Naturalmente, fino al terzo grado di giudizio, il genitore, sebbene pregiudicato, deve essere ritenuto innocente, nonostante sia stato condotto in galera, anche se bisognerebbe capire fino a che punto, il figlio ha voluto forzare la mano in famiglia, imponendo un’accettazione del proprio orientamento sessuale, in un nucleo familiare, che viveva in regole, inerenti alla morale sessuale, ferree, e se il figlio ha cercato consciamente o inconsciamente di scardinare, generando una conflittualità esplosiva, dove genitori e figli, ne sono rimasti, con esisti diversi, vittime.
Certo, se il padre, verrà in futuro, ritenuto colpevole e condannato per quanto commesso, usando sul figlio, peraltro maggiorenne un eccesso violento di metodi educazionali e correzionali, a quest’ultimo, terminato il processo si dovrà andare tutta la solidarietà per ciò che la giustizia stabilirà che ha subito. Ma fino ad allora il padre, come ordina la giustizia italiana, è da ritenersi innocente.
Rimane aldilà dell’aspetto giudiziario, l’aspetto etico, culturale e sociale di dove si è svolto il presunto evento criminoso, cioè quanto un figlio ha il diritto di forzare la mano in famiglia, imponendo a genitori e/o fratelli l’accettazione incondizionata del proprio orientamento sessuale, diverso dalla genitorialità eterosessuale, che ha consentito anche la sua nascita, specie se vive o è disoccupato, nonostante abbia conseguito la maggiore età, e per la legge autonomo a tutti gli effetti, entro le mura familiari, mantenuto dai genitori stessi?
Alcuni dicono, condannando eticamente ogni forma di violenza fisica, che ci si trova, sebbene ancora da dimostrare, davanti l’ennesimo episodio d’omofobia. Eppure non ci si rende conto che i genitori hanno subito, vista la loro cultura, una violenza indicibile, quando il sangue del loro sangue, dichiarando la propria intolleranza e la mancanza d’amore nei confronti delle donne, preferendo lussuria e concupiscenza con esponenti del suo stesso sesso, li ha messi con le spalle al muro, condannandoli senza appello ad un’accettazione contraria ai loro valori morali, che vanno rispettati e non violati.
Il diciottenne, adulto per le leggi dello Stato italiano, se avesse rispettato le tradizioni familiari, storiche, culturali e sociali, o se non le condivideva, doveva staccarsi, rendendosi indipendente, facendosi aiutare dalla comunità omosessuale – se solidale come dice d’essere, a parole – se secondo la sua opinione, la convivenza entro le mura domestiche era diventata insopportabile per tutti. Ma ha scelto scientemente di non farlo, scatenando la reazione iraconda di un genitore, che visti i precedenti, al figlio avrebbe dovuto essere chiaro, che non sarebbe stato facile né trattare, e ancor più fargli ingoiare il rospo, il calice di fiele, letale come il sapore delle mandorle amare del cianuro, del proprio orientamento sessuale.
Dire, se il genitore sarà condannato, che il torto sta da parte esclusivamente paterna, è comunque, già da oggi, una forzatura etico-morale, in quanto, sebbene il figlio non possa essere materialmente colpevolizzato del proprio orientamento, doveva usare più accortezza e pudore, evitando di dichiarare i particolari della propria vita intima e o sessuale, soprattutto se coscio dell’ambiente, pregno di radicale impostazione eterosessuale, dove era stato non solo allevato, ma soprattutto concepito e messo al mondo.
Sfortunatamente, in questi casi, sui figli ricadono le colpe, non dei genitori, ma della scienza, che a tutt’oggi, non ha voluto, o politicamente saputo approfondire gli aspetti genetici del problema omosessualità, tenendo i futuri genitori sotto una cappa di nero oscurantismo scientifico, in quando manca una diagnosi prenatale che stabilisca in modo inequivocabile l’orientamento genetico-sessuale del feto, condannando genitori e figli ad una coesistenza difficile, che poteva essere evitata, già in fase uterina, se si fornissero esami genetici accurati, con la conseguente libertà di scelta da parte delle madri, se tenere o eliminare il grumo di cellule che le crescono in grembo. Questo è un ulteriore diritto negato alla donna e a alla maternità responsabile.
Marco Bazzato
27.05.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/
Quest'altro articolo dimostra quanto sia coglione questo qui! Cioé ora giustifica anche un padre che (a parere di questo qui) non ha accoltellato il figlio, gli ha solo fatto un graffio con un coltello. E vabbé, ma scusa, c'ha ragione il padre, se suo figlio è gay deve essere accoltellato. E poi alla fine la colpa non è del padre che ha fatto il gesto, ma del figlio che si è spudoratamente mostrato un'altro gay e (naturalmente) eterofobo (pfffffffff)...amico, io fossi in te chiuderei il blog e cambierei nome all'anagrafe!
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