giovedì 26 gennaio 2012

Liberalizzazioni dei carburanti

La montagna tecnocratica del governo Monti ha partorito un topolino – morto.

Si può ridurre a questo le fantomatiche liberalizzazioni dei carburanti, volute da colui che diceva di non conoscere i poteri forti in Italia, in tre parole:“chiacchere e distintivo”.

Sono solo 500 le stazioni di servizio dove decreti e terreni sono di proprietà del gestore, mentre perla altre quasi 25.000 pompe, queste appartengono alle compagnie petrolifere, che le danno in gestione, stipulando contratti di comodato d’uso gratuito della durata di sette anni, rinnovabili.

Nel decreto si scrive che i proprietari di impianti e decreti, che espongono un marchio di una compagnia possano acquistare il 50/% del erogato nel mercato libero, ossia presso l’extrarete, in modo da provocare così una diminuzione del prezzo alla pompa di circa sei centesimi.

Peccato che sia una mezza balla.

Chi è proprietario di decreti e terreno, gode già di un margine quasi doppio che serve sia per l’investimento dell’impianto, come per coprire quelle spese di manutenzione che nei contratti di comodato d’uso gratuito, sono a carico della compagnia petrolifera e/o del marchio –  come ricarica estintori, colori, manutenzione degli erogatori e servizi  e imposte sui terreni,. Quindi i titolari degli impianti di distribuzione carburante, che hanno contratti di fornitura esclusiva con una compagnia petrolifera, se vogliono possono già attuare sconti, avendo dei margini più ampi, , vendendo i carburanti con prezzi esposti più bassi, cosa che in parte già si fa, avendo alcune di queste stazioni di servizio già dei servizi non oil.

Va ricordato che la maggior parte dei P.V non sono dei chioschi, spesso ancora nei centri abitati, e in prossimità dei anche dei centri storici,  che dovevano sparire più di un decennio orsono, dove  mancano gli spazi per attività non-oil, come bar o rivendita giornali. 

Le compagnie petrolifere non hanno interesse a investire in un piccolo chiosco per ampliarlo, leggi urbanistiche permettendo. Mentre se il gestore volesse dedicarsi ad altre attività, l’impianto non essendo il suo, gli sarebbe impossibile dar seguito per la mancanza di spazi a norma, e l’assenza di volontà da parte dei marchi di investire su impianti destinati a morire, essendo vecchi, con pensiline mezze cadenti e chioschi fatiscenti degli anni ’60 e ’70, abbondantemente ammortizzati, dove le spese massime sono quelle obbligatorie della manutenzione ordinaria e raramente quella straordinaria. Cose che tutti i gestori in contratto di comodato conoscono benissimo, in quanto vengono ripetute come mantra dagli addetti di rete.

 Si deve sapere che se il gestore prende 38 cent a litro – margine fermo dai primi degli anni 20000, le agenzie proprietarie o che gestiscono gli impianti  o per conto dei marchi petroliferi, ne incassano quasi altri 40 cent – per il gasolio i margini sono più bassi –  al litro e non hanno interesse a fare investimenti nei piccoli e vecchi impianti che forniscono la maggioranza degli utili.

L’Italia, anche per la morfologia del territorio, sconta una rete di distribuzione carburati che si è espansa dagli anni ’50 del secolo scorso, crescendo in modo esponenziale, con una rete capillare sul territorio, per contrarsi ai primi degli anni ’90, che ha portato ad una riduzione dei punti vendita, passati dai 38.000 ai 25.000 attuali,  è ostaggia della lobby dei gestori in contratto di comodato gratuito – che fa comodo anche alle compagnie petrolifere proprietarie degli impianti, che in conserto non hanno mai voluto aprire a una  liberalizzazione del mercato. Infatti la lobby dei gestori in comodato, ha dichiarato 10 giorni di sciopero, in contrasto con le leggi vigenti e le autoregolamentazioni di categoria che impongono un periodo massimo di tre giorni solo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, per fare pressioni nei confronti del Governo, affinchè l’immobilismo permanga.

Non è solo colpa delle compagnie petrolifere se le liberalizzazioni languono, ma anche dei gestori, ostaggi dei contratti, costretti, volenti o nolenti, a tifare per padroni, che de facto sono indigeste.

Il governo poteva e doveva osare di più, ma come? Innanzitutto facendo il possibile affinchè gli impianti con un erogato inferiore ad un 1.000.000 venissero chiusi, obbligando le Compagnie ad accorpare i decreti,  mettendoli sul mercato, permettendo ai gestori di consorziasi, e con i piani regolatori comunali, in conserto con Regioni e Provincie, che devono mettere a disposizione dei nuovi proprietari zone commerciali ove far sorgere nuovi impianti, fuori dai centri abitati, senza vincoli di distanze minime tra una stazione di servizio e un'altra. Cosa  impossibile da attuarsi, visti i continui veti incrociati che il settore sconta, senza contare l’ostruzione dei comuni che non vogliono perdere una parte degli introiti derivati dalle tasse comunali, e dicono che gli impianti sono necessari per i cittadini, specie nei piccoli centri abitati, dove però i gestori di questi impianti a fatica riescono a portare a casa la giornata.

Bisogna sfatare un altro mito a riguardo la concorrenza,iniziata già negli anni ’90, quando si è passati  prima dal prezzo amministrato a quello sorvegliato, fino a quello consigliato dalla compagnie petrolifere – che ne giorni della liberalizzazione di prezzi dei carburanti, a discapito delle promesse del governo, e del battage mediatico che avevano spinto verso questa direzione, le compagnie, nei giorni immediatamente seguenti della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, aumentarono i prezzi alla pompa di  oltre dieci lire, avendo finalmente le mani libere dai legacci normativi, con i gestori però messi sotto accusa dall’opinione pubblica, se oltre all’aumento imposto dalla compagnia, applicavano un sovrapprezzo di qualche lira, –   anche oggi decisi dai veri  proprietari del carburante: i gestori, i quali – giustamente – per non farsi troppa concorrenza, hanno sempre avuto l’abitudine di andare presso i P.V concorrenti, guardando i prezzi l’uno dell’altro, applicando differenze minime, per non ingaggiare una guerra tra poveri, come fanno le Grandi Compagnie in ogni settore le quali spesso, quando viene dimostrato il Cartello, ricevono dall’Antitrust, il Garante per la Concorrenza, multe irrisorie e simboliche, non proporzionale agli utili netti,he rispetto al fatturato annuale

Ma l’Italia sconta anche un problema di arretratezza culturale, imposto dai media e della associazioni di categoria dei gestori che fanno del “terrorismo” quando parlano di desertificazione alla francese, con l’italiano, abituato al comodo a all’agio del piccolo chiosco sotto casa, condizionato a non richiedere la concorrenza.

 Nei Paesi civili, dove esistono vere stazioni di servizio, dotate di tutti confort, il consumatore può trovare il bar, i giornali, piccoli ristoranti, bagni all’altezza, anche per disabili, aperti 24h su 24, suddivisi in tre turni di lavoro, cosa che in Italia accade sulle reti autostradali,   non nei centri urbani ed extraurbani, per colpa dell’ostruzionismo culturale delle compagnie petrolifere e dei piccoli gestori.

Si deve anche tener presente che i prezzi del carburante, liberalizzazioni o no, no  non potrà scendere in modo sostanziale, in quanto oltre 50% e dovuto ad accise e imposte e a contributi una tantum, mai abrogati, sempre per rimpinguare i forzieri eternamente vuoti delle casse dello Stato Così come  nei Paesi dove la rete è “libera”, ossia esistono grandi stazioni di servizio, aperte 24h su 24, con una molteplicità d attività non oil, prezzi dei prodotti, sono più alti del negozio sotto casa, con   i prezzi delle grandi stazioni di servizio allineati tra di loro, o con differenze di pochi millesimi, che incidono irrisoriamente sul risparmio, o  sovente i prezzi dei carburanti sono i medesimi nel raggio di una ventina di chilometri, che per via della rarefazione,nessun consumatore va a farsi una trentina di chilometri in più per risparmiare qualche millesimo.

E basta entrare in qualsiasi stazione di servizio lungo la rete autostradale per rendersi conto che i prezzi dei carburanti sono notoriamente più elevati, rispetto alla rete urbana ed extraurbana.

Per concludere bisogna tener presente che in Italia, ogni volta che si è “liberalizzato” un settore, i prezzi invece di scendere, sono sempre aumentati,ricordiamo le assicurazioni Rc o i servizi idrici, e che la liberalizzazione voluta dal governo Monti non serve per andare verso un mercato più aperto, ma per cercare di incidere il meno possibile sugli utili delle grandi compagnie petrolifere, italiane e straniere, i cosiddetti poteri forti che Mario Monti dice d’aver sempre combattuto quando era commissario per la concorrenza presso l’Unione Europea, ,ma per quanto concerne l’Italia ha capitolato, e di brutto.


Marco Bazzato
26.01.2012

mercoledì 25 gennaio 2012

Costa Concordia: Dominika Cemortan, l’eroina moldava che salva i passeggeri


È stata vituperata e massacrata dai media italiani.  Dominika Cemortan, 25 anni, la giovane donna moldava dal passaporto rumeno, che parla quattro lingue, descritta come se fosse stata la grande prostituta di Babilonia, Messalina, o Salomè che chiede la testa di Giovanni Battista. Dove invece di farle un monumento viene attaccata.

 Ma quale sarebbe stata la sua colpa? Quella di essere ospite del capitano, non iscritta nelle liste passeggeri? Qui le versioni divergono, c’è chi dice no, c’è chi dice sì, ma se questa presenza a bordo avesse una rilevanza penale sarà la magistratura che dovrà appurarlo, compresa la responsabilità di chi l’ha presa a bordo, se fosse vero.

 Dominika Cemortan, è stata dipendete di Costa Crociere, e come tutti i dipendenti, era stata istruita su come comportarsi in caso “abbandono nave”, cosa che sembra aver svolto egregiamente. Ma questo non le viene riconosciuto, anzi? Tutti a guardare la pagliuzza nel suo occhio, quando tante travi sono negli occhi altrui, e visto quanto sta emergendo sembra trovarsi innanzi ad una foresta pluviale disboscata.

Le sue presunte colpe? Quella d’essere ospite del capitano, di sedere alla sua tavola alle 22.30, quando la frittata era fatta e la nave iniziava a inclinarsi, ma che responsabilità dirette o indirette aveva costei innanzi agli eventi accaduti?

 E poi, cosa peggiore: aver salvato degli ex sovietici, de cittadini della Federazione russa. Si è al paradosso. Una persona salva dei cittadini che parlano la sua lingua, e chi può dire se questi conoscessero l’inglese, l’italiano o le altre lingue internazionali usate per l’emergenza, e invece d’essere trattata come meriterebbe una donna che responsabilmente ha svolto una mansione, di cui non era obbligata, essendo il quel mentre una semplice passeggera, viene additata come colpevole non si capisce di cosa?

Se invece d’essere stata una moldava, descritta come lasciva dissoluta cosa che anche una minoranza di italiane potrebbero esserlo, ma se fosse stata un abitante del Bel Paese, si sarebbero sperticate lodi fino a trasformare il pianeta terra in una scatola quadrata, sventrando foreste per fare carta da giornale, sarebbero state riversate tonnellate di inchiostro – tossico – per descriver il coraggio e lo sprezzo del pericolo della prode italiana.  Se si fosse ancora nella Guerra Fredda si potrebbe parlare di propaganda ideologica, ante caduta del Muro di Berlino.

La ragazza moldava, piaccia o no, non era obbligata a salvare nessuno, tranne se stessa, visto che non sembra che su quasi 4.200 persone ci siano stati 4.200 eroi, anzi. Ognuno, e i video parlano chiaro, pensavano a salvare, come è giusto che sia, la propria vita e quella dei loro cari, mentre questa donna, che ha  salvato dei cittadini dell’ex Unione Sovietica, oggi Federazione Russa, viene vista dai media italiani di sghimbescio.

Si è detto che i russi sono stati i primi a scendere a terra, perchè salvati da questa donna. Dove sta il dramma? Dominika Cemortan non era obbligata a mettere in salvo prima vecchi, diversamente abili, donne e bambini, quell’onere spetta ai componenti dell’equipaggio, non a una passeggera. E la colpa dei russi salvati da una cittadina moldava che aveva due anni quando si è dissolta l’Unione Sovietica, sarebbe, a detta di tanti special giornalistici d’aver subito intentato causa alla compagnia armatrice, appena rientrati in patria. È colpa degli italiani se sono lenti a muoversi contro l’armatore o sono stati intelligenti i cittadini russi, rapidi nel depositarla? Cche tra l’altro stanno facendo anche gli americani, intentando una class action, affilando le armi legali.

È spiacevole dirlo, ma in questa tragica situazione sono usciti fuori – indirettamente – tutti i luoghi comuni italiani nei confronti delle donne dell’Est Europa, segno di un relativismo e un provincialismo culturale, difficile da cancellare, dove anche giornalisti e commentatori navigati hanno le loro colpe, spinti dall’emozione del narrare i fatti, lasciandosi andare a opinioni che non tengono conto dei molteplici fattori in gioco, e alimentano il pregiudizio, non corroborato sull’esatta interpretazione oggettiva degli eventi in questione.

Ai cittadini dell’Isola del Giglio è stata proposta una medaglia al valor civile per l’aiuto e il soccorso prestato ai naufraghi, mentre a una donna moldava che ha aiutato dei russi, si è commesso quasi un atto di sciacallaggio mediatico. Poi l’Italia non può lamentarsi se all’estero cresce lo stesso pregiudizio anti italiano, quando i media italiani fanno del loro meglio per alimentare quelli nei confronti di una cittadina di un Paese dell’Est, dimenticando quel passo dei Talmud che dice: chi salva una vita umana salva il mondo intero, basta che non sia una moldava, ospite del capitano, che salva dei cittadini russi.

Se ha commesso dei reati, dovrà risponderne alla giustizia, ma se all’interno di una situazione di emergenza ha salvato delle vite umane, indipendentemente dalla nazionalità, gliene deve essere dato merito, al pari di tutti gli altri, altrimenti anche questa potrebbe essere considerata una discriminazione e in un’Italia che ha la pretesa di dirsi civile davanti al mondo, questo non dovrebbe accadere.

Marco Bazzato
25.01.2012

domenica 22 gennaio 2012

Schettino: “La Costa mi chiese l’inchino”

Ormai sembra una faida famigliare, dove l’esperto di schettinate, Francesco Schettino, il tanto vituperato comandate – codardo – della nave da crociera Costa Concordia, sembra che stia tirando in ballo i vertici della società armatrice, per la prassi concordata “dell’inchino”,  sia come veicolo pubblicitario, ma anche come una di sfida tra capitani, per dimostrare il loro coraggio, passando il più possibile a fil di scogli.  Se veramente le cose stessero così’, per anni i passeggeri,sarebbero state le involontarie cavie de duelli “al singolar naufragio schivato” tra i comandanti di questi “Centri commerciali e SPA galleggianti.”

Dal ritratto del capitano agli arresti domiciliari che fa dell’armatore, molti potrebbero pensare che le immense navi siano comandate da scapestrati, che come guappi adorano impennarsi con  una vecchia vespa elaborata per far colpo sulla giovenca di turno, condotta come una “vittima sacrificale” sul ponte di comando, per lustrare i turgidi ed eretti pennoni. E la presenza di passeggere o passeggiatrici, non registrate, ossia clandestine, sembrerebbe confermare le voci di mare che girano circa la lucidatura alle teste delle aste dei pennoni.

Ragionando più approfonditamente, allargando il raggio delle responsabilità, se fosse stata la prassi, viene da chiedersi dove stavano le Capitanerie di Porto che dovrebbero controllare il traffico marittimo? Perché o anche i loro radar e i sistemi di ricezione delle posizioni delle navi via gps erano spenti, come risulterebbe dai primi controlli sulla scatola nera recuperata , dove si dice che fosse rotta da quindi giorni, oppure vedevano i passaggi e tacevano, pregando Tritone che non scagliasse il tridente addosso a qualche imbarcazione di sciagurati, cosa che poi, tramite Schettino, ha fatto?

Gli esperti di mitologia dicono che Tritone in quel famoso venerdì 13 gennaio 2012 ne avesse ormai produttori di cellule geminali sfracellati e doloranti e per questo, sentito il parere di Giove Pluvio, abbia provveduto, nascondendo alla vista del capitano Schettino il famigerato scoglio.

Quelli che stanno godendo come mandrilli sono gli abitanti del Giglio, con il sold out assicurato per i prossimi mesi. Per loro questa è una manna, in quanto l’isola è satura di tecnici di ogni risma, giornalisti da ogni parte del mondo, senza contare i turisti amanti del sciacallaggio delle disgrazie,  che come un rigurgito proveniente dallo stomaco e che esce a getto dalla bocca, vengono espulsi dagli intestini  dei traghetti.

Quello che ci vorrebbe in questi giorni è una bella gita della Finanza, a caccia di evasori, casa per casa, hotel per hotel, bar per bar e vista l’esiguità dell’isolala cosa sarebbe facile, così come i conteggi degli ospiti negli hotel, che non potrebbero scappare, permettendo a Equitalia di sfregarsi le mani.

E anche se dovesse proprio andare male, ossia che il gasolio nei serbatoi del cadavere che giace di fianco, come una balena colpita dagli arpioni dei pescatori giapponesi per scopi scientifici, riversandosi in mare, e più di duemila tonnellate, gli abitanti del Giglio godrebbero, in quanto l’isola continuerebbe a essere pregna di volontari chiamati a raccattare la marea oleosa.

Insomma bambagia piovuta dal dio Schettino, sta muovendo un corposo giro d’affari: avvocati, soccorritori, turisti, curiosi, televisioni, parenti delle vittime che attendono notizie dei dispersi. Tutto è diventato un immenso Circo Barum, che sta gonfiando stomaci a dismisura degli abitanti dell’isola e dei partecipanti allo spolpamento a vari titolo del cadavere Concordia.

Ripensando alle crociere e a quanto sta emergendo circa l’ultimo viaggio della Concordia, non può far a meno che venire in mente la mitica Pacific Principess, del telefilm americano “The Love Boat”, dove i personaggi e gli ospiti erano dediti a storia d’amore, ufficiali e baristi compresi, ma che nelle scene non girate, si poteva intuire che alla fine la nave era un postribolo un lupanaro infestato di meretrici e maschi perennemente infoiati alla ricerca di sesso e lussuria, dove i telespettatori si chiedevano come i protagonisti non fossero morti nel corso degli anni per via dello scolo, gonorrea e malattie venere varie.

Marco Bazzato
22.01.2012

sabato 21 gennaio 2012

Solidarietà al “Movimento dei forconi?”

È risaputo, le grandi rivoluzioni partono sempre da piccoli atti, apparentemente isolati, in molti casi fomentati dall’estero. Si dice che la famosa primavera araba e l’assassinio a sangue freddo di Gheddafi sia stata una mossa studiata – ufficiosamente – fuori dai confini libici per evitare che i governi africani volessero una valuta loro per il pagamento delle materie prime – in altri come per autocombustione, alimentandosi del disagio e del malcontento crescente della popolazione, stremata da un regine politico,  clientelare vessatorio e corrotto, che riduce i cittadini, i lavoratori a servi della gleba – con il telefonino e il caso del “Movimento dei Forconi” siciliano, che sta paralizzando l’isola, sembra essere uno di questi.

 Ora bisogna capire da che parte stare.

 Perché è troppo facile, da distante, quando le cose accadono in altri Paesi, incitare moralmente la piazza sovrana, quando reclama libertà, pane, diritti, rispetto, meno clientelismo e corruzione, con ampi reportage dalle zone interessate, con i giornalisti uccisi dai cecchini, che non si sa da chi sono prezzolati.

 Mentre quando queste manifestazioni accadono in Italia, in Sicilia, la copertura dei mass media, specialmente dei Tg delle venti o dei programmi per casalinghe del pomeriggio, è ridotta a misere veline, lette con la velocità di un Freccia Rossa o di un TGV, per evitare che il popolo solidarizzi con i manifestanti, che subito vengono accusati d’avere infiltrati  mafiosi che li fomentano – ma se la cosa è risaputa, cosa aspettano,i marziani, per intervenire e arrestarli, in presunta flagranza di reato, ma quale?

Oppure certi “messaggi subliminali” sono fatti per gettare fango sulla protesta, in modo da dimostrare che è etero guidata dalla mafia? Messaggi trasversali televisivi?

Non ci sono rivoluzioni che avvengono senza vittime, è normale, accade in ogni parte del mondo. Non ci sono rivoluzioni che iniziano anche con scioperi ad oltranza, con magazzini, supermercati, farmacie e distributori di benzina rimasti a secco di carburante. È la prassi, piaccia o no.

Ma quello che secca alla politica e ai politicastri “benpensanti” che ora smarriti fingono indignazione è che il “Movimento dei forconi” sembra essere un trasversale, svincolato dai partiti – che sono tutti uguali, solo che hanno marchi, pardon bandiere, diverse, ma nella sostanza mirano all’accrescimento del loro potere personale nel territorio, e che votano sempre uniti quando si tratta di appiopparsi nuovi favoritismi di casta – che come una mandria di mustang imbizzarriti, cavalcano liberi per le praterie siciliane, vittime dell’abusivismo edilizio, delle infiltrazioni mafiose e delle regalie del nepotismo parentale. E un movimento che non può essere etero guidato da qualche frangia politica è un movimento scomodo, da sopprimere sul nascere, da dileggiare, come se loro fossero i responsabili e gli affamatori della Sicilia e del suo spolpamento economico dall’interno, non diverso da risucchio della pompa aspira fluidi che l’imbalsamatore utilizza sul corpo in terapia intensiva di un parente che va depredato senza ritegno.

E se questo movimento fosse la vera avanzata della società civile che tutti in Italia auspicano, perché delegittimarlo e condannarlo a priori? Solo per quattro scaffali vuoti, per tre blister di aspirina introvabili, perché al supermercato non si trova la frutta o la verdura proveniente dalle serre della Groenlandia o i limoni spagnoli? O perché i gestori, giustamente, come fa il governo e le compagnie petrolifere che alzano  il prezzo prima degli esodi vacanzieri, delle feste comandate? Ma se lo fanno i gestori – quando per legge il prezzo è libero e non più amministrato o sorvegliato,ecco che le ultime ruote del carro diventano dei vampiri, idrovore succhia denari, mentre Stato e compagnie petrolifere, che ognuno secondo i propri interessi dirigono il mercato, no?

Le rivoluzioni sono sempre iniziate dalla campagne, dai contadini: la rivoluzione francese, quella russa, la Grande Marcia di Mao, tutti nati da movimenti popolari di massa, stanchi di subire soprusi ed essere vessati..

Ora in piazza sono scesi anche gli studenti. Quando in medioriente scendono in piazza gli studenti a dar manforte al popolo, i media si sperticano in lodi: sono i giovani che avanzano, le nuove generazioni che vogliono il cambiamento e l’informazione di tutto il mondo è pronta a sostenere moralmente e non solo, la protesta, ma se la frittata si capovolge, se gli studenti scendono in piazza in Italia, in Sicilia, ecco che si trasformano, secondo la cosiddetta “opinione pubblica di regime” in pericolosi sovversivi, nemici del popolo. Evidentemente qualcosa non quadra.

Se i siciliani hanno deciso di scendere in piazza avranno le loro buone ragioni, segno che il bicchiere non solo è colmo, ma è stato riempito nel corso dei decenni di acqua avvelenata e che deve essere vomitata sulle strade, prima che intossichi completamente l’organismo, portandolo alla morte e alla conseguente putrefazione.

Chi ha ragione? Il popolo che protesta e ha il diritto d’essere ascoltato e non vessato e fatto passare per nemico ladro e brigante dei suoi stessi concittadini?Si sta assistendo ad una demonizzazione mediatica e ad un nascondere, il più possibile all’opinione pubblica, sotto lo zerbino del silenzio, il fuoco che cova sotto le ceneri e che rischia, premuto dalla spinta del desiderio di cambiamento, d’ incrementare la tensione. È il governo siciliano, il primo che dovrebbe spegnere i fuochi, visto che è il governo più mastodontico e dispersivo di risorse pubbliche d’Italia. Ma per certi soggetti sarà difficile rinunciare ai loro agi, alle loro auto blu, ai loro stipendi da favola e ai posti di lavoro giunti per raccomandazione, tagliandoli e riservando risorse e servizi ai cittadini. Più facile far passare le vittime – i cittadini del “Movimento dei Forconi” per i colpevoli e i carnefici dell’affossamento della regione, dell’aver messo in crisi il sistema economico e politico, piuttosto che andare alla radice: la mala politica – che ha creato l’humus fecondo e incendiario,come il metano di una caldaia difettosa che rischia di esplodere da un momento all’altro.

Sarebbe un meraviglioso sogno utopico se i “Davide” scesi in piazza riuscissero ad abbattere il “Golia” mastodontico che soffoca, non solo la Sicilia, ma nei modi diretti e  indiretti l’Italia intera.
E tutti leggendo al Bibbia, il primo libro di Samuele: Capitolo 1 17:1-58, i fedeli, prendono le parti e le difese di Davide, che sconfisse Goliath, il miglior combattente dei Filistei.

Si auspica che gli italiani, popolo di forte tradizione giudaico-cristiana non stia – perché condizionato – dalla parte dei Filistei.

Marco Bazzato
21.01.2012

mercoledì 18 gennaio 2012

Francesco schettino: dedichiamogli un monumento?






Non si dovrebbe scherzare sulle tragedie, qualunque esse siano, specie quando ci sono dimezzo dei morti e degli eroi che hanno dato la propria vita per salvarne delle altre, ma nella storia del Costa Concordia, la realtà ha superato la più fervida immaginazione di uno sceneggiatore di film catastrofici. E cercando nella storia del cinema si trovano dei capolavori indiscussi, dove i comportamenti di alcuni personaggi sembrano stati sceneggiati come una premonizione degli atti eroici e codardi, dove l’onore viene momentaneamente offuscato dalla viltà di uno che rappresenta solo se stesso, ma che infanga la divisa che indossa e le responsabilità che aveva scelto di assumersi, dove gli oneri sono stati dimenticati a favore dell’immagine fallace dell’onore e del rispetto.

Francesco Schettino non ha solo tradito la fiducia degli ospiti della nave da crociera, ma anche dell’equipaggio, senza dimenticare che ha disonorato la marina mercantile e l’Italia intera innanzi agli occhi del mondo.

Al comandante  Gregorio Maria de Falco vanno tutti gli onori dell’Italia intera e non solo, come a tutti coloro che si sono prodigati al meglio delle loro forze per aiutare i naufraghi, vittime della disastrosa disattenzione di Francesco Schettino.

Non è una provocazione, ma una necessità etica che gli italiani dovrebbero dare a piccioni e gabbiani di passaggio, affinchè possano lasciare il segno tra le braccia e il capo di questo possente, coraggioso e inde – fesso uomo di mare.

C’è poco da girarci attorno, Schettino è forse in questo momento il cognome più famigerato e ricercato in rete, più ancora di Mario Monti o di  Gnau Fufu, dando fama imperitura all’Italia e agli italiani, che da popolo di “poeti, santi e navigatori” sono diventati un popolo di “poeti, santi e slalomisti tra gli scogli, comandando una nave da crociera”

Anche gli Zulù ci stanno prendendo per i fondelli, senza dimenticare i lapponi, i congolesi e i danzatori Maori che con la loro Haka ci fanno gli sberleffi.

Ieri e oggi e domani, ascoltando la telefonata tra il comandate De Falco e l’anti eroe del sistema galattico per antonomasia, Francesco  Schettino,  trasmessa anche dai Tg serali dei seleniti e dei gioviani, con i pellerossa si sono riuniti attorno al grande fuoco, invocando Manitù, affinchè mai nelle loro praterie passi un cruiser comandato da Schettino.

 Il mondo si è “sbellicato dalle risate” – sempre che si possa ridere di un siffatto personaggio da macchietta, ascoltando i suoi piagnistei e lamenti, simili a quelli del cane Spank, che non facevano intenerire Aika Morimura.

Nelle ultime ore si sono diffuse voci incontrollate, provenienti dall’Artide e dall’Antartide, sembra che un gran numero di iceberg che si starebbero dirigendo di gran lena verso l’equatore, per un’insolita manifestazione di protesta contro il “prode capitano dall’elsa ammosciata”, per dar vita da uno sciopero fino allo scioglimento. Gli iceberg, dicono i soliti ben informati, sembra che si siano sentiti offesi e sminuiti del loro ruolo, per colpa degli scogli presenti sottocosta all’isola del Giglio, perché Schettino ha prestato “più” attenzione a loro che non queste montagne galleggianti.

Ma il vero antieroe di questa pagina nera della navigazione è stato il comandante Gregorio Maria de Falco, che nella famosa telefonata (1) si possono trovare, pur nelle abissali differenze tra lui e il sergente maggiore Hartman (2) di Full Metal Jacket (3), delle forti assonanze, quando si rivolgeva alla recluta  Leonard Lawrence . detto Palla di lardo:  (la trascrizione dei dialoghi è stata eseguita dall’estensore dell’articolo.)

« I tuoi genitori hanno anche figli normali?»
«Signor sì, signore!»
«Si saranno anche pentiti d’averti fatto? Tu sei talmente brutto che sembri un capolavoro d’arte moderna. Come ti chiami sacco di lardo?»
«Leonard Lawrence, signore!»
«Lawrence, come d’Arabia?»
«Signor no, signore»
«Il tuo è un nome da nobili. Sei di sangue reale?»
«Signor, no, signore»
«E tu li succhi i cazzi?»
«Signor, no, signore»
«Palle, tu ti succhi una pallina da un capo all’altro del tubo per innaffiare!»
Signor, no, signore»
«Non mi piace il nome Lawrence. Solo finocchi e marinai si chiamano Lawrence. D’ora in poi tu ti chiamerai Palladi lardo.»
Signor sì, signore!»
«Mi trovi carino soldato Palladi lardo? Ti sembro buffo?
Signor, no, signore»
«Allora stropati dal grugno quel sorriso da stronzo.»
«Signor sì, signore!»
«Bene, prenditela pure comoda, tesoro.»
Signor sì, signore! Ci provo, signore.»
«Palladi lardo, ho deciso di darti tre secondi. Esattamente tre fottuti secondi per toglierti quel sorriso da cretino dal muso. In caso contrario ti strappo le palle dagli occhi e ti fotto il cervello…Uno…Due…Tre…».
«Signore, non ci riesco, signore.
«Balle, mettiti in ginocchio, sacco di merda.»

«Soldato Palla di lardo, come lo vuoi ridurre il corpo dei marines?»
«Signore, non lo so, signore.»
«Allora sei un cretino, soldato Palladi lardo. Vorresti farmi credere che non riesci a distinguere la destra dalla sinistra?»
«Signor, no, signore.»
«Allora l’hai fatto apposta per essere diverso dagli altri?»
«Signor no, signore»
        schiaffo al volto
«Questa che cos’era, Palladi lardo?»
«Signore, la sinistra, signore»
«Sei proprio sicuro, Palla di lardo?»
«Signor sì, signore!»
        schiaffo sul volto
«E quest’altra cos’era, Palla di lardo?»
«La destra, signore.»
«Non mi prendere più per il culo, Palla di lardo. Raccogliti quel cazzo di coperchio.»
«Signor sì, signore!»

«Cristo di un Dio. Palla di lardo, perché il lucchetto della tua cassetta è aperto?»
«Signore, non so, signore»
«Soldato Palla di lardo, se c’è una cosa in questo mondo che non riesco a tollerare è un lucchetto di cassetta aperto. Questo lo sai, non  è vero?»
«Signor sì, signore!»
«Sono le persone come te che al mondo incremento la razza dei ladri. È vero o no?»
«Signor sì, signore!»
– cassetto aperto e contenuto svuotato
«Avanti, coraggio. Vogliamo vedere se manca niente»
«Oh, Gesù, Gesù e questo che cos’è?...Ma che cazzo è questo? cos’è questo, Palla di lardo?»
«Signore, ciambella con crema, signore»
«Ciambella con crema? E come ci è arrivata?»
«Signor sì, signore!»
«E come ci è arrivata qui?»
«Signore, l’ho presa alla mensa, signore.»
«.È permesso portare viveri in camerata, Palla di lardo?»
«Signor no, signore.»
«Sei autorizzato a mangiare ciambelle con crema in camerata?»
«Signor no, signore.»
«E perché no, Palla di lardo?»
«Signore, sono in sovrappeso, signore.»
«Perché sei un ciccione ributtante e fai schifo, Palla di lardo»
«Signor sì, signore!»
«E perché hai nascosto una ciambella con crema dentro la tua cassetta? Palla di lardo»
«Signore, perché avevo fame.»
«Perché tu avevi fame, Palla di lardo?»
«Il soldato Palla di lardo ha disonorato se stesso, e ha disonorato il suo plotone. Io ho cercato d’aiutarlo, ma ho fallito. Io ho fallito perché voi non avete aiutato  me. Nessuno di voi ha dato al soldato Palla di lardo le dovute giuste motivazioni. Quindi, da adesso in poi, quando Palla di lardo farà una cazzata, io non punirò più il suddetto, io punirò tutti quanti voi. E quindi io ho idea, signorine, che voi siete in debito con me di una ciambella con crema. Avanti, coraggio a pancia sotto. Apri la bocca. Loro pagano la ciambella  e tu la mangi. Prendi, via»

Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines
Eh. Ho Chi Minh. Viva il corpo dei Marines

«Altri due, forza. Forza. Forza col culo di là dell’ostacolo, Palla di lardo Ma che fai Palla di lardo? Tu non fai nessuno sforzo per superare questo maledetto ostacolo del cazzo. Se Dio voleva farti superare questo ostacolo ti faceva spuntare le ali al culo!»
«Signor sì, signore!»
«Fai passare il culo dall’altra parte, avanti.»
«Signor sì, signore!»
«dai che se ce la fai me lo dici? Scommetto che se aldilà dell’ostacolo ci fosse una bella fica, ci arriveresti eccome, in cima all’ostacolo. Dico bene?»
«Signor sì, signore!»
«Hai un culo che pare un quintale e mezzo di Chewing-gum masticato, te ne rendi conto, Palla di lardo?»
«Signor sì, signore!»
«Uno per il comandate. Uno per il corpo dei Marines, avanti coraggio…tira su…Quello per i Marines non l’hai fatto. Su avanti Palla. Spingi, Palla, spingi. Una bella spinta, Palla. Andiamo. Tu cerchi di fregarmi, Palla di lardo. Tira su quel colo! Vorresti farmi credere che non sei capace di fare neanche una flessione? Sei una montagna di merda molle, Palla di lardo. Non ti voglio più vedere. Vai su tu, Biancaneve!»
«Forza, forza, ciccia molla. Svelto, datti da fare. Sali su. Sali su! A vederti sembra di guardare un vecchio che cerca di scopare. Te ne rendi conto, Palla di lardo? Avanti, coraggio. Vai troppo piano. Muoviti. Muoviti. Soldato Palla di lardo, fai quello che vuoi, ma non mi cascare di sotto, mi faresti morire di crepacuore. Alza di là. Alza di là. Allora che cazzo stai aspettando, soldato Palla di lardo? Alza dall’altra parte! Muoversi! Muoversi! Allora mi vuoi proprio deludere? Hai deciso così? Allora rinuncia e vattene via, brutto tricheco grasso di merda. Vattene via dal mio ostacolo del cazzo! Scendi giù da questo ostacolo del cazzo! Scendi! Muoviti! Altrimenti ti strappo le palle, così ti impedisco di inquinare il resto del mondo! Io, giuro che riuscirò a motivarti, Palla di lardo. A costo di andare ad accorciare il cazzo a tutti i cannibali del Congo!».

«Avanti muoviti e cammina, Palla di lardo. Più svelto. Muoviti! Ma tu ci sei nato sottoforma di viscido sacco di merda, Palla di lardo? O ci hai studiato per diventarlo?. Muoviti, più svelto. Tirati su! La guerra è già bella che finita prima che arrivi tu, lo capisci, Palla di lardo? Ma che fai? Mi ci lasci l’anima, Palla di lardo! Tu vuoi morire per fregare me? Avanti, crepa. Fai vedere. Muoviti. Svelto! Svelto! Svelto!...che c’è? Ti gira la testa? Ti senti svenire? Ma Cristo di un Dio!

«Questo è il mio fucile. Ce ne sono molti come lui, ma questo è il mio. Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita.»
«Tornate in branda! Ma che cazzo di cinematografo è questo? Che vi prenda un accidente. E voi che cazzo state facendo nel mio cesso? Come mai il soldato Palla di lardo non è in branda dopo il silenzio? Come mai il soldato Palla di lardo ha un fucile in mano? Come mai non gli hai ancora strappato le budella, soldato Jocker?»
«Signore, il dovere di questo soldato è di informare il suo istruttore che il soldato Palla di lardo ha un caricatore di cartucce blindate e il colpo in canna, signore.»
        respiri profondi di Palla di lardo
«Adesso stammi a sentire, Palla di lardo. Stammi a sentire bene. Io voglio quell’arma. E la voglio subito. Adesso tu posi il tuo fucile per terra, ai tuoi piedi e fai un passo indietro.»
– respiri e gemiti profondi di Palla di lardo
«Che c’è in quella zucca marcia che non funziona mai? Mamma e papà ti hanno fatto mancare il loro affetto quando eri bambino?»

Marco Bazzato
18.01.2012


lunedì 16 gennaio 2012

Il gabbiano e il capitano – ai veri capitani

Il gabbiano volava attento scrutando il mare. Le onde nascondevano le vite sofferenti. I pesci morti, saliti in superficie, imputridivano al sole d’agosto.
Il vecchio fissava sfiduciato la dipartita che avanzava.
Nessun suono proveniva dagli abissi, a parte i palpiti malati delle onde che si infrangevano a meno di mezzo miglio sulle banchine del porto.
I ricordi si fondevano con il lamento dell’uccello che volteggiava affamato, come se l’uomo fosse il responsabile della penuria del suo nutrimento vivo.
Il lupo di mare da lustri aveva dismesso la pipa di radica, lasciata nell’angolo dei ricordi. Teneva tra le mani un logoro pacchetto di Black Cavendish, e fissando la distesa d’acqua, cercava, come il gabbiano, un qualcosa a cui aggrapparsi per sopravvivere.
Erano passati decenni da quanto si era imbarcato, dopo l’Accademia, per dare il suo contributo alla salvezza di quel liquido azzurro che bagnava indistintamente uomini di ogni razza e colore, navigando su onde di ogni dimensione, attraverso l’infinità placida o in tempesta.
Il mare era quello di sempre, ma, il suo mare, non esisteva più. Era stato svuotato giorno per giorno, spogliato delle sue specie, soffocato dall’ingordigia scientifico-predatoria.
Era il suo ultimo viaggio. Poi la senescenza. Ora,ad accompagnarlo solo nostalgie che lo opprimevano, come se il cuore avesse preso due cuccette: una per disperazione e l’altra per sconforto.
I Le rimembranze lo assillavano come una nenia funebre che lo scortavano verso l’ultima meta: la desuetudine, con sogni ormai inumati. Nel cuore il peso per quel mondo azzurro asfissiato, soffocato e contaminato dai rifiuti dell’essere umano.
Il gabbiano smise di volteggiare sopra l’imbarcazione, e planò con grazia sul ponte di prua. Il capitano lo scorse, lì. I loro sguardi si incontrarono. La testa dell’animale si mosse come in un segno di dinego e sconforto. Il vecchio istintivamente gli rispose con un mesto cenno d’assenso del capo.

E l’uomo vide attraverso gli occhi del gabbiano.

Vide la devastazione e la distruzione. Vide le profondità sorvolate e osservate a pelo d’acqua, quando il volatile si lanciava radente per prendere con il becco i pesci che guizzavano sulla superficie. Il capitano vide l’equilibrio naturale sconvolto, con l’ecosistema terracqueo in claudicante per lo sfruttamento intensivo.
 Tutto era cambiato.
Il comandante stava volando grazie al gabbiano, percependo il dolore della vita morente che vedeva nel suo peregrinare inutile.
Altri gabbiani erano morti, uccisi, avvelenati o annegati, soccombendo per la penuria di cibo. Li vedeva tutti. Non conosceva i loro nomi, ma sapeva che comunicavano tra loro maledicendo il genere umano per gli sfruttamenti e le devastazioni, che da anni avevano raggiunto picchi di non ritorno.
Il capitano sentì nella mente un canto che si tramandavano gabbiani “I mari, Gaia e l’Uomo”, e ne rimase affascinato.
“Padre e madre mare, mio sposo, fratello e sorella, fonte di vita dall’inizio della Creazione.  Mi cullasti e mi sfamasti con i doni che ci permettevi di prenderci. Dal cielo ti ho visto, sotto le nubi, durante la tempesta, quando le tue acque erano placide e tranquille. In te ho visto l’uomo inabissarsi alla ricerca di una nuova terra, per fuggire alle atrocità della guerra. Su di te si sono combattute battaglie, sono affondate galee, galeoni cariche di dobloni e sete preziose. Tu, padre e madre, tieni celati negli abissi immensi tesori persi dall’uomo, o creati dalla stessa Madre Gaia.
Per millenni sei stato solcato, abitato da demoni e mostri, usciti dalle paure di quanti volevano affrontare la tua ira, per spingersi oltre il mondo allora conosciuto.
In te sono periti ardimentosi commodori, schiavi, equipaggi composti da nobili decaduti e ladri condannati. Tu, padre e madre, genitore di tutti noi, da te le creature sono giunte, emergendo alla ricerca di una Terra promessa.
Oggi i conquistatori si sono impadroniti di te, ti hanno schiavizzato, sfruttato, seviziato,sterminando le creature che regnavano prima della loro venuta,  scagliandole nell’oscurità delle memorie di un mondo perduto”.

Gaia,salvati, rigenerati  da costoro, e salvali  da se stessi –

Un’onda anomala scosse l’imbarcazione, ma i loro sguardi non si interruppero. In quell’unico istante era come se fossero un tutt’uno con il Creato.
L’occhio sinistro del capitano si inumidì. Una lacrima gli solcò la guancia,come una ferita che gli sconquassava il cuore di dolore.
 Era lui, l’Uomo il responsabile di tutto. II responsabile delle vette scalate e degli abissi creati sul pianeta. È l’Uomo, l’animale distruttore di troppe specie, il nemico del globo, alleato con una cecità che non riesce a voler vedere il nuovo sorgere del sole. L’Uomo, l’essere che da meno di un secolo e mezzo fissa il crepuscolo,fingendo di guardare al placido oceano del nuovo giorno che potrebbe non giungere più.
La lacrima continuò a scendergli, ora come una cicatrice che si sarebbe portato appresso durante gli ultimi anni del suo errabondare con la mente.
Il capitano sbattè le palpebre, e quel legame si dissolse, ma come un eco perdurò nel cuore.
Il gabbiano era volato via. Sul ponte di prora era rimasta una piuma, posatasi sul metallo con la delicatezza di un tuono.

–Mare Nostrum continua a sanguinare le ferite ricevute  –

Il tempo aveva ripreso a scorrere.
Il comandante avrebbe voluto fumare, ma la vecchia pipa, consumata come lui, era un oggetto polveroso, e anch’esso aveva fatto il suo tempo. Tra poco anche egli avrebbe detto addio al suo mondo, e il declivio che giungeva odorava di stantii rimorsi per le gesta incompiute.
L’imbarcazione attraccò. Avvenne il passaggio di consegne con il nuovo capitano – l futuro guardiano del mare immortale –  e il vecchio se ne andò.
Il gabbiano ritornò e si mise a volteggiare su vecchio lupo di mare. I loro sguardi si incrociarono per un ultimo istante. Poi entrambi fissarono il nuovo comandante e si dissero mentalmente all’unisono:
“Il mare sarebbe vissuto per sempre!”.



Marco Bazzato
16.01.2012

Costa Concordia: tutto sommato è andata bene?


Poteva andare peggio.

 Il naufragio della Costa Concordia si è dimostrato “un’opera d’arte di scherzosa imperizia marinaresca” degna di un dilettante, studente superbo delle sceneggiate napoletane, alle prese con una bagnarola di pochi metri, che si arrampica sugli spuntoni di scogli che si manifestano dalla mattina alla sera, facendo affondare il Concordia, come se le Sirene di Ulisse  avessero attratto “l’impubere” capitano di passaggio, amante delle trovate goliardiche.

 Mettersi a fare lo slalom tra gli scogli, non è stata una delle mosse più intelligenti, eppure in rapporto al numero dei presenti, tra passeggeri ed equipaggio, più di quattromila persone, il numero delle vittime è stato per fortuna risicato – attualmente ce ne sono sei di ufficiali e sedici dispersi, lo 0,5%.

Al Titanic andò peggio.

Ma c’è un aspetto che per certi versi può essere considerato positivo: sono stati testati sul campo i sistemi di sicurezza di abbandono della nave, impensabile da fare a livello teorico, anche utilizzando i migliori supercomputer esistenti, mostrando i limiti e la preparazione dell’equipaggio, mal addestrato, spesso che manco parlavano un briciolo di italiano, impauriti e con le scialuppe che scendevano a fatica sull’acqua. I protocolli si testano nelle condizioni reali e non in simulazioni certificate, dove tutti – come marionette – e senza la variante del panico, sanno dare il meglio di se, come tanti soldatini indottrinati nella Corea del Nord.

Ci sono stati dei ritardi – quasi un ora –  delle omissioni, a quanto sembra, ma sarà la magistratura ad appurarlo, causati dal comandate, che ha tardato a darne comunicazioni alla Capitaneria di Porto, ma, quando la macchia dei soccorsi si è attivata, nonostante l’umano panico tra i passeggeri, il deflusso è stato regolare e rapido, vista anche la vicinanza all’isola del Giglio e al dirottamento di altri mezzi navali, giunti in soccorso.

Per i detrattori va ricordati che alla fine il naufragio si è svolto sottocosta, a 150 Mt dalla riva, con gli stessi isolani che si sono apprestati a fornire i primi soccorsi, con coperte, qualcosa di caldo e indumenti asciutti, agli sventurati profughi.

Nessuno ne ha parlato, ma in quel maledetto venerdì 13 dello “slalom del capitano”, più di 1000 persone, in una sola botta, hanno perso il lavoro,ma nessuno ne parla, forse perché la maggioranza delle maestranze erano lavoratori stranieri, quindi non vanno ad incidere nelle percentuali dei disoccupati italiani, anche se nella conferenza stampa di oggi dell’amministratore delegato di Costa Crociere ha dichiarato che tutti i dipendenti della Concordia verranno ricollocati in altre navi. Staremo a vedere.

La cosa più “spassosa” è che l’Italia, ancora, è diventata, per colpa di un codardo, la zimbella del mondo, per lo stupro delle più elementari norme delle leggi del mare – e del buon senso, senza dimenticare che sempre il comandate, rivoluzionando le regole non scritte del mare, ha scelto di “dare l’esempio” ai croceristi, essendo stato tra i primi sopraggiunti a terra,  battendo sul tempo tutti gli altri, indice di scarsa sportività e di totale assenza di sprezzo del pericolo, nonostante fosse stato invitato, dalla Capitaneria di Porto, a rientrare a bordo.

Se non ci fossero di mezzo dei morti, i sopravvissuti traumatizzati, che presenteranno per mesi sindromi da stress post traumatico e le class action che colpiranno la Costa Crociere e tutti i responsabili, il rischio di inquinamento ambientale a causa delle tonnellate di gasolio presenti nella pancia del cruiser che giace addormentato su un fianco, che rischia di colare a picco, ci sarebbe da “ridere” per lo “spettacolo” che l’Italia ha mostrato al mondo, con i media che hanno spedito i loro inviati per i reportage e con le prime pagine di quotidiani e siti internet che hanno consumato milioni di pixel, per descrivere gli eventi.

Come andrà a finire? Si spera non a tarallucci e vino, ma con i colpevoli che pagheranno fino all’ultimo euro per i danni morali e materiali patiti dai croceristi, anche se si potrebbe pensare che alla fine, come ormai già si sta appurando, tutte le colpe saranno scaricate – giustamente – sul comandate, e con le compagnie di assicurazioni che faranno il possibile per non pagare i danni. Insomma, gli avvocati stanno affilando i coltelli per combattere all’arma bianca, pregustando parcelle succulente, pur di far sganciare meno euro possibile ai loro assisiti, lasciando in secca tutti i danneggiati...

Marco Bazzato
16.01.2012

lunedì 9 gennaio 2012

Boicottare la Golden Lady?

Continua la polemica sulla libertà imprenditoriale di de localizzare all’estero. Non ultima in ordine di tempo è il gruppo italiano Omsa, proprietaria del marchio Golden Lady, famoso anche all’estero, che ha deciso di de localizzare parte della produzione in Serbia. E da qui sono iniziate le polemiche, oltretutto strumentali, da parte delle forze politiche, così brave a pretendere la libertà d’impresa, quando si investe in Italia, ma pronte alla barriate ideologiche quando un imprenditore sceglie di recarsi all’estero, dove il costo del lavoro e la manodopera è inferiore, senza contare gli eventuali sgravi fiscali che riceve per l’apertura in determinate aree di uno Stato, per impiantare un nuovo stabilimento.

Certo è chiaro il dolore e la disperazione delle dipendenti licenziate, che non sono poche, ma come contrappunto non va dimenticato che l’azienda non chiude per cessata produzione, ma la sposta, creando dei posti di lavoro – mandando al diavolo la cosiddetta solidarietà tra i lavoratori, quando tocca il proprio portafoglio, un po’ come i politici che non vogliono veder intaccati i loro privilegi e aggi – in un Paese che ha il diritto di veder crescere la propria economia interna, attirando investitori stranieri, cosa che l’Italia non riesce a fare con quelli nazionali,figuriamoci con quelli stranieri.

Tra le altre cose è assurda anche la proposta di boicottaggio dei prodotti Golden Lady come misura di solidarietà nei confronti delle lavoratrici – mancando totalmente di solidarietà e ben augurio nei confronti delle neo assunte serbe – in quanto oltre ad essere demagogico, è strumentale, in quanto l’azienda potrebbe e nel suo diritto farlo, pensare alla delocalizzazione altri stabilimenti all’estero, lasciando in Italia, il settore “ricerca e sviluppo”, continuando ad avere ancora il marchio “Made in Italy”, in quanti alle leggi europee interessa dove un prodotto è stato pensato e creato e non prodotto, cosa che già avviene da anni per le confezioni di abiti, scarpe, che spesso anche dai grandi marchi vengono prodotti nei Paesi dell’Est, tramite aziende locali e importate in Italia ed etichettate come “Made in Italy!”

Così come non dobbiamo dimenticare che molte cittadine italiane non hanno bisogno di boicottare la Golden Lady, in quanto vista la stretta economica, che incombe come una cappa nera sul Paese, si preferisce recarsi nei negozi gestiti da cinesi, con la merce in vendita che è reperibile a prezzi inferiori, anche per qualità, ma non sempre però è detto che sia così, perché a proposito di qualità non dobbiamo dimenticare che negli anni ’80 determinati marchi di pneumatici, provenienti o dalla Corea dal Giappone o dall’Austria venivano visti come di qualità inferiore, perché stranieri, ma che hanno saputo dimostrare nel corso degli anni la loro qualità e sicurezza, conquistando fette di mercato non indifferenti, senza che nessuno gridasse al boicottaggio per le ristrutturazioni in tatto nelle aziende produttrici italiane,con le conseguenti perdite di posti di lavoro a causa delle minori richieste. Alcuni esempi tra tutti: Semperit, Vredestein, Toyo e Yokoma.

D’altronde è chiaro perché il governo è non è intervenuto sulla vicenda, in quanto l’Ambasciatore italiano a Belgrado (1), perché gli incentivi che l’Omsa, sono gli stessi della Fiat (2), impensabili nell’Unione Europea, che verranno tolti quando il Paese entrerà nell’Unione Europea, sempre che questa non si dissolva antro pochi mesi e c’è chi giura che forse l’Euro e l’UE stessa, non arriverà a dicembre 2012..

Senza contare che la politica italiana non ha alcun diritto di interferire sulla libera imprenditoria, in quanto il primo “must di un’impresa, grande o piccola che sia, è quella di creare ricchezza per gli investitori, siano essi soggetti fisici, così come giuridici, così come non va dimenticato che le Ambasciate fanno servizi di collegamento tra le imprese individuali e le grandi azienda che delocalizzano all’estero, quindi anche gli eventuali incontri con il governo, invocati da sindacati, sono in questi casi virtualmente inutili, ma buoni a livello demagogico e d’immagine, tanto per dare l’impressione che si sia interessati alle questioni, referendum Fiat – Fiomm docet.

Gli imprenditori e la grande industria italiana continuerà ad andare a produrre all’estero, aumentando l’Emorragia – legale – di posti di lavoro, fino a quando il governo, sia esso tecnocratico come quello attuale, o quello democraticamente eletto dai cittadini, non si metterà al lavoro alacremente, in modo che gli imprenditori italiani restano in patria e che l’Italia, torni a essere un Paese interessante per gli investitori, come lo fu in passato, quando alla fine della Seconda Guerra mondiale,con il Piano Marshall (3) la nazione era industrialmente arretrata, come oggi lo è la Serbia ma sempre meno, grazie anche agli imprenditori italiani che delocalizzano, così come in passato fu per gli imprenditori stranieri che venivano in Italia a produrre, per via del basso costo della manodopera e dalla mancanza di controlli legali, che permettevano agli imprenditori e agli industriali di fare il bello e il cattivo tempo con le maestranze. Così come non va dimenticato che la Serbia è stata “umanitariamente bombardata” durante la guerra del Kossovo (4), colpendo anche industrie e attività non strategiche –  si vociferava al tempo, Fiat esclusa –  per il piacere di ricostruire, come è accaduto pochi mesi fa con la Libia, per metterli in ginocchio, e “colonizzarli” meglio.
Il che è quello che accade da anni, dopo il termine della “festa” è la raccolta degli utili, da parte degli investitori.

L’imprenditoria, sia essa grande o piccola ,cerca luoghi di produzione con il minori vincoli fiscali, legali e imposizioni statali meno invasive possibile, non tanto interessati alla crescita economica della ricchezza delle maestranze, ma perché votati a creare utili per gli investitori o gli azionisti, e in questo momento la Serbia rappresenta per l’imprenditoria italiana e non solo lo stesso “Bengodi”che fu l’Italia per gli investitori stranieri e italiani, che diede vita al “miracolo economico” (5) degli anni cinquanta del millennio scorso.



Marco Bazzato
09.01.2012

venerdì 6 gennaio 2012

Cortina: l’arrivo della Finanza incrementa il volume d’affari?


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Chi l’ha detto che la visita dei “canarini”, così vengono chiamati in gergo gli uomini della Guardia di Finanza, porti con se sventura ,miseria e carestia? È strano, ma nonostante le polemiche innescate dalla visita del 30 dicembre a Cortina da parte di 80 agenti delle Fiamme Gialle, checché
  ne dicano i detrattori, la visita degli ispettori fiscali ha incrementato il numero degli scontrini fiscali emessi, segno che nonostante la crisi la Perla delle Dolomiti  vede l’aumento del flusso turistico ,, rispetto allo stesso giorno dell’anno precedente, segnale forse che i cittadini, desiderosi di vedere i finanzieri all’opera, sono entrati in massa negli esercizi pubblici e hanno consumato.
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Verrebbe da chiedersi se tira di più un Finanziere dentro ad un negozio che una scosciata in vetrina a fare pubblicità? Visti i risultati ottenuti, la gnocca, almeno a Cortina il 30 ha tirato meno dei “canarini”, indice che gli italiani, soprattutto quelli a reddito fisso, vorrebbero una pattuglia di finanzieri davanti ad ogni pubblico esercizio – officine meccaniche, carrozzerie, idraulici, elettricisti, negozi di alimentari, bar, barbieri, calzolai, ristoranti,negozi di abbigliamento e calzature,  centri estetici, etc – studi notarili, cliniche private, dentisti, avvocati, maghi,  cartomanti, prostitute che battono in strada ed escort d’alto bordo, senza dimenticare la grande distribuzione, banche e assicurazioni, e via discorrendo.

Sarebbe la rivoluzione scaccia crisi, in quanto, l’esperienza pilota di Cortina, ha dimostrato oltre  che la Finanza aiuta e invoglia il cittadino a spendere, a entrare, a usufruire dei servizi offerti, con gli esercenti “desiderosi” di mostrare orgogliosamente gli scontrini fiscali battuti a fine giornata, come indice di aumento della produttività, limpida e trasparente, e non “costretti” a lavorare in “nero”, sottobanco, come tanti carbonari, perché è risaputo che una minima percentuale di esercenti disonesti potrebbe esistere, infatti i controlli vengono fatti per stanare i disonesti e per certificare gli onesti, in modo da togliere dal cesto le mele guaste che rovinano quelle sane.

È chiaro che la soluzione di una pattuglia di finanzieri davanti ad ogni attività commerciale o di liberi professionisti è numericamente impossibile, ma se per si adottasse un sistema di scontrini fiscali e fatturazione, dove i dati vengonono inviati in tempo reale, a ogni emissione, all’Agenzia delle Entrate, creando uno storico, con dei range di fluttuazione da definire, in base alla stagionalità, o da altri fattori identificabili, ecco che lo scollamento verso il basso, potrebbe far scattare immediatamente il controllo e la revisione della contabilità, d’altronde si tratterebbe di incrementare ulteriormente la potenza di Serpico, il supercomputer della Finanza, con dei nuovi parametri. È chiaro che per la taratura del sistema il “metodo Cortina”, sarebbe il più adatto, visto che nel giorno dell’ispezione gli introiti degli esercizi commerciali, in base al numero degli scontrini emessi lo stesso giorno dell’anno precedente, sarebbero aumentati mediamente del 300%, segno che la visita della Finanza genera per il Paese, ricchezza, da inserire come valore aggiunto nelle dinamiche aziendali.

Il punto è che non ci sono solo artigiani, commercianti, liberi professionisti e grandi aziende da passare al setaccio, ma anche quella parte del sommerso, che rappresenta quasi il 40% dell’evasione fiscale che viene rubata allo Stato, rappresentata dai doppiolavoristi, ossia quei dipendenti pubblici e/o privati o pensionati che arrotondano – in nero – lo stipendio o la pensione, con consulenze o piccole riparazioni, a cui andrebbe fatta una caccia senza quartiere, perché incassano una parte della ricchezza del Paese che andrebbe stanata, con gli evasori sanzionati pesantemente, stanandoli casa per casa, tramite i controlli incrociati dei conti correnti con tutte le banche dati della pubblica amministrazione.

Tornando al blitz delle Fiamme Gialle a Cortina è chiaro che i giornali hanno attaccato la gran cassa dei colpi sparati alla cieca, dello sparare sul mucchio, però i dati sono incontrovertibili, ma manipolati se letti solo nell’ottica restrittiva, infatti quei 50 possessori di auto di lusso che dichiaravano redditi inferiori ai 30 mila Euro, rispetto al circolante nella zona in quel periodo, rappresentano forse non più del 10% dei veicoli, anche di grossa cilindrata presenti, segno  che la città turistica è fondamentalmente sana, e che solo una stretta cerchia di felloni si aggira nella Perla delle Dolomiti, avendo alle spalle un passato fraudolento e dichiarazioni forse mendaci, per quanto riguarda i redditi nascosti al Fisco, altrimenti le cifre delle auto di lusso i cui proprietari denunciavano redditi da fame, sarebbero state inevitabilmente molto più elevati. Si è assistito ad un tiro al piccione nei confronti delle Fiamme Gialle, che alla fine non hanno fatto altro che fare il proprio dovere, cosa che il martellamento mediatico, con il condizionamento verso i cittadini, vorrebbero far passare come negativo, nonostante tutti i distinguo.

Non si può ipotizzare che il blitz del 30 dicembre del 2011, visto l’incremento di scontrini fiscali possa aver causato un danno d’immagine, anzi, questo ha fatto bene, scontrini alla mano, alla città, mostrando al Paese una località di villeggiatura invernale che nonostante la crisi riesce a incrementare il proprio fatturato, e in tempi di magra come questi, è una cosa positiva, anche se non risolutiva, ma almeno utile per sconfiggere il pessimismo albergante in questo momenti in Italia.

Marco Bazzato
06.01.2012