martedì 29 aprile 2008

Arriva l’estate: Fido abbandonato. Soluzione: a tavola in Estremo Oriente



I primi timidi accenni d’estate arrivano lentamente, e nelle spiagge s’iniziano a vedere corpi mezzi ignudi, distesi sotto un sole quasi di maggio. Ma con l’arrivo della bella stagione, delle gite fuori porta, torna in aguge la moda dell’abbandono del migliore amico dell’uomo, che non è il nonno che porta al parco i nipotini, ma di Fido: il cane, rinnovando la tradizione tipicamente estiva e/o ferragostana del lancio dei cuccioli dal finestrino, o l’abbandono lungo qualche rettilineo, confidando nell’attenzione degli automobilisti, che in caso d’investimento della bestia, se di grosse dimensioni, non arrechi eccessivi danni alla vettura.

La moda, piaccia o no, come sempre dilagherà, raggiungendo le naturali vette d’umana bestialità poco prima del grande esodo ferragostano, con i futuri villeggianti che non sanno che fine far fare “al cagnaccio” che in quei giorni, manco fosse un licantropo, si trasforma in un essere pulcioso, piscone, escrementizio, che vuole – abbaiando fino a far rintronare il cervello – essere accudito come fosse un vecchio con l’alzimer, che ha bisogno della badante.

E così i padroni, stanchi del giocattolo peloso, scelgono l’abbandono, scelgono lo sport nazionale del lancio del cucciolo rinchiuso in sacchetti di nylon, che spesso – senza morire all’impatto – giungono lentamente al loro dio, e al paradiso dei cani, dopo esser rimasti – magari – per ore sotto il sole.

Eppure la soluzione a questo spreco inutile di cani morti ci sarebbe, ma andrebbe a scontrarsi con una mentalità, che se da una parte ha la sfacciataggine di ritenersi estremamente sensibile, dall’altra, fa si che migliaia di bestie, diventino randagie o che finiscano in poltiglia lungo strade e autostrade, e consisterebbe nel creare dei punti di raccolta, dei canili, una specie di centri di prima accoglienza per cani abbandonati, per poi spedirli in Cina o in Corea del Sud, dove la carne di questi animali è ambita e accetta e con le pelli si confezionano stupende pellicce rivendute anche in occidente.

Va ricordato, infatti, che per certe culture orientali, i migliori amici dell’uomo, sono anche tra i migliori amici degli stomaci affamati, tant’è che ad un coreano un cinese, non mangerebbero mai carne di coniglio, dimostrando, se mai fosse ancora necessario di come i gusti culinari sono diversi da regione a regione, da nazione a nazione.

Le spedizioni dei cani randagi, raccolti in Italia, potrebbero avvenire con scadenze mensili, e dove i futuri pranzetti, potrebbero essere semplicemente regalati, in quanto negli evoluti Paesi occidentali, c’è sovrapproduzione di animali da compagnia, non importa se di razza o bastardi, specie nelle grandi città, dove questi spesso – presi dai morsi della fame – aggrediscono vecchi e bambini.

Rimettere la carne di cane nella catena alimentare, non sarebbe la soluzione del problema alimentare, ma potrebbe aiutare a diminuire la penuria di carne che sta attanagliando la ricca Cina, dove nelle parti più povere del Paese, queste pietanze sono apprezzate, migliorando gli interscambi commerciali, scaricando al Paese di Mezzo un assurdo problema etico, che la nostra ricca società, non permette – per cultura – di vedere il cane come fonte alimentare, che stando alle leggende metropolitane, il cinese si ciba anche di carne di gatto, come facevano decenni fa i vicentini quando non c’era altro da mettere nello stomaco, e quindi l’approccio a questi tipi di alimenti, in Italia è prettamente culturale; ma non per questo significa, che non si possano smaltire le eccedenze canine, confidando solo nella bontà di casa nostra, e che non si possa vedere, nel nome del tanto sbandierato, a parole, rispetto delle diverse culture, questi animali, al pari della carne di maiale, di gallina, o altro, come un mezzo di sostentamento.

Naturalmente non si tratta di rivedere le nostre abitudini in cucina, ma di saper vedere dentro un eventuale futuro business una fonte di guadagno, sapendo anche che i canili costano denaro, gettato via inutilmente, senza un adeguato tornaconto economico, visto che oltretutto, spesso gli animalisti, immotivatamente, si oppongono anche alla soppressione dei cani in eccedenza, preferendo ideologicamente, non aprire gli occhi innanzi alla possibilità di vedere il cane, per quello che è: una semplice bestia che una volta terminato il suo ruolo da animale da compagnia, può essere messo nel fuoco, per gli amanti di questa prelibatezza che imbandisce le tavole delle culture diverse da quella occidentale.

Marco Bazzato
28.04.2008
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sabato 26 aprile 2008

Il 25 aprile, giorno della liberazione, serve ancora?


Il rito pagano delle celebrazioni del 25 aprile, si ripete ancora ogni anno sempre così monotono e uguale a se stesso, con sempre meno persone interessate ad ascoltare i discorsi colmi di retorica partigiana. Spesso viene da chiedersi se questa giornata commemorativa, abbia un senso storico, e quando tutto finirà?

Come sempre, non si sa mai se ridere o piangere, se scrollare le spalle, o sorridere per le litanie stantie, i monologhi al limite del delirio che i vari oratori sono costretti a fare ad ogni anno, cercando dentro una memoria – per fortuna sempre più sbiadita – le motivazioni per riattizzare il fuoco tra fascisti e antifascisti.

Ancor’oggi si straparla di “pacificazione”nazionale, come se il Paese avesse una reale ferita aperta, come se gli italiani d’oggi, i giovani, gli adulti che hanno passato la mezza età, i nati dopo il 1960, avessero l’obbligo di conservare, non un ricordo di un esperenziale vissuto nella carne, ma una “memoria” tramandata, a volte volutamente distorta, per continuare a dividere il Paese, tra Guelfi Ghibellini, tra Montecchi e Capulteti.

Ma gli attacchi peggiori, eticamente più infami, non arrivano da chi è stato sconfitto, sia con le armi, tramite la liberazione, sia dalla politica, ma da alcune frange dei vincitori, che esattamente come avvenne a Piazza Loreto, oggi, continuano a prendere a calci – per fortuna metaforici – gli sconfitti, defraudando i perdenti dell’onore delle armi.

Oggi, 2008, 63 anni dal termine della seconda guerra mondiale, sono passate quasi tre generazioni, e all’opposizione sta una classe politica, non sconfitta dalla partigianeria, ma col voto popolare, con i comunisti ridotti ad un’entità extraparlamentare, e i nuovi vinti dovrebbero imparare l’arte oratoria del silenzio, hanno l’ardire ignobile d’attaccare, non esistendo più gli eredi diritti di tale disfatta, i presunti eredi indiretti di un’ideologia morta, allo stesso modo com’è morto e sepolto il comunismo.

La pacificazione che dovrebbe essere offerta dai vincitori – di allora – non deve essere il pretesto ,dei perdenti odierni, per continuare ad attaccare una realtà storicamente esistita, ma attualmente defunta, usandola pretestuosamente per tenere alta una tensione nazionale, fatta solo per i giochetti di palazzo e di potere, continuando ad aizzare il Paese, l’uno contro l’altro, salvo poi avere la pretesa di presentare un ramoscello d’ulivo avvelenato.

Ancora pochi anni, e forse anche questa ricorrenza, come molte altre passerà finalmente alla storia, riponendo nei musei, a futura vera memoria stendardi, bandiere e medaglie conferite nel corso dei decenni alle associazioni partigiane, che hanno fatto il loro tempo, e questo, piaccia o no ad una certa parte della politica italiana, dovrà cedere il passo al futuro.

Oggi a molti sembrerà strano, ma fra pochi anni, il 25 Aprile, l’anniversario della liberazione, diverrà un ricordo del passato, come molte altre ricorrenze, divenute dopo un secolo, tempo medio affinché i protagonisti passino a miglior vita, solo date scritte nei libri di storia, trasformando la ricorrenza odierna, in normale giorno lavorativo, senza parate, inutili retoriche, discorsi monotoni e ripetitivi, svilenti la storia e il sacrificio stesso. Non va dimenticato, che quei partigiani, quei morti che hanno affrontato sofferenze e privazioni, ma anche altri, meno nobili, che hanno attaccato vigliaccamente un esercito in ritirata a Via Rassella, causando la rappresaglia e l’eccidio delle Fosse Ardeatine, avevano un ideale nel cuore: un Paese unito.

Oggi, gli ultimi rimasti, preferiscono un dignitoso silenzio, quando odono coloro che si sono appropriati dei valori della Resistenza, contindo a seminare discordia, quando odono politici che non hanno mai combattuto, non importa se dalla parte giusta o sbagliata, per un ideale, riempirsi la bocca, accaparrandosi indegnamente di valori non propri, strumentalizzando senza rispetto i morti stessi, gli ultimi sopravissuti, scelgono il silenzio, l’estraniazione dignitosa da una realtà che gli è stata derubata, dove come accade sovente in Italia, ma non solo, la corsa al camaleontismo e al trasformismo, saltando sui carri dei nuovi vincitori, è un arte in cui il vile, in ogni tempo, eccede.

Il 25 Aprile, la Liberazione era ed è un valore, ma domani, tra un anno o tra trenta sarà un libro ingiallito, un monumento decaduto, un cimitero di guerra cancellato, per lasciare spazio alla nuova storia, che giustamente macina e distrugge il tempo che fu, trasformando, nel corso dei tempi gli eventi in ricordi, libri, romanzi, miti e leggende, che con col passare dei decenni e dei secoli, diverrà polvere gettata via tra i rifiuti del tempo.

Marco Bazzato
26.04.2008
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venerdì 25 aprile 2008

Disco e Rave: Cadaveri da impasticcamento alcolico?



Martedì 25 Marzo, i giorni seguenti dopo un Rave Party illegale, scrissi un articolo su quella stupida morte che poteva, se la persona in questione avesse avuto un minimo di testa, essere evitata. Lo ammetto, non senza una punta rammarico, l’articolo era duro, estremamente duro, forse troppo, prendendomela con quello che a quel tempo era il “neomorto” per il suo gesto sconsiderato, lasciandomi andare, facendo d’ogni erba un fascio, anche a considerazioni generiche, non certo tenere, nei confronti dei frequentatori di questi luoghi di “divertimento”, che stando ai commenti che poi mi sono giunti, sembrerebbero – ad opinione di giovani – più sicuri dei patronati parrocchiali.

Certo e oggi dovessi riscrivere quell’articolo, non userei parole del genere, lasciandomi andare ad un barbarismo lessicale, che fa onore, e forse mi ha svilito ed avvilito, anche se mi ha permesso, attraverso i commenti di conoscere, grazie all’espressività lucida ed articolata, di molti frequentatori di queste “Case di Cultura”, quali siano i pensieri e i valori, a cui la “Generazione Ketamina si inspira.

Ho scoperto un mondo diverso, un mondo “fatto” di persone semplici, sognatori – sballati – amanti del multiculuralismo alcolico, del confronto e dell’accettazione altrui incondizionata, un mondo “fatto” di parole uscite a monconi, spastiche, dove questi giovani dicono di vivere liberamente, di sapersi divertire in modo diverso, meno confuso, con gli orizzonti mentali espansi, un mondo dove le regole sono solo una vecchia concezione astratta, buona per i ricoglioniti, che a differenza d quelli la, non sanno più sognare, hanno perso – secondo quelli – gli ideali, le idee, mentre loro prendono da quei paradisi artificiali l’ispirazione per rimodellare il mondo e la realtà a loro immagine e somiglianza.

Debbo ricredermi, cospargendomi il capo di cenere, sentendomi davanti a cotanta sapienza, un dinosauro, un reperto archeologico del passato, spostandomi di lato, facendo un passo indietro, per questa nuova (de)generazione che avanza. È difficile spiegare, come grazie ad un articolo, sia stato possibile dialogare, seppure a distanza, con un mondo forse, ma non troppo, lontano anni luce da quello che per anni, anch’io ho frequentato e conosciuto.
Poter descrivere con poche parole le diverse sensibilità che hanno commentato, o giuntemi in mail, selezionando le migliori, è un’impresa ardua, e per le mie misere forze, in quanto mi sono sentito letteralmente travolto dalle manifestazioni “d’affetto” che mi toccavano profondamente il cuore. Una cosa l’ho però notata: lo spirito di fraterna solidarietà esistente tra di loro, una sorta di “comunità terapeutica”, simile agli alcolisti anonimi, dove tutti si sostengono a vicenda, dove nessuno – dentro al branco – viene discriminato, anzi è aiutato, compreso e se nuovo del “giro” dopo esser stato annusato, a richiesta, può essere indirizzato al pusher più vicino, affinché possa avere anche lui la sua dose di sballo in libertà e nei casi più o meno fortunati, dipende dai punti di vista, la morte.

È stato un viaggio affascinante, forse unico nel suo genere, dove si è potuto venire a contatto, a debita distanza di sicurezza, grazie alla rete, di un mondo parallelo, una specie di Matrix, fatto di umana sensibilità, gentilezza, educazione, rispetto per le idee altrui, anche se sbagliate e/o come nel caso dell’articolo, sicuramente troppo dure, forti, recepito come un cazzotto alla bocca dello stomaco. È particolarmente interessante capire meglio queste coscienze evolute, questi specialisti dell’ascesi da
metanfetamina, da MDMA e quant’altro si possa trovare – clandestinamente – non solo nei Rave Party e nelle comuni discoteche, frequentate da fighetti che sniffano coca, o peggio, di come questi novelli “figli dei fiori” saranno gli uomini – sballati – di domani, coloro che dopo la morte dei vecchi, dei matusa, sapranno prendere le redini del comando – anarchico – delle loro vite e di quelle altrui, sempre che naturalmente sopravvivano a se stessi.

Dopo questo “viaggio” nel mondo giovanile, cercando di vedere la realtà secondo i loro occhi annebbiati, non si può che dire, che le forze dell’ordine hanno forse ragione nel tenersi a debita distanza, lasciandoli – come cani randagi – al loro destino, rimanendosene seduti in auto ad osservare, senza intervenire, perché questi ragazzi, questi giovani, che rappresentano una minoranza omeopatica, meritano d’avere i loro luoghi d’aggregazione recintanti, lontano dalla civiltà, liberi, senza controlli, dove possano far cadere i freni inibitori, per lo sfogo, col pretesto di sentirsi incompresi, emarginati dal mondo, non capiti, non valorizzati nelle loro qualità alcoliche e altro.

Devo anche aggiungere, per onor di verità, che ci sono stati anche commenti, fatti da persone che pur frequentando i Rave Party, a differenza della massa uniformata, hanno dimostrato una sensibilità ed un educazione fuori dal branco, persone pulite, che amano divertirsi, rispettando la propria persona, il proprio essere e la vita, scrivendo pubblicamente e privatamente il loro sdegno in maniera pacata e coincisa, facendomi capire che pur frequentando quei posti, si dissociano dai loro coetanei, avendo mantenuto la capacità critica d’osservare la realtà con occhio distaccato, accettandone i rischi e quindi tenendosi a debita distanza, senza rinunciare al piacere della musica che amano. A questa minoranza della minoranza va il mio più sentito grazie, per essersi dimostrati, senza dubbio, più forti delle mie provocazioni, più saggi e avveduti, senza rinunciare ad un analisi ampia ed articolata del fenomeno Rave.

Debbo delle scuse a tutte le famiglie delle persone morte nei Rave, n discoteca o quant’altro, senza però esimermi dal rammentare, che non ci deve essere umana compassione per gli amici, per coloro, che pur sapendo, non fanno nulla per aiutare i più deboli, coloro che si fanno trascinare, e poi, quando per una somma di eventi “fortuiti” accadono le “tragedie”, piangono – col senno del poi – gli scomparsi.

I giovani, i ragazzi, piaccia o no, hanno accesso alle nuove tecnologie, alla conoscenza e al sapere, in modo diretto, meno filtrato, con la possibilità, se vogliono di discernere il giusto dallo sbagliato, nascondersi dietro il dito, menzognero, che la scuola, i media, i programmi d’approfondimento non educano, è il classico modo per deresponsabilizzare le persone, facendoli passare per vittime di una società e di un sistema di comunicazione globale che non educa, mentre va ricordato, che per la legge italiana, una persona, a meno che non sia dichiarata psichiatricamente inabile, è nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e di discernimento, e se decide di darsi all’alcol, alle pasticche, andando ad acquistarle da uno spacciatore, a meno che non abbia una pistola puntata sulla nuca, lo fa sempre di propria responsabilità e come tale deve sapersi far carico di tutte le conseguenze, anche quella più estrema come la morte.

Il punto è che se anche la scuola, i media, vogliono educare, i giovani, i ragazzi, non ne vogliono sapere d’essere educati, d’essere guidati, non come marionette, ma almeno indirizzati verso strade diverse, da quelle che forse sfortunatamente, ma coscientemente intraprendono, preferendo un aggregazione fine a se stessa, vuota, ma con la testa ricolma d’alcol, pastiglie, musica assordante, piuttosto che un aggregazione che permetta di pensare, riflettere, confrontarsi, vivendo non solo come giovani di oggi, ma come futuri uomini pensando al domani, sempre che vogliano che quel domani arrivi.

Marco Bazzato
25.04.2008
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giovedì 24 aprile 2008

Esposizione di San Pio


È poi ci siamo lamentatati per anni che nell’ex Unione Sovietica, esisteva il Mausoleo di Lenin, col cadavere esposto alla venerazione – ideologica – dei sudditi, esattamente come è avvenuto per decenni nella Cina Maoista.

Il cattolicesimo, pur usando non armi ideologiche, ma di religione diverse, ha fatto e farà in questi giorni, con l’esposizione “alla devozione dei fedeli” del cadavere, o come usa dire, delle spoglie mortali di San Pio da Petralcina.

L’evento mediatico, esattamente, anche se in misura minore rispetto al Giubileo del 2000, attirerà, stando alle stime ottimistiche, circa un milione di visitatori, in fila per ore, nell’attesa di un breve passaggio, di pochi minuti, davanti ad un cadavere.

Lo scrivente, ricorda nonostante all’epoca fosse stato poco più che bambino, quando nella Basilica di Sant’Antonio da Padova, furono esposte le ossa del santo, dove feci una coda lunga ore, camminando a passo di lumaca, manco i pellegrini fossero stati imbottigliati al rientro ferragostano, per “omaggiare” – rapidamente – le ossa di una veloce occhiata, un segno di croce, e la magra constatazione, che l’aspettativa religiosa, era una cosa, mentre la realtà pratica di quanto si osservava era miseramente diversa. Le ossa, infatti, non era dissimili a quelle che comunemente si possono trovare in un qualsiasi museo, in qualsiasi laboratorio investigativo o archeologico, lasciando al termine della visita – mordi e fuggi – l’amaro in bocca.

Lo stesso avvenne anche in occasione del Giubileo del 2000, quando, dopo essermi recato a San Pietro, al rientro chiesi ad un missionario mio amico, se nella basilica, tempio della Cristianità universale, fosse stata approntata “Una nuova giostra?”. Da poco, infatti, erano stati posti in bella vista, le spoglie di Giovanni XXIII, che si attiravano un enormità di fedeli, ma che poi, si allontanavano scuotendo la testa, forse delusi per il macabro spettacolo a cui avevano assistito.

In questi giorni si ripeterà l’ennesimo assalto dei fedeli, in nome di una religiosità, non di una Fede, che ha bisogno d’immagini forti, per essere alimentata, col rischio, di trasformare la Fede, in un mero fatto commerciale, composto di souvenir Made in Cina, di immagini sacre, acque benedette, buone per la suggestione.
Ma la Fede, se vera, è tutt’altra cosa, la Fede, non ha bisogno di queste fiere paesane per essere vissuta interiormente come momento di comunione spirituale con un Dio, qualunque esso sia.
L’uomo moderno vive di stereoti
pi medioevali, alimentandosi non del Verbo divenuto carne, ma della carne che diviene polvere, dissolvendosi per l’incidere del tempo.

Viene però naturale da chiedersi, se Padre Pio, l’uomo, il frate, che per anni è stato ghettizzato dalla Chiesa, che ha subito il tribunale del Sant’Uffizio, oggi, se guarda questa stessa Chiesa dall’alto, nel posto dedicato ai Santi, a contemplare la Luce eterna di Dio, sarebbe contento di tutto ciò? Forse no, forse risponderebbe col suo ben conosciuto caratteraccio, in modo anche sgarbato, ma guardando l’uomo, il peccatore che espone le sue spoglie, il suo cadavere, sorridendo ma piangendo, cercando di comprendere questi figli della Chiesa, non di Dio, smarriti, in coda, in attesa paziente e silenziosa, cercando di trovare una ragione, non solo divina, ma anche umana, logica, razionale, di buon senso, per tanto interesse – economico – nei confronti dei suoi resti mortali.

In molti si chiedono, se questa mercificazione del corpo di un morto, sebbene elevato alla soglia degli altari, sia necessaria, e giusta per la memoria stessa dello stigmatizzato, se sia umana, per una Chiesa che dovrebbe mettere al primo posto l’uomo dal concepimento sino alla morte, ma soprattutto oltre, evitando il mercimonio, che va per assurdo a colpire – nel portafoglio innanzitutto – soprattutto i più deboli, i poveri, coloro che hanno già nel cuore una Fede semplice, vera, istintuale, che proviene da Dio, e che in modo acritico, si mette in coda, spinta forse anche da un desiderio necroforo di vedere un cadavere, che anche se Santo, è soprattutto Santo nello spirito, e cui si dovrebbe conservare la stessa sacralità, dovuta al corpo sebbene morto, lasciandolo all’”Eterno Riposo”.

Marco Bazzato
24.04.2008
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Conferenza di Marco Bazzato all’Università San Clemente di Sofia





Martedì 15.04.2008
Sarebbe insufficiente chiamare “conferenza” l’incontro di Marco Bazzato con gli studenti del master in antropologia comparata presso la Cattedra di filologia italiana all’Università San Clemente di Sofia. Questo incontro si è subito trasformato in un piacevolissimo discorso/scambio di idee, impressioni, informazioni di grande interesse per entrambe le parti. Veramente un pubblico del genere non poteva ospitare un relatore più appropriato dal punto di vista della varietà e della scelta di tematiche e dell’approccio che Marco poteva proporre. L’incontro era infatti inserito nel quadro di un programma che si occupa di peculiarità nazionali, di tradizioni e luoghi comuni, di stereotipi e innovazioni nell’identità dei due popoli, del possibile confronto tra Italia e Bulgaria, tra due Paesi che tradizionalmente amano e sentono vive le proprie affinità. Marco Bazzato ha scelto di iniziare con la parte più personale dell’insieme di tematiche da lui stabilite, e cioè con una breve presentazione della sua attività di scrittore. Senza però scivolare nella pubblicità narcisistica che tenta molti di quelli che si trovano davanti a un pubblico che vuole ascoltare. Non è successo nulla di simile; la sua opera è servita da introduzione a un mondo pieno di storia, di atmosfera e di affascinante singolarità. All’improvviso ci siamo trovati nel Veneto così come lo vedono gli occhi di un letterato, di un artista che sa descrivere i profumi, i suoni della sua città, le cadenze nel parlare dei suoi abitanti, le stranezze nel loro carattere, l’irresistibile nostalgia delle loro tradizioni. Un mondo rivolto a se stesso, ma rivolto anche verso l’esterno, e verso un Paese come la Bulgaria che nel corso tortuoso della sua storia recente non è rimasta inosservata. Curiosissimo per i nostri studenti è stato conoscere parte degli stereotipi diffusi sul conto della Bulgaria in un ambiente che pure loro, in un certo senso, almeno all’inizio conoscevano solo sulla carta. Bazzato però non si è fermato qui; descrivendo il proprio arrivo in Bulgaria, ha descritto con simpatica sincerità i bulgari attraverso gli occhi di una persona attenta e piena di voglia di imparare. A questo punto gli studenti, tra i quali erano presenti anche alcuni del corso di laurea in Filologia italiana, non sapevano più se ridere o prendere appunti, visto che tra le cose rilevate c’erano spunti quanto divertenti tanto utili dal punto di vista linguistico, psicologico e puramente “etnografico”. Ormai avevano tutti qualcosa da dire – almeno per condividere o confermare una propria impressione. La conclusione di questo viaggio non poteva non toccare anche il ruolo del letterato, il ruolo del filologo oggi. L’appello che Marco Bazzato ha lanciato ai ragazzi riguardava la fedeltà - dovuta da ogni persona che si occupa della parola e del testo letterario – a un ideale illuminato, culturale, resistente nel tempo e impermeabile a influssi gretti e materialistici.
Alla fine di questo incontro la sensazione era quella, esoticamente rara, di un arricchimento – l’arricchimento dovuto alla consapevolezza che le persone accomunate dagli stimoli della letteratura, della lingua e del dialogo non solo non hanno perso la propria comunità, ma anzi, hanno intenzione di accrescerla.

Professoressa Daria Karapetkova

Sofia 24.04.2008

mercoledì 23 aprile 2008

Alitalia: L'agonia


L’odissea dell’Alitalia sembra non aver fine. Air France-Klm si è ritirata dalla corsa – ad ostacoli – per l’acquisto della decotta compagnia di bandiera italiana. L’azienda, più stracotta di un piatto di spaghetti fatti bollire per ore, potrebbe essere costretta a portare i libri contabili in tribunale, lasciando gli aerei a terra, e dipendenti a spasso, salvo che non giungano soluzioni d’emergenza, come il prestito di 300 milioni di euro, circa 600 miliardi delle vecchie lire, mica bruscolini, per rianimare artificialmente il cadavere, che peggio del pesce, puzza da tempo, dalla testa.

L’Alitalia, stando alle stime, perderebbe circa un milione di euro al giorno e il prestito, richiesto dal futuro premier Silvio Berlusconi, e concesso dal governo uscente, guidato da Romano Prodi, è oltre che inutile, anche insufficiente, tant’è che se con la perdita quotidiana di un milione di euro, la cifra concessa, non risolverà in alcun modo le sorti della compagnia, ma si permetterebbe solo di frenare la perdita da qui al 31dicembre, con un avanzo di cassa – teorico – di 45 milioni di Euro, senza contare, che non si sa come la compagnia potrà rifondere alle banche o allo Stato il debito, comprensivo degli interessi di mercato, quando le casse sono praticamente prosciugate.

L’operazione, in attesa di un acquirente, che forse mai si farà avanti, o se si presenterà dopo che i libri sono stati portati in tribunale, acquisterebbe la compagnia a prezzi di svendita fallimentare, lasciando allo Stato, quindi ai cittadini – parlamentari esclusi – l’onere di pagarne gli ingenti debiti, portandosi a casa, un capitale economico e d’immagine – appannata – divenuto per incapacità amministrativa e miopia politica sinonimo internazionale di fallimento e mala gestione delle risorse economiche e professionali.

Prodi è stato felice d’approvare il prestito al presidente del consiglio entrante, inquanto il professore, avendo dichiarato di volersi – per ora – ritirare dalla politica attiva, lasciando – come da prassi del medesimo, uno sfacelo economico-politico – una cambiale, già in protesto, felicissimo di passare il cerino acceso al Berlusconi III.

È chiaro che se Prodi dovesse avere – come alcuni ipotizzano – un incarico di rilievo nell’Unione Europea, troverà forse il modo di portare avanti, non solo la svendita, anche lo smembramento della compagnia, facendole perdere prestigio ed immagine.

Quello che poi il nuovo premier dovrà spiegare ai cittadini, è non solo come l’Alitatlia, visto il buco faraonico, restituirà il prestito, ma chi eventualmente si accollerà il medesimo, assieme a tutto il resto? Certamente il debito non sarà saldato dall’eventuale cordata bancaria e/o compagnia entrante, ma come accade in questi casi, sarà addossato sulle spalle degli italiani, usando la solita litania: Così dice l’Unione Europea.
Non c’è da farsi illusioni, il manovratore è cambiato ma, la sostanza per l’Alitalia, rimarrà la medesima: Il destino è segnato, l’agonia dell’attesa, come un condannato a morte, sarà ancora inevitabile.

Quello che è ridicolo, di questa situazione Kafkiana, e che sia governo italiano, sia i sindacati, nonostante abbiano i coltelli puntati alla gola, non dagli acquirenti stranieri, ma dai debiti, vorrebbero vendere la compagnia aerea loro condizioni, dimenticando che chi tiene il denaro detta le regole, decide quanto e come scucirlo. Mentre sindacati e politica, faticano a capire, che possono si dettare le regole a casa loro, e i risultati si vedono, in casa d’altri, quando questi, che dovrebbero acquistare, è un Paese, comunitario,o extracomunitario è pur sempre straniero.

La compagnia di bandiera, piaccia o no, sarà ammainata, conquistata con lo spargimento dei lavoratori, checche ne dicano i sindacati con i loro “niet”, in quanto o accettano i ridimensionamenti drastici ed indispensabili per la sopravvivenza, con la conseguente diminuzione anche degli sprechi, oppure , volenti o nolenti, quando la compagnia – avrà come molti operatori stranieri auspicano – tirato le cuoia, gli avvoltoi economici volteggeranno in cielo, pronti a strapparsi i pezzi migliori a prezzi stracciati, lasciando il problema dei licenziati, sulle spalle del governo italiano, che come abitudine, di destra e di sinistra, li faranno ricadere nelle tasche di tutti, secondo il motto economico: gli utili a pochi e le perdite ai cittadini. Assioma che vale in ogni Paese del mondo.

Marco Bazzato
23.04.2008
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martedì 22 aprile 2008

Lega Nord: vittoria meritata



In molti si sono stupiti del successo della Lega Nord alle recenti elezioni politiche.

“Successo inaspettato”. “Vittoria non preventivata. “Voto di protesta” …sono alcune delle frasi trite e ritrite, sillabate – a denti stretti – dai perdenti, sbraitate da quelle forze politiche, che ancorate a rigidi schemi ideologici vecchi di più di mezzo secolo, che trovandosi nella cloaca massima dell’esilio dal parlamento, cercano, con la solita ipocrisia dell’autocritica politica, d’incolpare gli altri, per i propri fallimenti.

Ma il caso Lega, o per meglio dire Lombardo-Veneto, non può essere liquidata con due parole, con una scrollata di spalle, continuando – a sproposito – a parlare di voto di protesta. Il Lombardo-Veneto, si trova oggi, come ai tempi di Carlo Cattaneo. nelle barricate, pronti all’insurrezione contro il nord affamatore, contro l’impero Austro-Ungarico, e che oggi, sono costretti a proteggersi dall’interferenze che provengono dal patrio suolo, che li tratta, peggio degli Asburgo, come figli infetti, corpi estranei infestati da zecche e da un virus pericoloso – per gli sfaticati – che si chiama “Voglia di Lavorare”.

Oggi questo Lombardo-Veneto fa paura, ed è visto come un'unica provincia riottosa all’interno della Repubblica Italiana, che senza rendersene conto sta lentamente perdendo i pezzi, per incapacità politica di voler prevedere e capire le rinnovate esigenze di libertà di due delle regioni più ricche d’Europa.

È strana, teoricamente, questa cecità, in quanto il famoso “Modello Nord-Est” da sempre fiore all’occhiello del Politic Burò italian in missione all’estero, diventa in patria una realtà scomoda, una realtà economica, che se da una parte è una gallina dalle uova d’oro da spennare, senza ucciderla – per mantenere un parassitivismo di Stato – dall’altra, in virtù della laboriosità, son visti dagli scansafatiche nullafacenti, come pericolosi sovversivi, perché manifestano la volontà, d’elevarsi economicamente, anche se non sempre questo corrisponde ad un elevazione culturale, cosa che tra l’altro fa piacere ai potentati romani, perché permette – almeno pensano – un controllo maggiore sugli “ignoranti”, non necessariamente per mancanza di volontà, ma per necessità.

Il Lombardo-Veneto, o per meglio quasi tutte le regioni del Nord Italia, aspirano, al pari delle altre regioni a Statuto Speciale,ad una maggior autonomia da Roma, dal potere centrale, che non ne vuol sapere d’allentare i cappi, le garrote, che si stringono sui colli dei cittadini, non solo del Lombardo-Veneto, ma dell’Italia intera.

Il voto alla Lega, non è stato un voto di protesta, ma di coscienza come fino a pochi anni fa era il voto dato ai partiti comunisti dalla classe operaia contro i padroni, gli sfruttatori, mentre oggi il presunto pericolo Lega, fa più paura, perché vede coalizzati padroni e dipendenti dietro le stesse barricate, mandando in frantumi il moto “Divide ed Impera”, ove la vecchia classe politica ha pascolato per anni, per il proprio interesse, a discapito delle necessità del Paese.

L’anomalia “Lombardo-Veneto” spaventa la dirigenza politica nazionale, perché è una realtà mobile, paradossalmente incontrollabile, una realtà fatta di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, dove il rapporto tra datore di lavoro e dipendenti è diretto, privo di filtri e mediazioni, anche sindacali, che talvolta invece di favorirne il dialogo, porta alla divisione, allo scontro e alla contrapposizione, facilitando il controllo e la legiferazione, non a favore di entrambi, ma a discapito dell’una o dell’altra parte.

Si dice, specie da quella sinistra ed estrema sinistra, spazzata via dall’emiciclo parlamentare, che non dovrebbe avere più posto nei salotti televisivi nazionali, in quanto non rappresentante nessuno, che il nascente Berlusconi III sarà ostaggio della Lega e del peso politico all’interno della coalizione di governo, ma così non sarà, per il fatto, che senza la Lega il centrodestra non esiste, senza la Lega, il centrodestra è un entità evanescente e senza radici nel territorio, e il partito di Bossi, rappresenta, oggi l’anello di congiunzione tra imprenditoria e lavoratori, rappresenta quella necessità di dialogo, che una certa “sinistra” ha sempre voluto tra sordi, ha cercato di sobillare, l’uno contro l’altro, con proposte che il più delle volte a danno gli interessi dei lavori.

Una Lega forte, come nel corso degli anni ha dimostrato d’essere, radicandosi non solo Nord Est, ma estendendo il potere affascinatore in regioni tradizionalmente rosse, darà beneficio a tutto il Paese, portandole ad un virtuosismo economico e di crescita, che fino ad oggi non hanno – spesso per parassitismo o per dirigenza politica miope – voluto o aver, fatto, visti gli stanziamenti a pioggia dal governo centrale, che oltre che ad avere drenato, non sia sa dove, la crescita di talune regioni, vittime di un indolenza, non dei lavoratori o delle piccole e medie aziende, ma di tanti grossi gruppi, alcuni anche del Nord, non hanno permesso uno sviluppo pari alle risorse investite.

La Lega, oltre a rappresentare l’ago di una bilancia, che per decenni ha spostato il peso verso il sud, senza che esso ne abbia dei reali benefici, offre. dopo questa tornata elettorale, una possibilità anche di riscatto economico a quelle regioni che fino ad ora hanno preferito vivacchiare di sostegni e/o regalie di stampo feudale, e che hanno campato, certe che la Manna dal cielo – romano – sarebbe caduta in eterno.

L’interesse prioritario della Lega, non è solo riferito al Lombardo-Veneto, ma anche al meridione, creando una mentalità imprenditoriale, meno parassitaria – e per fortuna gli esempi già non mancano – più rivolta al mercato, che darà a quel Sud una nuova occasione di riscatto, se vorranno coglierla, e se sarà permesso che sia colta la risoluzione della questione meridionale che l’Italia si trascina dal tempo dell’Unità dei Paese. e che l’ex Casa Reale, ha contribuito a creare, smantellando e trasferendo la ricchezza dal Sud al Nord, e che dalla fine della seconda guerra mondiale, complice oltre che al peso degli errori del passato, e un falso senso di colpa dei governi che si sono succeduti fino ai giorni nostri, non ha mai voluto affrontare, ma ha sempre preferito inviare denaro, senza sincerasi di controllare dove e come venivano spese queste risorse. Risorse sprecate anche nel ricco nord, ma che forse per una lungimiranza economica più ampia, sono state minori, non per questo eticamente ed economicamente meno gravi per il benessere dei cittadini dell’intera nazione.

Marco Bazzato
22.04.2008
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domenica 20 aprile 2008

Violenza sessuale: hobby impunito!





Sembra una pandemia, un virus, un’epidemia maligna di animali, lasciati liberi d’aggirarsi per le strade, col membro a penzoloni. La violenza sessuale, la millenaria piaga mai debellata, continua a mietere vittime, lasciando sui cigli delle strade donne, ragazze devastate nella psiche e nel corpo da bestie senza pietà, con i cittadini spesso osservatori attenti ma indifferenti, che spesso tirano dritti, lasciandosi forse poi andare a salaci battute di scherno nei confronti della donna, considerata di facili costumi, che urla e grida chiedendo aiuto, ma a cui nessuno o pochissimi prestano attenzione.

I fenomeno è in aumento nonostante le vane – come abitudine – promesse di Veltroni, allora sindaco di Roma, i casi di violenza sessuale, complice un precedente governo assente, anziché essere diminuiti sono aumentati.

L’assurdo è che esistono leggi a tutela di questi animali – celle d’isolamento – per questi subumani incastrati dalle loro stesse vittime, dove i carnefici hanno più garanzie di coloro a cui hanno tolto la gioia di vivere, hanno rubato l’innocenza, la speranza per il futuro, e qualche volta anche la vita.

Questi animali dovrebbero essere lasciati – nudi – al codice carcerario, che ha un diritto tutto suo, un sistema di regole e giustizia, dove gli stupratori, al pari dei pedofili, e assassini di bambini sono visti come il gradino più basso della scala carceraria, zerbini da calpestare, animali immondi ove il loro sangue nemmeno è buono per intingerci il pennello affrescandoci le celle.

D’altronde prevenire i reati di natura sessuale, è un’impresa impossibile, non importa se alla guida di una città o di un Paese, c’è un governo di centro destra o di centro sinistra, è come pensare di prevenire il raptus di un cane idrofobo che aggredisce un bambino, o che per divertimento insegue e azzanna un postino. Ma per questi migliori “amici” dell’uomo la soluzione si trova: la soppressione; una polpetta avvelenata, dei bocconcini di carne con qualche ottima sostanza tossica, spedendo, senza rimorso, la bestia nel paradiso dei cani.

Questo per non esiste per violentatori e stupratori. Questi – protetti dalla legge – se malmenati, picchiati a sangue dai cittadini infuriati che li trovano con i calzoni abbassati, col membro in vista, mentre cerca di penetrare la sfortunata di turno, sono tutelati – peggio delle bestie in via d’estinzione – e se per puro piacere ricevono un calcio sui reni, dei colpi ai genitali, hanno anche la possibilità di denunciare i salvatori, giunti a difesa dell’ignara vittima di passaggio.

La soluzione a questo problema che scuote le coscienze – solo per pochi giorni – ci sarebbe. Semplice, immediata, efficace ed irreversibile: la castrazione. Non quella chimica, sarebbe comoda e costosa per il servizio sanitario nazionale, ma quella totale, con l’asportazione dei genitali maschili come fa un transgender quando decide di pensare d’essere donna, anziché uomo.
Il costo sarebbe irrisorio, pagabile dall’animale stesso, che poi, forse con poca fatica, potrebbe trovare lavoro come voce bianca in qualche coro.

Scherzi a parte, ma non troppo, la piaga dilagante dell’hobby degli sbandati della violenza sessuale sulle donne, ha assunto, complice una legislazione penale ultragarantista, e la cronica mancanza di uomini e mezzi sulle strade, impegnati in ufficio, o a proteggere politici, che vista la crescente sfiducia, si sono aumentati la protezione, lasciando i cittadini sguarniti e privi di protezione. L’importante, è che come somari, si paghino le tasse e non protestino.
Stalin diceva: “La pietà non la si da nemmeno ai cani”.

Non va dimenticato che il 60% degli stupri, non è commesso da stranieri, non importa se neocomunitari come i rumeni, che in maggioranza provano ad integrarsi, anche se in Italia, vista ormai l’aria che tira, la cosa non è facile, ma da italiani, da animali – col coraggio di definirsi umani – che hanno anche l’ardire di voler chiedere, ricevendola, protezione.

Allo stupratore, dovrebbe, in un paese civile, essere dato lo stesso trattamento riservato alle loro vittime, non per trasformarli in vittime, ma per renderli compartecipi al dolore inferto, col diritto, al termine del quasi eguale trattamento, che a questi non sia fornita alcun tipo di cura medica o psicologica, ma procedendo poi alla castrazione fisica, e segregandoli in galera per sempre.

Peccato che certe giuste pene siano vietate a tutela di quello che comunemente ed erroneamente, in questi casi infami, è chiamato diritto dell’essere umano, ma che di umano, né tanto meno di animale ha. Infatti presumo che non esista nella storia dell’etologia un solo cane che abbia mai fatto violenza sessuale nei confronti di una cagna. Questo sicuramente pone “l’uomo” ad un livello molto più inferiore di quello della bestia.

Marco Bazzato
20.04.2008
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venerdì 18 aprile 2008

Dacci oggi il nostro Carmageddon quotidiano!



Non passa giorno che le cronache riportino di investimenti di pedoni, vittime di pirati della strada, tossici, alcolizzati, impasticcati, o semplici idioti che alla guida delle proprie vetture maciullano sotto le ruote dei loro veicoli ignari passanti, uccidendoli. Questi guidatori della domenica, sono forse l’avanguardia di un’Armata Brancaleone, figlia del Carmageddon, il famoso videogioco che già al suo esordio, in Italia, provocò una valanga di polemiche, tanto da farne uscire una versione censurata.

Come spesso accade, la fantasia – forse malata – dei creativi a distanza di anni, può essere superata dalla realtà. La degenerazione, anche morale, degli utenti, complice un sistema giudiziario, che fa più acqua di uno scolapasta, fa sì che l’omicida, l’assassino, la bestia al volante, anche se in preda ai fumi dell’alcol, o intossicata come una scimmia, rimanga praticamente impunito.

Si parla di prevenzione, d’educazione alle regole e al rispetto delle norme del codice stradale, ma questo sembra – complice una giustizia che giustifica, una giustizia che non punisce adeguatamente i trasgressori e una politica tendente al garantismo radicale, salubre per i colpevoli ma, tossica come una camera a gas, per la vittime , fa si che l’impunità regni sovrana, l’anarchia, non solo sulle strade, e nel vivere – non più civile – di tutti i giorni, sia divento un utopia, un sogno che si infrange a terra, come il volo di Icaro, un sogno che come le ali di cera, o la neve al sole, rende evanescente e sulfurea la realtà stessa.

Il grigiore, l’appiattimento verso l’individualità esasperata di Croweliana memoria, da anni rende le persone come soggetti anestetizzati, immuni all’emozione, al senso di rispetto, non solo per se stessi, realtà paradossalmente non necessaria, ma verso gli altri, verso ’altra parte del proprio Io, quella che appartiene all’altro se stesso.

Quotidianamente, manco fosse un bollettino di guerra,ad un eccidio, una strage, un genocidio silenzioso, non pianificato da nessuno, ma che si ripete. Un genocidio che non fa distinzione di razza, sesso, nazionalità, religione, un rito pagano, una preghiera al dio alcol, alla divinità drogata, romba sulle strade d’Italia, attraversandola da parte a parte, trafiggendola come una freccia insanguinata, come il gladio maligno di un centurione indifferente alla morte altrui.

C’è pace per i colpevoli, e pianto per i famigliari delle vittime, che dopo aver sepolto – raccogliendo i brandelli di carne umana frollata – sono costretti ad essere impotenti innanzi alla vista del tossico, dell’ubriacone, del infame in liberà pochi giorni dopo la mattanza, quasi immuni, manco fossero parlamentari, al soggiorno nelle patrie galere.

In molti si chiedono se per questi animali esiste redenzione, se esiste il modo per far espiare le loro colpe, facendoli sentire bestie tra le bestie, animali tra gli animali, inferiori tra gli inferiori. Si, forse esisterebbe, e non sarebbe necessario a ricorrere a punizioni correzionali radicali, come l’amputazione delle mani dei piedi, la vendita – per risarcire i familiari delle vittime – di un organo; non la soluzione potrebbe essere quella di condannare questi personaggi a scontare almeno un anno nei servizi sociali, ad assistere i drogati come loro, impasticcati, ubriaconi al volante mentre vomitano, obbligandoli ad essere presenti, partecipando attivamente all’estrazione dei morti dalle lamiere contorte, essere presenti durante le autopsie, affinché – forse – capiscano il vero valore della vita umana, perchè tramite l’esperienza rinnovata del dolore altrui innanzi alla morte, possano essere costretti a ragionare imparando a comportarsi da uomini.
In Inghilterra, anni fa tu tentato un esperimento simile, costringendo giovani e adulti, alcolizzati e tossici ad assistere e vedere le foto delle vittime degli incidenti stradali, portandoli a diretto contatto con la morte, portandoli a toccare cosa significa togliere una vita.

Nell’Italia buonista, tutto ciò, almeno per ora, sembra essere impraticabile, sembra essere un’utopia maledetta, perché l’educazione da tempo ha alzato bandiera bianca, perché lo Stato e le Istituzioni hanno abdicato, lasciando campo libero agli impuniti, le vittime sole e i familiari a macerarsi nel dolore, sentendosi indifesi, non protetti, non tutelati, perché secondo alcuni dotti pensatori la libertà – anarchica – individuale è un bene insopprimibile, mentre la vita umana degli innocenti, no. Quelli sono privi di diritti, privi di protezione, disgraziati che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. A queste vittime nessuno deve nulla. Una scrollata di spalle, una stretta di mano due – finte – parole di cordoglio, e poi tutto riparte come prima, verso l’abisso.

Marco Bazzato

mercoledì 16 aprile 2008

Politiche 2008: Arcobaleno defunto. Deo Gratia!




Magnificat, gaudio magnum,alleluia!

Onestamente non si sapeva come reagire. I voti delle elezioni politiche 2008 hanno lasciato in molti senza parole, basiti, gaudenti, felici come prostitute, che tornando a casa, dopo una sera passata a farsi ripassare gli orifizi, contano la grana, frutto del loro sudato lavoro.

Le politiche 2008 hanno ripulito – grazie all’intelligenza degli elettori – l’Italia da tante scorie, da discariche abusive e non, da troppi venefici virus che negli ultimi anni hanno appestato l’aria, come se gli italiani fossero stati costretti a vivere in una Galleria del vento, una stanza di flautolenze maligne, nell’utopia del presunto rispetto di tutto e tutti; leggesi cani e porci. Ma ora tutto ciò, sancito dalle croci, o x elettorali, appartiene alla storia, appartiene a Caronte, il traghettatore dei morti verso l’oltretomba.

Non si sa da che parte iniziare, per stillare l’elenco dei trombati, dei sodomizzati con la matita dagli italiani, che hanno sapientemente scelto di non trovarsi “disobbedienti”, trangender, abortisti fino al quarantaquattresimo mese di gravidanza, in tv ad ogni ora del giorno, pronti a catechizzare, come dei Frati Neri, il nuovo Verbo che andava imposto alle masse, d’accettare – passivamente – ogni (de)genere di orientamento sessuale.

Il primo sicuramente a godere, più degli altri, per la strombatura, è sicuramente
Vladimiro Guadagno, che pensava che gli italiani, fossero una masnada di dementi, di rincoglioniti pronti a sopportare le sue vampate da vecchio galletto in menopausa, che aveva l’ardire di voler un cesso tutto per se, perché l’uomo non voleva utilizzare i servizi dei maschili, e come un guardone qualsiasi, usava quello delle donne, sentendosi offeso se qualcuno lo sbatteva via a calci in culo.

Non è stato eletto Franco Grillini, presidente onorario dell’arcigay, a dimostrazione che la pacatezza eterosessuale paga, mentre l’arroganza nel voler cambiare, per interesse personale le menti altrui, violando, violentando, stuprando quelli che sono i pensieri da secoli socialmente accettati, per far scivolare – velocemente – il Paese in un degrado morale pubblico di impossibile accettazione.

Gli italiani – questa si chiama democrazia – hanno sancito che sono stanchi di Gay Pride, bandiere rosse, delle faccia barbute di Ernesto Che Guevara , della falce e martello che andrebbe messa fuori legge – come per il fascio littorio – e bandita dalle piazze. Il Paese era stanco d’udire, da queste mummie incartapecorite, viventi nei fumi – di cannabis – del passato, delle litanie della contrapposizione tra fascisti e antifascisti, di questi zombi, non importa se di sinistra o destra, che vivono con le ragnatele nel cervello, e non riescono a prendere coscienza, che non è cambiato il secolo, ma addirittura il millennio, che giustamente, alle nuove generazioni, quelle nate da metà dagli anni sessanta in poi, non gliene fotte una mazza di tutto ciò, e a dimostrazione di ciò sono stati fottuti.

L’aria che si respirerà, non solo in Camera e Senato, sarà più salubre, meno impura, più respirabile, meno intossicata dalla ricerca voler far imporre – pena la minaccia costante della caduta del governo – proposte reazionarie, come le cosidette unioni “civili” per le persone dello stesso sesso, adozioni – di minori – da parte dei medesimi.

Alcuni dicono – i perdenti – che senza questa presenza il parlamento l’Italia sarà meno libera, mentre sono state eliminate delle voci – abituate al “Niet” di stampo sovietico, ad essere all’opposizione costante, anche di se stessi, per il puro principio ideologico di polemica, ma il Paese si era stancato, da tempo, di questa zavorra ideologica, di questa palla al piede, di queste scarpe al cemento, che da decenni, peggio del Titanic, facevano colare a fondo la nave Italia.

Con queste elezioni, finalmente ci si è avviati verso la terza Repubblica, fatta come la globalizzazione insegna, da grandi coalizioni che cannibalizzano le presunte differenze e/o diversità, che se da una parte sono stabilizzanti – a livello teorico – dall’altra, momentaneamente inducono al cosiddetto “pensiero unico”, paradossalmente di comunista memoria, ma in questo caso di matrice opposta.
Gli italiani, piaccia o no, hanno scelto non la colazione che offriva maggiori garanzie d’attuare un programma politico, ma il male minore, hanno preferito una politica – si spera – del fare, anziché del parlare.

Molto probabilmente nemmeno il Berlusconi III riuscirà a risollevare la baracca Italia, rimettendo in rotta una nave da tempo alla deriva, in preda a spinte di Casta, che vedono i cittadini come pecore da tosare, come buoi da condurre al macello, come tori da castrare. Molto probabilmente, forse cambierà poco o nulla, molto probabilmente le cose andranno ancora allo stesso modo, perché di fondo è il sistema, la mentalità, il modo di ragionare e/o pensare la cosa pubblica, spesso amministrata in modo feudale o per discendenza familiare non permette al Paese di cambiare, di rinnovarsi, d’aggiornarsi,uscendo da quelle secche melmose e putrescenti, dove continuamente è trascinato, e dove i cittadini, le classi meno abbienti, sono soffocati dai liquami tossici di una malapolitica che ha trasformato il Paese in uno Stato d’anarchia incostante, in un Paese, dove il brigante va al potere, dove i processi terminano dopo decenni, dove chi si ubriaca come un animale e poi ammazza i pedoni, manco fossero birilli al bowling, rimane praticamente impunito. Ma forse, ancora la colpa di tutto ciò è degli italiani che vivono per fortuna nell’illusione o nell’utopia, che qualcosa possa cambiare.

Vedremo nei prossimi mesi, intanto godiamoci l’uscita di scena politica di partiti e volti che dalla Storia stessa erano stati condannati. Come sempre accade, con decenni di ritardo, la giustizia – proletaria – lentamente arriva. Il popolo, piaccia o no, alla sinistra e alla destra radicale, si è espresso in modo chiaro: Non li vuole più tra i piedi in parlamento. La democrazia ha vinto. Per ora….forse…

Marco Bazzato

16.04.2008

domenica 13 aprile 2008

Tibetani secessionisti come i Padani?





Si è un po’ calmata la moda del “Calcio in culo al Tedoforo”, forse perché in America Latina prima, ed in Africa ora, quasi nessuno se ne fotte dei presunti problemi tibetani. D’altronde, a ben vedere, forse nemmeno i cinesi hanno tutti i torti ad essere incazzati, non tanto con la provincia riottosa, in quanto con un po’ di manganellate, qualche monaco arrestato e qualche tempio incendiato il problema – forse – si risolve, ma col resto del mondo, italioti compresi, che stanno facendo un casino mediatico, sventolando bandiere tibetane, manco avessero vinto i mondiali di calcio, o intonando slogan e occupazioni simboliche delle ambasciate cinesi sparse per il mondo, per dare solidarietà ad una provincia cinese, che forse trovano a fatica nella carta geografica.

Il governo cinese, potrebbe, pur essendo comunista, aver ragione, quando afferma, che non esiste un problema Tibetano, che in quella facinorosa provincia non vengono violati i diritti umani e tutto quel baialame mediatico internazionale che si continua a fare, non fa onore alla verità.

Basta rifletterci un po’. Anche l’Italia, per decenni hanno soffiato i venti della rivolta contro Roma. Basti pensare al Veneto e alla Lombardia, che ha visto nascere la Liga Veneta prima e la Lega Nord poi, gli indipendentisti sardi, gli altoatesini, che avevano un amore particolare per i tralicci dell’alta tensione, oppure in tempi più recenti, l’assalto con un carro armato fatto in casa e con moschetti arrugginiti, al campanile di Piazza San Marco, a Venezia, che ha fatto tremare le vene ai polsi ai politici romani, che temevano il dilagare dei barbari polentoni veneti per tutto il Paese, al grido di “Fora i schei. I serve paea poenta e osei!”.

L’assalto al Campanile di San Marco, provocò nell’opinione pubblica e nella politica italiana, attacchi intestinali d’inaudita violenza, tant’è che come antidoto per alcuni mesi, in tutta la città dei Dogi, furono proibite le bandiere della Serenissima. I detentori rischiavano oltre ad una salatissima multa, anche l’arresto, e lungo i canali veneziani, i poveri gondolieri, furono costretti ad utilizzare le bandiere del Regno di Napoli, o del Regno delle due Sicilie.

D’altronde la maggioranza degli italiani si indigna , se qualche gruppuscolo politico chiede l’indipendenza da Roma, inalberandosi come fumati, specie a sinistra, anche se nei decenni passati, avrebbero volentieri consegnato l’Italia all’Unione Sovietica, sputando proprio i rossi, contro l’unità dello Stato Italiano, considerato borghese e che come tale andava abbattuto, rimuovendo però oggi tutto ciò dalla memoria collettiva dei suoi fiancheggiatori, se Bossi fa qualcuna delle sue sparte populistico-propagandistiche, come minacciare d’andare ai “materassi” armando i moschetti.

Quando accadono queste cose, il Paese si stringe attorno alla bandiera, rifugiandosi in chiesa, facendo le abluzioni, per purificarsi, infilando la testa nelle acquacantiere, pregando la polizia, Manitù, Krisna, Budda, e il figlio Budino, affinché lo Stato reagisca con forza, senza pietà, trovando tutti i modo possibili per estirpare il malefico cancro secessionista.

Per assurdo ora tutti quelli che fremono per la libertà dei poveri tibetani, sono ideologicamente gli stessi, che quando sentono la parola “indipendenza” o autonomia per il Nordest, per la Padania – entità politico-geografica attualmente inesistente – diventano peggio dei cinesi, gli. Si rizzano i capelli, e sarebbero pronti a riaccendere i falò dello Stato Pontificio, per arrostire, o far crocifiggere sull’aAppia Antica i sobillatori, i malfattori, i disgregatori dell’identità nazionale.
Si può essere d’accordo con i sostenitori del Tibet indipendente, se si ha l’onestà intellettuale di sostenere l’indipendenza, o un’ampia autonomia amministrativa del Nordest, Veneto e Lombardia in primis, altrimenti usare i due pesi e le due misure, andando in piazza a sbandierare le bandiere tibetane, ma nel contempo fare spedizioni punitive –leggesi difesa dell’unità nazionale – nei confronti degli indipendentisti Lombardo-Veneti, puzza come sempre della solita retorica ideologica stantia, ammuffita, a senso unico, tipica di chi vive col cuore sinistra, ma col portafoglio ben saldo a destra.

L’Italia progressista, in casa d’altri, è la stessa Italia tradizionalista che non vuole l’indipendenza e/o un’ampia autonomia amministrativa del Lombardo-Veneto, non perché per assurdo hanno amore nei confronti dei cittadini di queste regioni, o perché sentano affinità culturali, storiche o politiche con le medesime, ma per il semplice fatto, che queste sono le regioni “somare” d’Italia, quelle che inviano, in proporzione, più di altre, denaro alle voraci casse romane, che poi ridistribuisce alle regioni meno abbienti o addirittura parassitarie e che temono di perdere “gli ochi dalle uova d’oro” che ingoiano tutto e tacciono.

Il Governo italiano, visto le rogne che ha in casa propria, fa bene a tacere sulla “questione tibetana”, perché aprire una discussione con la Cina, sarebbe controproducente per la politica interna, viste le beghe che già , come tra suocera e nuora, che vivono da separati in casa.
Va ricordato che da sempre ogni Stato e l’Italia non fa eccezione, ha sempre inviato soldati e truppe per sedare i facinorosi, gli indipendentisti, i nemici dell’Unità nazionale; provare falso stupore e raccapriccio, per un po’ di manganellate, qualche morto sulle strade, è ridicolo, visto che quando questo avviene entro i nostri patri confini, il primo grido di risposta che si eleva contro i nemici dell’unità nazionale è uno solo: Tolleranza zero, viva la bandiera, viva la Repubblica,, viva l’unità nazionale!

Ipocriti!

Marco Bazzato
13.04.2008
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venerdì 11 aprile 2008

Politiche 2008: Ultimi giorni



I giochi, nelle teste degli italiani, forse sono fatti da tempo. Gli elettori che hanno potuto sorbirsi i vari candidati premier, che come trottole impazzite, hanno corso su e giù per il Bel Paese, col cappello in mano, peggio di barboni, che per fame vera, chiedono l’elemosina, presentandosi in ogni trasmissione tv, facendo capolino anche come comparse nei film porno, non importa se etero, gay, lesbo, orge a tutte le ore, cercando di convincere a suon di promesse – politiche – ogni giorno che passa, sempre più roboanti, manco i due candidati premer principali: il Veltrusconi, fossero dei novelli Superman con pancetta e capelli colorati.

Volenti o nolenti, tra meno di due giorni, inizieranno a compiersi i destini del Paese, indipendentemente dal vincitore, il nuovo presidente del consiglio dovrà, come un becchino, munirsi di pala e cantare poi il De Profundis dell’Italia politica.

Già, perché i politici,quelli d’alto rango, nuovi aristocratici eterni, gli inamovibili che saltano come sanguisughe che si attaccano sulla pelle, da una poltrona all’altra, da un incarico ministeriale, o una città da governare. Vedi Roma ridotta peggio dell’incendio di Nerone, dopo il passaggio purificatore dell’amministrazione Veltroniana.

Gli elettori per l’ennesima volta, saranno costretti ad entrare nelle cabine elettorali con la maschera antigas, per proteggersi dal tanfo di putrefazione e morte che si leva dalla maggior parte dei simboli di partiti e coalizioni, sepolcri imbiancati, zombi senza arte e né parte, condottieri che non saprebbero condurre un somaro dalla stalla all’abbeveratoio.

Da settimane pontificano senza pietà, privi d’ogni etico rispetto verso i problemi, blaterano, blaterano, blaterano, come se il loro cianciare, potesse curare ogni male, come se quelle bandiere sventolate al cielo ad ogni comizio, poi una volta riposte, portassero con se anche la cura ai problemi.

Ma la domanda che più brucia i neuroni, in questi ultimi giorni, è: Per chi votare?
Il PD, sebbene al suo interno ha dei personaggi validi, ha scelto un candidato premier che difficilmente sarebbe assunto come accalappia cani, come dog sitter, o peggio come cane per ciechi da un finto cieco.

Veltroni, piaccia o no, sta alla politica, come le emorroidi stanno al clistere. Fa male.

Che affidamento può dare un futuro premier che anche i suoi migliori amici – tra loro – affermano, senza mezzi termini che l’amministrazione capitolina faceva acqua da tutte le parti, che il degrado della Capitale, durante il Veltronismo buonista di stampo Kennediano, ha aumentato i problemi della città anziché provare a ridurli.

D’altronde cosa ci si può aspettare da un diplomato, che ha passato tutta la sua vita, con le chiappe incollate a questa o a quella poltrona?

Votare Veltroni significherebbe rimanere ancorati al vecchi schemi di stampo sovietico, alla mentalità del burocrate, attento a muovere la coda, secondo i voleri di questo o quel capo,e significherebbe condannare l’Italia ad una guida senza identità, ad un futuro presidente del consiglio, che ha come unica arma – spuntata e mediocre – solo la retorica, il ripetere slogan stantii e ammuffiti, che appartengono ad un epoca – sovietica – cancellata e rigettata come un raschiamento svuota utero dalla storia.

Va detto che nemmeno votare il plutocrate Berlusconi,è la panacea di tutti i mali, anche se Berlusconi, a differenza dell’altro, almeno in vita sua ,ha rischiato, è riuscito a creare – piaccia o no – ricchezza, non solo per se, ma anche per il Paese, creando posti di lavoro, dando da mangiare, a centinaia di migliaia di famiglie, cosa che Barak Obama dei coatti, dei bianchi, stando alla sua biografia, fino ad oggi non è riuscito a fare.

Naturalmente nemmeno Berlusconi offre gradi di simpatia e affidabilità politica, viste certe idee salvapotenti di centro destra, che puzzano di mentalità Putiniana – i due, almeno fino a poco tempo fa, si professavano estimatori l’uno dell’altro, un po’ come il vomito che fa i complimenti alla fossa biologica per i magnifici effluvi che emana – che del pensiero oligarchico ha fatto il suo cavallo di battaglia alle precedenti elezioni, mettendo democraticamente in silenzio – a forza di manganellate e/o arresti – l’opposizione, memore del suo DNA, che serba i geni dello stalinismo più evoluto, ora spacciato da berlusconi come fulgido esempio di democrazia.

Se oggi, a meno di due giorni dal voto, si dovesse fare il gioco della torre, la scelta sarebbe logicamente naturale. Prima l’ex Sindaco di Roma, il Kennediano all’amatriciana, quello che forse, ancora con i neuroni fusi per i cannoni della rivoluzione studentesca, continua ad avere – secondo lui – dei sogni, secondo altri, allucinazioni ad occhi aperti e deliri eterni post cannabis, che gli fanno percepire il mondo non come realmente è, ma come egli pensa possa essere, se rimodellato a sua immagine e somiglianza.

Seguito s ruota dal Cavaliere Mascarato, nemico giurato dei magistrati – comunisti – che se osano andare ad indagare fuori dal recinto dei ladri di galline, spacciatori di piccolo cabotaggio, pirati della strada – da rilasciare il giorno dopo – e da tutti quei reati della microcriminalità, devono essere spediti in psichiatria per il T.S.O (Trattamento sanitario obbligatorio) perché pericolosi eversori, come ai tempi delle purghe staliniane, dell’ordine politico, soprattutto se di centro destra.

C’è poco da stare allegri, c’è poco da andare in piazza a festeggiare, indipendentemente dalla vittoria del centro destra o del centro sinistra, in entrambi i casi, l’Italia, si troverebbe davanti all’ennesima riedizione, per un verso o per l’altro di un comunismo, per Veltroni di salsa Krusceviana, mentre per Berlusconi di sapore Putinano, e che fa il verso alla Nuova Cina, ora tempio del liberismo capitalistico-comunista più sfrenato, dove alla fine, quelli che riceveranno manganellate spappola testicoli, spacca ovaie o distruggi reni, saranno sempre e comunque gli italiani, vittime e carnefici nel continuare ad andare in piazza a sventolare bandiere, con al vana speranza terminate le balle propagandistiche della campagna elettorale, facciano qualcosa per gli italiani.

I colpevoli del nostro destino, siamo solamente noi e per l’ennesima volta il destino è già segnato. Già scritto e, come somari costretti a continuare a tirare la carretta, nella speranza di arrivare alla terza settimana, mentre questi, a spese di tutti, continueranno a sputarsi in faccia pubblicamente, salvo poi, lontani dai riflettori, continuare con inciuci, spartizioni, larghe intese, convergenze parallele, pur di non perdere i lauti stipendi da pubblici dipendenti “eletti”, che guideranno il Paese verso l’ennesima disfatta – politica .- di Caporetto.

Marco Bazzato
11.04.2008

mercoledì 9 aprile 2008

Il cuore di Wojtyla in Polonia?





I cattolici polacchi, vorrebbero poter ricevere dal Vaticano il cuore del defunto papa: Karol Wojtyla, che in molti rivorrebbero in Polonia.
Ora, indipendentemente dal valore politico, dell’ex imperatore Vaticano, nonché unico capo di Stato di teocratico – di matrice cattolica – della vecchia Europa, la richiesta dei fedeli e/o fanatici – dipende dai punti di vista – polacchi, porta a considerare questa “devozione” come un atto feticistico, come è la lingua e il mento di
Sant’Antonio, esposti assieme ad altre “reliquie”, vecchi stracci compresi, che attirano ogni anno nella Città del Santo, milioni di fedeli, che sperano o che credono in una grazia, semplicemente toccando il marmo nero, posto dietro uno degli altari, ove sono riposte le spoglie mortali – ossa – del frate francescano, nato in Portogallo nel 1195.

Il cuore, checché ne dicano le alte gerarchie ecclesiastiche polacche, non dovrebbe essere restituito alla Polonia, in quanto il defunto imperatore, sempre che non abbia espresso diversamente le proprie volontà, dichiarando esplicitamente che da morto voleva essere smembrato e spedito – per scopi devozionali e/o promozionali in varie parti del mondo, deve rimanere nello Stato, il Vaticano, dentro la città eterna, che gli ha portato successo planetario, Roma, in quanto la città e l’Italia, hanno sostenuto, anche economicamente il Vaticano, accollandosi grazie al concordato Italia-Vaticano parete dei costi del papato stesso, cosa che continua a fare anche con l’attuale pontefice.

La restituzione del cuore, non di Karol Wojtyla, ma di Giovanni Paolo II, nome scelto quando è stato eletto al soglio pontificio, ha fatto cadere ogni diritto della patria d’origine, quandoè diventato il capo della Chiesa Cattolica, che grazie anche al suo intervento, non come Wojtyla, che come sacerdote o vescovo polacco, non sarebbe servito a nulla, ma come Sommo Pontefice Romano, ha permesso non solo l’appoggio a
Solidarność, ma anche la successiva caduta del Muro di Berlino, con la conseguente caduta dell’Unione Sovietica.

I polacchi, che piaccia o no, non hanno nessun diritto da accampare sulle spoglie mortali, non del loro ex connazionale, ma sulle spoglie di Giovanni Paolo II, in quanto questi, come Paese, hanno già ricevuto enormi finanziamenti – giunti
clandestinamente, tramite il Vaticano, dalla CIA – per il crollo del regime sovietico di cui, Wojtyla, prima come polacco, e poi Giovanni Paolo II, come Papa, è stato, secondo alcuni complice, secondo altri uno degli artefici.

Il cuore del defunto pontefice, piaccia o no, interessa ai polacchi, come all’Italia, e al Vaticano in primis, ufficialmente per la venerazione dei fedeli, perché dopo la
beatificazione, le azioni, non spirituali, ma economiche del medesimo, salirebbero enormemente, dando la possibilità al Vaticano di passare all’incasso, grazie all’enorme afflusso di fedeli, che potrebbero aumentare in modo esponenziale, dopo l’ascesa alla gloria degli altari e la Polonia, con in prima linea Cracovia, vorrebbero essere della partita.

Lo smembramento, come scrive
Repubblica, di parti del corpo del defunto pontefice, apparterebbe ad una tradizione tutta polacca, usata in passato, per secoli anche dal Vaticano, che del commercio di reliquie, aveva creato un florido mercato, anche se ufficialmente mai riconosciuto dalla medesima, in quanto considerato sacrilego, ma che non ha impedito, come per i grandi giubilei, di lucrare indulgenze, dopo il pagamento dell’obolo.

Il Vaticano, dopo i soldi spesi, pagati in massima parte dagli italiani, grazie al contributo dell’
otto per mille alla Chiesa Cattolica, dovrebbe tenere per se, ogni parte del corpo, eventualmente smembrato del defunto pontefice, in modo da poter rientrare dei costi sostenuti per il mantenimento del medesimo a Roma e gli eventuali guadagni futuri dovrebbero essere ripartiti, in primo luogo, agli italiani o al massimo dati, in misura non superiore al dieci percento ai polacchi, per lo sfruttamento dei diritti d’immagine, tolte prima naturalmente tutte le spese, come si fa per i diritti d’autore e/o le roliaty, anche se i diritti dello sfruttamento d’immagine del medesimo, appartengono di diritto allo Stato Città del Vaticano, pezzi di corpo e/o carne umana, sotto formaldeide, compresi.

Per concludere, se l’operazione andasse – sfortunatamente – a buon fine, sarebbe antieconomica, per il fatto che sebbene la Polonia è un Paese fortemente cattolico, l’operazione sarebbe quasi ad uso esclusivo del mercato interno, mentre Roma, volenti o nolenti, è il centro della Cristianità e la capitale italiana è visitata ogni anno da milioni di turisti, garantisce un tornaconto economico, con margini di guadagno più ampi, di quelli che potrebbero essere ricavati a Cracovia, che rispetto alla Città Eterna, conta circa quasi ottocentomila abitanti.


Marco Bazzato

09.04.2008

lunedì 7 aprile 2008

Olimpiadi 2008: Caccia al Tedoforo



Forse non sarà una nuova disciplina olimpica, ma quest’anno,
Cina 2008, già prima di iniziare è un evento mediatico. Il CIO e il governo cinese, non lo hanno ufficialmente inserito nell’elenco dei giochi, ma la moda dei “calci in culo al tedoforo” sta dilagando come una protesta per il riso, un’azione studentesca degli universitari che lottano per i propri diritti, un aggressione militare, fatta dal governo cinese contro la riottosa e sanguinaria provincia tibetana, divenuta per i governanti pechinesi – che secondo alcuni potrebbero essere scambiati per cani – lo spauracchio della manifestazione olimpica, che all’occhio della classe dirigente del Paese di Mezzo, ha da tempo trasformato il Dalai Lama, in un Osama Bin Laden, pelato e sbarbato.
A dar involontariamente l’avvio alle danze, è stato l’ungherese – dall’alito all’aglio, come il
salame – del presidente francese, che tra una notte e un viaggio con la nuova moglie, la terza, l’italiana – sai che orgoglio! – Carla Bruni, trova il tempo d’occuparsi delle cose di Stato, mettendo ai pechinesi le pulci che forse non si sarebbe recato in Cina per assistere alla cerimonia d’apertura dei giochi, facendoli infuriare come idrofobi.

La protesta sta dilagando, come la psicosi dell’aviaria, come il morbo della mucca pazza e/o la buona abitudine italiana, d’adulterare il vino – il che non significa l’uva è adultera e/o è puttana – anche se la sfiga è iniziata già il giorno dell’accensione della fuoco olimpico, a
Olimpia, quando la fiamma quasi non ne voleva sapere d’accendersi, e un manifestante superato il cordone di sicurezza, è riuscito a far fare, all’oratore pechinese, la figura del cane bastonato, fine riservata, in Cina, agli appartenenti alla razza canina, che finiscono nei piatti – come cibo rinomato, dicono – e le pelli, diventano pregiate pellicce per le occidentali, che guaiscono di piacere, al pensiero d’indossare una pelliccia pregiata, pagata due lire.

Domenica, il nuovo gioco è ripreso in Inghilterra, con lo sfigato di turno, col fallico simbolo infuocato sollevato al cielo, se ne camminava beatamente tra due ali di folla, quando – secondo la polizia inglese, “
Dalla Cina con furore” – sarebbe stato aggredito, mentre secondo gli sportivi – leggesi aggressori – si ha semplicemente usato il deretano per diffondere, su scala planetaria, il “calcio in culo al tedoforo”.

Ora però, visto che il gioco si sporta nella capitale del fallo per eccellenza, la
Torre Eiffel, Parigi, il gallico, o galletto presidente dal riporto ai piedi, e dalla moglie “ballerina” inizia a preoccuparsi – un po’ – per gli eventuali ordini sportivi diversi, detti anche disordini sportivi, Zidane docet, che potrebbero avvenire durante la camminata del sacro fuoco, che si è deciso di scortare gli 80 tedofori, che faranno 350 metri all’uno – sai che fatica – per i 28 chilometri del percorso, nella speranza, secondo francesi e cinesi, che nessuno interrompa l’avanzata, o secondo gli amanti dello sport, che i portatori della torcia, possano sentirsi protagonisti passivi della nuova disciplina sportiva.

Gli organizzatori delle olimpiadi e i politici cinesi o pechinesi, anche se ufficialmente smentiscono, che stanno vivendo questi giorni, fino al termine delle medesime con la paura che le mutande che indossano, possano imbrattarsi in ogni momento, se la situazione Tibetana, dovesse sfuggire in qualche modo di mano, visto che la planetaria figuraccia scatologica sarebbe disastrosa, non solo d’immagine, ma anche olfattiva.

C’è una cosa che fa arrabbiare più di tutto il CIO, cinesi e gli sponsor internazionali, furiosi perché i partecipanti, gli sportivi del “Calcio in culo al tedoforo”, sono dei cani sciolti, dei sportivi puri, con nel sangue il vero spirito olimpico, che seppur privi di contratti milionari, partecipano da primi attori anonimi all’evento, divertendosi, facendo divertire in modo diverso, con un agonismo pulito, dimostrante senza paura e vane retoriche sporivo-politiche la forza della libertà, la partecipazione non solo emotiva al popolo tibetano, ma esperenziale, viste le manganellate che ricevono quando osano dimostrare, usando la medesima pacificità cinese, e questo non piace, perché questo primato, primate od onore spetta a loro.

C’è da dire, però visto che si è in clima di parcondicio che i tibetani, se da una parte sono stati furbi a far scoppiare il bubbone prima delle olimpiadi, ma dall’altra, hanno sbagliato nei tempi, giocando d’ anticipo, in quanto hanno lasciato ai pechinesi il tempo, non solo d’abbaiare, ma di mordere o reprimere – dipende dai punti di vista – secondo usanza rossa, nel sangue le presunte proteste. Anche perché, non va dimenticato, che il popolo, specie quello televisivo, oggi rispetto a quello romano, al tempo del Colosseo, dei Gladiatori, dei leoni sbrana infanti e cristiani, è più volubile, si stanca, perché sofferente di deficit d’attenzione catatonici, col rischio che quando i giochi inizieranno veramente – commercialmente parlando – i telespettatori siano saturi, e con il ritorno dei manganelli e delle purghe tibetane, questi abbiano perso l’interesse, trasformando lo spettacolo da un evento planetario, ad un evento da destinare alle pagine di gossip dal mondo e cronaca locale come nota di colore a margine dell’Olimpiade.

Marco Bazzato

07.04.2008

domenica 6 aprile 2008

Suora o castrato?




Marco ha 40 ani, e da tempo, dopo essersi fatto applicare le tette al silicone, imbottendosi quotidianamente d’ormoni, fattosi castrare, all’età di vent’anni, facendosi cambiare il nome all’anagrafe, gira vestito da suora, portando il velo.

Questo maschio, secondo la chiesa, indipendentemente dalla castrazione e/o ormoni, nel certificato di battesimo,è sempre tale, visto che il prete, ma per primi i genitori, avevano messo al mondo un uomo, pisellino compreso, e tale rimarrà – secondo natura – fino al giorno del giudizio. Questi ha poco da sbraitare che il Cattolicesimo non lo vuole. Il primo che non si accettava era lui, facendosi mutilare gli attributi, perchè non tollerava – manco soffrisse del
morbo celiaco – come la natura l’ha creato, ora fa l’offeso, se altri non accettano in quello che si è fatto trasformare.

Rifiutava la sua natura,e vorrebbe che altri accettassero questa trasformazione? Questi chi è il centro dell’universo,
egocentrico narcisista che pretende che le attenzioni si concentrino sulla sua persona?

In un’intervista rilasciata da questo – per il battesimo Cattolico Romano – uomo, si lamenta – senza motivo – d’esser stato trattato male dal Vescovo, quando gli ha svelato la sua realtà.

Ora questo personaggio, si è accodato, a quella che per la Chiesa Romana, è considerata non più che un gruppo settante d’eretici: la
Chiesa Vetero Cattolica, che accoglie, per proselitismo, al pari della sinistra arcobaleno, ogni (de)genere di identità sessuale, che forse inconsciamente, si riconoscono sotto il motto “Fa quel che vuoi” di Aleiseter Crowley.

Secondo quest’intervista, rilasciata dalla sedicente suora, al
Corriere della Sera, Marco, stando al certificato di battesimo – l’unico che vale per il cattolicesimo – dice di sentirsi rifiutato dal medesimo, per questo – secondo lui – è stato costretto a rifugiarsi in una Chiesa Parallela.

Può sembrare un assurdo, ma visto il numero di Fedeli del Cattolicesimo, questa non si pone il problema di spedire via il 2% dei – presunti – fedeli, che in natura sono una cosa, ma nella testa si credono un'altra, in quanto la Chiesa, al pari qualsiasi club, ha il diritto d’accettare tra i suoi soci, membri, accoliti, e/o adepti che dir si voglia, chi vuole, se rispettano le regole, che non possono essere cambiate per le stranezze che una persona ha della propria identità sessuale, arrivando a farsi mutilare – chirurgicamente – i genitali, per essere più confacente all’idea o al pensiero – astratto – che uno ha di se.

Qualcun altro, continua ad affermare – a sproposito – che il Cattolicesimo sarebbe malato d’omofobia. Tesi da dimostrare, in quanto accusare la seconda religione del pianeta di discriminazione di qualche milione di – teorici – fedeli, sperasi nel mondo, che rispetto al miliardo e rotti, rappresentano una quantità numericamente inesistente, oltre che essere palesemente ridicola, è fuorviante, in quanto il Club Cattolico, non è ne elitario, né esclusivo, ma per rimanere al suo interno, il membro, il fedele, deve accettarne le regole e/ statuto, comprese, non le restrizioni sbandierate dai detrattori, ma rispettando in primo luogo, la maggioranza dei membri, visto che piaccia o no è rappresentata da oltre il 90% di eteronaturali, e l’ammissione di queste minoranze, potrebbe rendere il sistema instabile, portando all’allontanamento di molti fedeli tradizionalisti, che vedono in queste aperture uno sfregio, non solo al cattolicesimo, ma anche alla Bibbia e al Vangelo stesso.

La Chiesa, come organo indipendente ed autonomo, ha il dovere di tener conto della maggioranza delle sensibilità sociali, e delle convinzioni personali dei sui membri, tenendo alto il valore della sua Storia, della tradizione – composta anche d’errori, in quanto creatura nata dall’intelletto umano – ed è proprio in virtù di questa Storia millenaria, costellata da luci e ombre, che comunque non può perdersi in discussioni amene, che vanno contro il suo pensiero originale.

Rimane un dubbio di fondo, che no riguarda per assurdo la Chiesa, ma il Corriere della Sera, che ultimante nella versione online, a cadenza quasi giornaliera, continua a mettere in rete articoli, secondo alcuni, che parlano delle “presunte problematiche eterofobiche, ma secondo altri, la maggioranza, che va a dar contro alla maggioranza eteronaturale, facendo passare i primi – gli eterofobici – per eterne vittime, escluse – secondo questi – dal consesso civile.

Il Corriere si sta trasformando ogni giorno di più, in un organo che tende l’orecchio e da voce, senza spiegare ai lettori il motivo del cambiamento della sua politica editoriale, in un megafono dell’estrema sinistra radicale, perdendo l’equilibrio di buon senso che ha fatto di questo quotidiano il più accreditato del Paese, riportando notizie eterofobuiche di parte, senza dare spazio alla replica.

Marco Bazzato

06.04.2008

venerdì 4 aprile 2008

Elezioni 2008: Sodomia economica e sociale





L’accattonaggio politico in campagna elettorale, si sa, è privo di decenza. È privo dello stesso pudore, come quello di quel gruppo naturistico eterofobico inglese, nudi in una piscina comunale a
Manchester. Non ha pudore, nemmeno come quella donna americana, che seppur impasticcata d’ormoni per fare il cambio di sesso, che dopo aver fatto comprato il seme online, presso una banca del seme, se lo è iniettato autonomamente, ora mostra – peggio della donna barbuta del circo degli orrori e/o disastri umani, il volto mascolino, fuorviando il lettore, che potrebbe essere indotto a pensare che anche un uomo può concepire. La cosa più ributtante, è che i maggiori quotidiani online italiani, danno questa mostruosità nella pagina principale, manco fossero siti che rappresentano le minoranze eterofobiche.


L’accattonaggio veltroniano, che dovrebbe essere sgomberato come i nomadi dai campi abusivi, che creano disagio ai cittadini, dovrebbe essere allontanato dalle tv, dagli spazi pubblici, per manifeste menzogne manipolatorie verso gli elettori, che senza contraddittorio, al pari degli altri candidati, in quest’ennesima tornata elettorale, sono costretti a sorbirsi,, come prigionieri di guerra in mano al nemico, ogni genere di corbelleria e castroneria politica, enunciate da piazzisti senza arte e ne parte.


Per assurdo, l’unico che ha avuto il coraggio di dire le cose “papele, papele” è stato il generale Del Vecchio, dichiarando che “I gay nell’esercito sono «inadatti”. Proseguendo con “Io rispetto ogni scelta legittima e lecita della persona - ha aggiunto - ma credo che nell’ambito di una struttura come l’esercito, dove le attività si svolgono sempre insieme, è opportuno non dichiarare ed evidenziare la propria omosessualità. Anche nella mia carriera mi sono imbattuto in episodi di omossessualità ed ho fatto in modo che quelle situazioni non si verificassero di nuovo, che chi ne era coinvolto venisse ricollocato ed impiegato in altre aree”. Apriti cielo.


Alla politica, non piace la verità militare, il rigido codice d’onore, tant’è che la logica del buon senso del generale Del Vecchio, è stata attaccata, e i maggiori esponenti del PD, ne hanno preso le distanze, manco fosse un appestato o lebbroso. Figurarsi cosa sarebbe successo, se il generale avesse affermato, che gli omosessuali dovrebbero essere inviati subito in prima linea, sotto il fuoco nemico; sicuramente nemmeno questo sarebbe andato bene, perché avrebbe generato nuovamente l’ennesimo rigurgito d’accuse d’omofobia.


Naturalmente come ogni cosa di buon senso, non sono piaciute, sempre agli esponenti del PD, le dichiarazioni di
Paola Binetti, che candidamente, senza paura d’essere marchiata – da brutta abitudine di chi è a corto d’argomenti – come omofoba, perché ha ribadito per l’ennesima volta, che non avrebbe mai – giustamente – votato leggi comprendenti la copertura legale delle “unioni??” di persone dello stesso sesso.


Anche questa volta, l’ennesimo cancan mediatico, fatto di prese di distanze, di messe all’indice, dello sgolarsi, per ribadire da parte dei candidati di centro sinistra, la loro “apertura” mentale, nei confronti dei c comportamenti non eteronaturali.


Mentre nessuno, come da abitudine degli struzzi, ha fatto le pulci alle ennesime sparte del cineofilo Veltroni, che forse pensa che il mondo sia una realtà immaginaria, impressa nella celluloide, tant’è che come il suo sosia politico, Berlusconi, e gli altri candidati, non hanno avuto il coraggio di mettere la testa nella “Fossa dei Leoni” dei futuri disoccupati di Malpensa, che dopo l’ennesimo abbandono del tavolo delle trattative di Air France per l’acquisto – causa conclamata incapacità manageriale e dei sindacati – a prezzi da garrotta, della disastrata compagnia di bandiera italiana, tenendo comizi nell’immenso scalo aeroportuale – quasi deserto – per rassicurare i futuri disoccupati, circa le possibilità di salvare non solo Malpensa, dal trasformarsi in un’ennesima cattedrale nel deserto italiana, ma i posti di lavoro. Tutti, forse, avranno pensato “meglio tenersi a debita distanza, blaterando parole d’incoraggiamento politico…Eventuali contestazioni – se trasmesse in tv – potrebbero far perdere voti ed elettori.


Per assurdo, l’unico che ha la stazza di sfidare l’impopolarità, pomodori, uova, e qualche sasso, è
Giuliano Ferrara, che porta avanti una battaglia politica – ideologicamente condotta senza portare nessun cenno d’equilibrio – eticamente lodevole contro l’aborto indiscriminato.


In mezzo a questo bailamme, che puzza ogni giorno di più di chiacchiere da comari nullafacenti con la scopa in mano, pronte a fare pulizia – a parole – in casa d’altri, mentre la propria affonda nei liquami tossici, nessuno ha alzato la voce contro l’ennesima promessa da marinaio che rischia, la sieropositività per rapporti non protetti, con le donne con cui intrattiene relazioni in ogni porto che approda, è quando il Veltroni nazional popolare, che ha imparato dal maestro Berlusconi, l’arte del piazzista di patacche, ha promesso un bonus famiglia di 600 euro, per venire incontro all’innalzamento smodato di prezzi, che ha falciato il potere d’acquisto degli italiani.


Vediamo nei dettagli questa dotta proposta, che puzza, non solo d’infamità politica, ma di sberleffo sociale e insulto alla miseria.


Il bonus, di 600 Euro, dovrebbe andare – il condizionale è d’obbligo quando si parla di promesse elettorali – alle famiglie con un nucleo famigliare composto di quattro persone, marito, moglie e due figli – come si vede, la Binetti ha ragione, quando si parla di sostegno e tutela alle sole famiglie naturali – sempre che questa non abbia un reddito superiore ai 18.000 euro annui, molto probabilmente lordi.


Un bonus famiglia di 600 euro, dato ad una famiglia di quattro persone, che diviso tra i componenti, da come risultato, la pantagruelica somma di 0,41 (quarantuno) centesimi procapite. Nemmeno ad un barbone, chi vuole fare l’elemosina, dà 40 centesimi. Secondo il pensiero Veltroniano,
a doppia pensione, e stipendio, quando sarà eletto di circa 15.000 euro mensili, le famiglie italiane, che si barcamenano nello strozzinaggio fiscale, che non riescono ad arrivare alla fine del mese, devono – secondo i suoi buoni propositi – le famiglie italiane in difficoltà, devono avere come aiuto, meno di mezzo caffè procapite, bevuto al bar. Complimenti per l’acume. Da qui, da queste semplici cose, si capisce quanto questo futuro baldo condottiero, conosce i problemi dell’Italia e degli Italiani, e come per tutti gli altri candidati premier, ci sono sempre – troppi – grulli che li seguono.


Veltroni candidato premier, Berlusconi e compagnia completa dell’emiciclo parlamentare, dovrebbero ricordare benissimo la polemica politica del
settembre 2007, quando i giornali scoprirono che i tapini, vittime dell’adeguamento automatico – che loro hanno al pari dei magistrati – degli stipendi, per il recupero dell’inflazione, che erode, non si capisce perché solo alcuni stipendiati “eletti”, si sono trovati nel mese di agosto 200 (duecento) euro netti d’aumento, più sette mesi di arretrati! Poi il Veltroni buonista, vuole dare le briciole agli italiani, spacciandole per munifici Bonus. Manco gli italiani fossero un Flipper, che ricevano due palle in omaggio.


Certo, una cosa è vera, gli italiani ricevono dalla politica qualcosa: i calci nelle palle – se maschi – o sulle ovaie – se donne!.


Avrei un ultima domanda, forse assurda. Ma questa campagne elettorale, costa molto di più dei 41 centesimi che Veltroni vorrebbe dare agli italiani?
Sarebbe cosa utile, che ad elezioni ultimate, i vincitori, imponessero la pubblicazione, da parte di tutti i parti delle loro spese elettorali. Naturalmente voce per voce.


È chiedere troppo?

Marco Bazzato


04.04.2008