sabato 6 gennaio 2007

Ammazziamo con gioia

Che bello sentire il sangue altrui scorrere tra le dita,sentire urla di supplica e paura che lacerano i timpani. Non c’è aroma più sadicamente esaltante dell’altrui sofferenza, dell’altrui dolore, che come un farmaco mortale lenisce gli affanni.
Si vive inconsciamente per quell’aroma, per quel nettare delicato delle paure altrui che s’insinuano sotto la pelle, e muovono accecati d’odio e rabbia per distruggere quanti ci circondano.
Essere ipocriti non serve a nulla, se non ad elevare al rango di verità la bugia. Si gode con istinto malsano, quando si vedono corpi morenti dibattersi sulla forca. Si hanno orgasmi sadici nel vedere la disgrazia che accade ad altri, e non a noi, facendoci sentire forti, liberi, fortunati, sfacciatamente gioiosi e giocondi per quei corpi bruciati o fatti i mille minuscoli pezzi, strappati alla vita dal bisogno mortale di vendicarsi, di rubare, distruggere, depredare, rendere proprio quello che non gli appartiene. L’assurdo è che si usa ogni genere di scusa legale, etica, umana e sociale per perpetrare l’insito bisogno costante di godere delle sofferenze altrui, nel vedere quei bimbi con i ventri ricolmi di fame, gli arti scheletrici che non conoscono il sapore d’una costata, l’aroma dolce d’una bibita gassata, ma costretti come cani randagi, come animali braccati a rovistare nell’immondizia, a vivere nella sporcizia, a bere in fiumi e laghi avvelenati dai nostri liquami industriali, riversati in casa altrui, per non sporcare il nostro piccolo giardino. L’uomo è una massa ipocrita e bastarda, che salva una vita sotto la luce dei riflettori dei media e ne ammazza a migliaia nell’oscurità, distante da sguardi altrui. Li macella come bestie pronte al sacrificio rituale, balla, cospargendosi il capo di oli profumati innanzi alle ceneri, ai resti ancora caldi di quelle che per lui non erano persone, ma animali inferiori da abbattere e depredare.
Dicono, che esiste l’amore. Quale fantastica illusione, che fiaba per bambini idioti, per adulti ritardati che credono ancora nelle favole a lieto fine,e non vogliono vedere il mondo popolato da orchi e draghi famelici che riducono in polvere come le sette piaghe d’Egitto quanto incontrano nel loro cammino.
La storia, questa puttana bastarda, non insegna nulla all’uomo, non insegna a migliorarsi, anzi fornisce scuse e alibi per scendere sempre più in profondità verso l’abisso, per ricreare, credendo di portare nuove verità, nuove forme di sadismo e morte.
La nostra società, nell’opulenza falsa e virogena, si avvia, avvolta in un sacco mortuario, guidato dall’un becchino impazzito, verso il cimitero finale, verso quell’arcana e archetipa tomba, dove riverserà come in un infinito coniato di vomito, tutta se stessa. La via, la strada costellata di cipressi secchi ai lati è spiantata, è lunga, diritta, senza nessuna curva, priva di dossi, e angoli ciechi, ci attende al varco davanti alle lapidi divelte, alle tombe violate, con i resti di chi ci ha preceduto.
Il sacco mortale, il virus maligno, è presente in ognuno in forme apparentemente diverse, ma per tutti eguali: il bisogno di schiacciare, demolire, distruggere, sradicare le vestigia del passato, annichilire con pensieri contorti chi ci h preceduto, vedendo appesi ai rami degli alberi quanti ci superano in furbizia, malizia, e potenza. Godiamo come belve affamate, come animali pervasi dal calore dell’accoppiamento quando i potenti cadono dai troni, quando ubriachi delle malvagità che vorremmo compiere, ma gli eventi contrari l’hanno impedito, decadono nei liquami della pubblica gogna, quando invecchiati e stanchi del sangue sparso, e delle cataste fumanti di cadaveri lasciate marcire lungo le vie, vengono presi ed incatenati, processati come servi di un dio maligno, come signori, prima osannati e adorati, ed ora odiati dal profondo delle viscere.
La feccia ci avvolge, ci sommerge, rendendo l’aria stessa che respiriamo colma degli orrori che ci accerchiano,e noi, fermi, immobili, come vittime sacrificali pronte al patibolo, siamo nudi innanzi a quanto non possiamo fermare, arrestare, rendere inerte.
L’uomo comune, il disgraziato, colui, che deve cercare di sopravvivere nelle insidie quotidiane, non è nulla innanzi a quanti, sulle teste delle masse, conducono i giochi, traffici, loschi affari di Stato, incuranti delle sofferenze, delle difficoltà, delle necessità d’avere una vita decorosa. Questi signori, al pari di boia mascherati, nulla importa del destino dei sottoposti, nulla importa delle sofferenze delle nazioni a cui scelleratamente sono stati chiamati a governare. Questi signori, questi parassiti sociali, vivono scortati protetti, viaggiano in auto blindate, in corsie e spazi aerei preferenziali come piccoli dittatori sanguinari, piccoli Soviet che ebbri della loro mediatica importanza, guardano al volgo come a bestie rantolanti, bestie affamate che nulla vogliono se non decoro e civiltà.
Questa civiltà che non è mai esistita dall’inizio del tempo, dall’inizio della storia, questa civiltà da sempre è fondata sul sangue, sull’annichilimento, distruzione e ricostruzione, per poi distruggere nuovamente, illudendo il mondo e l’uomo idiota che essa è il nuovo che avanza, la nuova società, il nuovo uomo, non importa se ariano, europeo, sovietico o americano. È sempre un nuovo uomo fondato su cataste di cadaveri, su mucchi d’ossa, su ventri affamati e morenti, che nulla chiedono, nulla vogliono se non una libertà e pace che mai verrà.

Marco Bazzato
06.01.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/