sabato 31 marzo 2007

Attacco all’Iran?

Il pretesto per un attacco all’Iran sembra cosa fatta. Gli infedeli, secondo il punto di vista occidentale hanno arrestato quindici marinai inglesi, rei d’aver sconfinato il 23 marzo nelle acque territoriali iraniane, fatto smentito sia dagli americani, sia dal primo ministro del Regno Unito.
Dai filmati diffusi dalle agenzie iraniane, sembrerebbe che i prigionieri – nonostante le parole di condanna – di occidentale sgomento peloso – godano di buona salute; nelle immagini trasmesse non si vedono volti eccessivamente tirati, tesi, facce tumefatte e spaurite, occhi fuori dalle orbite per la tensione, anzi sembrerebbe, a differenza dei trattamenti usati ad Abu Irgrab e nella base di Guantanamo, che sia stata rispettata la convenzione di Ginevra.
Il paradosso è che i Paesi occidentali, in prima linea stati Uniti ed Inghilterra, dopo aver imposto all’Onu, risoluzioni di condanna e sanzioni contro uno Stato sovrano, reo di voler disporre tra minimo dieci di energia nucleare per scopi civili, al pari di molti altri Stati nel mondo, rischia d’essere strangolato dalle sanzioni economiche, perché il primario interesse iraniano, non è il nucleare, ma l’avere il pagamento del proprio petrolio, non in dollari americani, ma in Euro; ma l’Europa, pur di non imicarsi il gigante americano, invece di fare i propri interessi, con evidenti vantaggi per i cittadini europei, che al pari degli americani, potrebbe avere il prezioso oro nero (bene reale)m scambiandolo con carta moneta (di valore simbolico), continua ad essere appiattita su posizioni guerrafondaie angolo-americane, che usano l’Onu come una clava mondiale imponendo embarghi e sanzioni strozza popoli.
Non si capisce il perché di tanta esecrazione occidentale per la confessione pubblica di sconfinamento, fatta dal soldato di Sua Maestà. Il giovane soldato, al pari di tanti innocenti iracheni torturati a morte, sta solo cercando di portare a casa la pelle, forse ammettendo ciò che ufficialmente deve essere negato a tutti i costi.
Tony Blair, gli omologhi europei e americani hanno poco da indignarsi per le immagini, e la “confessione”del mariano,, se fosse vera, sarebbe un atto infamante per Inghilterra, e se fosse stata estorta con la tortura, sarebbe in linea con il memorandum, del 16.4.2003 Rumsfeld ad uso interno al generale comandante del Comando statunitense meridionale, che contiene l'elenco e la descrizione delle tecniche di tortura approvate dal segretario alla difesa statunitense e se gli iracheni avessero usato lo stesso memorandum reperibile nella rete, non avrebbero fatto altro che applicare un principio di reciprocità, che è disumano, quando a subirlo sono cittadini o soldati occidentali, mentre è giusto, umano e corretto, quando i fruitori di queste attenzioni particolari, sono mediorientali, e presunti terroristi, vedi il rapimento da parte della Cia, con il contributo italiano dell’imam Abu Omar, dove dopo esser stato condotto in Egitto e torturato, è stato rilasciato, ma lo Stato italiano, gli ha negato il visto d’ingresso per venire a testimoniare al processo milanese.
Nel gioco infame della politica internazionale gli aggressori sono le vittime, gli aggrediti sono colpevoli perché difendono la loro integrità territoriale. Il cittadino medio annebbiato dalla maggior parte del potere mediatico, che con sapiente dosaggio di parole e frasi ad effetto, inducono malafede e all’interpretazione partigiana dei fatti reali e degli eventi, manipolando l’opinione pubblica, verso un pensiero unico.
La crisi diplomatica dovrebbe essere disinnescata non da parte iraniana, ma dagli inglesi, perché ammesso e non concesso che non abbiano sconfinato, nonostante l’ingente forza militare, non sono nella condizione di poter trattare il rilascio dei loro marinai, e se le forze politiche del Regno Unito hanno quell’amplomb diplomatico di qui spavaldamente vanno fieri, dovrebbero ammettere l’errore, e chiudere la faccenda con un congruo risarcimento, ma l’aristocratica e secolare spocchia inglese, difficilmente piegherà la schiena in un gesto d’umiltà plebea, li metterebbe alla pari di quegli straccioni, che come al tempo delle colonie dell’epoca vittoriana, desiderano ancora invadere e sottomettere.
Le uniche vittime, per ora di questa desolante situazione, sono i quindici marinai inviati al fronte a combattere una guerra, non loro, che dovrebbe essere combattuta armi alla mano dai politicanti da strapazzo, Iraniani od occidentali, a cui del popolo non importa nulla, e sono semplicemente carne da macello sacrificabile sull’altare della retorica politica nazionale e internazionale.

Marco Bazzato
31.03.2007
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giovedì 29 marzo 2007

Se Maurizio Corona avesse un po’ di ragione?

Lo scandalo vallettopoli continua a far discutere. Fabrizio Corona, il principale imputato della vicenda, sarà l’unico costretto a pagare per tutti, ma il reality show, come un romanzo d’appendice di infima categoria, si arricchisce di nuovi elementi.
Il punto fondamentale è sapere se Corona è un estorsore, o un semplice commerciante che fa i suoi affari? Eventuali reati valutari, sono un’altra storia, naturalmente.
L’agenzia Corona’s è un piccolo ingranaggio della fabbrica delle popolarità di vip veri o presunti, di intoccabili da prima pagina, che pur di non veder rovinata l’immagine pubblica, erano disposti a scucire cifre non indifferenti, usando come scusante la privacy, quando venivano beccati in situazioni poco consone al loro “rango”,
Non si capisce il perché di questo can can mediatico. Vip, o presunti tali, hanno sempre sgomitato, chi tanto o chi poco, pur d’avere copertine dei rotocalchi, ma ora che si scopre il calderone, sembrerebbe ben documentato del letame che avvolge un determinato mondo, all’apparenza dorato, si arrabbiano col paparazzo di turno, con l’agenzia che vende a prezzi esorbitanti foto a settimanali che poi le tengono chiuse nei cassetti. Per quale utilizzo in futuro?
Qualsiasi persona sana di mente, non scucirebbe centomila euro, duecentomilioni delle vecchie lire, se non avesse intenzioni diverse da quelle pubblicamente dichiarate a destra e a manca. La presunta bontà d’animo di personaggi, più o meno glorificati, difensori strenui dell’integrità del politico, del politicante di turno, dell’industriale, a ben vederli, hanno una luce forse simile al Corna di turno.
Fa riflettere che foto, belle o brutte che siano, che in teoria lesive della presunta privacy di vip, politici beccati con trans, veline, velinette, attricette senza arte e né parte, sorpresi con il naso imbiancato dalla coca, ora si affannino ad infangare non se stessi per i loro “illegali” vizi cocainomani, e nessun profeta del liberismo estremo, fautore della libertà del commercio, abbia il coraggio di difendere la bontà del mercimonio fotografico di Corona, anzi, il linciaggio mediatico ha assunto i contorni tali, da far pensare ad un ondata giustizionalista e forcaiola, nei confronti d fotografi, e agenzie fotografiche, ree d’ave fatto il loro lavoro.
Le colpe, se tali sono, devono essere assunte da coloro che sono stati colti con le mani nel sacco, dove nessun frequentatore di posti Vip, ignora la presenza dei paparazzi appostati con i loro teleobiettivi, pronti a scattare rullini a ripetizione.
Corona certamente non è un martire, ma nemmeno non è un santo, perché nessun santo si muoverebbe concisamente in una vasca piena di squali, se egli per primo non appartenesse a quella specie.
La vicenda Vallettopoli sta assumendo le sembianze di un regolamento di conti con colpi bassi di dominio pubblico, dove nessuno dell’ambiente sa di chi deve fidarsi.
Cosa alla fine ha fatto l’agenzia Corona? Immetteva nel mercato, tramite asta privata, foto scattate dai collaboratori sparsi per Italia,non della massaia sconosciuta , ma del Vip – che voleva essere solo osannato, intoccabile – dell’industriale che col denaro può permettersi tutto o quasi, del politicante importante, amante di bianche piste, zoccole d’alto prezzo, trans e quant’altro.
Il p.m. Woodcock, obbligato dalla legge, ha dovuto segretare il nome del politico a bordo dello Yacht, fotografato in compagnia di tre donne di malaffare – come si diceva nell’antichità – e un transessuale ma, questa imposizione è scorretta nei confronti degli italiani – degli elettori in particolare – perché hanno il diritto di sapere da chi sono rappresentati.
A questo punto c’è da apprezzare Silvio Siriana – dopo le reticenze iniziali – ha ammesso il fatto, sgonfiando lo scoop, recuperando credibilità politica soprattutto, dichiarando che il fotografo che l’ha immortalato nella sequenza “incriminata” faceva il suo lavoro, cosa che altri politici vili, non hanno avuto il coraggio di fare, per paura forse delle mogli, e di perdere la faccia nei confronti del Paese intero.
Tante domande continuano a girare senza trovare risposte: perché Vip e politici non hanno mai denunciato l’attività estorsiva dell’Agenzia Corona? Se i direttori dei giornali erano al corrente di voci di corridoio di tale pratica, come mai non hanno sporto denuncia, come persone informate dei fatti? Sembra che molti sapessero ma tacevano, perché?Se i direttori dei giornali erano a conoscenza che molti “scoop” erano confezionati per mettere il personaggio di turno in copertina, per quale motivo, si sono prestati a questo gioco, pagando i servizi fotografici cifre esorbitanti? Striscia la notizia aveva documentato il fatto, già molto tempo fa.


Marco Bazzato
29.03.2007
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sabato 24 marzo 2007

Media e Vaticano


L’abitudine dei media al dare ampio risalto alle parole del Capo di Stato della Citta del Vaticano ha raggiunto livelli di saturazione fisiologica, difficili da smaltire. Non solo il cittadino italiano, è costretto a vedersi ormai quasi abitualmente le immagini del Capo di Stato della Santa Sede[1], ma anche uno straniero, non avvezzo agli usi e costumi italici, osservando l’Italia tramite i suoi telegiornali, ha l’impressione di piombare in un Paese dove, come in uno stato Teocratico, le prime parole d’apertura spettino di diritto, a questo signore che entra nelle case degli italiani, e non solo, facendo sembrare i media asserviti al piccolo Stato presente all’interno delle mura capitoline.
Il telespettatore, laico, ateo o cristiano, specie se straniero, o italiano residente all’estero è esterrefatto da tanto spazio mediatico, anche perché il piccolo ma potente Stato dispone di canali terrestri e satellitari, e non capisce a capire il motivo costante di tale intrusione, quasi sempre nei servizi d’apertura.
Nemmeno nelle programmazioni di tv internazionali come Al Arabia, o AL Jazira, si nota una presenza così massiccia di personaggi religiosi, infatti privilegiano notizie di carattere generale, nazionale, o internazionale, senza scendere nella classica omelia che un cattolico, se desidera può ascoltare in ogni chiesa del paese.
Il punto non sta nella limitazione della libertà religiosa, difesa dalla costituzione italiana, ma la Fede è un atto privato che il singolo sceglie se portare nella sfera pubblica, ma la Fede si trasforma in pericoloso strumento politico-religioso,quando ad enunciarla è un monarca assoluto, come il sovrano dello Stato della Città del Vaticano, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario[2].
Ogni qual volta il Papa parla, secondo la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, è un soggetto politico, e i media internazionali, italiani compresi, dovrebbero per correttezza d’informazione, aprire i servizi dalla Città del Vaticano, annunciando un servizio di politica estera, perché giuridicamente e legalmente, secondo il diritto internazionale, di tale si tratta, lo stesso dicasi, quando il Sommo Pontefice, esce dalle Mura Vaticane, dove sempre e comunque, in primo luogo rappresenta il suo Paese.

Marco Bazzato
24.03.2007
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[1] www.vatican.va/phome_it.htm
[2] Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Niete cellulari in classe

Niente cellulari in classe. Sai che scoperta. C’era bisogno che un Ministro della Repubblica dicesse ciò? Evidentemente la scuola è alla frutta (avariata) e invece di sfornare studenti con un minimo di educazione civica, sono costretti a rincorrere marmocchi in classe, urlando come ossessi, affinché spengano l’odiato strumento di comunicazione, usato per giocare, filmare, scambiarsi mms, giochini e altre amenità, distraendosi dalle lezioni.
C’è da dubitare che appelli e sanzioni serviranno a qualcosa. I genitori scenderanno sul piede di guerra, pronti a difendere il sangue del loro sangue, dagli attacchi feroci di una scuola, che invece d’insegnare, vuole proibire comunicazioni (inutili), pronti a scendere in piazza, scioperando accanto a studenti svogliati che non possono recidere il cordone ombelicale con la madre, pronta a raccontare e a farsi descrivere l’ultima avventura amorosa, o lo strillo del professore-dittatore di turno, per poi fondarsi a sbraitare come ossesse dal preside.
Siamo al capolinea del buon senso, dell’educazione, calpestata da scorrettezze, sgambetti, professori sbeffeggiati, insultati, vittime di scherzi che farebbero uscire pazzo un morto.
Viene da chiedersi, come le generazioni precedenti, non siano morte sui banchi di scuola, distrutti dallo sfinimento, costretti ad ascoltare tediose lezioni, senza nessuno svago senza possibilità di giocare durante le lezioni, distraendosi dalla noia.
Non serve andare molto indietro nel tempo, per ricordare che prima dell’avvento della “generazione Gsm”, i genitori che dovevano comunicare cose importanti ai figli, telefonavano alla segreteria della scuola, la quale avvisava un membro del personale non docente, che prelevava il pargolo dalla classe e lo accompagnava al telefono, riportandolo poi in classe. Oggi invece lo stress e il disturbo costante è un obbligo, un diritto conquistato da genitori apprensivi, da figli svogliati, allattati al seno televisivo, dove padri e madri, pur di non sentire lamenti e strilli in famiglia li accontentano in ogni capriccio, altrimenti i debosciati si sentono degli esclusi dalla società, che li vuole filmati e firmati, bulli, con l’ultimo modello di telefonino in mano, e attenti ad ogni banalità commerciale.
D’altronde la rivoluzione culturale è gia in atto. È notizia di pochi giorni fa, che in un Istituto Tecnico professionale di Siracusa,una professoressa è stata picchiata da un’alunna e dalla madre a causa di un brutto voto. La malcapitata ha dovuto recarsi al pronto soccorso. Questi, ma non tutti, sono le nuove generazioni,e se in passato il brutto voto comportava da parte delle famiglie una serie di punizioni ai figli svogliati, oggi la colpa è dell’insegnante di turno, rea di fare il suo lavoro, mentre avrebbe dovuto tapparsi gli occhi tornando al voto politico da distribuire con gratuita magnanimità a buoi, asini, ciuchi e somari.
Non si possono incolpare solo gli alunni di questa situazione. I primi somari che dovrebbero tornare sui banchi di scuola, sono certa gentaglia genitoriale imbarbarita, svogliata, che non vuole educare, detesta punire, e menefreghista si disinteressa dei figli, ma li difende oltre la soglia dell’indifendibile, quando si accorgono che, complice anche della loro asineria educativa, si giustificano dicendo: i”o non ho avuto nulla, e mio figlio deve avere tutto quello che io non ho avuto”, con la differenza, che troppi alunni e studenti d’oggi, non conoscono il valore del sacrificio e della rinuncia, e per colpa del modo di diseducare dei genitori, credono che a loro tutto sia dovuto.

Marco Bazzato
24.03.2007
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mercoledì 21 marzo 2007

Il diritto al “Puttan tour”

È inutile nascondersi dietro un’ipocrisia pelosa, una falsa facciata di perbenismo familiare e sociale, perchè sarebbe utile sapere quanti sono stati i maschi, in vita loro, non hanno mai fatto il classico “Puttan Tour”, probabilmente non sono pochi i giovani, che carichi di ormoni, partono con l’auto piena d’amici, per visitare le vie o le zone dell’amore a pagamento.
D’altronde si è giovani e curiosi, o semplicemente impertinenti, e si guida a passo d’uomo, lungo i viali battuti dalle “buone donne” si strabuzzano gli occhi, e gli occupanti nell’auto si lasciano andare a battute volgari, grevi, e fantasie erotiche più o meno spinte, ma senza fermarsi, abbassare il finestrino per iniziare una trattativa commerciale. Diverso è se il Tour” è fatto da un uomo sposato, solo in auto, padre di famiglia, con una carica politica nazionale fotografato da un paparazzo. “Certo, non si crocifigge un uomo perché una volta ha fatto una sciocchezza”. Ma chi vuole crocifiggerlo? L’opposizione politica, la stampa schierata? L’italia perbenista e ipocrita per quella sosta fatta a tarda sera in una via battuta dai trans? Siamo seri, il tapino, ha abbastanza guai in famiglia, con la moglie, presumibilmente incazzata come una faina nello scoprire che il marito, il padre dei suoi figli, l’uomo accanto al Presidente del Consiglio in Italia e all’estero, è attirato, o semplicemente incautamente incuriosito dal fascino ambiguo delle passeggiatrici transgender.
A nulla era servito l’intervento di un settimanale che aveva sborsato la bellezza di centomila euro per ritirare dal mercato gli scatti “proibiti”. Il che fa sorgere la domanda: come mai un settimanale dovrebbe pagare una cifra spropositata per tenere le foto in un cassetto? C’è da dubitare che il direttore abbia pagato le foto di tasca propria, o abbia così tanta discrezionalità di spesa, per non dover rendere conto a nessuno dell’esborso astronomico degli scatti, che da più di una settimana fanno parlare l’Italia. Oltretutto non risulta che tanta bontà di cuore, tanto amore venga riservato da parte di un direttore di settimanale, se il beccato è un operaio qualsiasi, un disoccupato, o un cassaintegrato. Certe forme di bontà d’animo, puzzano come il pecorino, come i calzettoni di lana, tenuti ai piedi d’estate, sotto la canicola rovente, per settimane.
Tante domande, troppi dubbi su questa vicenda Boccaccesca di vizi privati e pubbliche virtù di un alto esponente di governo, che quando apprese la notizia venne ricoverato per una colica addominale.
Molti si chiedono dove finisce il diritto di cronaca, e inizia il confine privato dell’inviolabilità della privacy. Il confine è labile, quasi inesistente, quando una personalità pubblica, una figura politica soprattutto, decide di combinare “marachelle?” in una strada pubblica, conscio di quello che fa, e non possono essere accusati giornalisti, media, organi d’informazione, che per gossip o speculazione politica, riportano in modo documentale il fatto, che non ha mancato di rispetto solo agli elettori, ma alla in primis moglie e alla famiglia, e non può fare altro che prendersela con se stesso per la sua scarsa avventatezza personale.

Marco Bazzato
21.03.2007
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martedì 20 marzo 2007

Sbronzi prima della discoteca

Il quotidiano Repubblica.it, pubblica un articolo apparentemente interessante, solo che fotografa una realtà non solo Veronese, dove i giovani già da decenni arrivano nelle discoteche già sbronzi. La storia da più di vent’anni continua a ripetersi, non tanto perché le nuove statistiche sostengono che si è abbassata la soglia d’età di abuso d’alcolici, ma perché da anni, è a quei livelli, dovuti anche a tradizioni locali di difficile estirpazione.
Un adolescente, già negli anni ottanta, difficilmente si prendeva la fatica “balla” in discoteca, ma arrivava già fatto e barcollante, in quanto, per una sbronza coi fiocchi, avrebbe dovuto dar fondo alla paghetta settimanale o mensile, per bsallare barcollante sulla pista da ballo, fare il fighetto con la squinzia di turno.
I maggiorenni invece, quelli che già si muovevano o con l’auto di papà, o con qualche vecchio macinino di seconda mano, il venerdì sera, andavano in pellegrinaggio supermercato, facendo scorta di birra, whisky e Batida al Cocco, per estrarle dal baule nel parcheggio della discoteca, carburando, come si usava all’ora e tracannando a garganella, prima d’entrare.
Non c’era bisogno di scomodare un’illustre psichiatra per trovare riscontro a quanto è di conoscenza comune, ai residenti nelle vicinanze dei luoghi del divertimentificio a tutti i costi.
Certo, gli sballati del 2007 sono diversi da quelli di vent’anni fa, ma i conti in tasca li sanno fare, tanto è che la tradizione continua, con delle necessità in più. Se vent’anni fa per partire per voli pindarici bastava un francobollo di Lsd, oggi fuori moda, argomento da vecchi fossili preistorici, ora il giovane sballa con pastiglie sintetiche, piste di coca vendute a prezzi di svendita di fine stagione, tanto il costo al grammo è sceso negli ultimi anni, in quanto l’offerta non è più contingentata, ma oltre ad essere aumentata la capacità produttiva, di pari passo, è cresciuta la distribuzione capillare, che grazie alle potenzialità del commercio globale, permette avere un puscher sotto casa, davanti e dentro le scuole, nei luoghi di ritrovo,e dove la fiumana bianca è inarrestabile.
Tornando alla realtà Veronese e Veneta, non va dimenticato, che il Veneto, anche nelle province padovane e veneziane, è allattato ad “ombrette de vin” fin dall’infanzia, dove l’imbevere il dito fin dal bambini, o di nettare di bacco annacquato, è una prassi abbastanza diffusa , senza contare l’enorme esplosione delle enoteche, che stanno soppiantando nel tessuto sociale e culturale della regione, ma non solo, birrerie e fast food.
Esiste in Veneto un retaggio culturale, di matrice contadina duro a morire, dove non serve scomodare abitudini importate dall’Inghilterra, per capire e conoscere una realtà sociale, che spesso appare in evoluzione costante, ma che invece è il rinnovarsi di tradizioni, usi familiari e locali, radicati nella coscienza collettiva della regione da generazioni.

Marco Bazzato
20.03.2007
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sabato 17 marzo 2007

Rapimento Mastrogiacomo:ipocrisia italica

Da giorni la vicenda del giornalista Daniele Mastrogiacmo del quotidiano La Repubblica, rapito in Afganistan, tiene l’Italia con il fiato sospeso.
Nelle ultime ore è trapelata la notizia dell’uccisione dell’autista afgano, accusato d’essere una spia, e giustiziato dagli stessi carcerieri che detengono Daniele Mastrogiacomo.
Ma quanto vale la vita di un ostaggio afgano? Evidentemente per la stampa italiana nulla. L’ucciso,.Saied Agha, 25 anni, padre di quattro figli, saputa della morte del marito, la moglie incinta dell'autista residente a Kandahar, ha perso il bambino,non ha tavuto una parola di pubblico cordoglio da parte del direttore del quotidiano italiano, dalle forze politiche inostrane, che hanno attivato tutti i canali, forse, per salvare solo la vita del giornalista.
Fa orrore pensare che davanti alla morte di un essere umano, forse pagato pochi euro per il servizio di trasporto, nessuno abbia avuto l’umanità, il decoro e il rispetto di spendere due righe di cordoglio, mentre il sostegno a Daniele Mastrogiacomo ai familiari continuano a sprecarsi con appelli alla liberazione, manifestazioni di piazza, illustri premi nobel che si sperticano in parole d’affetto solo al professionista nostrano.
Si è toccato il fondo dell’inciviltà. L’Italia è presente in Agfanistan come esercito invasore, nonostante si continui a spacciare la missione dei nostri soldati, come una forza di pace armata, a cui si chiede il cambiamento delle regole d’ingaggio per partecipare alla prevista offensiva di primavera.
Certo dispiace per il giornalista e i suoi familiari ma loro, almeno per ora, hanno la quasi certezza che il loro caro sia ancora vivo, mentre una vedova afgana (ma chi se ne frega, è una povera stracciona) con quattro figli, sta piangendo, forse nascondesi, e nessuno si degna di scrivere due righe di pubblico cordoglio. Bell’esempio di oggettività, obiettività, etica professionale del giornalismo di casa nostra, dove il provincialismo di cui è intessuto, ha in questa vicenda raggiunto un livello di bassezza, tale da far pensare che il cinismo abbia preso il posto alla dignità professionale e il rispetto per una vita (anche se non appartenente alla ricca e opulenta Italia) strappata ai suoi cari.
Ma se per una malaugurata ipotesi, ciò dovesse accadere anche al prigioniero italiano, ecco che assisteremo allo stracciarsi delle vesti, ai funerali di Stato, a parate di politici in prima fila, forse con la cipolla tra le mani per simulare lacrime di commozione, cordoglio per i famigliari, dimenticando la vittima straniera, il collaborazionista al soldo di un inviato, un collaborazionista pagato, secondo i partigiani antifascisti afgani, dal nemico invasore che vuole fare propaganda.

Marco Bazzato
17.03.2007
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Lettera aperta al predicatore del papa (E se “in capite” ci fosse il veleno)

Caro predicatore del Papa,

tu predichi la quaresima al papa, ma chi la predica a te? Non credi che spetta di diritto a noi, le vittime dei preti pedofili, perché ci hanno definiti “invisibili”, come gli angeli? O, se vuoi, ai martiri, perché quelle mani consacrate, che hanno profanato il nostro corpo, ci hanno ucciso anche l’anima. E pensare che perfino gli atei romani erano arrivati a dire: “Maxima debetur puero reverentia”!

Quando predichi non girare attorno a te stesso per spiegare e tra-spiegare quel Cristo che si spiega solo vivendoLo. E’ per questo che vedi i peccati degli altri e non quelli di santa madre-chiesa? Non possiamo tacere, griderebbero le pietre: e se “in capite” ci fosse il veleno? Con quale autorevolezza può insegnare una chiesa, che assiste alla strage degli innocenti senza gridare in casa propria: “Chi scandalizza un bambino sarebbe meglio per lui mettersi una macina da mulino al collo e buttarsi nel mare”? Negli USA le vittime l’hanno scritto su un monumento dedicato a se stesse, piazzando una macina da mulino davanti all’episcopio di Davenport. Che lezione! Perché non ne mettiamo una nella piazza San Pietro? Tutto il mondo applaudirà quel papa che avrà questo santo coraggio.

“Sepolcri imbiancati, razza di vipere”, il Cristo non lo urla agli atei, alle prostitute, alle copie di fatto, ai divorziati, ma ai sacerdoti del suo tempo. Chi mai, oggi, osa gridarlo ai nuovi “padroni del tempio”? Siamo stufi di chiacchiere, specie se sanno d’incenso. La quaresima non può essere ridotta a uno sterile esercizio di belle devozioni, perché è il luogo di opere di giustizia, cioè di riparazione delle ingiustizie anche nei nostri confronti. Quindi:

1- Né esecutori materiale né mandanti né complici, nessuno resti impunito. Non si tratta di “errori”, ma di “crimini”. Se alcuni Vescovi sono colpevoli, per quale privilegio non devono pagare?
2- La tolleranza zero comincia dall’alto. Non si può premiare i complici per aver nascosto e smistato “le mele marce”, amplificando il disastro. Il card. Bernard Law, promosso arciprete della basilica di S. Maria Maggiore, pontifica (si dice che i comunicandi, quando si trovano davanti a lui si spostano nell’altra fila) e gode del privilegio dell’immunità. Per noi, ogni notte, il privilegio dell’incubo che qualcuno si infili nel nostro letto. I prelati colpevoli di omissione in atti d’ufficio siano giudicati, scontino la pena, facciano penitenza per il resto della loro vita.
3- Opera di giustizia è consegnare i latitanti alla polizia e rimpatriare i fuggitivi dai paesi d’origine alla vigilia del processo (almeno 200 dagli USA). Chi li nasconde sottocoperta nella “barca di Pietro”? Secondo il codice penale è reato di complicità.
4- Perché non hai il coraggio di dire al papa, che il card. Ratzinger ha sbagliato quando dettava ai vescovi le “istruzioni per l’uso” della pedofilia clericale? Può un papa starsene assiso sul trono di Pietro, cioè sul mucchio dei bambini macellati e farsi chiamare “padre di tutti”? Non sarebbe meglio buttare via le insegne pagane, vestirsi di sacco, coprirsi la testa di cenere, convocare dodici vittime e lavargli i piedi, urbi et orbi?
5- La Conferenza Episcopale Americana solo nel 2006 emana le “Norme essenziali” per gestire “la cosa”. Se oggi si riconosce che i delinquenti vanno consegnati alla polizia, vuol dire che ieri, coprendoli, si è sbagliato. Quale penitenza ci si propone di fare?
6- Chiudete tutti i seminari, per carità!, é contro natura crescere un ragazzo senza la mamma e la famiglia, che voi tanto predicate a parole. Se è così essenziale, non è una violenza educare in un ambiente di soli maschi? Se i trasgressori avessero avuto una formazione “normale”, avreste la consolazione di dire: “Non è colpa nostra se, ecc.”. Invece vi confortate con giustificazioni speciose, distinguendo tra pedofilia ed efebofilia o allegando: “Dopotutto la pedofilia si consuma soprattutto tra le mura domestiche…”. Ma chi commette di questi crimini non ha fatto professione di castità, non ha dichiarato al mondo di “agire in persona Christi”. Di grazia, il prete è “configurato a Cristo” anche quando consuma il suo delitto? Nessuna tolleranza zero toglierà di mezzo “le mele marce”, perché il marcio prima di stare nei frutti bacati, negli effetti, sta ma nella causa, l’apartheid del seminario. Il direttore spirituale non sostituisce la mamma; le pratiche di pietà non suppliscono le emozioni né controllano le pulsioni; ascetismo e misticismo non sostituiscono quella “dolce metà”, che completa “l’altra metà”. Ricordi s. Tommaso? “Gratia naturam non destruit”. Perfino l’ONU condanna ogni forma di reclutamento e di segregazione dei minori dalla famiglia (cf Convention on the Rights of the Child, U.N. General Assembly, Document A/RES/44/25, 12.12.1989). I primi cristiani ci hanno lasciato in eredità un’esperienza insuperabile: i presbiteri erano coltivati nel popolo, dal popolo. Solo persone mature, anziane, di provata esperienza possono presiedere la comunità.
7- La causa ultima della pedofilia (agli esperti pronunciarsi su possibili fattori genetici e socio-culturali) non sta anche in una visione distorta del piacere sessuale? Nelle facoltà teologiche sarebbe doveroso approfondire dei testi come quello di C. Jacobelli, Risus pascalis, Il fondamento teologico del piacere sessuale. Fino a quando non avremo una cultura positiva della corporeità; fino a quando non impareremo dai laici, che la gestione del regno del corpo umano appartiene al loro sacerdozio, non potremo mai cambiare rotta. A loro, non a voi, spetta di dettar legge sulla famiglia.
8- Prima di cercare la pagliuzza nell’occhio del fratello (gay, divorziato, ecc.), togliamo la trave dal nostro. Come riparate il male che voi avete occasionato, se non provocato? E la condizione di tutto è la trasparenza. Perfino i senza Dio hanno fatto la loro glasnost! Perché nascondete i numeri (=la realtà) dei preti e delle suore costretti/e a lasciare, occultate i loro figli, le suore abusate, le donne tradite, le novizie importate dal sud del mondo? Riparare vuol dire restituire agli umiliati e offesi la dignità di persone e non costringerli all’anonimato, a farsi “invisibili” per non dare scandalo. Il loro annientamento è il vero scandalo. Il figlio del prete ha diritto di avere un padre; il figlio della suora non sia abortito; il prete che si innamora si sposi. Non è un delitto. Legiferate che non potete fare quello che volete delle offerte, dell’8 per mille, degli immobili e dei capitali, perché “i figli” devono mangiare prima dei “padri/madri”.

Anche noi piangiamo sulla Chiesa. Papa Ratzinger non fa altro che “parlare” di amore, ma lascia in ombra il suo presupposto: la giustizia, che è il suo piedestallo. In campo civile, trattandosi di delitti, bisogna applicare la giustizia. Se rompo la gamba a uno non posso aggiustargliela con una preghierina, con la carità, ma per giustizia devo risarcire i danni. Non si può obliterare la giustizia in nome dell’amore. Sarebbe come dire: noi cristiani, siamo passati al piano superiore, quello inferiore della giustizia non ci riguarda. Senza giustizia non c’è neanche l’uomo come fai a fare il cristiano? La giustizia umana è imperfetta, certo, ma guai se non ci fosse almeno quella nel serraglio della storia. Gesù propone la “sua” legge, la carità, il perdono, nell’intimo della coscienza, non in piazza, cioè nella gestione della convivenza civile. Al giudizio l’esame è in umanità, non in cristianità. Ci verrà chiesto come abbiamo trattato l’uomo nei suoi bisogni primari. Se trovi uno senza scarpe e tu ne hai due paia; per giustizia uno spetta a te, l’altro a lui. Se arrivano due senza scarpe, per amore le dai a loro e tu resti senza. Se non c’è cultura, si capovolgono le cose, come ha fatto l’arcivescovo di Agrigento, contro-denunciando la vittima di don Puleo. E’ il replay della famosa favola del lupo, che beve a monte, e dice all’agnello: “Perché mi sporchi l’acqua?”. Ma mons. Ferraro è ancora là, nel suo regno, a pontificare.
Don Zeno, un vero profeta, diceva: una civiltà si giudica da come tratta la sessualità. Aveva immerso mani e cuore nelle vittime di tante aberrazioni. Noi cristiani, diceva, non chiamiamo il figlio della ragazza madre: "figlio del peccato" come se l'avesse generato il diavolo? Agli orfani abbiamo dato l'istituto non la paternità/maternità, perché non abbiamo messo a frutto la fede, che fa fare le cose impossibili all’uomo (superare i vincoli del sangue). Scriveva al papa di essere un "segugio di Dio. Io conosco il tanfo di satana. E in Vaticano ce n'è parecchio...". Perché la vostra dottrina e la vostra prassi sono funzionali ad un sistema di ingiustizia.

Come possiamo pretendere, da chi non ha vissuto il Calvario nella propria carne, che provi quello che proviamo noi? Tra noi e te c’è il guado delle nostre lacrime e del nostro sangue. E’ questo il battesimo di cui tutti abbiamo bisogno. Visto che sei prossimo alla pensione, perché non vai a stare con gli ultimi per vedere quali quaresimali ti suggerisce la nostra vita di croce? Coraggio, alcuni sono andati a passare la vecchiaia nelle baraccopoli. Noi, con tutte le vittime dell’ingiustizia, ti faremo vedere che il nostro corpo è un ostensorio esposto 24 ore su 24 con le stesse stigmate di Cristo. Ti aspettiamo a cuore e braccia aperti.
p. fausto marinetti

venerdì 16 marzo 2007

Vallettopoli e politica

Lo scandalo Vallettopoli sta facendo uscire falsità, sporcizia, il letame di un certo mondo dello spettacolo, non si tutto naturalmente, della connivenza, del desiderio d’apparire a tutti i costi, vendendo, e svendendo la propria immagine, pur di una compassata sulle copertine dei settimanali pettegolari, chiamato ora più “artisticamente” digossip.
La domanda che molti si pongono, è dove finisce la privacy e inizia l’intrusione pressante sulla vicende private dei personaggi pubblici? Il confine è labile, aleatorio, di difficile individuazione Certo che negli ultimi anni, si ha assistito ad un imbarbarimento dell’industria dello scandalo, del richiamo alle scappatelle vere o presunte di tante dive, divette del circo equestre che è il tritacarne mediatico, dove quanti prima sgomitavano per una compassata in tv o sui rotocalchi, ora scappano via, mantengono un indecoroso silenzio stampa, in attesa degli sviluppi della situazione.
In mezzo a questo mercimonio, gli schizzi di fango, hanno raggiunto anche personaggi politici, potenti, coloro che per loro autodefinizione devono essere intoccabili dagli scandali, e vanno ripresi e fotografati solo durante eventi pubblici, doveora i paladini della libertà di tutti, si spaventano se fotografati con soggetti di difficile interpretazione sessuale, e corrono ai ripari, arrivando ad imporre la censura sugli orientamenti sessuali, che non rivestono interesse pubblico.
Ma come? Si fa un gran parlare dei diritti di tutti,di omosessuali, di travestiti, di transgender, ma quanto un politicante viene beccato in una vita trafficata da queste signore? i diritti dei transessuali diventano merce sporca da non sottoporre ai flash dell’opinione pubblica? Queste persone, che non dovrebbero essere discriminate, che reclamano a pieni polmoni il pieno riconoscimento dei loro diritti individuali, sono rigettati nuovamente nel ghetto, solo perché qualche politico di rilevanza nazionale, o figlio di industriale si trastulla e sniffa droga con uno di loro?
D’altronde le 658 pagine di ordinanza del tribunale di Potenza, pubblicata giorni fa in formato pdf nel portale del settimanale Panorama, e ora tolta, fornisce un quadro abbastanza chiaro, anche se ricco di reticenze, di non ricordo, di cognomi dimenticati, bassezze morali e professionali, degne non di star, ma di prostitute d’alto bordo, dove, però nel calderone mediatico, nel lavaggio dei panni sporchi sulla piazza vengono ribattute solo loro, non chi in yacht o discoteche bramava il sogno a pagamento di una “divina” con qui solazzarsi, pagando profumatamente.
Ora per quei signori si invoca la privacy, il rispetto delle loro libertà, la non rilevanza degli orientamenti sessuali ai fini della vita pubblica.
È vero, a questo punto, solo la prostituta va messa in prima pagina, mentre chi va con loro va e tutelato e protetto nella sua privacy,, altrimenti il personaggio pubblico cade dall’ Olimpo (Bill Clinton docet).
Forse invece varrebbe l’esatto opposto: i politici, chi ci rappresenta in Italia e all’estero dovrebbero fornire nomi e cognomi delle persone che frequentano, e se fanno uso di sostanze stupefacenti, come una recente inchiesta del programma televisivo “Le Jene” ha dimostrato, facendoli ribellare, e alzando l’ennesima cortina fumogena della violazione della privacy, ma volendo costringere gli alunni delle scuole a sottoporsi ai test per vedere se fanno uso di sostanze stupefacenti.
Il popolo obbligato, il politico, in nome della loro privacy, impunito.
Al cittadino si chiede il rispetto delle istituzioni. Giusto, a patto che le istituzioni e i loro rappresentati, siano specchio completo di quanto al cittadino, tramite le leggi, si ordina, si comanda, si punisce, e si obbliga a rispettare. Altrimenti non è democrazia, ma qualcosa di più fosco,e nebuloso, sicuramente ingiusto per una nazione che vuole chiamarsi civile.

Marco Bazzato
16.03.2007
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martedì 13 marzo 2007

Ancora sulle stragi del sabato sera

Ringrazio i lettori che mi hanno attaccato privatamente e pubblicamente riguardo un precedente articolo inerente alle stragi del sabato sera.
Tengo a precisareche non recedo da quanto scritto, perché l’ipocrisia, la bontà pelosa, gli appelli al moderare la velocità, alla prudenza, le campagne contro bevande alcoliche, l’uso di sostanze stupefacenti, invece di dare qualche effetto benefico, sembra aumentino il desiderio suicida dei giovani.
È tempo gettato al vento incolpare la società, case automobilistiche che producono bolidi da 250 e oltre l’ora, incolpare gestori di discoteche, produttori di alcolici (prodotti legali e in libera vendita) spacciatori di droghe, e quant’altro, facendo gli struzzi per non volere andare a fondo sull’origine del problema.
Esiste una generazione di giovani idioti, per fortuna, un esigua minoranza di minorati mentali, che non avendo rispetto per la propria inutile e vuota vita, e coinvolgono nei piccoli e ingigantiti drammi personali gli altri, incolpano la società di quanto non funziona, e in ragione questo deficitare sociale, anziché muoversi controcorrente per provare a cambiare le cose, si accodano come scimmie prive di cervello alla massa belante di quanti consumano l a propria squallida esistenza tra alcol,, piste di coca, per poi mettersi al volante, e privi di ogni freno inibitore e razioncino, pestano sull’acceleratore come ossessi, vittime del loro delirio di onnipotenza di stupefacente immortalità alcolica.
A tal proposito un lettore mi ha scritto che manco d’umanità e comprensione. Lo ringrazio per questa annotazione, ma l’umanità e la comprensione non và alle vittime suicide, ma ai genitori sopravissuti, a quelle famiglie distrutte dal dolore per la stupidità della progenie, per “l’imprudenza” come se non avessero conosciuto i rischi che tali comportamenti autodistruttivi comportavano.
L’assurdo è che la repressione è inutile, l’educazione al rispetto di se stessi sono un optional trascurato, messo in secondo piano, dal bisogno di divertirsi a tutti i costi, dalla necessità di sballarsi, andare fuori di testa, essere pecore che si fanno guidare e guidano se stessi come agnelli sacrificali pronti al macello.
Cosa si dovrebbe dire a questi disadattati? Chiudere le discoteche? Smettere di produrre auto perché sono senza cervello? Non vendere alcolici perché chi vuole farsi un buon bicchiere di vino, o un goccio di grappa dopo cena, debba cercarlo al mercato nero, visto che taluni sono privi di controllo?
Siamo seri per una volta. Il problema è che queste vittime di se stessi, costano un sacco di denaro alla società: vigilanza sulle strade, autoambulanze, funerali, bare, lapidi, spese ospedaliere per i sopravvissuti di se stessi, premi assicurativi che lievitano per colpa di pochi sciagurati, ricadendo sulle tasche della collettività.
Il buon senso ha abdicato, è morto spappolato lungo un’autostrada di notte, è sbandato deviando dalla sua traiettoria per colpa non dell’alta velocità, ma di quel senza cervello che guidava il mezzo. Basta incolpare auto, forze dell’ordine, società civile, per tenere spalla all’incivile di turno, e i media stessi dovrebbero adeguarsi, usando parole più pesanti, nei confronti dei sicari della strada, chiamandoli con il loro vero nome: suicidi di se stessi, e assassini nei confronti di coloro che trasportano a bordo, o che coinvolgono negli incidenti.
Sarebbe forse utile come deterrente, che all’interno e all’esterno delle discoteche venissero proiettati filmati di cadaveri spappolati, giovani in coma con i tubi che escono dai corpi distrutti, foto delle carrozzerie accartocciate, lamiere conficcate nelle carni, volti imbrattati come maschere di sangue, sentendo le grida di dolore, lamenti, imprecazioni, il vomito che esce dalla bocca, i denti fracassati, e quant’altro possa, forse, aiutare a risvegliare dal loro sonno letargico questi dormienti, zombi del ventunesimo secolo, che hanno fatto della loro vita una discarica abusiva da gettare contro un muro, da dirottare fuori strada, sfracellandosi senza pietà, incuranti, se non di se stessi, almeno degli altri. Ma non si può pretendere il rispetto della vita altrui, quando si disprezza fino all’autodistruzione la propria, e gli esempi settimanali sono sulle pagine atroci di cronaca ad ogni nuova domenica mattina.
Un plauso alla libertà d’ammazzarsi e suicidarsi. I vivi ringraziano; i familiari dei morti piangono i figli sotterrati sotto due metri di terra.

Marco Bazzato
12.03.2007
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Dic.co:il ghetto eterosessuale

La battaglia sui Di.co si fa ogni giorno più accesa. Da una parte i presunti asseritori di un Italia laica, libera da dettami vaticani, dall’altra la presunta Italia baciapile, pronta a prostrarsi agli ordini d’oltre Tevere in totale asservimento alle leggi morali della chiesa.
I contendenti dimenticano che esiste una gran parte di italiani, che non si riconoscono da decenni nelle posizioni vaticane, e nella loro libertà intellettuale, davanti a questa diatriba, preferiscono rifugiarsi coraggiosamente sull’Aventino e attendere all’interno di un Ghetto eterosessuale, che le beghe di palazzo, di piazza, e di mercato, terminino.
L’aria è diventata insalubre, i gruppi politici contrapposti si scambiano colpi di fioretto verbale sotto la cintola, in modo volgare e dissoluto, senza tenere conto di quanti per orientamento personale, non condividono in alcun modo la deriva estremistica di un governo, che vuole unire sotto lo stesso tetto, ideologie e forme interpretative familiari, diverse da quelle naturali.
Si è scaduti nella volgarità dissoluta, col cittadino costretto a vedersi in tv scene da film porno eterofobico, dimenticando che esistono fasce protette, na i programmi d’informazione mandano in onda una rappresentazione diversa, non dalle leggi imposte da una chiesa, ma dalle naturali regole naturali della continuazione della specie.
La Tv di Stato, è stata ben attenta a non dar voce alle vibrate parole di protesta di genitori, educatori e famiglie, sedute in prima serata, sono state costrette a subire scene di certa indecenza.
Non si tratta di negare i diritti altrui, ma nemmeno di negare nel nome del diritto degli altri, i propri, riconoscendo che esistono sensibilità individuali, con il pieno diritto d’alzarsi, andare in bagno a dar di stomaco, vomitando la cena appena consumata, quando certe scene vengono trasmesse.
La maggioranza eterosessuale deve rifugiarsi in un ghetto maggioritario, in virtù dei numeri non indifferenti, farsi carico dei propri valori, senza lasciarsi traviare da quanti in nome della loro libertà “affettiva”, si prestano a manifestazioni di dubbio gusto.
In un vero stato laico le reali maggioranze del Paese dovrebbero dettare le regole, non quelle politiche costruite sulla comodità d’avere una poltrona parlamentare, dove l’insieme numerico delle sensibilità individuali, non dovrebbe arretrare dalle loro convinzioni, non per creare barriere ideologiche, ma per evitare di cadere nella trappola del qualunquismo, e del falso buonismo, che vede nell’anarchia la sua summa di libertà.
L’italiano non ha bisogno di asservirsi al Vaticano per affermare i propri valori, la propria cultura, il desiderio di non snaturare la società, non come diritto religioso, ma come diritto naturale, questo non significa essere contro le realtà eterofobiche, ma essere semplicemente a favore delle realtà eterosessuali, che fino a prova contraria, sono unico motore sociale che consentono, nonostante blaterazioni farneticanti, il proseguo dell’evoluzione umana e sociale della società stessa.
Il laico non deve presta spalla ad alcuna dottrina religiosa, né ad alcuna ideologia politica, perché non ne abbisogna, rinchiuderlo in una classificazione di stampo clericale, oltre che ad essere un offesa è un insulto al buon senso, e alla libertà di discernimento individuale.
Ora la parola spetta alla politica, ma non alla politica delle carnevalate di piazza, e nemmeno alla politica d’ingerenza religiosa, ma alla politica che guarda alla società con occhio aperto, sì ai suoi apparenti mutamenti sociali, dove nella sostanza, nella quotidianità essa continua a muoversi secondo leggi ben definite, non codificate dal governo di unoStato che dura lo spazio di una legislatura, ma da quelle leggi a cui anche l’eterofobico, per sua naturale venuta al mondo ha dovuto sottostare, che non può in alcun modo smentire, che ha l’illusione di voler sovvertire nel nome di una convinzione distorta, che non trova però alcun riscontro in alcun testo scientifico degno di questo nome.
In questa triste vicenda dovrebbe calare il silenzio, il laico che si ritiene tale, dovrebbe smettere di lasciarsi suggestionare, dando ascolto a quanti, privi di serie argomentazioni razionali, scientificamente vogliono condurre all’incoerenza personale, nel nome dell’interesse di una minoranza, che desidera deviare politicamente le leggi non dello Stato e della natura stessa.

Marco Bazzato
13.03.2007
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lunedì 12 marzo 2007

DOPO 62 ANNI PUÒ RINGRAZIARE LE FIGLIE DI CHI GLI HASALVATO DUE VOLTE LA VITA

Mario Parise, classe 1922, è un veneto di S. Angelo di Piove. Francesco Piperata, classe 1920, proviene da Petrizzi, un piccolo paese della Calabria.
I due si conoscono durante l’ultima guerra, ambedue soldati in Albania e Yugoslavia. Diventano amici inseparabili.
Durante un rastrellamento tra le montagne, Mario Parise, che da giorni ha una forte emorragia al naso, rimane a terra senza forze, incapace di riattraversare i ripidi pendii per tornare al campo base.
Ognuno pensa alla propria vita e nessuno aiuta Mario Parise. Il giovane soldato viene abbandonato al suo destino lungo i margini di un sentiero, in attesa di sicura morte. Che i partigiani titini non facessero prigionieri era cosa risaputa.
Francesco Piperata è l’ultimo della colonna, vede Mario Parise semisvenuto e incapace di camminare. Lo carica sulle spalle, ma il percorso tra le montagne è troppo duro anche per un uomo forte come lui.
Pur con i partigiani alle calcagna riesce a trovare un mulo, ci carica sopra Mario Parise e lo riporta sano e salvo al campo.
Nel trambusto le armi di Mario Parise non si trovano più. Il rischio ora è che per Parise ci sia una denuncia per lo smarrimento delle armi in dotazione, un fatto gravissimo in tempo di guerra e per il quale era previsto il carcere militare.
Piperata torna indietro, cerca per tutta la notte e al mattino successivo fa ritorno al campo con le armi di Parise.
L’otto settembre del 1943 arriva l’armistizio dell’Italia con gli anglo-americani. Chi non continua a combattere con la Germania viene fatto prigioniero dai tedeschi.
Dopo un lungo e duro girovagare per Yugoslavia, Austria, Cecoslovacchia e Germania, il battaglione di Piperita e Parise viene trasferito in un campo di lavoro nei pressi di Berlino.
Al loro arrivo Parise sta nuovamente male e ha bisogno di cure e di cibo. Il destino per i più deboli in un campo di prigionia tedesco è già segnato.
Nella confusione i due vengono separati. Quando se ne accorge, Piperata, sfidando la morte per mano delle terribili SS tedesche, corrompendo capi baracche e guardiani con tabacco e cioccolata, cerca per tutta la notte Mario Parise tra le migliaia di prigionieri del campo.
Verso il mattino lo trova e, chissà come, riesce a trasferirlo nella sua baracca. Gli trova del cibo, lo cura e per la seconda volta lo salva da morte sicura.
Alla fine della guerra, miracolosamente vivi, i due si salutano con la promessa di rivedersi presto. Purtroppo ambedue perdono i rispettivi indirizzi.
Parise fa inutilmente delle ricerche. Per anni il suo sogno è quello di riabbracciare l’uomo che per ben due volte gli ha salvato la vita.
Anche Piperata cerca inutilmente Parise. A una delle due figlie dice che il suo più grande desiderio prima di morire sarebbe quello di ritrovare l’amico al quale ha salvato per due volte la vita.
Francesco Piperata è deceduto due anni fa senza aver potuto esaudire il suo desiderio. Mario Parise invece è ancora vivo e gode di ottima salute.
Grazie all’interessamento di un amico, il desiderio sarà in parte esaudito Domenica 18 marzo, quando Mario Parise incontrerà nella sua casa di Sant’Angelo di Piove di Sacco le due figlie di Francesco Piperata.


Vittorino Compagno

domenica 11 marzo 2007

Il complesso da castrazione Vaticana

L’italiano medio soffre di un complesso di difficile catalogazione: Il complesso da castrazione Vaticana. I luminari non l’hanno ancora descritto nei testi di medicina e psichiatria, ma esso emerge in modo preponderante nell’arena politica italica, quando il centro destra per mancanza di identità, usa il piccolo stato d’oltre Tevere come un mantello protettivo di una madre premurosa, mentre il centro sinistra deficitando di alternative dialettiche, preferisce l’attacco a testa bassa alle alte gerarchie politico-religiose del piccolo ma influente staterello (Radicali Docet). Appare chiaro che i due schieramenti sono privi di una dialettica personale e personalizzata, e cercano, o una stampella a cui appoggiarsi, oppure un ipotetico nemico da attaccare, vista la mancanza di originalità e la pretestuosità gratuita di certi esponenti politici, che avendo una spiccata propensione al linguaggio del popolino ignorante, assurgono al ruolo di difensori della laicità dello Stato, dimenticando, o fingendo di non sapere, che ogni volta che nominano in modo diretto o indiretto il Vaticano, continuano a conferire un poter e un’influenza spesso più alta di quella che effettivamente attualmente ha.
Certamente l’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, soffre dell’anomalia teocratica del vicino Stato straniero all’interno delle mura capitoline, ed è innegabile che questo continui ad esercitare la sua influenza, non solo morale, ma anche economica, non solo nell’immaginario collettivo e nelle questioni degli italiani. La colpa principale è di una classe politica, non importa in che parte dell’emiciclo parlamentare sieda, che continua a sentirsi ombreggiata da quella millenaria presenza, che, nonostante il ridimensionamento subito da dopo l’Unità d’Italia, mantiene la sua influenza in modo più discreto, rispetto al passato, il suo potere, anche se mitigato dal fatto, che gli italiani, sebbene i politici di casa nostra fatichino ancora a comprenderlo, da tempo si sono svincolati in modo più netto di quanto all’apparenza possa sembrare, da quel servilismo non solo psicologico in cui per secoli erano stati sottomessi.
Non ci sono ricette per uscire dall’impasse, o forse l’unica e la più reattiva di tutte e quella di iniziare ad ignorare, da una parte politica e dall’altra, quello Stato dentro lo Stato, concentrandosi sulle necessità dei cittadini, escludendo, non fornendo spalla, e non commentando eventuali prese di posizione ecclesiastiche, che fanno solo da cassa di risonanza ai loro argomenti.
Anche se bisogna essere consci che il problema reale, non è effettivamente l’influenza vaticana, tanto è vero che già nel passato, i cittadini del Bel Paese, in occasione dei referendum sull’aborto e sul divorzio, hanno votato andando in netto contrasto con le direttive d’oltre Tevere, ma la radice del problema, sta nella classe politica, che forse, a destra e a sinistra, vivono all’interno di una campana di vetro preilluministica, e prerisorgimentale, continuando a fare la politica delle vuote frasi ad effetto, anziché la politica dei fatti, credendo che il popolo, le antiche masse ignoranti e analfabete debbano essere guidate paradossalmente con gli stessi proclami dogmatici che per millenni hanno guidato l’Italia nei secoli passati.
Sopra a questo bailamane di chiacchere da osteria, sia in parlamento e nelle piazze, e nelle arene televisive, balza all’occhio l’ipocrisia di tanti esponenti del centro destra paladini del cattolicesimo e della cristianità, risultano essere loro per primi pubblici peccatori e concubini, avendo divorziato dalle loro prime moglie, vivendo e convivendo, in seconde nozze civili (proibite dal Dogma) ma hanno la pretesa d’impugnare un microfono per difendere quei valori giudaico-cristiani che loro pubblicamente disattendono.Ttutto ciò è indegno nei confronti di quanto vorrebbero difendere, calpestando praticamente tutto ciò a cui si ergono come paladini senza macchie e senza paura. Complimenti per la coerenza.

Marco Bazzato
11.03.2007
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sabato 10 marzo 2007

Di.co: Hanno gettato la maschera

Il centro sinistra ha gettato la maschera, e, mascherandosi con lustrini e palietts, scende in piazza a Roma, mostrando il vero volto, e a chi effettivamente dovrebbero giovare i Di.co: alla comunità eterofobica.
Fa riflettere che per raccogliere qualche manciata di voti più, persone nate da coppie chiaramente eterosessuali, si pongano in prima linea per difendere il diritto al distruggere le famiglie, e l’identità eterosessuale dell’italia, e del latin lover che nei decenni passati, ha fatto impazzire le donne di mezzo mondo.
Oggi,,per l’ennesima volta, la politica tocca il fondo, raschia nel barile del disordine personale, dell’identità rifiutata, gratta alla ricerca di voti a favori di quanti, che pur essendo nati maschi, vogliono per loro travestitismo personale, entrare nei bagni delle donne, arrabbiandosi quando poi vengono mandati a quel paese.
“L’Italia si deve agganciare alle democrazie più avanzate d’Europa”, è lo slogan dei politicanti da centro sociale anarchico e autogestito, “l’Italia deve essere un paese moderno”, dove al primo posto per le assegnazioni delle case popolari, ci debbono essere “presunte coppie” che pretendono, senza aver la possibilità naturale di concepire figli, d’accedere per via preferenziale all’assegnazione delle suddette, pena l’accusa di omofobia o discriminazione.
L’Italia non ha altre priorità, che non quella di vedere riconosciuto un illusorio diritto ad una minoranza non rappresentativa dell’identità italiana, e deve assistere alla parata di parlamentari e ministri, che invece di lavorare per risolvere i problemi del Paese, preferiscono confondersi dietro piume di struzzo e palietts. Bell’esempio per quanti osservano le tristi vicende provinciali e pruriginose dall’estero. Ci facciamo ridere dietro per l’ennesima volta.
La priorità del governo sono i Di.co; la disoccupazione, la precarizzazione del mondo del lavoro (attuata dal precendete governo D’Alema) è fumo sugli occhi di quanti lamentano salari da fame, la mancanza di asili, scuole fatiscenti, disordine disorganizzato e criminalità organizzata, nuclei familiari che possono avere un figlio solo ad un passo dalla pensione perché il costo della vita è insostenibile; ma per l’attuale governo Prdi non esistono, sono problemi secondari, infimi, di minima importanza. L’aumento esponenziale del consumo di cocaina, le stragi del sabato sera, con giovani tossici ubriaconi sfritellati sull’asfalto: inezie. Vengono prima i Di.co.
Il valore della mancanza di valori al primo posto, con i rappresentati votati soprattutto dalla maggioranza eterosessuale, che si vede voltata le spalle, pugnalata sul diritto di famiglia di un centro sinistra pronto a raccogliere i voti anche dei cattolici quando è il momento dell’accattonaggio, per poi rifugiarsi tra le braccia pelose di uomini che vogliono essere donne. La vittoria del caos, del disordine organizzato, personale e sociale, del dubbio, dell’incertezza, dei conflitti irrisolti, che debbono ricadere come un macigno sulla società violentata, anche da immagini televisive amene, da quanti vogliono a tutti i costi ricevere pietas e\o plauso comune e pubblico, per le loro scelte individuali, che riguardano esclusivamente la loro sfera privata.
L’augurio è che nonostante i richiami all’ordine, i parlamentari dotati di coscienza personale autonoma, non lobotomizzati, votino al momento opportuno con intelligenza, e discernimento, che sappiano alzarsi dagli scanni, uscire disgustati, arrabbiati, frustrati, sbeffeggiati, facendo rotolare nel fango un governo senza governa, che si trastulla tra feste, festini e baccarà. Parlamentari che al pari del presunto orgoglio “Gay” abbiano il coraggio di muoversi nella direzione, non antagonista, ma costruttiva ed evolutiva dell’orgoglio eterosessuale, che non tacciano come cani bastonai, per paura degli urlatori di professione,di quanti, sbandierando come ossessi la discriminazione sessuale, sappiano raddrizzare la schiena, e senza porsi in posizioni innaturali, piegate in modo astruso, dando dignità ad un Paese, che ha perso la faccia, e viaggia senza vergogna verso un abisso etico e distruttivo, privo di forza caratteriale, dove i valori plurimillenari fondati di ogni civiltà sono sradicati, distrutti, nel nome alla fine dei “diritti di chi”?

Marco Bazzato
10.03.2007
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venerdì 9 marzo 2007

Stragi del sabato sera

I media dicono che siamo all’emergenza “stragi del sabato sera”. Si, emergenza idiozia. Emergenza della stupidità umana che ha toccato il fondo della bottiglia, che ha terminato la pista di coca, si è iniettata eroina nelle vene, sfortunatamente senza bolle d’aria.
Di cosa dobbiamo preoccuparci? Dell’estinzione naturale tramite crash degli idioti? Degli ubriaconi, dei drogati?
Il governo corre ai ripari, ma come? Aumentando multe e controlli sulla rete stradale e autostradale? Siamo seri, è pura propaganda demagogica. Il vero problema è che i giovani che si schiantano sulle strade italiane, sono zucche vuote, bravi ragazzi dal lunedì al venerdì che si trasformano senza complicità della società, ma per loro volere personale in autentiche bombe a quattro ruote, dove nemmeno gli amici a bordo si salvano dal idiozia comune, visto che non hanno la lucidità, o deficitano di intelletto per capire che il guidatore è preda della classica scimmia alcolica o da stupefacenti, e ebbri anche loro della musica assordante, della suicida danza tribale, si lasciano andare sghignazzanti e silenziosi, alla follia della velocità infinita, alla distruzione del muro del suono, al rombo rincitrullente dell’ultima fuori serie data in mano al figlio di papà, che non potendo uscire con un rottame pieno di buchi che fa i cento all’ora, si mette a fare i capricci come un bambino dell’asilo perché vuole la “Brum Brum” veloce.
Giungono gli schianti, lamiere contorte, grida disperate di quelli incastrati tra rottami col piantone dello sterzo nel torace, col ferro arroventato che squarcia parte del capo. Lì, tutti a raccogliere pezzi e frattaglie cosparsi sull’asfalto polveroso, pronti a ricercare colpe: l’alta velocità, l’albero bastardo che ha deciso d’attraversare all’ultimo momento, il moscerino spiaccicato sul parabrezza che a causa degli intestini sparsi ha oscurato la visuale del guidatore fatto e strafatto.
Arriva il giorno dei funerali in coda a piangere dietro il carro funebre quei bravi ragazzi dall’intelletto sopraffino, ragazzi senza macchie, senza peccati e paure, ragazzi sfortunati e privi di colpe, quei santi, dove tutti sono pronti a scagliarsi contro la società assassina, contro gestori di discoteche, costruttori d’auto, bar, ristoranti, e quant’altro aiuti a togliere la colpa ai colpevoli nelle bare, distesi, freddi, immobili e maciullati. Loro sono i martiri, i nuovi kamikaze e terroristi del sabato sera, assassini di se stessi e di altri innocenti, spesso presi in mezzo dall’auto impazzita che invade la corsia opposta. Sono assassini che hanno pagato con la morte, il loro desiderio di morire. Non so se si debba provare pietà, rispetto o disgusto per questa generazione impazzita, per questa generazione che non vede l’ora di suicidarsi in mille modi diversi. Alla fine c’è un'unica domanda senza risposta: Perché non tolgono il disturbo in solitudine, in qualche casolare abbandonato, in qualche argine, lontano dalle luci della ribalta e della discoteca. Perché per la loro mania di protagonismo assoluto vogliono la chiusura del sipario della loro vita sotto il calore del riflettore di un cineoperatore che non potrà scaldare quei corpi gelidi e induriti dal rigor mortis? Le colpe sono solo dei morti, ma loro sono impubibili, si sono giustiziati da soli, a noi non resta altro che sperare, che viaggiano per strada nessuno di questi futuri aspiranti suicidi ci fiondi addosso, ammazzandoci senza pietà al rientro da una spensierata cena di famiglia.

Marco Bazzato
09.03.2007
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giovedì 8 marzo 2007

Made in IItaly? Balle!

Rientrato dall’Italia pochi giorni fa, ho potuto appurare come, nel Bel Paese, si continui a vivere alle spalle di paesi che hanno standard economici più bassi di quello italiano.
La settimana scorsa, mi trovavo in un paese a cavallo tra la provincia di Padova e Venezia, dove il lunedì mattina si tiene il classico mercato paesano, e non l’ho trovato diverso dai classici mercati che si possono vedere in quelli che in Bulgaria, sono chiamati villaggi, ma contano di media sempre non meno di quindicimila abitanti, e cioè bancarelle cinesi e arabe.
La cosa che però scandalizza è il vedere come prodotti di fabbricazione bulgara, siano vendituti in Italia a prezzi irrisori, mentre il medesimo prodotto, costruito su disegno italiano,è in vendita nei negozi più chich della capitale a prezzi non alla portata del cittadino medio, che riceve, stipendi che per un italiano possono tranquillamente essere considerati irrisori per lo standard Italiano.
Il cittadino bulgaro paga due volte il benessere della ricca Italia, dove il Bel Paese, ormai svuotato dalla delocalizzazione, sempre alla ricerca di aree dove la lavorazione risulti più conveniente, vende gli stessi prodotti Made in Bulgaria, con una bella etichetta Made in Italy, e il pollo è servito, con il vantaggio a senso unico solo per il produttore che così può tenere bassi i prezzi in Italia, conscio che la perdita italiana, verrà compensata dagli acquisti fatti dai cittadini bulgari.
Questo non fa pensare ad un mercato globale trasparente, dove, in primo luogo il cittadino del paese produttore, si vede truffato del magro salario, per potersi fregiare del tanto decantato Made in (Bulgaria) Italy.
C’è da provare vergogna, quando una classe politica italiana o bulgara non interviene regolamentando e controllando realmente la provenienza delle merci, e non tutelando il consumatore, che è il debole anello finale, privo delle necessarie informazioni.
Il Made in Italy attira ancora consumatori sprovveduti, acquirenti, che in buona fede, credono d’aver un capo di qualità, spesso si trovano tra le mani uno straccio da pochi centesimi, mal lavorato, ma che per il fatto d’avere una teorica produzione italiana, dovrebbe essere garanzia di un buon standard qualitativo, cosa che sovente non è.
Il paradosso è che l’italiano medio cerca convenienza e risparmio acquistando merci di fattura straniera: non importa che siano Bulgare (spesso neppure lo sanno), soprattutto cinesi o di provenienza dai paesi del sud est asiatico. Infatti, basta girare un po’ anche per il centro di Padova, per vedere che molti negozi non hanno più n insegne in lingua italiana, m ideogrammi cinesi, segno, che manca il controllo da parte degli organi competenti in difesa della lingua, perché nel nome della presunta multiculturalità, e del commercio, si è abdicato l’uso della lingua italiana, a favore dell’assimilazione cinese dell’Italia, e in mezzo a questa babele, nulla di quanto si acquista ha ormai una vera provenienza, una fonte certa, un origine a cui si possa risalire con certezza, per conoscere, sei prodotti sono stati fabbricati con standard anche di sicurezza personale dei dipendenti, eguali a quelli richiesti alle ditte italiane.

Marco Bazzato
07.03.2007
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mercoledì 7 marzo 2007

Albano registra in Bulgaria


Il quotiano Bulgaro Sega, oggi da la notizia che la canzone “Nel Perdono” di Albano, è stata registrata negli studi bulgari di Goran Knic Studio di Sofia. Il cantante di Cellino San Marco, che al recente festival di Sanremo è giunto al secondo posto, si è recato nel paese Balcanico lo scorso anno, e lontano dalle abituali consuetudini, non ha rilasciato né interviste, né conferenze stampa, assicurandosi così l’assoluta tranquillità creativa.

Marco Bazzato
07.03.2007
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Presentazione di “Progetto Emmaus” a Vigonovo (Ve)


Presentazione di “Progetto Emmaus” a Vigonovo (Ve)

di Mario Priolo

Il mio primo incontro con Marco Bazzato, avvenne nel lontano anno scolastico 82-83, in una normalissima relazione docente-alunno: subito ebbi modo di scoprire in lui uno spiccato interesse per la storia, la teologia, le scienze esoteriche, sviluppatesi in quelle remotissime aree geografiche comprese tra il Giordano, il Mar Morto, il Tigri e l’Eufrate.
I suoi interessi, piuttosto originali e “stravaganti”m hanno determinato in lui un atteggiamento deciso e piuttosto divergente, rispetto allo schematismo dei programmi scolastici, in cui gli stessi docenti dovevano attenersi.
Altresì le sue scelte e le sue prese di posizione, davano di Marco un identikit di una persona forte già allora, determinata e volitiva.
Volendo riecheggiare il linguaggio della prefazione dell’opera, Marco, già allora girava le “spalle alla folla nell’atrio del tempio, per volgere il suo sguardo “Verso i frutti proibiti”, vietati dal Dogma” o dalle regole scritte e definite da altri.
Giorni fa ho preso in mano in suo romanzo, che viene testè presentato: ho dovuto leggero in tre giorni senza pausa, e senza la necessaria sedimentazione dei suoi assi portanti.
“Progetto Emmaus è un triller dove l’azione domina sul ragionamento” dove personaggi istituzionali, professionali, limpidi e meno limpidi: capi di Stato e servizi segreti internazionali vanno a caccia di Emmanuele, inquisito, maltrattato e stigmatizzato come Gesú. un Gesú in cui non capiamo fino a che punto Emmanuele ricopre l’immagine, un “Gesú” che alla fine verrà condannato a morte da un fantomatico tribunale internazionale che ci ricorda amari processi perpetrati nel medioevo contro malcapitati frati o laici accusati d’eresia.
Le grandi gerarchie religiose ei forti delle potenze imperialistiche, inizialmente convergono nel folle progetto di restaurare l’antico potere spirituale Antico Testamentario, aiutati da frange integraliste e da Stati comandanti da Presidenti conservatori. Pertanto rispolverano le atroci tecniche degli antichi tribunali inquisitoriali, e Ferdinando Y la Forteza diventa un nuovo Bernardo Gui dell’era contemporanea.
Il ritorno di un presunto nuovo Messia, viene cinicamente progettato a tavolino dalle grandi religioni monoteistiche per la restaurazione del nuovo Tempio di Salomone che verrebbe trasferito negli Stati Uniti.
Emmanuele verrà alla luce, ripercorrere tutte le tappe della vita di Gesú, con torture, flagellazioni, stigmate nelle mani, portate a termine in Etiopia.
La fabula narrativa si apre con l’arrivo di Emmanuele a Milano, nelle vesti di un barone che inizia a fare incontri di con una varia umanità della quale si rattrista e ripercorre retrospettivamente la Passione del Primo Uomo Giusto venuto sulla Terra.
Incontra personaggi come Maddalena, Pietro, Giovanni e Paolo: un gruppo piuttosto variegato come personalità e professioni che nell’intreccio dell’opera verrà inseguito, arrestato, qualche volta fuggirà perigliosamente, alcuni di loro saranno uccisi e i Servizi Segreti delle grandi Potenze saranno sempre presi dalla spasmodica attività di arrestare Emmanuele di Paese in Paese, da una cattedrale a un aeroporto.
Tutto quanto si legge bene, dove l’intreccio narrativo si avvilupperà in situazioni di forte suspance.
Dove mi pare d’aver trovato la chiave interpretativa del romanzo, è negli ultimi capitoli, in cui con il ricorso al flash back, l’autore chiarisce quelle transazioni che al lettore sembravano poco chiare, ma che nel contempo lo tenevano legato alle righe che si susseguivano.
L’attualità del romanzo , involge nell’intreccio anche la religione Musulmana, ma non mette ma in discussione il valore della Fede, né tantomeno il rispetto spirituale dei dogmi e delle sacre scritture, qualunque esse siano, ma punta ad un’appassionata “negazione delle istituzioni religiose” a volte irrigidite dai vizi e dalle corruzioni del tempo, “portando sotto le colonne del Tempio i suoi doni antichi: Umanesimo, Fede, Tolleranza, Religione e Libero pensiero”. Questi sono il leit motiv di tutta di tutta la produzione poetica e in prosa di Marco Bazzato, in cui lui stesso, ha sempre ispirato la sua condotta umana e spirituale.

Professor Mario Priolo
Dottore in Lettere.