mercoledì 18 novembre 2015

Eugenetica, omofobia e stupro mediatico: ovvero, era meglio morire da feti




 

 

Cosa fareste voi aspiranti genitori se un medico, esami alla mano, vi dicesse che il figlio che state aspettando ha una buona probabilità di essere omosessuale? 

Il romanzo di Marco Bazzato, "Aborto d'amore", parte da questa premessa che ad alcuni potrà apparire inquietante ma pone una questione ancora più vasta, già a lungo dibattuta, che continua a fomentare aspre diatribe tra sostenitori e oppositori: la liceità dell'aborto. È giusto che un figlio

 nasca contro la volontà dei genitori? È giusto per i genitori? Per il bambino? Per la società?
La storia che Bazzato narra, con un linguaggio crudo e violento che ben si adatta alla vicenda ambientata in Veneto ai giorni nostri, è una di quelle storie che non possono lasciare indifferenti, che non possono non far riflettere. Non è certo un romanzo rilassante, anzi direi che è come un pugno nello stomaco, e non è neanche un libro per tutti ma solo per coloro che non temono di confrontarsi con tematiche difficili quanto attuali. Sconsigliata dunque la lettura alle persone che si turbano facilmente e non sanno gestire l'inquietudine, l'indignazione che inevitabilmente farà sorgere questa lettura, sia che ci si schieri con coniugi Rampin - a cui è stata profetizzata la nascita di un figlio gay - sia che ci si schieri con i sostenitori dei diritti degli omosessuali o in generale con gli antiabortisti.


Che esista veramente il gene responsabile dell'omosessualità è tema dibattuto in ambito scientifico e mai provato, ma il fulcro del suo romanzo è altro: ci si interroga se i genitori hanno diritto a scegliere della vita e della morte di un feto che sta crescendo ignaro nel ventre di Arianna Rampin, tipica madre veneta con un bambino e due aborti naturali alle spalle. Un' altra interruzione di gravidanza comporta dei pericoli medici, così la decisione è ancora più sofferta. La privatissima questione familiare balza ad un certo punto alla ribalta della cronaca e finisce sotto i riflettori dei giornalisti che, come avvoltoi, calano per sbattere la questione in prima serata e fare audience. Tra questioni religiose, etiche e giudiziarie si dipana la vicenda fino al suo epilogo che ovviamente non spoilerò.


Il romanzo è ben scritto ed avvincente, costruito con perizia da un grande narratore qual è Marco Bazzato (già autore di "Progetto Emmaus", altra opera dai contenuti forti), ed è capace di tenere il lettore incollato fino all'ultima riga. A me ha suscitato molte riflessioni personali che vorrei qui esporre, prendendo come spunto proprio questa vicenda inventata ma che potrebbe benissimo essere reale e precisando che si tratta di un mio personale punto di vista. 
Premetto che io sono un sostenitore della libertà, in campo sessuale come in altri campi: tra adulti consenzienti per me tutto e permesso, in accordo col diritto (una conquista peraltro recente; fino a non molti decenni fa avere rapporti omosessuali in Inghilterra era reato penale, e lo è ancora in molti luoghi del Terzo Mondo, un reato punito addirittura con la morte). Per me omo ed etero hanno e devono avere gli stessi diritti. Tuttavia sono anche a favore dell'aborto, che ritengo un diritto inalienabile della donna, e penso che per un figlio o una figlia omosessuale non sarebbe un bell'affare nascere in una famiglia omofoba, come non sarebbe, più in generale, una cosa positiva per un figlio o figlia etero nascere in una famiglia che non lo/la desidera. Il discorso si potrebbe allargare a quei bambini portatori di handicap che, se potessero scegliere, forse sarebbero i primi a chiedere alla madre di abortire. Mi rendo conto di dire delle cose forti ed anche in certa misura arbitrarie: in fondo non si può per ovvi motivi chiedere il parere del diretto interessato, ossia il feto. Ma il feto si può considerare una persona a tutti gli effetti? Quando comincia effettivamente la vita? All'atto del concepimento? Al momento della produzione dell'ovulo o dello spermatozoo che lo penetrerà? O forse è ancora più antica ed affonda in vite precedenti, come insegna la dottrina della reincarnazione?

Forse la vita fluisce eternamente dall'infinito passato all'infinito futuro, come insegna il buddismo, e non ha un vero inizio e una vera fine… ma il discorso ci porterebbe lontano ed è bene non divagare troppo.

Il diritto, dicevo, di decidere della vita di un feto è un diritto della donna che lo porta in grembo. Ma può essere anche un diritto della società dove quella donna vive? Mi spiego meglio. Immaginiamo che così come fosse possibile isolare il gene dell'omosessualità fosse possibile individuare anche quello della criminalità. Se si sapesse che il tale feto ha buone probabilità di essere un futuro serial killer, o uno stupratore o un violento, ecc… sarebbe giusto interrompere la gravidanza? Io ritengo che non sia solo giusto, ma anche doveroso. Auspico un futuro in cui il potenziale criminale venga fermato addirittura prima di nascere: penso che ci arriveremo, magari tra uno o due secoli o più, ma ritengo che sarebbe un fatto inevitabile se la premessa che la propensione alla delinquenza sia genetica si dimostrasse fondata (tra l'altro è una tematica che sto affrontando in un mio romanzo breve di fantascienza che sto scrivendo in questo periodo).


E il gene dell'ateismo o del fanatismo religioso? In una società di fanatici religiosi o di atei un elemento così diverso sarebbe sicuramente sgradito (forse più tollerato dagli atei, ma fino ad un certo punto) e non avrebbe vita facile. O il gene dell'omofobia? Una coppia di donne porterebbe a termine la gravidanza se il loro figlio fosse un potenziale omofobo, oppure lo accetterebbero comunque come un dono anche se crescendo odiasse le due madri? Come si vede lo spunto di riflessione che mi ha dato Marco Bazzato mi porta lontano. Ma Bazzato non parla solo di eugenetica e di omofobia; dipinge un ritratto desolante anche del mondo del giornalismo televisivo, dell'assenza di scrupoli, dell'invadenza dei media nella vita di privati cittadini che può configurarsi come un vero e proprio "stupro mediatico". Anche su questo dovremo riflettere; in particolare mi torna alla mente il mio lavoro di ricerca mentre preparavo la mia tesi di laurea su "Comunicazione e fantascienza". D'altronde ciò che era solo fantascienza quando scrivevo la tesi, una quindicina di anni fa, oggi già non lo è più: quello dei media e delle notizie è un mondo in rapidissima e continua trasformazione.
Tornando però al tema dell'aborto, vorrei concludere questa breve e, mi rendo conto, incompleta panoramica su un argomento difficilissimo, citando il pessimista Giacomo Leopardi che si dichiarava d'accordo con i saggi greci sul fatto che è comunque meglio non essere mai nati, e preferibile morire presto (e qui concedetemi un gesto scaramantico, visto che io non la vedo nello stesso modo sul morire presto dal momento che abbiamo avuto la fortuna o disgrazia di venire al mondo…).


Firenze, 16 novembre 2015


Da Segreti di Pulcinella, rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai

Intervista a Vessela Lulova Tzalova

a cura di Massimo Acciai



 Vessela Lulova Tzalova, scrittrice, traduttrice, moglie di Marco Bazzato, vive col marito scrittore, con cui collabora a livello artistico e lavorativo, in Bulgaria. Ho avuto il piacere di scrivere la prefazione ad un suo libro ed incontrarla insieme a Marco durante un mio recente viaggio a Plovdiv. L'intervista è avvenuta però tramite mail dall'Italia alla Bulgaria.




 Cara Vessela, sei una scrittrice e poetessa con all'attivo alcune pubblicazioni, e sei anche giornalista e direttrice di un'agenzia letteraria: in questa sede però ci occuperemo della tua attività di traduttrice. La traduzione è un tema che mi ha sempre affascinato: ho tradotto anch'io un libro dall'esperanto all'italiano (edito da Edistudio) ed ho sperimentato di persona che si tratta di un lavoro tutt'altro che semplice. Cominciamo dall'inizio, dai tuoi studi di italiano. Come e quando ti sei approcciata a questa lingua così distante dalla tua lingua madre, il bulgaro? 

Studiandolo, in quanto per me lo studio è sempre stato un amore. Perché prima degli studi legati alla lingua italiana mi sono laureata all'Università di San Clemente a Sofia in pedagogia e successivamente in giornalismo, e per entrambi le lauree ho conseguito i relativi master. Quindi, l'unico modo per apprendere una lingua è studiarla in modo approfondito - dizionari, testi universitari, opere lette in lingua originale, ore e ore passate a imparare verbi, trascrivere frasi, crearne di nuove e tutto il corollario che ne consegue in quanto ho sempre amato la lingua e la cultura italiana, fin da quando, da giornalista, mi occupavo di cultura e letteratura, perciò il mio legame con l'Italia e la lingua di Dante è sempre stato un po' particolare. Alla fine, come nuovo punto di partenza c'è stata la Certificazione Plida livello C2, del Comitato Dante Alighieri, dell'Università La Sapienza di Roma e Ministero degli Affari Esteri d'Italia.


Quando e come è iniziato il tuo lavoro di traduttrice? 


È iniziato quasi quindici anni fa, traducendo all'inizio una poesia piccola. Poi sono giunti gli articoli di pubblicistica e in seguito un libro di poesie, seguito da una raccolta di poemi e successivamente un romanzo. Da lì in poi sono giunte proposte, all'inizio da editori minori, fino ai grandi nomi dell'editoria bulgara, e modestamente posso dire che al mio attivo ho più di trentacinque volumi, tra poesia, prosa d'arte, pubblicistica e saggistica.


Hai tradotto dal bulgaro all'italiano e viceversa dall'italiano al bulgaro: facendo un confronto tra queste due traduzioni, quali difficoltà o vantaggi comportano l'una rispetto all'altra? 


Chiaramente da bulgara mi è più facile tradurre dall'italiano alla mia madre lingua. È sempre difficile fare dei raffronti, è un lavoro assai complesso, ma per sintetizzare, è vero che in alcuni punti le lingue, con tutte le differenze del caso, si toccano, ma è anche vero che, il bulgaro essendo una lingua non romanza, in molti altri è in diretta antitesi con la lingua italiana. La vera traduzione di prosa d'arte sta nel saper fare, come dicono i francesi, il trait d'union dalla lingua di partenza a quella di arrivo.


Hai tradotto molti classici moderni italiani in bulgaro: hai conosciuto di persona i rispettivi autori? Che tipo di rapporto hai avuto con loro? 


Sì, alcuni ho avuto l'onore di conoscerli di persona, anche se a volte è più interessante toccare l'arte che non l'artista. Altri invece sono stati dei grandi signori, nobili di cuore, e persino alcuni mi hanno inviato una loro opera con dedica e autografo. 

Chiaramente uno tra tutti, tra i classici moderni che non posso non menzionare è il Maestro Andrea Camilleri, che da poco ha festeggiato i novant'anni. Ho avuto l'onore, grazie a Gheorghi Alexandrov della casa editrice Knigopis, di tradurre otto romanzi del Commissario Montalbano, ove, tramite la segretaria del Maestro, Valentina Alfierj, ho ricevuto tutto il sostegno che una traduttrice può ricevere.
Con altri scrittori ci sono stati scambi di mail, per avere la certezza in alcuni punti controversi, non esistendo libri perfetti o esenti da errori o che possono dare adito a male interpretazioni, i quali hanno fatto si che tutto scorresse fluidamente.

 Parliamo degli autori bulgari: purtroppo non è stato tradotto molto in Italia della letteratura bulgara… 

Vero, rispetto ad autori di altri Paesi, il confronto è impari. La letteratura bulgara è confinata entro una nicchia di mercato, soprattutto se non si hanno gli agganci giusti. In ogni caso, se guardiamo le uscite principali di questi ultimi anni non possiamo non menzionare Zdravka Evtimova, con Sinfonia, uscito quest'anno; Guergana Radeva con Rosa Canina. Essenze e spine dell'eros; Alek Popov, con I cani volano basso e Gheorghi Gospodinov, attualmente lo scrittore bulgaro più in voga sia in patria che all'estero, con La fisica della malinconia. Ma voglio certamente aggiungere che alcuni dei nostri classici sono stati tradotti in italiano, come il Patriarca della letteratura bulgara, Ivan Vazov, gli straordinari poeti Dimcio Debelianov, Pencho Slaveikov, Damian Damianov, Hristo Smirnenski, Atanas Dalcev, e gli scrittori: Jordan Radichkov, Emilian Stanev, Aleko Konstantinov, Victor Baruch, Assen Marcevski e altri. Come possiamo notare gli autori bulgari pubblicati sono da considerarsi inferiori persino alle percentuali omeopatiche. Questo non per la mancanza di ottimi scrittori in Bulgaria, ma perché il mondo dell'editoria, a parte casi rarissimi, guarda con occhio pregiudizievole al mio Paese.

 Mediamente quanto tempo ti occupa tradurre un libro? 


Dipende dall'autore e dal genere e soprattutto dal numero di pagine. In ogni caso, come liberi professionisti, siamo vincolati a contratti con dei tempi da rispettare. Mediamente un editore concede novanta giorni, quando si è fortunati. Questo significa lavorare con "ritmi militari", in quanto, sovente per rispettare i tempi, non esistono né sabati e né domeniche.


C'è un libro, tra quelli che hai tradotto, a cui sei particolarmente legata? 


I Montalbano di Andrea Camilleri, perché è uno scrittore che amavo già prima di tradurre i suoi romanzi e la Casta di Rizzo e Stella, in quanto essendo anche giornalista, mi ha permesso di conoscere in profondità le contraddizioni di una parte dell'Italia, assai differente rispetto a quella comunemente conosciuta all'estero.


 Che consigli ti sentiresti di dare ad un aspirante traduttore agli esordi? 


Sapere che nella lingua di partenza, così come in quella di arrivo, non si è mai finito di imparare. Amare la letteratura, leggere senza pregiudizi di sorta. Poi, quando si traduce, ricercare, ricercare e ancora ricercare, partendo dal presupposto che è meglio avere il dubbio di non sapere e quindi approfondire, piuttosto che avere la supponenza di credere di sapere, peccando di superbia. Il lavoro di traduzione è soprattutto un lavoro di umiltà e pazienza.


 A cosa stai lavorando attualmente? 



Poco tempo fa è uscito "La figlia del Papa" di Dario Fo. E da poco ho consegnato ad un editore la traduzione di un romanzo noir, ora sto traducendo un romanzo, ambientato nella Venezia del 1300.

Da Segreti di Pulcinella, rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai

Intervista a Marco Bazzato


di 
Masssimo Acciai
Ho in passato intervistato Marco Bazzato in qualità di consulente letterario(nel 2006), ma Marco è principalmente uno scrittore e un poeta. Stavolta l'intervista verterà sulla sua attività narrativa, ed in particolare sul suo ultimo romanzo "Aborto d'amore", tradotto in bulgaro e presentato recentemente a Montana, in Bulgaria.






Quali sono stati i tuoi modelli letterari, gli autori che hai amato di più, che hanno contribuito a formare il tuo stile?


Amo un numero ristretto di autori classici. Non posso a tal proposito non citare Bram Stoker, Mary Shelly, H.P Lovercraft, Arthur Conan Doyle, Stendhal, Goethe, Victor Hugo. E tra i poeti sicuramente Baudelaire e Dimcio Debelianov. Mentre per i contemporanei, anche se molti storceranno il naso, metto Stephen King, Tom Clancy, Wes Craven, George Marget, Ken Follet, Massimo Carlotto, Paolo Roversi e Fabrizio Berlincioni. Come storici Renzo de Felice, Mario Cervi e Indro Montanelli e tra i filosofi Noham Chomsky e Toni Negri.
Come modello in assoluto Stephen King. Autore considerato di cassa e di massa, ma analizzando con attenzione la sua scrittura, la sua tecnica, i contenuti e le tematiche possono piacere oppure no, credo che abbia una limpida crudezza, in moltissime sue opere, soprattutto le prime, partendo da Carrie lo sguardo di Satana, La lunga marcia, passando per la Zona morta, L'ombra dello scorpione, It, Dolores Claiborne e 22.11.63, una pulizia e una scorrevolezza difficile da eguagliare. Per quanto riguarda i classici, adoro la letteratura inglese dell'epoca vittoriana e la letteratura gotica in generale.

Quanto conta per te l'ispirazione, quanto la tecnica? Sottoponi spesso i tuoi lavori ad un lungo labor limae oppure ha maggior peso la spontaneità del momento creativo?

Senza ispirazione la tecnica è inutile, ma senza tecnica l'ispirazione rimane solo un'idea in testa. Perciò come due separati in casa, volenti o nolenti entrambi sono costretti ad accettarsi, non tollerarsi, reciprocamente. Di solito sono istintivo, forse anche troppo. Diciamo che per me il più delle volte è buona la prima. Non amo riscrivere la stessa pagina decine di volte, rischierei di snaturare la creatività di quanto è stato concepito la prima volta. Certo però che al termine di un'opera apporto delle correzioni, magari riscrivendo un periodo, cambiando un aggettivo con il sinonimo migliore. Ma tutto deve essere istintivo. Altrimenti io stesso sentirei il mio lavoro come plastico e ampolloso.

Cosa pensi dei concorsi letterari?

Dipende da che concorsi. Esistono concorsi buoni e altri meno buoni. Quello che posso dire e che alcuni concorsi di caratura nazionale il più delle volte, a mio avviso, i vincitori sono tali per apparentamenti politici, che nulla hanno a che fare con la vera letteratura. È un business. Questa è la verità. Vende il nome, anche se la qualità è mediocre. Credo che, anche tra gli scrittori contemporanei, ci siano un sacco di capolavori che vivono la loro esistenza letteraria underground, dove o gli autori vengono rivalutati da morti, ma questo è un classico, oppure, peggio distrutti e dimenticati nell'indifferenza. E trovo ipocrita e quasi blasfema la rivalutazione postuma di uno scrittore, come se da morto a costui potesse importare il divenir immortale. Che senso ha applaudire le opere di un cadavere se costui è stato bistrattato e deriso da vivo?

Quale peso ha il retroterra culturale nella creazione letteraria?

Sono figlio della mia terra, il Veneto. Terra ricca di bellezza e contraddizioni culturali e storiche non indifferenti e naturalmente l'essere figlio di questa regione, in alcune opere mi ha influenzato nello stile e nella formazione psicologica di alcuni personaggi. Ma in altri no, perché è stato uno stimolo per uscire dal "provincialismo", accostandomi, grazie anche al fatto di risiedere all'estero, a una visione più cosmopolita ed eterogenea all'interno delle mie opere, ma non solo.

Le parole chiave dell'èra attuale, battezzata "èra digitale" sono: multimedialità, mass media, integrazione, virtualità. Cosa hanno cambiato le nuove tecnologie digitali nella creazione artistica, se hanno cambiato qualcosa?

Mi sento figlio di questa rivoluzione digitale, anche se oggi, le tecnologie informatiche corrono a velocità impossibili. Oggi mi rendo conto che da figlio sono diventato "nonno." Ho iniziato a scrivere in "analogico" alla fine del millennio scorso, grazie ad una macchina da scrivere "Lettera 22" come quella utilizzata da Indro Montanelli, per poi passare al computer. Onestamente non sarei in grado di scrivere un romanzo a mano, utilizzando la penna, come fanno tutt'ora molti scrittori. Il mio processo creativo ne uscirebbe rallentato e non lineare, senza dimenticare che ho una calligrafia illeggibile persino a me stesso. Sicuramente l'era digitale, per quanto mi riguarda, mi ha dato una marcia in più. Mi ha dato la possibilità di muovermi in tutto il mondo, standomene a casa e questo mi ha permesso di saper costruire il mio mondo letterario con la fantasia in modo dettagliato, più velocemente, ma non per questo in modo meno incisivo, rispetto a quanto avveniva solo una trentina di anni fa.

Manterrà il proprio ruolo il testo cartaceo di fronte al dilagare di internet e degli ipertesti?

No, credo che nel volgere di una ventina d'anni il testo cartaceo sarà consegnato alla storia. In America le vendite del digitale hanno superato quelle dei libri materiali, quindi a noi "dinosauri" non resterà altro che adattarci o estinguerci.

Quando e come hai iniziato a scrivere?

Ho iniziato tardi si può dire. Ho preso in mano proprio per rispondere correttamente il mio primo raccoglitore. Era il 29 settembre 1993. Avevo compiuto da quattro giorni ventiquattro anni. La prima fu una poesia, infantile direi oggi, senza titolo. 
Ho sempre reputato e lo reputo tutt'ora la poesia come il test d'ingresso nel mondo della letteratura, per poi passare ai poemi e infine ai romanzi. Insomma un viaggio iniziato quando ancora ci stava la Lira, e quando per usare internet pagavo in un Internet Point a Padova, a poche centinaia di metri dalla Basilica del Santo, diecimila lire all'ora e già tutto sembrava fantascienza.

Ho avuto il piacere di leggere in anteprima due tuoi romanzi: il thriller "Progetto Emmaus" e "Aborto d'amore", il tuo ultimo lavoro. Prendiamo il primo: com'è nata l'idea? Che dire del lavoro di ricerca che sta dietro il romanzo? Quanto tempo ha richiesto la stesura?

La genesi di Progetto Emmaus nasce grazie ad un amico bulgaro. Il figlio del grande poeta Ivan Dinkov, Stoyan, il quale mi ha raccontato della corrispondenza epistolare tra lui e Karol Woytila. Corrispondenza che al momento, per volere degli eredi, non è ancora stata resa pubblica. Prima di iniziare a scrivere il romanzo ci sono state intere notti passate tra sigarette e birra profuse in grande quantità, a parlare con Stoyan Dinkov, anche lui poeta e scrittore, dell'attività di poeta del padre e della Massoneria. Contemporaneamente libri e libri della mia biblioteca personale. Libri di massoneria, Bibbia, Vangeli Apocrifi, libri di archeologia, testi esoterici, Cabala e via discorrendo, sparsi per lo studio, per documentarmi su tutti i passaggi e le ambientazioni dell'opera, i linguaggi, le gestualità e i passi logici necessari allo svolgimento del romanzo. Quando alla fine ho messo tutte le informazioni dentro la testa, mi sono sentito pronto per iniziare a scriverlo. Insomma tra ricerche, bevute, sigarette e scrittura, se ne sono andati via in totale circa sei mesi.

L'altro tuo romanzo, "Aborto d'amore", è anch'esso un'opera che suscita molte riflessioni. Ti rivolgo le stesse domande che ti ho fatto per "Progetto Emmaus" ed in più ti chiedo chi ha fatto la traduzione in bulgaro e l'accoglienza che questo romanzo ha ricevuto in Bulgaria, tua terra d'adozione.

Sono due opere in totale antitesi, con tematiche completamente differenti. Il primo è un thriller fanta-teologico, il secondo un romanzo sociologico. E, come è accaduto in Italia, per motivazioni contrapposte, ideologiche in Italia, culturali in Bulgaria, "Aborto d'amore" è stato accolto con un misto di entusiasmo e timore, a causa del connubio legato al "romanzato" gene dell'omosessualità e aborto.
Così come è stato per Progetto Emmaus, ma ancora di più per Aborto d'amore, credo che lo scrittore abbia il diritto e il dovere di proporre temi scomodi, spinosi. Temi che si preferirebbe ignorare, ma che potrebbero divenire un domani, ciò che oggi è fantasia, una realtà di tutti i giorni. Solo che il lettore sovente ha paura di mettersi innanzi alle proprie paure, preferendo cullarsi nelle sue ideologiche e teoriche certezze.
La genesi di "Aborto d'amore" è stata una genesi strana. Il romanzo è nato a seguito di mesi e mesi di osservazioni e letture in rete a riguardo il tema dell'omosessualità. Ho provocato discussioni, ho cercato di vedere le reazioni più disparate innanzi alla tematica, passando anche per un omofobo incallito. Ma tutto questo era necessario per inserire ogni tassello del puzzle che avevo in testa nel modo adeguato. Da lì l'ambientare la storia in Italia, nella mia regione, in paese a cavallo tra la provincia padovana e quella veneziana, è venuto da se. Anche per questo romanzo la stesura, poi, quando tutto era ben delineato in testa, non ha occorso più di tre mesi. Salvo una breve pausa di qualche settimana, per lasciare che il finale prendesse corpo, dando alla storia la svolta che meritava e la sua naturale conclusone.
La traduzione di Aborto d'amore, a differenza delle altre mie opere, tutte tradotte da Vessela Lulova Tzalova, è stata affidata a Teodora Ivanova, una giovane laureata in filologia italiana presso Università di San Clemente di Ocrida di Sofia.

Hai mai pensato ad una trasposizione cinematografica dei tuoi romanzi? In caso affermativo, quali attori e attrici vedresti bene nei vari ruoli principali?

Sì, sarei un mendace se dicessi che non ho mai fantasticato sul fatto di veder trasformato un mio romanzo in un film, ma non al punto da immaginarmi questo o quell'attore o attrice in questo o quel ruolo. So per certo che è già difficile essere scrittore e quindi la visione che può avere uno scrittore della sua opera, sarà differente da quella che potrebbe avere un regista o uno sceneggiatore. Per questo è giusto, secondo me, tenere i ruoli separati e lasciare ad ognuno il proprio mestiere.

Una domanda anche sulla tua attività poetica. Ricordiamo ai lettori la tua silloge "Il campo del vasaio. Mt. 27,7" (Slaviani editore, 2004) e il fatto che hai scritto moltissime poesie inedite. Ti chiedo la genesi di questo primo libro poetico e cosa rappresenta per te la poesia, qual è secondo te il ruolo del poeta nella società contemporanea?

Il Campo del Vasaio ha raccolto alcuni dei miei poemi, non tutti. Molte delle opere presenti sono state scritte proprio per questo libro, ma non tutte. È una raccolta a cui sono particolarmente legato non solo perché in Bulgaria è stata accolta in modo fantastico, ma soprattutto perché mi ha permesso di fare un salto evolutivo ed esistenziale. Per fare un paragone improprio, come essere passato da primate ad homo erectus.
Le opere inedite, poesie e poemi è vero, sono moltissime. Forse rimarranno tali per ancora molti anni. Al momento non so il perché. Forse perché credo che debbano maturare ancora, o forse perché penso che siano troppo acerbe e che non matureranno mai. 
In ogni caso il ruolo del poeta nella società ha perso di valore, siamo inflazionati come la vecchia lira, probabilmente perché non sappiamo essere più corrosivi come in passato. Rimango dell'idea che un poeta debba innanzitutto essere un soggetto di rottura, la poesia deve essere una spina nel fianco, pronta a pungere come un bisturi affilatissimo l'animo umano e la società, ma purtroppo spesso leggo poesie di poeti sdentati, privi di mordente, incapacitati ad "aggredire" la parola e piegarla al proprio volere.
In occasione della mia presentazione in Bulgaria della mia prima raccolta, "Libero arbitrio" dissi che "Il poeta era morto". Oggi come allora ne sono sempre più convinto, a meno che non si ritrovi quel coraggio di denuncia che la poesia e i poeti hanno sempre avuto nel corso della storia.

Progetti per il futuro?

Al momento sono impegnato nella revisione di due romanzi. Il primo è un thriller liberamente ispirato a una storia vera accaduta in Italia dieci anni fa, il secondo è il proseguo di Aborto d'amore, in quanto credo che l'opera abbia ancora molto da dire. In ogni caso il
romanzo finale lo revisionerò nelle prossime settimane, poi, quando sarà il momento, metterò in cantiere anche il secondo libro della trilogia. Le idee ci sono già tutte, basta che dia il giusto ordine mentale e che metta le dita sopra la tastiera, lasciandole scorrere liberamente.


Da Segreti di Pulcinella, rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai

sabato 14 novembre 2015

Parigi, 128 morti. Hollande:” Atto di guerra!”



Avviso a tutti i lettori: questo articolo non sarà politicamente corretto. Quindi non indignatevi, non lagnatevi e se proseguite nella lettura lo fate a vostro rischio e pericolo.

Prima di iniziare voglio esternare le mie condoglianze ai famigliari delle vittime e dei feriti della notte di terrore parigina. Vittime e feriti innocenti, colpiti dalla follia criminale di un terrorismo dove sembra che i soliti noti facciano il possibile per assumersene la paternità, rivendicalo. Ma, senza che nessuno la preda sul personale, non esprimerò il mio cordoglio alla Francia e alla politica francese.

Diamo il via alle danze. Innanzitutto mi è stata rovinata la serata televisiva. Dopo la visione di un ottimo film, “The Call”, comunque i fatti bene o male sono noti a tutti, ormai.

Che dire di questo “patè parigino di carne umana macinata da proiettili e granate”- carne crivellata e dilaniata dall’attacco di venerdì 13?

 A proposito ieri mi sono scordato di fare qualche gesto scaramantico, ed è avvenuto il cosiddetto “effetto farfalla” della teoria del caos. Caos che a Parigi effettivamente c’è stato, facendomi venire  in mente una frase pronunciata da n noto cantante italiano nel 2009, che parafraserò: “Tutto torna indietro come un boomerang”.

Infatti non dimentichiamo che è stato per volontà dell’ex presidente francese –  il nano capoccione – se a Gheddafi è stata fatta la festa e che adesso in Libia si pratica “Una splendida festa di morte” (Stephen King – 1977), con mezza Europa, che come cani e cagne in calore, leccavano il culo al francese, perché all’epoca l’imperativo era quello di eliminare il leader libico, fisicamente, facendolo ammazzare, dalla scena politica mondiale, per un debituccio contratto dal tappetto francese nei suoi confronti. E da dove adesso dalla Libia, partono  le carrette del mare cariche di  emigranti economici, che fanno arricchire le cooperative legate ai comunisti e al clero, perché l’Italia, come negli autosaloni quando si deve presentare un nuovo modello, si pratica indiscriminatamente “Le porte aperte!”

Adesso retoricamente tutti gridano all’11 Settembre Europeo, Francese, Parigino, o come diavolo lo si vuole chiamare. Non scadiamo nei discorsi da alcolizzati . Questi che hanno fatto la “Danse macabre” (Charles Baudelaire –  Fleurs du mal”, rispetto a chi ha  praticato l’indesiderato coito anale agli americani dell’11 settembre 2001, versione ufficiale a parte, quanto avvenuto venerdì 13 – tocchiamoci – 2015 a Parigi, ha il sapore di una serie di raudi da botti di capodanno, “sfuggiti di mano”, anche perché le vittime –  terroristi compresi – negli U.S.A, furono 2974, mentre la scorsa notte nella città di Lady Oscar, attualmente il computo si ferma  a 128.  Meno di un ventesimo, rispetto agli U.S.A. Ergo il paragone non regge, anche perché lo si vede chiaramente anche dai volti dei giornalisti e dei politici che lo ripetono fino alla nausea, che manco loro ci credono.

Ma la domanda che tutti si pongono è un'altra: è adesso?.

Naturalmente  chiudiamo la stalla dopo che i buoi sono scappati.

 L’Europa, i politici europei, italiani e francesi compresi, si meritano tutto ciò. Purtroppo quelli che crepano in questi casi non sono i politici, colpevoli indiretti, ma i civili. Infatti, il presidente francese è stato portato via dai guardia spalle, gli altri cittadini potevano solo sperare di portare a casa la pellaccia.… Alla faccia della  Libertè e soprattutto di Egalite, la Fraternitè e andata a puttane!

Adesso si chiudono i confini…

Ma prima cosa facevano i servizi segreti di mezza Europa, francesi compresi? Si masturbavano sotto i tavoli, infilandosi le baghette in un orifizio – la bocca, maliziosi che non siete altro! – Oppure se ne stavano al Moulin Rouge a guardasi quella scosciate che ballano il “Can Can?”

Ci sta poco da dire, i terroristi, qualunque sia la loro nazionalità e chiunque li ha  inviati, molto probabilmente o erano cellule dormienti che sono state attivate, oppure, ipotesi più probabile erano dei sedicenti profughi arrivati a Parigi con ordini precisi e per una missione suicida. Sta di fatto che l’organizzazione del “Luna Park itinerante di sangue” è stata ben orchestrata e non è impossibile ipotizzare che questi, visto che si pensa solo a monitorare la rete, internet, i social network, abbiano utilizzato sistemi di comunicazione a bassa tecnologica, visto che essendo quasi completamente in disuso, non sono diversi dalle linee delle metropolitane abbandonate,e quindi ricettacolo di ogni genere di balordi o terroristi.

E che farà adesso la nostra povera italiaetta? Seguirà la linea del buonismo a prescindere, tipico della Boldrini e di quei  zozozzoni di sinistra, oppure, finalmente il Paese si toglierà il guanto di velluto e inizierà ad utilizzare,  legalmente anche con leggi ad hoc, il pugno di ferro?  L’unica mossa inutile, come quella del bambino che voleva mettere l’acqua del mare dentro il secchiello, è quella di un rafforzamento dei controlli di terra, soprattutto con la Francia. Bella mossa e i confini di mare? Lì continueremo ad andarceli a prendere, con il pretesto di salvare vite umane, direttamente entro i limiti delle acque territoriali libiche, per Diana!

 In primo luogo, come già sta avvenendo in Francia, invece di dare il giro di vite o di garrotta contro l’immigrazione clandestina, rimpatriando, forzatamente, non semplicemente espellendoli fuori da patri confini, lasciando a costoro la libertà di aggirarsi per l’Unione Europea, si sta pensando restringere – come si fa sempre in questi casi, ecco perché questi eventi sono come il cacio sui maccheroni –  le libertà civili e individuali, non degli eventuali colpevoli, ma delle vittime,ossia la maggioranza dei cittadini.

Ci sta poco da fare i buonisti a prescindere. Come diceva il consigliere comunale del P.C.I. quando si dovevano celebrare i funerali della signorina Cristina, in Don Camillo – 1952, “I tempi dei sentimentalismi sono finiti. Finiti!”

E come disse Jean Luc Picard, in Star Trek “Primo contatto” 1996: I! Siamo scesi a troppi compromessi, troppe ritirate. Invadono il nostro spazio, e noi ci ritiriamo. Assimilano mondi interi, e noi ci ritiriamo. Adesso basta! Li dobbiamo fermare qui, impedirgli di andare oltre... E io gliela farò pagare per tutto quello che hanno fatto!”

Diciamocelo, ce la siamo voluta, ce la siamo cercata. La politica europea degli ultimi lustri, prona agli interessi Nato,  Americani e in parte francesi,  ha portato a questa situazione di caos generalizzato in Europa, a partire dall’abbattere Gheddafi, al voler abbattere il legittimo governo siriano. Il colpo di Stato silenzioso in Ucraina, con l’annessione quasi forzosa entro l’Unione Europea, Il tutto  come sempre non per  nobili scopi umanitari o di salvaguardia dei diritti umani, o dei diritti civili. Dai, non pigliamoci per il culo. Di questi diritti civili degli altri Paesi ce ne fottiamo bellamente. L’interesse è quello solito di sempre: mettere le mani sulle loro risorse.

 Solo che poi ci si incazza se ci viene restituita, secondo le loro forme, la pariglia, appestandoci di sedicenti profughi, che arrivano in occidente per farci mangiare la loro merda, che è identica alla nostra stessa merda,perché sempre di merda si tratta. La guerra, smettiamo di nasconderci, è il terrorismo di Stato, accettato, mentre il cosiddetto terrorismo è la guerra che i poveri combattono contro i ricchi, oppure il terrorismo è la guerra generata da coloro che si ribellano ai soprusi.  E la religione è solo un bieco e volgare pretesto. Il fatto che qualsiasi figlio di cagna o di scrofa urli, prima di ammazzare a sangue freddo dei disgraziati innocenti, “Allahu Akbar  له أكبر” è un’offesa nauseabonda al proprio Dio, perché questi cani della loro tanto decantata religione, non hanno compreso nulla e usano i deboli di mente, persone prive di valori etici e morali, per piegarli alle loro volontà criminali e alla loro visione ideologica del mondo.

Rimango convinto e in questo momento molti mi odieranno, che il vero Islam, la vera Fede, è un’altra cosa e non ha nulla a che fare con teste tagliate ed esecuzioni sommarie e viltà proferite contro degli innocenti, indipendentemente da qualunque sia il loro credo religioso.

È anche vero però che il vecchio continente se cercata perché non ha una strategia politica di ampio respiro, non ha una visione strategica, ma semplicemente tattica e miope dello scacchiere geopolitico mediorientale e nordafricano. E questi sono i risultati.

Abbiamo lasciato chel’Isis si rafforzasse,  e anche le capre sanno chi lo finanzia, presuntuosi nell’illudersi che volesse fermasi alla Siria, all’Afganistan,  all’Iraq, perché, chi lo ha creato lo credeva un cane fedele al guinzaglio, che poteva essere tenuto buono con qualche polpetta di carne di maiale… Mentre invece si è evoluto ed è diventato come il Kraken che con  i suoi tentacoli ha raggiunto anche  quello che ha la presunzione di credersi il cosiddetto mondo civile.

E adesso in una Parigi sospesa in un limbo di terrore, gli unici che fanno affari d’oro, sono i fioristi..
Marco Bazzato
14.11.2015

Foto presa da Repubblica

venerdì 13 novembre 2015

Presentazione di Aborto d’amore - Аборт от любов, a Montana - Монтана, Bulgaria - България

Montana - Монтана, Bulgaria – България, 09-10 novembre 2015



Per chi non l’avesse mai visto, l’autunno bulgaro ha dei colori particolari. Colori che diventano speciali, non lo scrivo per lisciare il pelo a nessuno, quando si raggiunge il nord Bulgaria.


È ciò che hanno visto i miei occhi una volta giunto nella zona pedemontana della Stara Planina, o Balcani (penisola Balcanica, così denominata  per l’omonima catena montuosa che attraversa la Bulgaria)  nella città di Montana - Монтана , città di origine antichissime, tant’è che tra le altre cose, esistono ampie vestigia romane. La città è situata a poche decine di chilometri dal confine con la Serbia. Un autunno che mi ha fatto ricordare i colori del film del 2000, “Autunno a New York”, con Richard Gere, con i mulinelli di dorate foglie morte che, in certi punti vorticavano furiosamente, per poi depositarsi, come a voler dormire per sempre, lungo i margini delle strade.



Già all’ingresso della città quello che mi ha colpito è stata l’estrema pulizia delle strade, l’erba tagliata nei vialetti e lungo i bordi delle strade. Questo ottimo biglietto da visita dimostra come il Paese abbia finalmente perso quella triste patina di trascuratezza che purtroppo in passato lo aveva caratterizzato, trascuratezza avvenuta negli anni immediatamente successivi alla caduta del Muro di Berlino, alla faccia di chi dice che in Bulgaria le cose non cambiano mai. Cambiano, eccome, ma con i loro tempi.

La città regionale di Montana – Монтана mi ha fin da subito mostrato il suo volto migliore, ampie strade, traffico scorrevole e fluido e soprattutto la città, a nord un panorama montano che non ha nulla da invidiare ad altre rinomate località dell’Occidente, dove si possono fare lunghe passeggiate, a diretto contatto con una natura che benevolmente osservante, ti accoglie.

Arrivati in centro della città – dove domina l’architettura del tempo del socialismo, che però a modo suo, per quanto mi riguarda, tendo a rivalutarla, in quanto nelle sue forme squadrate e apparentemente incolori e grigie, uguali l’una all’altra, ci sta un armonia che oggi andrebbe reinterpretata  riconsiderata e sopratutto non letta in chiave ideologica –  ci siamo recati alla biblioteca regionale Geo Milev - Гео Милев, dove la direttrice, la dottoressa Kety Kostadinova  -  Кети Костадинова, ci ha calorosamente accolti nel suo ufficio.

 Ma il tempo stringeva. Eravamo attesi al liceo linguistico  Peter Bogdan- Петър Богдан  per un incontro con degli studenti selezionati e partecipanti a un corso di scrittura creativa, tenuto dalla professoressa Elka Babaceva - Елка  Бабачева.

Incontrare nella veste di scrittore una classe, in un primo momento ogni volta ti crea un nodo allo stomaco.  Entri in classe. Sei osservato. Osservi loro.  Solo che i miei due occhi sono poca cosa rispetto alla moltitudine di occhi che ti osservano, dove ognuno ti vede da una prospettiva differente dalla tua, la sua, e quindi non sai mai come andrà a finire. Comunque dopo la presentazione della direttrice della biblioteca regionale, ho cercato di instaurare un dialogo con i ragazzi. Non mi sono mai piaciuti i discorsi preparati, io stesso mi annoio quando tocca a me ascoltare e so quanto tedio possono creare, per questo, in queste circostanze, preferisco parlare a braccio. Pensieri e parole che si formano ed escono anche osservando i volti, le espressioni dell’auditorio, in modo da veicolare la comunicazione verso un terreno comune.


 E le aspettative non sono state deluse.



Ho parlato del valore della scrittura, di cosa significa essere scrittori e soprattutto del senso di libertà che, innanzi al foglio bianco, ogni persona ha nell’addentrarsi dentro se stesso, scoprendosi.  Scoprendosi, specie quando si è all’inizio, in modo diverso da ciò che credeva di essere. Ho raccontato che ho iniziato a scrivere a un’età considerata tarda, ma questo ha permesso di fare uscire le mie emozioni, anche se quando ero alle prime armi, io stesso avevo paura di ciò che usciva.


I ragazzi hanno ascoltato con attenzione, certo, come è normale, non si può essere interessanti per tutto l’auditorio, ma alla fine l’importante è l’essenza e in quell’aula l’essenza ci stava tutta, e questo spingeva la maggioranza dei presenti alla curiosità e all’ascolto.


Quindi ho cercato di rendere partecipi gli studenti, spingendoli a fare domande, perché è dal dialogo e dal confronto che nascono le idee. È dalla conoscenza degli strumenti dello scrittore che poi si forgiano i pensieri. E anche in questo caso le attese non sono andate tradite. Prima timidamente una mano sollevata a porre la prima domanda, poi al termine della risposta, la successiva e via discorrendo. Infatti la maggior parte delle domande vertevano sui meccanismi  del processo creativo,  la molla o le molle  che mi fanno partorire le idee. Ai giovani ho detto che, nel mio caso, parto dal titolo, ossia metto un titolo provvisorio e poi, da questo, la storia inizia a svolgersi, i personaggi prendono forma, ma costoro, non fanno ciò che io voglio, ma ciò che loro sentono di dover fare e lo scrittore è semplicemente un veicolo delle volontà dei personaggi, siano essi i protagonisti o dei comprimari. Infatti, novantanove volte su cento, l’opera  termina in modo  differente da come era stata inizialmente partorita, prima dell’inizio della scrittura.


Ho parlato agli studenti del valore della rabbia, di come questa, tramite la scrittura possa essere veicolata e di come questa, attraverso le parole, possa trovare sfogo, muovendosi attraverso percorsi creativi e non distruttivi. Così come ho evidenziato il valore della lettura, di qualsiasi tipo di lettura. Non solo i cosiddetti libri imposti dai docenti, ma lettura intesa con il piacere di scegliersi un libro, una storia, un saggio, secondo le proprie attitudini e interessi, perché la lettura espande gli orizzonti, espande i pensieri e soprattutto permette di interpretare la realtà circostante, vedendola attraverso processi  cognitivi  diversi e diversificati.




Terminato l’incontro con gli studenti, dopo una breve pausa, è giunto il momento della presentazione di “Aborto d’Amore” - “Аборт от любов”, tradotto dall’italiano al bulgaro da Teodora Ivanova - Теодора Иванова , e pubblicato  da MBIL Agency Editore di Sofia – Bulgaria - presso la biblioteca regionale Geo Milev - Гео Милев della città di Montana - Монтана. La serata è stata condotta dalla direttrice, la dottoressa Kety Kostadinova - Кети Костадинова. Il pubblico era variegato ed eterogeneo. Subito dopo la presentazione dell’autore e dell’opera, mi è stata data la parola. A differenza di una classe di studenti gli spettatori presenti all’evento erano incuriositi a riguardo l’opera e sul fatto che toccasse una tematica femminile, scritta da un maschio. Alla luce di questo ho spiegato che il mio era un omaggio alla donna e che come uomo e come scrittore, ho provato a comprendere le difficoltà di una gravidanza problematica e i relativi pensieri che potevano passare nella mente della protagonista, i riflessi sulla sua vita, così in quella dei suoi cari.


Successivamente mi è stato chiesto come mai la storia è stata ambientata in una provincia italiana. Chiaramente narro l’Italia e la provincia italiana, perché oggi come allora, credo che “Aborto d’amore” - “Аборт от любов” sia una storia universale. Ossia innanzi agli eventi che sconvolgono la vita della famiglia Rampin, difficilmente le reazioni a catena che poi sono avvenute, potevano essere differenti se la famiglia fosse stata di Milano, di Roma, di Sofia o di Montana, perché, ho ribadito, probabilmente i processi mentali ed emotivi potevano essere gli stessi, indipendentemente dal luogo di residenza o nazionalità e grado di istruzione.


Durante lo scambio di domande e risposte con il pubblico, mi è stato chiesto come mai al momento non abbia ancora scritto un romanzo ambientato in Bulgaria. Ho risposto che in testa mi girano svariate idee, però nessuna di queste è ancora l’idea giusta.  Anche perché il rischio conclamato è che eventualmente l’opera potrebbe essere vista come un’opera piena di stereotipi e luoghi comuni, e non voglio incorrere in quell’errore, per questo al momento tutte le idee rimangono confinate entro il mio limbo mentale, in attesa di quella che sentirò essere la storia giusta che merita di essere scritta.


Una domanda che raramente è assente in queste presentazioni con un autore straniero è come l’ospite vede il Paese e i cittadini. Vivendo in Bulgaria da molti anni e avendo potuto toccare con mano nel corso del tempo alcune caratteristiche peculiari, ho cercato di porre l’accento non tanto su come io vedo loro, ma su come loro vedono se stessi e su come il loro vedersi, vuoi anche per il fatto che la Bulgaria è un Paese piccolo, sussiste purtroppo  una specie di senso di inferiorità nei confronti dei cosiddetti grandi Paesi. Certo, non ho negato che i problemi esistano, non hanno  bisogno di uno straniero per vederli, ma è l’approccio, ho cercato di spiegare che dovrebbe essere cambiato. Ossia il pessimismo a volte cosmico che colpisce il bulgaro, rammentando però come si dice in Italia, che “nelle botti piccole ci sta il vino buono”. È sta al singolo scegliere se essere vino buono oppure aceto di pessima qualità, senza nazionalismi e senza vittimismi.


In generale posso dire che “Aborto d’amore” - “Аборт от любов”  è stato accolto bene anche se con delle resistenze in quanto non è stato mai nominato il tema cardine dell’opera, il “romanzato gene dell’omosessualità”. Le medesime resistenze con cui il romanzo è stato accolto dai lettori in Italia, i quali hanno espresso riserve a causa del connubio tra l’eventuale diritto di aborto e il gene dell’omosessualità, dove, con motivazioni culturali da parte bulgara (la cultura può evolversi) e ideologiche, da parte italiana, (l’ideologia, viceversa, incancrenisce cultura e conoscenza) diametralmente opposte.


La serata alla fine si è terminata con l’autografare i libri dei lettori e la possibilità di scambiare qualche parola con ognuno di loro.





Il giorno seguente ho avuto l’onore di essere accompagnato a visitare la città da un cicerone di eccezione: la direttrice del Museo Regionale di Storia, dottoressa, Svetlana Stoilova - Светлана Стоилова, la quale ha spiegato la storia della città sin dal tempo dei romani, con tanto di visita del lapidario, che rappresenta solo una piccola parte, lapidi ritrovate nella città nel corso del tempo e le relative iscrizioni in latino. La visita è proseguita ai resti del castello della città che sovrasta il panorama, proprio sotto la diga di uno dei più grandi laghi artificiali del Paese.




Desidero ringraziare per la straordinaria accoglienza e ospitalità il sindaco della città di Montana – Монтана, il dott. Zlatko Zhivkov -  Златко Живков, la direttrice della biblioteca regionale, la dott.ssa Kety Kostadinova  -  Кети Костадинова, la prof.ssa Elka Babaceva - Елка  Бабачева, docente di lettere del liceo linguistico “Peter Bogdan” e la p.r. della biblioteca regionale, la dott.ssa Veselina Maldenova  - Веселина  Младенова e naturalmente ultima, ma non ultima, mia moglie, in questo evento nelle vesti di interprete, dott.ssa Vessela Lulova Tzalova - Весела Лулова Цалова. 

Marco Bazzato
13.05.2015