostorico analizza l’agire collettivo e quello che lo ha motivato. I presupposti sono gli stessi: le motivazioni reali non sono mai quelle dichiarate consciamente. Sotto allo strato superficiale delle dichiarazioni manifeste si celano motivazioni ben diverse. Alcuni psicostorici credono di poter cambiare il corso della storia scoprendo le motivazioni inconsce dell’agire collettivo, e predicando una soluzione. Io non mi trastullo con simili fantasie di onnipotenza. Il mio scopo è il piacere personale della scoperta della verità. E siccome la verità è donna, mi considero soddisfatto dal piacere del raggiungimento dell’oggetto della mia libido.
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1.Alla luce dei miti e della visione giudaico-cristiane, come si puo’ leggere oggi la deflorazione femminile e che valore assume la verginita’ nell’odierno contesto sociale?

L’attitudine dei popoli verso la verginità cambia in concomitanza alla propria evoluzione psicologica collettiva, come anche le religioni, che ne sono l’espressione. Come ci ha mostrato Freud in “Il tabù della verginità”, i popoli primitivi avevano un sacro orrore di questa condizione della donna. Nelle tribù primitive le vergini venivano deflorate dallo stregone o manualmente da una vecchia. Anche i popoli semiti del Medio Oriente Antico erano molto restii ad avvicinarsi ad una donna ancora vergine. Come descritto da Robertson Smith, in Siria, Palestina e Cipro pagavano degli stranieri affinché deflorassero le donne da maritare. La verginità era dunque considerata un difetto e non una virtù.
Mi sembra che l’attribuzione di una normatività di carattere morale alla verginità sia una conseguenza diretta dell’aumento del senso di colpa collettivo. Dall’orrore, che provavano i primitivi, siamo gradualmente passati all’attribuzione di una valutazione positiva: da difetto è diventata virtù. Nel Medio Oriente semitico, i primi ad attribuire un “prezzo” alla verginità sono stati gli ebrei, dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Il senso di colpa stimolato dalla perdita della terra e dell’indipendenza nazionale, si tradusse in monoteismo e in una legislazione sessualmente repressiva, mentre prima, come gli altri loro vicini semiti, indulgevano in costumi estremamente permissivi.
In Occidente l’evoluzione è più complessa, ma sembra che anche qui l’attribuzione di una normatività positiva alla verginità per sé sia stata una cosa piuttosto tarda. Solo con il cristianesimo questa fu innalzata a valore assoluto. Prima oscillavano tra i due poli: permissività e repressione. Tuttavia, anche in Occidente la traccia mnestica dell’ambivalenza emotiva verso la verginità femminile rimase nel famigerato costume del Ius primae noctis. Apparentemente questo era il diritto, attribuito al despota locale, di deflorare le vergini prima che potessero consumare il matrimonio con il marito. Noi uomini moderni interpretiamo questo costume come una sopraffazione tirannica del più forte sul più debole: un sopruso perpetrato nel contesto di un regime dove i più socialmente deboli erano privi di diritti civili e umani. Tuttavia, la radice inconscia di questo costume ci riallaccia al costume primitivo di far deflorare le vergini da uno stregone, una vecchia o da uno straniero. Per il nostro inconscio arcaico, quello del Ius primae noctis non è dunque un diritto del signore, ma un dovere. Questi si accollava lo spiacevole compito di deflorare le vergini, per risparmiare ai suoi sudditi le conseguenze nefande, implicite nell’atto. Nella sovrapposizione posteriore, quello che era stato originariamente un dovere, diventò un diritto, e come tale è passato alla storia.
Le oscillazioni nell’attribuire una valenza positiva o negativa alla verginità continuano fino ai giorni nostri. Se nell’ottocento l’illibatezza era considerata la virtù per antonomasia della ragazza da maritare, oggi, sotto le spoglie della razionalizzazione manifesta di una permissività sessuale, che a mio parere è più ostentata che sentita, la valenza negativa della condizione di verginità sta diventando preponderante. Siamo a un passo dal pagare nuovamente uno straniero affinché deflori le donne al posto nostro.

2.Ha un senso parlare di illibatezza oggi, oppure quest’idea corrisponde ad una visione arcaica e superata dalla moda e da un nuovo ordine sociale?

L’arcaico non è mai superato, ma solo rimosso, e in attesa di riemergere nuovamente. Come dice l’Ecclesiaste, “non c’è niente di nuovo sotto il sole”.
Per dirla con Nietzsche: “Non temete il flusso delle cose: questo flusso ritorna in se stesso: e fugge da se stesso non solo due volte. Tutto quanto "era" diventa di nuovo un "è". Il passato morde la coda al futuro” (Frammenti postumi 1882 - 1884 , 4 [85]).


3.L’uomo porta in se, secondo la tradizione ebraica il valore esperenziale del vissuto nel grembo materno, e con la nascita dimentica e piange questo vissuto di nove mesi. Come puo’ recuperare e riscoprire quanto in lui rimosso? Puo’ avvenire solo tramite la conoscienza storica del suo passato, oppure deve orizzontare i propri pensieri verso una visione piu’ olistica e gnostica, che sappia condurlo verso una fonte d’illuminazione piu’ profonda?

Preferisco citare coloro che hanno già risposto alle questioni che ci assillano, piuttosto che cercare di dire qualcosa di nuovo, che potrei esprimere solo in maniera più maldestra. Nietzsche ci ha detto:

“Ogni estensione della nostra conoscenza sorge dal render cosciente ciò che è inconscio” (Frammenti postumi 1969 - 1974, 5[89]).
Tutte le valutazioni e gli “interessi” che abbiamo posto nelle cose cominciano a perdere il loro senso, quanto più regrediamo con la nostra conoscenza fino a giungere alle cose stesse. Con la piena cognizione dell’origine aumenta l’insignificanza dell’origine
: mentre la realtà più vicina, quel che è intorno e dentro di noi, comincia a poco a poco a mostrare colori e bellezze ed enigmi e ricchezze di significato (Aurora, 44).
Vicinanza della mendicità. Anche lo spirito più ricco ha perduto talvolta la chiave della camera in cui giacciono ammassati i suoi tesori, ed è allora simile al più povero, che deve mendicare per vivere ( "Opinioni e sentenze diverse", 375, in II Umano troppo umano).
Per quanto l'uomo possa espandersi con la sua conoscenza, apparire a se stesso obiettivo, alla fine non ne ricava nient'altro che la propria biografia ("L'Uomo con se stesso", 513, in I Umano, troppo umano ).
Suum cuique. Per quanto grande sia l'avidità della mia conoscenza, non potrò estrarre dalle cose nient'altro che già non mi appartenga - mentre ciò che possiedono gli altri resta nelle cose. Com'e possibile che un uomo sia ladro e predone? (La Gaia Scienza, 242)
In definitiva, nessuno può trarre dalle cose nient'altro che quello che sa già, chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non ha neppure orecchie per udirle ("Perché scrivo libri così buoni", 1, in Ecce Homo)
“Conosci te stesso” è tutta la scienza. Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l’uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell’uomo (Aurora, 48).
I sistemi filosofici sono la forma più modesta in cui si possa parlare di sè stessi - una forma poco chiara e balbettante di memorie (Frammenti postumi 1969 - 1974, 79).
La psicoanalisi ha dimostrato quanto ciò sia preciso.

4.Possiamo considerare la nascita come una morte al contrario? Perche’ se dall’assenza di vita prima del concepimento, con la nascita l’uomo assurge delle vesti fisiche, perche’ allora questo timore della morte, visto che alla fine null’altro e’ che un ritorno alla non vita, prima della nascista stessa?


Le vesti fisiche sono le uniche che l’uomo abbia. Lo “spirituale” non è altro che una trasformazione, chiamiamola pure sublimazione, di un bisogno fisico. E il bisogno è una conseguenza dell’essere. Con la nascita, ma direi anche prima, con il concepimento, si creano quelle tensioni, che chiamiamo bisogni, e che esigono la scarica.
Nel nostro inconscio, la nascita è senz’altro considerata “una morte al contrario”. Freud ha articolato la proposizione in “Al di là del principio di piacere”. La materia organica viene da quella inorganica. La tendenza naturale a ritornare allo stato precedente rappresenta la prima pulsione, che Freud ha definito “La pulsione di morte”. La vita non è dunque che un sovvertimento dell’ordine precedente. L’unica maniera per eliminare la tensione inerente al cambiamento è di morire.
Il timore della morte non è altro, dunque, che un meccanismo di difesa contro una richiesta pulsionale. Quella più forte di tutte. Le pulsioni dell’Eros (= vita) sono quelle che contrastano la pulsione di morte. La più forte e la più completa delle pulsioni dell’Eros è la pulsione genitale. Da qui, il terrore di castrazione e il terrore di morte sono equivalenti.

5.L’uomo cerca attraverso i riti e le iniziazioni, il concetto della rinascita. Esiste un motivo incoscio di questa elaborazione dell’uscita dal ventre materno?

Direi che il concetto di rinascita è motivato dal bisogno di sopprimere la vita precedente, che viene avvertita come carica di contenuti aggressivi ed incestuosi, quello che le religioni chiamano “il peccato originale”. Il morire e il rinascere dei riti d’iniziazione significano la rinuncia a quelle pulsioni che sono considerate socialmente inaccettabili. Rinascere da un utero “paterno”, invece che da quello originale “materno”, significa rinunciare all’oggetto incestuoso e alle pulsioni aggressive verso il genitore dello stesso sesso attraverso il meccanismo di identificazione. Il modello è sempre quello dell’utero, ma attraverso l’accorgimento del rito iniziatico la sua sostanza viene cambiata da materno a paterno.

6.Chi e’ Iakov Levi?

Sono uno psicostorico. La psicostoria è la scienza che studia le motivazioni psicologiche, che sono sempre inconsce e latenti, alle radici degli eventi storici . Come lo psicoanalista analizza le radici inconsce dell’agire del singolo, lo psicostorico analizza l’agire collettivo e quello che lo ha motivato. I presupposti sono gli stessi: le motivazioni reali non sono mai quelle dichiarate consciamente. Sotto allo strato superficiale delle dichiarazioni manifeste si celano motivazioni ben diverse. Alcuni psicostorici credono di poter cambiare il corso della storia scoprendo le motivazioni inconsce dell’agire collettivo, e predicando una soluzione. Io non mi trastullo con simili fantasie di onnipotenza. Il mio scopo è il piacere personale della scoperta della verità. E siccome la verità è donna, mi considero soddisfatto dal piacere del raggiungimento dell’oggetto della mia libido.

7.Perche’ ha lasciato l’Italia? E che sentimenti prova nei confronti di questo paese?

Direi che l’Italia è un paese in cui torno sempre volentieri

8.Che ne pensa del popolo Bulgaro che ha salvato i suoi ebrei?

Purtroppo conosco molto poco il popolo Bulgaro. Generalmente gli ebrei di estrazione bulgara che vivono in Israele ne parlano sempre con affetto e con ammirazione.
E’ molto edificante sapere che nei momenti più bui della storia europea ci sia stato qualcuno al di sopra di quell’orgia di pulsioni bestiali che hanno caratterizzato il periodo.


9.La societa’ contemporanea tende ad identificare la Shoa come il male assoluto del ventesimo secolo, qual’e il nuovo male assoluto del ventunesimo secolo?

Il male assoluto del ventunesimo secolo è la mancanza di volontà dell’Occidente di difendere i propri valori con fermezza e determinazione, di fronte ad un Islam fondamentalista che dichiara di volerli distruggere, e agisce in questa direzione con il fanatismo del paranoico. La forza del nemico è sempre la propria debolezza. I nazisti volevano imporre il proprio stampo criminale alla società occidentale, mentre l’Islam la vuole distruggere. I secondi sono ancora più pericolosi per la civilizzazione dei primi. Psicoanaliticamente parlando, il nazismo era l’articolazione ideologica del sadico – anale, che vuole imporre, comandare, dominare e tormentare, mentre il fondamentalismo islamico rappresenta l’articolazione ideologica del sadico- orale che desidera distruggere totalmente l’oggetto della sua libido, e sé stesso in un’unica condensazione. Stiamo trattando, dunque, con una fase di organizzazione libidica molto più regressiva di quella articolata dal nazismo, e quindi ancora più distruttiva.

10.L’uomo alla luce di quanto quotidianamente leggiamo puo’ sperare in una qualche forma di redenzione o cambiamento dei modelli comportamentali che lo portino a superare le barriere xenofobe e di differenze religiose e culturali?

Non mi sembra di vedere niente di nuovo nei patterns comportamentali attuali, che possa indurre a coltivare ideologie messianiche diverse da quelle del passato. L’uomo è e sarà sempre lo stesso, vittima delle proprie tensioni pulsionali che cerca di scaricare come può. Le soluzioni che trova hanno un carattere ciclico. A periodi di tolleranza e di permissività si susseguono periodi di tirannia, intolleranza e orge di distruzione, e vice versa.

11.Il consiglio che lei darebbe a quanti volessero affacciarsi, non solo al mondo della psicanalisi, ma al mondo della comprensione interiore di se stesso?

Le due cose sono una sola. La psicoanalisi ci ha insegnato la metodologia attraverso la quale diventa possibile il ricollegarsi con sé stessi. Non conosco un’altra maniera. Direi che non esiste un mondo della psicoanalisi separato dal mondo in generale. La prima rappresenta la metodologia con la quale affrontare il secondo. E’ un po’ come se mi chiedesse se è possibile affacciarsi al mondo della chimica prescindendo dalla conoscenza degli atomi e molecole.
Nel nostro caso, come sia possibile comprendere l’agire umano prescindendo dal motore che lo motiva.

12.Esiste un collegamento tra la fede, la psicanalisi e l’uomo?


La mitologia, la religione e la fede sono espressioni dei bisogni interiori dell’uomo, che sono bisogni fisici trasfigurati in spirituali. La psicoanalisi cerca di decodificarli, ovvero di comprendere la loro sostanza reale, spogliandoli dalle sovrapposizioni posteriori, che sono un meccanismo di difesa, ovvero, delle razionalizzazioni.

13.Gli scritti di Freud hanno ancora il valore rivoluzionario che ebbero in passato, o sono state superate?

Risponderò con una frase di Peter Gay, uno dei biografi di Freud: “Freud sentiva un certo orgoglio nel disturbare il sonno dell’umanità, e l’umanità gli ha risposto trivializzandolo, diluendolo, o trovando ragioni per ignorarlo” (Peter Gay, "Introduction," in The Freud Reader)
Mi sembra che questa frase sintetizzi perfettamente la situazione attuale. Freud non ha proposto una filosofia, che come tale può essere “superata”. Freud ha scoperto una metodologia, quella delle libere associazioni, che può condurci, come il filo di Arianna, alla scoperta della verità. Chi non vuole avvicinarsi alla verità dichiara questa metodologia “superata”. La resistenza alla psicoanalisi è un fenomeno ben conosciuto. Fa parte dei meccanismi di difesa attivati dall’Io per mantenere soluzioni che sono costate un grande investimento energetico. Disinvestirsi è penoso, e la creatura umana cerca di rifuggire la pena come può.

14.Un’ultima domanda: cos’e’ la liberta’ secondo Lei?

La libertà è sentirsi a proprio agio nella casa nella quale si abita.


© Intervista esclusiva di Marco Bazzato e Vessela Lulova Tzalova

giovedì 21 dicembre 2006

Petizione internazionale a favore delle cinque bulgare e del Palestinese detenuti in Libia

Sig. Ben Bot, Ministro degli affari esteri dei Paesi Bassi; Presidenza olandese dell’UE
Egregio Signor BOT,
Il 6 maggio 2004 cinque infermiere bulgare e un medico palestinese sono stati condannati a morte per coscientemente l'infezione dei più di 400 bambini libici con il virus del AIDS. È emersa la prova che i bambini nell'ospedale libico sono stati infettati con il virus dovuto le precarie condizioni igieniche insite nell’ospedale, molto prima dell’arrivo del personale sanitario e del medico in Libia.
Tuttavia, le autorità giudiziarie libiche non hanno considerato queste prove durante vari processi degli ultimi cinque anni. Se non verrà presa alcuna iniziativa,le cinque infermiere bulgare ed il medico palestinese riceveranno la pena di morte attraverso il plotone d’esecuzione.
L’Unione Europea, il Dipartimento di Stato americano, i governi nazionali e vari organizzazioni internazionali hanno già espresso le loro serie preoccupazioni sull’ l'imparzialità delle prove e ne hanno denunciato i verdetti.
L'appoggio viene espresso per accertarsi e fare appello a favore di un movimento per questa gente innocente.
Tuttavia, l’azione diplomatica coordinata dell’Unione Europea raggiungerà indubbiamente un risultato migliore. Noi, i sottoscriventi dell’appello, chiedono a voi, Ministro degli esteri dei Paesi Bassi, di prossima presidenza olandese dell’Unione Europea, affinché usiate urgentemente tutte le misure adatte per aiutare efficacemente i sei cittadini imprigionati.
I Paesi Bassi sono famosi per l’Eccellenza nella mediazione e diplomazia nei conflitti. A motivo della serietà della materia, chiediamo che considerate questa edizione con la netta priorità.
Cordialmente


Note:
Faccio appello agli italiani di diffondere questo comunicato e sottoscriverlo, facendo sentire la nostra voce come un Paese che sa unirsi, per valere questa petizione a favore dei sei condannati.
Seguite il lik e compilate il format, è facile e semplice.

Marco Bazzato
21.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

Morire


Voglio morire come un cane rabbioso,
come un’animale furioso,
come ultimo reietto sulla terra.
Voglio vedermi il corpo
divorato da bestie feroci,
ridotto a brandelli,
esposto alle intemperie della vita.
Grido il mio sdegno al mondo
il mio odio alla vita
e a tutte le sue malefatte.
Morte, mia regina e signora,
dotta consigliera indicami la via
indicami il viatico che al nulla conduce.
Morte abbracciami,
amami, stuprami con la tua violenza
possiedimi con la tua malignità primordiale,
fammi sentire gli spasimi infiniti
d’un dolore senza pace.
Morte, sorella, morte amica,
morte amante impazzita che ti curi di me
fin dal primo giorno della mia venuta.
Morte amami, morte uccidimi,
morte aprimi il ventre
e disperdimi le viscere al vento.
Morte, signora dal lungo mantello,
principessa dagli occhi di ghiaccio,
bimba malevola che circuisci e soggioghi.
Morte, piccola bastarda dannata,
puttana svenduta accarezzi suadente i viandanti.
Morte, particella prima del creato,
ultima particella dell’essere decaduto
nel tuo giogo.
Morte,
carnefice dell’uomo,
killer solitario t’avvicini di notte,
allunghi le zanne all’albeggiare,
insinuandoti negli incubi di chi t’odia.
Morte, figlia diletta della vita,
suocera maligna, sposa padrona,
serva abietta d’ogni pensiero.
Morte, conducimi, guidami
distruggimi anima, psiche e materia.
Morte me, da te
e dopo aver esalato l’ultimo respiro
sarò servo tuo,
fedele per sempre

Marco Bazzato
21.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

Piergiorgio Welby è morto


Marco Pannella ha annunciato la morte di Piergiorgio Welby durante la diretta di Radio Radicale. Welby aveva 61 anni e da quaranta era malato di distrofia muscolare.

Cala il silenzio sulla triste vicenda dell’uomo che aveva chiesto di morire scrivendo al Presidente Napolitano, affinché venissero sospese le cure che considerava accanimento terapeutico nei suoi confronti.
La richiesta di Piergiorgio Welby ha lacerato il paese, dividendolo per l’ennesima volta tra quelli a favorevoli all’eutanasia, e i contrari a questa pratica che tra i più è considerata omicida.
Questa triste storia ha contribuito a portare alla luce le manchevolezze delle leggi attuali, dove il confine tra diritto alla vita e accanimento terapeutico nei confronti di un paziente lucido, e con la capacità di intendere è volere è labile, elastico, evanescente, privo di paletti ben definiti, dove però indipendentemente dalle opinioni personali o politiche, nel mezzo, nel occhio infernale del dolore e della sofferenza fisica e psicologica c’è l’uomo, ed è a questa sofferenza che la pietas umana deve saper volgere uno sguardo benevolo, non con le strumentalizzazioni di parte, distinguo teologici o dogmi, ma nemmeno con battaglie ideologiche che potrebbero indurre a pensare ad una cultura generalizzata della morte, dell’eutanasia attiva o passiva di quanti si sentono inutili per se stessi o sono un peso per la società.
Il confine tra il desiderio anche psicologico di vivere e l’imperativo di sentirsi lucidamente morti, e desiderare ardentemente la cessazione delle attività biologiche del corpo era stato attraversato da tempo da Piergiorgio Welby. Da tempo durante l’agonia si era già chiuso le spalle non al desiderio di vivere e alla vita, ma al dolore, all’immobilità, al silenzio esteriore che lo faceva essere vivo e presente solo nella sofferenza, quella sofferenza che per alcuni è un dono divino, per altri è una maledizione della vita stessa e un tragico gioco del destino.
Welby da tempo aveva già attraversato le porte della vita, vivendo idealmente in modo diverso, ma era prigioniero delle catene del dolore fisico e psichico, ma non ha smesso di combattere per la sua libertà. Quella libertà che spesso alle persone sane, oberate dai problemi quotidiani, ma che non conoscono il valore distruggente e piagante dell’immobilità, dello sguardo fisso su un punto indefinito di un orizzonte che da anni non possono vedere, può sembrare una bestemmia, un insulto alla vita, come un attacco sistematico alle convinzioni e agli archetipi più radicati nell’uomo.
Umanamente sento che nessuno può attaccare l’uomo, che nella sua individualità lucida e cosciente sceglie deliberatamente una strada propria, ma alla fine comune a tutti, chiedendo di partire e andare, affrontare quel viaggio verso l’ignoto della dissoluzione del corpo, lasciando queste vesti fisiche comunque dotate di una vita finita, a tempo, scandita da un orologio inesorabile di cui nessuno conosce la durata effettiva.
Piergiorgio nel suo letto sentiva ogni battito, ogni secondo, ogni minuto, ora, giorni e settimane. Sentiva quell’eterna campana a morto che suona per ognuno dal momento della nascita, sentiva quel suono stridulo, martellante, che lacerava i timpani, lo piegava nel decubito e nell’immobilità, lo rendeva schiavo di una materia pensante, ma che lo logorava, lo faceva soffrire, lo distruggeva da dentro, consumandolo giorno per giorno come una candela impossibilitata a proteggersi dalle insidie della vita, perché già attaccato nel modo più maligno e mortale dalla vita stessa.
Piergiorgio Welby ha condotto una battaglia di civiltà, una battaglia etica secondo quelli che erano i suoi valori d’appartenenza, secondo quelli che erano i suoi bisogni primari e inviolabili d’uomo libero, aprendo uno squarcio sulla morte, uno squarcio senza pietismi pelosi e moralismi assolutistici che a volte ci fanno voltare lo sguardo per non vedere realtà scomode, per non vedere in faccia il dolore, l’agonia. Piergiorgio Welby ha portato tramite gli schermi tv, i giornali, le radio una signora dimentica, una signora rimossa pubblicamente e messa al bando come un’animale infettivo: sua maestà la morte, e il desiderio che in troppi forse abbiamo di partire per un lungo ed eterno viaggio con lei, in pace.
Buon viaggio Piergiorgio, ovunque tu sia ora, la vita ti è amica e tramite la morte ti ha restituito la tua libertà.

Marco Bazzato
21.12.2006
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mercoledì 20 dicembre 2006

No all'eterofobia nel presepio

È rivoltante vedere come quattro spauriti parlamentari d’un partito che non vale la pena nominare da sempre in prima linea nel difendere le minoranze omeopatiche della società, questa volta hanno voluto snaturare un simbolo religioso, vero o falso che sia, ma che nell’immaginario collettivo degli italiani cattolici e non, non hanno mai visto al suo interno statuine e personaggi eterofobici che fanno rimostranze politiche.
Non risulta nei vangeli, che durante la nascita dei Gesù ci fossero rappresentati con cartelli che inneggiavano a presunti privilegi legali da accordare a queste “coppie”.
Parlare di Pacs per le “coppie dello stesso sesso”, dopo il gesto insultante di parlamentari senza arte e né parte, che difenderebbero ogni parafilia pur d’avere le prime pagine sui giornali, nel nome di una battaglia anarchica e anacronistica intesa a distruggere una realtà sociale che a loro non aggrada, e che pur d’aumentare di qualche centesimo la percentuale dei loro inscritti, riscriverebbero la storia, attaccando, distruggendo, snaturando, violentando, insultando, denigrando l’opinione della maggioranza degli italiani, che nel nome della presunta libertà di pochi individui, dovrebbero rimodellare i loro pensieri e le loro credenze, vere o false che siano, costretti a rovinarsi gli occhi e l’udito per assecondare un gruppetto sparuto.
Il Parlamento italiano ha subito un’ennesima offesa dopo quella di un uomo nel bagno delle donne, il Parlamento italiano, sé è veramente rappresentativo degli elettori, dovrebbe isolare questi estremisti, che nel nome di biechi interessi partigiani, non esitano a calpestare tutto e tutti, come se esistessero solo loro, mentre gli altri devono essere buoi che tirano l’aratro.
Un paese serio e un parlamento serio, denuncerebbe questi individui, rei d’imporre in ogni modo un pensiero distruttivo della storia e delle tradizioni radicate nell’opinione pubblica.
C’è un ultima riflessione da fare: se Gesù avesse voluto avere due “genitori” eterofobici sarebbe avvenuto, no ? Le idee insensate e fuori luogo di soggetti che vorrebbero modificare i pensieri e la storia del figlio adottivo del pastore di Nazareth sono i vaneggiamenti di quanti desiderano colorare d’un falso arcobaleno la realtà naturale degli eventi, insultando e offendendo la maggioranza di quanti sono costretti a subire ogni tipo di affronto e attacco alla loro convinzioni personali.

Marco Bazzato
20.12.2006
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martedì 19 dicembre 2006

Condannate a morte le cinque infermiere Bulgare


La giustizia libica ha condannato a morte le cingue infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di aver inoculato il vuris dell'Aids a centinaia di bambini libici. Lo ha annunciato oggi il tribunale di Tripoli(1).
La Bulgaria, che entrerà a pieno diritto nell’Unione Europa dal primo gennaio 2007, è per l’ennesima volta è shoccata.
Le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese erano in carcere dal '99 con l'accusa di aver volontariamente inoculato il virus dell'Aids a 426 bambini dell'ospedale di Bengasi, 52 dei quali sono morti. La stampa libica era stata unanime nel sollecitare la condanna a morte per gli imputati (già condannati alla pena capitale in un primo processo) colpevoli «di aver sparso il sangue dei nostri figli innocenti»; da ogni parte del mondo sono invece arrivate a Tripoli pressioni per una sentenza più mite e il mondo della scienza si è mostrato compatto nel sostenere l'innocenza degli imputati e l'infondatezza delle accuse(2).
Il processo si è svolto senza alcuna garanzia per i diritti degli imputati, che hanno anche dichiarato di aver confessato perché sottoposti a durissime torture(3).
Il vicepresidente della Commissione Ue, Franco Frattini, ha rilasciato un commento molto duro: "Sono sconvolto, deluso e scioccato - ha detto - le autorità libiche dovrebbero ripensarci al più presto". Frattini ha ricordato che "la Bulgaria dal primo gennaio è membro dell'Unione Europea" e dunque la condanna "sarebbe un ostacolo alla nostra cooperazione con la Libia(4).
Ma l'accanimento dei legali dell'accusa - tra cui il padre di una vittima - durante tutto questo processo, lascia poco spazio alla speranza. Anche perché le affermazioni degli imputati di aver confessato colpe mai commesse, sotto atroci torture, sono cadute nel nulla. Specie dopo che i poliziotti da loro indicati come torturatori sono stati assolti dalla giustizia libica(5).
L'Unione europea e gli stati membri si sono impegnati ad aiutare le famiglie delle vittime. Questo sostegno punta anche a delineare in Libia un piano nazionale anti-Aids per prevenire il ripetersi di tali tragici eventi. Il sostegno economico garantito da Bruxelles per far fronte alle conseguenze dell'epidemia del 1999 e per dare alla Libia un piano anti-Aids, mira anche a indurre le autorità libiche a garantire un trattamento equo alle infermiere ed al medico accusati del contagio dei bambini(6).
"Siamo riusciti a dimostrare - ha sostenuto Oliver Pybus, della Oxford University e coautore della ricerca - che i ceppi virali dell'Hiv e dell'Hcv coinvolti nell'epidemia erano già presenti e avevano già contagiato i bambini svariato tempo prima dell'arrivo dello staff medico bulgaro in Libia". "Lo studio è stato condotto su oltre cento bambini ai quali è stata somministrata in Italia la terapia antiretrovirale - spiega Enrico Garaci, presidente dell'Istituto superiore di Sanità - Attraverso i loro campioni di sangue è stato possibile identificare il ceppo virale che li aveva infettati e condurre analisi estremamente dettagliate per stimare la data di introduzione dei due virus nella popolazione ospedaliera(7)".
Sui motivi che starebbero dietro al cruente gesto, i libici hanno sostenuto diverse ipotesi, tutte caratterizzate dal medesimo filo conduttore: un complotto contro il popolo libico. Durante la conferenza mondiale sull´Aids dell´aprile 2001 è il leader Muammar Gheddafi a spiegare quale sarebbe stato il diabolico movente delle cinque infermiere. «E´ stato chiesto loro di sperimentare gli effetti dell´Hiv sui bambini. E chi li ha incaricati di questo odioso compito? Alcuni dicono la Cia. Altri dicono il Mossad» (il servizio segreto israeliano, nd)(8)
Nel 2004 si era aperto il primo processo, concluso con una condanna a morte, poi annullata. La Libia aveva inizialmente cercato di risolvere la questione chiedendo, in cambio dei sei prigionieri, il rilascio dell´ufficiale libico condannato per l´attentato all´aereo americano Lockerbie. Negato lo scambio, il governo di Gheddafi aveva chiesto il risarcimento da parte della Bulgaria per le famiglie dei bambini rimasti vittime dell´epidemia. Ma il governo bulgaro aveva rifiutato, spiegando che «accettare di pagare un indennizzo sarebbe come ammettere la colpevolezza e questo è inconcepibil(9)».
Le cinque infermiere e il medico, per ora, presenteranno appello contro la sentenza, che, se confermata, riporterebbe il colonnello Gheddafi e la Libia indietro di almeno un quarto di secolo, ai tempi degli attentati, delle sanzioni, e dell´isolamento internazionale(10).
Marco Bazzato
19.12.2006

[1] corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/19/libia.shtml
[2] corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/19/libia.shtml
[3] repubblica.it/2006/12/sezioni/esteri/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte.html
[4] repubblica.it/2006/12/sezioni/esteri/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte.html
[5] repubblica.it/2006/12/sezioni/esteri/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte/libia-condanna-a-morte.html
[6] ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_2054787106.html
[7] ilgiorno.quotidiano.net/art/2006/12/19/5452738
[8] www.unita.it/view.asp?IDcontent=61946
[9] www.unita.it/view.asp?IDcontent=61946
[10] www.unita.it/view.asp?IDcontent=61946

lunedì 18 dicembre 2006

Stampare libri all'estero

Stampare un libro in Italia sia per le piccole case editrici, sia per gli scrittori in erba che desiderano vedere pubblicata una loro opera ha spesso un costo insostenibile. Un libro non è solo un prodotto commerciale, ma è anche la realizzazione di un'inspirazione interiore, il bisogno di comunicare una storia, un romanzo, un saggio, questo però spesso si ferma davanti alla porta dell'editore o della stamperia di turno.Da anni conosco il mercato delle stamperie in Bulgaria, specie a Sofia, la capitale, e mi ha permesso di vedere che al di fuori della realtà locale italiana, strozzata dagli alti costi della manodopera, non sempre supportati dalla qualità finale del prodotto, può fornire alle per piccole realtà editoriali, o ai giovani autori esordienti, la possibilità di far stampare i libri in Bulgaria, e riceverli nella sede dell'editore, o dell'autore che sceglie l'autoproduzione.Il servizio di stampa proposto per il mercato italiano ha dei limiti oggettivi, sotto i quali non è possibile muoversi, in quanto mancherebbe di convenienza, indipendentemente che esso sia un piccolo editore, o un autore che desidera stampare una sua opera.Il libro deve avere come minimo duecentocinquanta pagine, e la tiratura non iniziale non può essere inferiore alle cinquecento copie, da queste cifre sopra scritte, la convenienza per gli operatori, a seguito di un preventivo di spesa richiesto in separata sede, diventerà evidente.Per la stampa del libro, si chiederà l'invio del CD con il testo impaginato su programmi di impaginazione (Quark esxpress 7.0), la copertina completa di fronte-retro-dorso in formato digitale su programma di grafica (Adobe Photoshop CS 2 e superiori).Il servizio si rivolge alle piccole e medie realtà editoriali, intenzionate a contenere i costi di stampa, offrendo al contempo un servizio in linea con la concorrenza, alla propria clientela, assicurati dal fatto che il libro ha tutte le specifiche richieste dalle leggi editoriali internazionali.Per ulteriori informazioni potete scrivere direttamente a: marco.bazzato@libero.it
Marco Bazzato
18.12.2006

venerdì 15 dicembre 2006

Oltre i muri della vergogna

Brandelli di carne esposti come quarti di bue macellati, l’aroma del sangue ancora caldo scende a rivoli dai tronchi mozzati. Sento quel profumo, quel nettare oscuro di carnume putrefatto penetrarmi le narici.
Prendo la palla di stracci cercando di non inciampare sulle membra piovute dal cielo durante l’ultimo attacco. Nulla cambia attorno a me, nulla varia dall’inizio della mia vita, da, quando gli occhi si sono aperti innanzi all’orrore. Non c’è vita oltre questa vita, non c’è speranza per noi, imprigionati dietro quel muro infame che ci fa prigionieri in un ennesimo campo di concentramento a cielo aperto, chiamato da altri con nome diverso.
Tutto doveva essere dimenticato. Tutto doveva essere ricordato degli orrori del millennio passato, ma quei morti bruciati, carbonizzati, quei cadaveri ridotti in cenere oggi sono con noi e mi tengono la mano. La sento, la tocco, è scheletrica e ossuta come la mia. Il suo stomaco grida per la fame come il mio. Il suono è il medesimo, come uguale l’atrocità che ha subito, e ora i miei occhi precocemente adulti vedono attorno e in me.
Mi parla all’orecchio, ma altri non possono udirlo, ascolto le sue preghiere rivolte a J.H.V.H, rivolte a Adonai. Sento la sua mano sfiorare la mia, e con un gesto m’invita a rivolgermi al mio Dio, ad Allah, lo stesso Dio assente ieri come oggi, dei nostri sacri testi.
Dov’era Adonai in quei campi passati, dov’è ora Allah? Forse nascosto oltre quel muro? Forse è nascosto e ascolta silenzioso le nostre comuni preghiere?
Tocco con la mente la sua Kippa, tocca con lo spirito la mia Keifa. Lo stesso tessuto lavorato dall’uomo, lo stesso Dio, la stessa Fede, lo stesso dolore, la stessa morte. La morte.
Vorrei poter vedere il suo sorriso, vorrei che potesse vedere il mio sorriso in cerca di una speranza rivolta al futuro assente.
Prendo la palla tra le mani, è sporca di terra e imbrattata di sangue. Ho le dita chiazzate, le dita nere e la mente intorpidita per le grida stridule che odo.
Si avvicina l’ennesima sera, l’ennesima notte infernale, dove il cielo sarà illuminato a giorno dai razzi traccianti, dove altri innocenti saranno sacrificati per un olocausto senza fine.
Oggi come allora nessuno vuole sentire il pianto degli innocenti. Oggi come nel millennio passato in troppi chiudono gli occhi, si tappano le orecchie innanzi al genocidio che si sta compiendo, innanzi allo sterminio indiscriminato che quotidianamente si compie.
Oggi come allora parlano i politici, parlano i proclami pubblici, e gridando si addossano le colpe l’uno all’altro, ma è sui nostri capi che cadono i missili, sono sui capi dei nostri fratelli di là del muro che cadono i nostri missili causando terrore distruzione e morte.
Valiamo meno dei granelli di sabbia sulla spiaggia, siamo povere pedine di una scacchiera impazzita, pedine senza re e regine, perché come vili vivono protetti, osannati e riveriti, mentre la nostra tavola è vuota, lo stomaco grida, e negli occhi non abbiamo più lacrime per piangere i genitori, fratelli sorelle e amici perduti.
Siamo colpevoli! Sì colpevoli come i nostri fratelli gasati e cremati. Colpevoli d’avere un Dio diverso, d’avere una Fede nata dagli stessi padri, ma la discendenza degenere si è frantumata e divisa, leggendo, scrivendo, narrando e creando muri d’incomunicabilità e odio.
A chi rivolgo la mia preghiera? Alla Mecca? Non posso prostrarmi a terra nella giusta direzione, perché attorno a me, nulla vedo se non desolazione, morte e mura che salgono al cielo? Al Dio degli Ebrei? Implorando pietà affinché metta fine alla nostra tribolazione e abbia clemenza di noi presunti infedeli al suo cospetto? Al Dio dei Cristiani, che secondo le loro usanze sarà ricordata la sua nascita tra pochi giorni? Lo stesso Dio che ci chiama infedeli, come noi chiamiamo loro crociati infedeli?
No, quest’anno non rivolgerò alcuna preghiera a nessun Dio umano. Non compirò alcun sacrificio a nessuna divinità musulmana ebrea o cristiana. Oggi mi riunirò in silenzio tenendo per mano il mondo, tenendo nel cuore quanti vorranno elevare una preghiera per quei morti sterminati dall’uomo in tutti i millenni passati, riflettendo sugli orrori che oggi vedo davanti a me. Non guarderò le loro religioni, ma i loro cuori, sapendo d’avere accanto quell’amico che sorridendomi con la sua mano ossuta si sistema la Kippa, e con l’altra m’accarezza la Keifa, infondendomi con un sorriso la certezza di un futuro oltre quel muro, dove in passato aveva letto per migliaia di volte: “Il lavoro rende liberi”.

Marco Bazzato
15.12.2006
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giovedì 14 dicembre 2006

Consigli ai parlamentari sui PACS


La deriva Zapaterista colpirà l’Italia tra poche settimane, quando questo governo barcaiolo, metterà all’ordine del giorno i Pacs, anche per le “coppie eterofobe”.
I giornali di questi giorni sono pieni di prese di posizione dell’una e dell’altra parte dell’emiciclio politico, dove però tutti sembrano presi dalla smania del distinguo, della libertà di coscienza, su una questione reputata così impellente da non poter essere rimandata almeno fino al millennio prossimo, tagliando in due un paese che nelle maggioranza silenziosa non s’identifica nel riconoscimento di talune “unioni”.
Come sempre, sembra che ci vogliano lunghissime riflessioni per giungere a risposte semplici, che sia necessario spremersi le meningi fino a consumarle a forza di distinguo più o meno dotti, per giustificare una legge sfrontata, che non tiene conto della maggioranza di come sono composte le famiglie italiane, sposate o no. Eppure sarebbe facile decidere, basterebbe che ogni parlamentare della Repubblica, quando torna a casa la sera, dia una semplice occhiata nell’appartamento, per osservare con chi condivide la vita, sia come concubino, come divorziato, sposato civilmente o con rito religioso. Basterebbe questo per decidere il proprio voto in base all’orientamento reale, e se la prova non fosse sufficiente potrebbe andare oltre, facendo una ricerca storica nell’albo di famiglia per vedere se tra i loro antenati ci sono state “coppie eterofobiche”, se hanno generato figli, se per scelta si sono imposti una casta vita sessuale, o se per evirare la riproduzione hanno usato metodi anticoncezionali e per questo mancano riferimenti anagrafici di un’eventuale discendenza.
Questo non significa negare le diversità, anzi è proprio riconoscendo le diversità che il singolo, e soprattutto il parlamentare deve fare una scelta e di riflesso un voto d’identità, perché non può esimersi dalla sua storia personale non strumentalizzabile per fini politici, nel nome di un idealismo astratto che non gli è proprio, e non appartienine né alla sua cultura famigliare, né alla sua cultura sociale. Significherebbe nel nome di un non ben identificato presunto diritto, negare se stessi e l’ambiente nel quale si è cresciuti.
L’onorevole Berlusconi ha dato un segnale chiaro: ha lasciato libertà di coscienza. Questa libertà interiore, in linea di principio, non dovrebbe essere strumentalizzata nel nome d’astrazioni o voli funambolici che non appartiene al vissuto esperenziale dei singoli, e alle radici storiche e familiari dei medesimi.
E’ nel nome di questa radice storico evolutiva, non solo dei parlamentari dell’opposizione, ma anche quelli della maggioranza, che dovrebbero ispirarsi per riaffermare quei valori fondanti della società stessa.
Spesso quando si affrontano queste tematiche, alcuni tirano in ballo il Vaticano e la religione, fomentando un fuorviante scontro tra Stato e Chiesa, ma mai come in questo momento tale tesi è più fuorviante, perché non occorre scomodare una religione, oppure un a presunta ingerenza di uno Stato straniero per ribadire la naturale storia evolutiva, (nata molte decine di migliaia d’anni prima della religione cattolica attuale) d’ogni singolo individuo sulla terra, che indipendentemente da quanti vogliano imporci di credere, dall’inizio del tempo ha seguito, nonostante i cambiamenti sociali, religiosi, etici e morali, sempre la medesima direttrice. Negare questa direttrice laica ma naturale, significa negare Darwin, e rinnegare i valori ideologici che dal 1859 hanno modellato anche la società contemporanea.
Un politico accorto, dovrebbe avere l’onesta intellettuale di non fare l’interesse dei singoli o di spauriti gruppi di pressione, cedendo alle strumentalizzazioni medianiche, agli attacchi, ma dovrebbe tener conto del valore dell’evoluzione della specie umana, lavorare a favore di essa, senza negare i diritti dei umani dei singoli, ma non per questo cadendo nell’inganno che talune forzature siano positive per la società stessa, omettendo, nascondendo, o riducendo ai minimi termini i fattori destrutturati alla medesima e i mattoni fondamentali dell’evoluzione stessa dell’uomo.
Dire no ad una legge del genere è facile: basta guardare attorno, contare gli orientamenti taciuti per timore e votare nel modo giusto.

Marco Bazzato
14.12.2006
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Un'altro anno muore

Tra meno di tre settimane un altro anno sarà lasciato al suo destino, ai ricordi, alle illusioni di ciò che doveva funzionare, e alle tragedie di ciò che è andato per il verso sbagliato.
Il paese ha votato, è la vittoria del centrosinistra, ha gettato nonostante le promesse esagerate e disattese, i cittadini nello sconforto. La nave Italia è sempre più ostaggia dei banchieri internazionali, e il nodo gordiano si stringe attorno al collo dei cittadini, fa schizzare fuori le orbite, e vomitare maledizioni verso una politica impegnata a difendere i loro interessi personali, che non gli interessi dei cittadini e delle classi meno abbienti: i ricchi scoppiano di salute, e i poveri aumentano, e crepano. Ma non importa, continuiamo a ballare, mentre la barca affonda, mentre l’aeroplano è guidato da un pilota e da membri dell’equipaggio dove solo loro sono dotati di paracadute e salvagente, auto di scorta, pensioni d’oro e benefit senza fine, mentre i passeggeri pagano per il diritto di perdere ogni sicurezza sociale.
Quanti scandali in quest’anno che stiamo per consegnare alla terra: Il calcio ha tremato poche settimane prima dell’impresa italiana ai mondiali di Germania. Per la quarta volta, il Paese è campione del mondo, ma a parte la testata di Zidane su Materassi, la maggioranza dei cittadini ha ancora nel cuore il mondiale spagnolo, dove il calcio era meno asfittico e malato di quell’attuale. Ma non c’è stato il tempo per festeggiare, per scendere in piazza e sentirsi orgogliosi d’essere uniti sotto un'unica bandiera, abbiamo troppa a cui pensare.
A Napoli continuano ad ammazzarsi, i politici parlano, ma i cittadini crepano, vittime colpevoli, e vittime innocenti divenute da tempo danni collaterali di una guerra senza quartiere e senza regole. Lo Stato proclama nei momenti di dolore collettivo, e dimentica appena scende il silenzio, ha troppe cose a cui pensare, troppi amici da accontentare. Non può badare al precariato, agli stipendi da fame, ai giovani senza futuro che abbandonano la scuola, all’analfabetismo di ritorno. Deve pensare a svendere la compagnia di Bandiera, dopo che per decenni ha succhiato il sangue dei cittadini con continue iniezioni di denaro pubblico, pur di accontentare i boiardi di Stato, i supermanager del fallimento che dormono sonni tranquilli tra i guanciali di banconote, incuranti degli inutili sprechi ricaduti sulle spalle di tutti.
Ma l’Italia è un paese orgoglioso e generoso, e invia i suoi soldati in missione di pace in medioriente, mentre specialmente il sud Italia è in mano a camorra, mafia e ndrangheta, la medaglia a tre facce, la piovra che tutti dicono di voler combattere, ma che poi lasciano crescere e agire indisturbata, dove l’unica cura fin’ora usata è quella degli stanziamenti a fondo perduto che non hanno cambiato nulla, ma che continuano ad essere richiesti, anche se poi non cambia mai nulla. Ma nessun politico di destra o di sinistra risponde a queste imbarazzanti domande, meglio pavoneggiarsi tra amici stranieri, sentendosi grandi nani all’estero che piccoli falliti a casa propria.
Abbiamo una classe politica miope, cieca, asservita a miliardari spiantanti oberati di debiti, che hanno le sedi delle loro società nei paradisi fiscali, e non danno quasi nulla all’Italia, anzi, orgogliosamente delocalizzano in Cina, dove il Made in Italy e solo pensato, ma prodotto all’estero, e tutti applaudono ai posti di lavoro perduti, salvo chiedere dazi doganali ai prodotti cinesi che distruggono la nostra economia. Ma non importa se abbiamo perso la chimica, la calzatura, il tessile, l’industria pesante, l’importane è avere un paese svenduto, perchè i nobili scopi del governo sono altri, più alti, più elevati e votati ad imporre che un uomo vestito da donna, usi il bagno delle donne, anziché quello che è proprio della sua sessualità fisica. Il diritto di uno deve schiacciare il diritto di tutti. (Libertà o dittatura?) Questi e non solo sono i nobili scopi del governo attuale, ma vogliono andare oltre, vogliono imporre alla maggioranza eterosessuale italiana, la deriva eterofoba, la parificazione delle unioni delle persone dello stesso sesso, con le unioni di sesso opposto. Queste sono le priorità civili del paese, di un governo ostaggio di una minoranza striminzita che detta le regole, altrimenti accusa a pieni polmoni quanti non la pensano come quel gruppo sparuto d’ogni genere di discriminazione. (Libertà o dittatura?)
L’italiano è stanco. È stanco della sanità che non funziona, stanco dei continui scioperi del venerdì fatti per fare la settimana corta, stanco di un’informazione viziata, sotto controllo sovietico, dove la libertà di parola e scritta sulla carta costituzionale è tirata come un elastico secondo la convenienza politica del momento, dove l’articolo 11 è inutile, dove le nostre missioni di pace sono fatte con carri armati ed elicotteri da combattimento.
L’Italia è un Paese che sta affondando grazie a decenni di governi di centro destra, o centro sinistra, non importa chi guida, ma tutti gli ultimi conducenti sono stati e sono tutt’ora senza patente, un’Italia dove l’ignoranza regna sovrana, dove le starlette d’infima levatura intellettuale pontificano idiozie in tv come dogmi di fede, dove il futile ha lasciato spazio all’utile, dove il sapere è relegato o nascosto se non politicamente corretto, se non asservito a qualche potenza straniera. Un’Italia dove alcuni libri non sono tradotti visto che il popolo secondo taluni potrebbe non capirli, e la censura ideologico politica sta distruggendo quella poca radice culturale che è rimasta al paese.
Siamo una nazione a sovranità intellettuale limitata, obbligata a non pubblicare libri controversi, costretta ad informare in modo distorto e cieco, dove il popolo deve conoscere solo la verità ufficiale, mentre la realtà è un opinione reazionaria da censurare.
Ma non importa, bisogna protestare perché gli italiani non fanno più il presepio, forse sono stanche d’essere buoi guidati da asini, e anche Gesù bambino si rifiuta d’essere ricordato in un paese così.
A volte viene da chiedersi: ma esiste un Italia reale, un Italia di cittadini impegnati a lavorare, costretti sgobbare come schiavi del tempo della gleba per mantenere politicanti e boiardi senza arte e né parte?
Abbiamo perso il desiderio di sognare, il desiderio di sentirsi liberi di esprimere le nostre opinioni, di gridarle al megafono, di urlare in tv. Abbiamo perso la libertà di sentirsi cittadini di una nazione che vive dei ricordi storici di quanto i grandi del passato hanno saputo creare, e noi ora non sappiamo più fare.
Ma non importa, consoliamoci con nani e ballerine, con guitti e menestrelli medioevali che alla corte del signore di turno attendono come plebaglia che cadano le briciole dalla tavola.
Non serve augurare buon anno viste le premesse dell’anno morente, anzi, condoglianze a tutti, condoglianze e piangiamo la libertà perduta, anche se nessuno è riuscito a toglierci la voglia di pensare e tenere liberamente vivi i nostri pensieri, le nostre astrazioni in quell’universo sconosciuto che è la mente umana. Lì nessun politico, nessuna velina può attaccarci, e abbiamo la libertà d’imprecare sommessamente e maledire nel silenzio della bocca chiusa quanto di peggio c’è in quest’Italia morente.

Marco Bazzato
14.12.2006
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martedì 12 dicembre 2006

Conferenza Iraniana dei negazionisti. L’Europa ha torto o ragione?

In questi giorni i media si sono scatenati contro l’Iran ed il suo presidente che ha indetto una conferenza per negare l’olocausto, usando come frasi ad effetto il fatto che vuole cancellare Israele dalla cartina geografica.
Entrare in merito sulle motivazioni politiche di questo sinistro personaggio, esula dalle competenze di questo scritto, anche se l’opinione pubblica internazionale è shoccata dalle dichiarazioni rivoltanti del medesimo.
Ma la conferenza ha nell’atrocità del tema trattato una valenza che non deve essere né sottovalutata, e né negata, cioè quello di portare sotto i riflettori personaggi forse ambigui, forse discutibili, ma che in occidente non avrebbero potuto avere un tale riscontro mediatico, avendo libertà di parola, paradossalmente nel chiuso mondo islamico più integralista.
Ultimamente si fa un gran parlare di revisionismo storico, come forma estrema di negazione dei tragici eventi avvenuti durante la seconda guerra mondiale, soprattutto sotto il regime nazista, ma se l’obbiettivo politico del presidente iraniano era quello, allora indipendentemente da quanto i media internazionali paventano, il colpo mediatico è andato a vuoto, in quanto la storia in se stessa non può né essere cancellata, o negata, ma può essere rivista alla luce di nuovi fonte storiche, di nuove opinioni e calcoli statistici, supportate anche dall’ausilio delle nuove tecnologia, che sebbene differiscano dalle cifre ufficiali, non andrebbero sottovalutate, ma usate come metro di paragone e confronto rispetto alla storiografia ufficiale. La comunità accademica degli storici internazionali, non influenzati delle politiche dei governi dovrebbe avere l’onestà intellettuale di prenderli in considerazione, perché se falsi, inventati, o deliberatamente fuorvianti potrebbero mettere finalmente la parola fine alle speculazioni, ma se per disgrazia alcuni dati fossero esatti, si dovrebbe rivedere per onestà storica e per rispetto che si deve ad ogni singola vittima del nazismo, e ai sopravvissuti del medesimo.
La storia come tutte le discipline accademiche non vive di dogmi incontrovertibili, e assolutistici, la storia, come ogni realtà prodotta dal genere umano è costellata d’errori, di dati passati per veri, dove però il diritto di replica o dell’opinione difforme è negato. Una nuova discussione sugli eventi atroci fatti e disumani che hanno funestato di morte e sangue il ventesimo secolo sarebbe meritevole d’approfondimento.
L’Europa ha perso un’occasione, forse spinta da pressioni politiche e da poca apertura intellettuale da parte dei politicanti di mestiere, per farsi garante aperto e senza pregiudizi della verità storica. Doveva essere l’Unione Europea ad indire una conferenza o proporre nuovi seminari di studi ponendo fine allo spettro del revisionismo negazionista, ma forse per viltà, per piaggeria nei confronti di qualche entità politica ha lasciato che ciò avvenisse fuori del contesto Europeo dove lo sterminio si è compiuto.
Negare la realtà delle camere a gas, e dello stermino sistematico d’esseri umani da parte del nazismo, sarebbe come negare che l’acqua bolle a cento gradi, quindi sarebbe come voler nascondere il sole dietro un foglio di carta nero, ma è altresì necessario non bruciare quel foglio di carta nero, ma capire, conoscere e approfondire, perché esistono ancora delle zone d’ombra, delle opinioni che non collimano con la verità. La verità stessa non deve aver paura delle opinioni divergenti, perché se fallaci e arbitrariamente manipolate e false, sarebbero nuovamente annichilite dai fatti stessi, mentre se la verità si nasconde dietro a frasi ad affetto e altisonanti, richieste di perdono a soggetti non fisicamente nati e coinvolti negli eventi storici, può indurre a pensare ad una forzatura della libertà di pensiero e di parola dei singoli, andando ad intaccare i valori costituzionali della libertà d’espressione sanciti nella costituzione Italiana.
Lo spirito di chiusura acritico specialmente della politica, involontariamente è a totale vantaggio dei negazionisti, in quanto li mette l’occhio dell’opinione pubblica come dei perseguitati, come degli esuli, correndo il rischio di ottenere l’effetto contrario, dove la verità anziché uscirne rafforzata, ne esce indebolita, contribuendo a creare quell'opinione spesso taciuta, ma presente forse in tanti cittadini che ci sia la paura del confronto costruttivo d’idee, anche se discordi.
È strano che un consesso politico e culturale, dove secondo taluni si dovrebbe essere aperti ad accogliere ogni tipo di differenza di pensiero, ogni cultura, nel nome dell’inteculturalità sociale, si abbia paura della cultura e della conoscenza storica diversa da quella ufficiale.
Ci troviamo innanzi ad una forma di pericolosa censura imposta, dove in una società desiderosa di conoscere fino in fondo le proprie radici storiche, dovrebbe avere il coraggio di scavare sotto lo strado di conoscenza collettiva, spesso vista da un’unica angolazione, mentre la storia stessa per vivere di realtà propria ha bisogno di tutte le componenti, anche all’antitesi, altrimenti scivola nel pericoloso inganno della costrizione al pensiero unico tipico dei regimi totalitari.

Marco Bazzato
12.12.2006
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