mercoledì 24 gennaio 2007

Bruno Zanin: "Nessuno dovrà saperlo”


Bruno Zanin
“Nessuno dovrà saperlo”
Tulio Pironti editore
13 euro

“Nessuno dovrà saperlo” è la prima prova letteraria dell’attore simbolo di Amarcord del grande regista Federico Fellini, e come un novello esploratore, come nel Marco Polo, induce ad un viaggio, al viaggio per eccellenza: il viaggio della memoria nella memoria. Zanin lo fa con delicatezza rude ma tenera tipica della terra veneta che gli ha dato i natali, e attraverso Alessandro Maniero, narra e si narra. Narra di quell’Italia che stava vivendo il miracolo economico, di quella parte del Veneto che a tuttora continua ad essere legata alle tradizioni contadine, a quell’arcaismo attuale, covante sotto la cenere come un fuoco che può essere apparentemente spento, ma come le bronse può essere riacceso da un semplice tocco di vento. Lo scrittore alita su quelle bronse, ravvivando il fuoco della memoria, rimestando nella mente immagini, profumi e negli aromi di un’epoca che ai molti può apparire solo un’immaginazione fantastica, ma è realmente avvenuta, è passata, ma è rimasta impressa nell’autore come una pellicola fotografica dimenticata per anni in fondo al cassetto, finché Bruno decide di riaprirlo con maestria e semplicità, osservando quelle immagini dimenticate, come avrebbe fatto il grande Fellini mentre impressionava la pellicola, lo fa attraverso l’oculare delle parole che si trasformano in immagini, sensazioni e aromi che si impressionano nella memoria senza violentarla, si imprimono però come un’intrusione nelle viscere bambine di Alessandro, con la violenza terribile e devastante del silenzio che rimane taciuto per decenni, ma alla fine esplode.
Bruno Zanin esplode senza deflagrare, fotografa senza abbagliare, dando alle parole semplicità senza fronzoli e orpelli, perché “nessuno dovrà saperlo”.
Il romanzo è un urlo silenzioso, un grido lanciato oltre i campi di Sandon, Vigonovo, Campolongo Maggiore, quei campi ora cementificati, rimossi dalla memoria collettiva, quelle campagne tramutatesi in fabbriche d’uomini che hanno abbandonato la terra, l’agricoltura, l’allevamento per diventare operai, artigiani, piccoli e grandi industriali spaventati dai ricordi della miseria, della povertà della fame, che non hanno perso, nonostante l’immagine firmata, la callosità spigolosa, a tratti dura ma forte patrimonio della zona, dove anche l’autore, al pari di tanti suoi concittadini è partito, ha viaggiato, ha conosciuto il mondo e l’ha toccato con mano,con il cuore, scalando vette, sprofondando in abissi, per poi tornare a casa, nella casa dei ricordi del focolare, della memoria della sofferenza del dolore, dove, dietro l’angolo lindo sono rimaste nascoste segrete fatti che non devono essere narrati. Troppi vivi ricordano, troppe memorie ancora non sono annebbiate dalla senilità degli anni preferiscono fingere d’aver dimenticato, nascondendo sotto la cenere del tempo puzzo e sporcizia, ma Bruno Zanin in “nessuno dovrà saperlo” racconta senza giudicare, scrive senza puntare l’indice, narra e si narra senza vergogna, squarciando il velo dell’ipocrisia contadina del tenere i balconi chiusi, al buio, nell’oscurità. Zanin non può più sopportare quel silenzio, e come Gavino Ledda in Padre Padrone, apre cuore e mente alla tenerezza dolorosa dei frammenti di storia, al profumo di stalla, di vacca, di polenta e castagne, apre agli aromi di pesce di fiume e di mare cucinati in una bettola fumosa, apre a quello che il Veneto era.
“Nessuno dovrà saperlo” è un tocco di poesia rurale, e come uno svolazzare di gabbiani sulla laguna veneta viaggia oltre la soglia dell’orizzonte apparente, oltre quella curva del tempo che ritorna e si affaccia in forme apparentemente diverse nel vissuto dell’uomo, dove Bruno Zanin, che conosce l’uomo, la vita, la sofferenza, il peso della guerra, le luci della ribalta, il frastuono delle bombe, l’umanità degli ultimi conduce romanzo verso quella nobiltà fatta si silenzio, accettazione, combattimento contro le avversità della vita, fatta di conquiste e fallimenti compiuti dall’uomo.
“Nessuno dovrà saperlo” è una storia narrata per uscire dal passato, scritta per entrare nel presente, raccontata per testimoniare, per il piacere sofferente di riscoprirsi, per ricrearsi, e forse per dimenticare, e come Marco Polo, per ripartire.

Marco Bazzato
24.01.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/