giovedì 30 novembre 2006

Intervista con Dio

La settimana scorsa ho intervistato Dio, è stato un po’ difficile trovarlo, visto che sta in cielo in terra, in ogni luogo, insomma è un po’ come Andreotti, sempre in mezzo come il prezzemolo.
D: mi dica illustrissimo, lo sa che tra meno di un mese è Natale?
Lui mi guarda con quei due suoi occhini infiniti, si gratta la testa, e sorride.
R: No, che roba è?
D: Come che roba è, si festeggia la nascita di suo figlio nella grotta di Betlemme.
Il padre eterno allarga le braccia e sospira. «Ancora con questa storia. Sono duemila anni terrestri che mi fate una testa come una casa, per un figlio che non ho avuto.
A questo punto lo fisso sconcertato. «Come non ha avuto figli?» gli chiesi perplesso.
Fa un gesto misurato con il braccio, e improvvisamente mi appare davanti tutto l’Universo.
«Embe? Cosa significa?»
Dio sospira quasi come un mantice, capendo la mia ignoranza totale, e mi mostra un libro. «Secondo te, avrei creato tutto questo in sette giorni, come sta scritto qui?» mi domanda, aprendomi le pagine di una vecchia Bibbia, «Vedi dov’è il tuo pianetucolo? È ai margini della Via Lattea, una delle centinaia di migliaia di Galassie dell’Universo. Perché secondo te dovrei aver dovuto scegliere proprio quel pianeta infimo, che da sempre vi ammazzate peggio delle bestie, per far nascere mio figlio, secondo voi il signore dell’Universo in una stalla?»
Mi stava spiazzando, mi grattai la testa confuso, e cercai di provare a vedere le cose dal suo punto di vista, ma facevo fatica. Facevo un’immensa fatica. Decine d’anni di condizionamenti, decine d’anni di lavaggio sistematico del cervello che non riuscivo a scrollarmeli di dosso. «Ma allora…» balbettai, «Tutto quello che mi è stato detto non è vero?» gli chiesi sconsolato.
Dio si alza in piedi, e per la miseria, è più basso di me, un po’ tarchiato, senza barba, ma con un pizzetto malcurato. «Tu sai quanti pianeti abitati ci sono nell’universo?»
«No»
«Centinaia di migliaia. Molti hanno civiltà più evolute della vostra, altre sono al vostro stesso livello, se non inferiore e quelle simili alla vostra hanno tutte questa strana idea che io avrei fatto nascere mio figlio da una vergine, e che poi sarebbe morto e dopo tre giorni resuscitato. Ma ti rendi conto? Ma da chi avrebbe dovuto salvarvi, dalla vostra stupidità?»
«Allora, tu in sostanza non esisti, non esiste nulla di quello che c’impongono a credere?»
«Figliolo, figliolo» iniziò a rispondermi mettendomi una mano sulla spalla.«Ragiona con la tua testa, non con quella degli altri. Ha l’intelligenza, il discernimento, la ragione, usala, per la miseria. Io esisto perché voi mi avete creato con i vostri pensieri, con le vostre illusioni, caricandovi di speranze su una presunta vita eterna, per aiutarvi a sopportare gli sfracelli che vi fate l’un l’altro».
«Ma allora cosa dovremmo fare?» Ero riuscito a trovarlo, dopo aver superato le fatiche di Sisifo, invece di darmi delle rassicurazioni divine, mi aveva sprofondato dentro a nuovi dubbi umani.
«Io esisto dentro l’uomo solo come specchio per le vostre insicurezze. Imparate a credere in voi stessi e non avrete più bisogno d’illusioni o regole religiose, e di riflesso vedrete trasformati tutti i vostri libri in semplici fiabe per bambini».
«Ma questo significa buttare alle ortiche migliaia d’anni di storia e cultura e tradizioni?»
«Le religioni, figlio mio sono solo il riflesso sociale, ma per evolversi, bisogna lasciarsele alle spalle, imparare a lavorare solo su se stessi».
«Cosa devo fare allora in questo Natale?»
«Nulla, assolutamente nulla. Festeggiate i figli nuovi che vengono al mondo, non quelli di duemila anni fa».
«Ma a noi ci dicono che allora sarebbe secolarismo…, il papa, e tutto il resto…».
«Chi sarebbe questo papa?»
«Come non conosci il papa? Il capo della chiesa universale, il vicario di Cristo in Terra!»
«Siete tutti drogati li? Io so che ci sono alcune società folli, ma la vostra le supera tutte. Certo, come ti ho detto prima secondo tante religioni io avrei mandato mio figlio a nascere in luoghi ameni e sperduti, ma che addirittura poi avrei avuto anche un vicario in Terra» mi disse ormai spazientito. «Ma vi bevete tutto come citrulli? Lasciate che un uomo solo vi dica come gestire le vostre esistenze, ma che avete nella testa, segatura?».
«Ma lei, Padre è mai stato sulla Terra?»
«Si, e non mi piacete nemmeno un po’. Siete un pianeta composto di esseri umani falsi, ipocriti, bugiardi, guerrafondai, vi fate governare dai peggiori individui, che in ogni altro pianeta dell’universo non troverebbero lavoro nemmeno come sciacquoni nei bagni pubblici».
«Forse ha ragione lei, ma ci sono anche persone probe, buone, che cercano di sopravvivere ai soprusi al meglio delle loro forze».
«Già, ma se ne stanno rintanati come tartarughe nel loro guscio, e tacciono».
«Cosa dovrebbero fare?»
«Boh, che ne so io dei vostri casini, non ho mica le soluzioni in tasca a tutti i vostri problemi. Ho già abbastanza grattacapi per la testa, e non mi perdo in faccende marginali, come quelle degli abitanti di un pianetino ai margini della vostra Galassia. Senti, hai finito con le domande? Dovrei andare a dar da bere ai fiori, e poi mi sono stancato di ascoltare il tuo piagnisteo».
Dio si mette a passeggiare avanti e indietro con le braccia conserte, fissa un punto indefinito all’orizzonte, e poi ad un tratto si ferma e mi fissa. «Cosa vuoi veramente da me?»
«Voglio solo capire» gli risposi.
«Impara a capire te stesso e chi ti circonda, quello è l’unica cosa che devi capire, tutto il resto è solo fumo negli occhi. Non piegare la testa, ma non schiacciare gli altri. Impara a vivere come un uomo, e non pensare a quello che un presunto dio vorrebbe da te, ma cerca di vedere tu cosa vuoi veramente da te stesso e dalla vita».
Dio si avvicina nuovamente a me, mi stringe tra le sue braccia e poi all’improvviso svanisce. Impiego alcuni secondi per realizzare cos’è accaduto. Sul pavimento rimane la vecchia Bibbia che teneva tra le mani, la prendo, la apro, mi accuccio a terra, e la fisso, e inizio a leggerla con lo stesso distacco, con cui settimane prima avevo letto per puro diletto Il Libro Egiziano dei Morti.

Marco Bazzato
30.11.2006
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mercoledì 29 novembre 2006

Il dovere di far vedere il dolore e la morte

In questi giorni infuria la polemica sulle immagini del malore dell’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che è stato vittima di un collasso durante un comizio. Le immagini del presidente che vitreo sbarra gli occhi, mentre i sensi perdono il contatto con la realtà, oltre ad avere fatto il giro del mondo, hanno acceso l’ennesima discussione politica sulla necessità o no di trasmettere quei fotogrammi di sofferenza.
Se dietro a questa polemica sterile ed inutile polemica non ci fosse la sofferenza, vera o presunta, non possiamo saperlo di una persona, ci sarebbe da ridere per la quantità di sproloqui scritti in scala industriale. È giusto o no far vedere gli attimi di sofferenza di una persona in tv? Dietro a questa domanda idiota si nasconde tutta l’ipocrisia mediatica di cui il giornalismo contemporaneo soffre. Ma come? Viviamo forse nella realtà immaginifica della pubblicità, viviamo forse in un mondo ovattato dove non esiste né dolore, né morte?
Siamo alla panzana più nera, alla polemica becera, all’utilizzo strumentale della privacy della sofferenza di un politico, usata come paravento per comportamenti che sanno da Soviet Supremo. Ma come, se un politico va a visitare un ospedale, va a dare conforto a qualche famigliare sconvolto dal lutto per la perdita di qualche caro, allora lì vedere la sofferenza è un must, un obbligo, un imperativo, perché la plebe deve assistere all’indegno pietoso spettacolo della mercificazione del dolore privato, ma in quel caso il politico fa movimento d’opinione, odience naturalmente sulle spalle di chi soffre, ma se la stessa sofferenza, se gli svenimenti sono di un esponente politico, allora s’invoca il diritto alla riservatezza?
Ma che siamo tutti un popolo di buoi e creduloni. Il cittadino ha il diritto di vedere il politico che soffre, il politico che agonizza, che sviene, è un diritto, perché il cittadino deve vedere quegli stessi uomini che per ragioni di politica internazionale hanno mandato i nostri soldati a combattere e morire per qualche fasulla missione umanitaria, perché abbiamo poi visto i politici fare lacrime di coccodrillo davanti alle telecamere, mentre consolano i parenti di quei giovani morti per la “patria” petrolifera.
La verità è semplice, forse addirittura banale, vogliamo bandire il dolore e la sofferenza dai media e dall’informazione, vogliamo escludere quelle realtà umanamente agghiaccianti che possono colpire ognuno di noi. La morte è una bestia maledetta da esorcizzare, da non far vedere in tv. Ma basterebbe guardare i canali internazionali, a cosa trasmettono le tv straniere durante i loro servizi per rendersi conto del nostro becero provincialismo falso moralista. Basta aprire una televisione del medioriente per rendersi conto di quanto la morte in alcuni posti del mondo è una realtà costante, per rendersi conto che la sofferenza, il dolore, gli svenimenti, gli occhi sbarrati, non sono solo quelli del malore dell’ex premier, ma sono una costante maledetta, di cui, però ci turiamo il naso, chiudiamo gli occhi e fingiamo che non esista.
In tv si deve vedere più sofferenza, più sangue, più morti, più cadaveri dilaniati e arti smembrati, non importa a chi appartengono o che nazionalità abbiano Il cittadino ha il diritto e dovere di sedersi davanti alla tv durante il lauto pranzo e la lauta cena e assistere mentre gira il piatto di spaghetti, il condimento quotidiano d’atrocità e morte. Forse si sveglierà dall’inedia sonnolente in cui è precipitato.
Sarebbe giusto che le scuole accompagnassero gli studenti a far visita a qualche obitorio, a vedere qualche corpo ingrigito dal rigor mortis, a vedere i corpi fatti a brandelli dopo le stragi del sabato sera.
È ora di finirla con questa ipocrita politica della vita, con questa ipocrita politica del va tutto bene e i problemi finiscono sotto il tappeto, è ora di finirla con i documentari storici, con il lavare i cervelli con gli eventi della seconda guerra mondiale, evento che appartiene al millennio passato, è ora di guardare in faccia alla realtà quotidiana, al sangue che ci sta affogando tutti indistintamente. Ma siamo troppo con le pance piene di grasso, con la mente annebbiata da veline, starlette d’infima categoria, opinionisti prezzolati che ci raccontano tutto ed il contrario di tutto. Insomma viviamo in una realtà mediatica, dove al cittadino è continuamente gettata sabbia negli occhi e reso sordo dalle colate di cera bollente infusa da oche starnazzanti che gracchiano idiozie a tutte le ore del giorno e della notte.

Marco Bazzato
29.11.2006
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martedì 28 novembre 2006

La vita è una prigione

Quante gabbie dorate attorno all’uomo, quanti fasulli artifizi, per rendere eterna la carne che marcirà nella fredda terra. Viviamo nella bugia, nell’inganno, nell’illusoria speranza di una vita eterna. Abbiamo una fine umana, ma un destino disumano: divenire cibo per vermi. Chi siamo, dove andiamo, da dove proveniamo? Le eterne domande senza risposta, eterne spiegazioni che ognuno cerca dentro di se, ma non trova. Troviamo un rifugio fallace nella fede, nella speranza d’una vita oltre la morte, nell’illusione d’avere un’anima eterna, mentre sono solo i ricordi vivi che tengono accesa l’illusione che oltre la morte ci sia una vita.
Quanti uomini hanno camminato su questa terra? Quanti pensieri hanno solcato questo cielo che ci sovrasta, quante carcasse scheletriche consumate dalla polvere del tempo? Tutto per cosa? Tutto per illuderci d’esser vivi, per illuderci che la vita sia un dono, una speranza verso un futuro che mai verrà. Siamo polvere dispersa nel cosmo, un granello di nulla che s’illude della propria grandezza, un granello che si dissolve nell’acido della morte, quando esaliamo l’ultimo respiro.
Vivere perché? Per credere che esistere abbia un senso, per credere che siamo esseri creati da qualche dio che ci ama e che ci pone una mano sopra il capo nei momenti di tristezza? Bugie, fantasie, brutti sogni e maledette illusioni.
Siamo schiavi della paura, schiavi d’un inganno mortale chiamato vita, schiavi di corpi decadenti, rifatti, ricostruiti, per illuderci di vivere per sempre.
Meglio essere non nati, che vivere da morti, meglio non essere nei pensieri di nessuno, che non occupare le menti altrui con ricordi fallaci, distorti, rimodellati dall’erodere del tempo. Meglio il flagello oscuro del vagare dentro un grembo, dentro un seme che mai si unirà per costruire una vita, meglio fantasmi dimenticati, piuttosto che esseri striscianti, battaglianti per un esistenza infima, per un esistenza, che non è degna né pensata e né concepita. Siamo figli della lussuria, del coito primordiale, di un atto disumano, che fa gridare per le doglie del parto, che fa piangere lacrime amare, quando la contrazione giunge al vertice e gli arti sembrano staccarsi dal corpo.
Siamo parassiti che infettano l’ambiente, scarichiamo veleni nefasti che appestano l’aria, siamo guerra e sangue, dolore e vendetta, odio e illusione d’amore.
L’uomo è un sacco nero pestilenziale, un virus purulento senza speranze, senza avvenire.
Festeggiamo natali, compleanni, ricorrenze amene, per ricordarci il tempo che passa, per sentire ogni giorno quel cappio nero che si stringe al collo, e che all’ultimo respiro, ci farà schizzare le orbite fuori della testa. Viviamo come zombi, come prodotti industriali con la data di scadenza, attendendo quell’attimo che saremo gettati nei rifiuti, perché carne inerte.
Eppure siamo attaccati a questa nefasta carne, a questo nefasto corpo, a questa vita maledetta, da cui fremiamo d’orrore solo al pensiero di lasciarla, siamo attaccati e non vogliamo morire, piangiamo, quando sentiamo che l’oscurità danza davanti ai nostri occhi, quando vediamo per un attimo il triste oblio della morte. La morte, quando tocchiamo con mano quel nulla eterno, quell’istante senza pensieri, senza dolori, senza sofferenze e senza ricordi, come un rigurgito di vomito, la ricacciamo nello stomaco, imprigionandola, imprigionandosi ancora nel corpo morente, lacerato dal mille sofferenze, distrutto da mille dolori, imprigioniamo alla vita dentro la mente, che la stringe a se, come un figlio che vorrebbe soffocare d’amore, imprigioniamo quei richiami che ci guidano all’oblio, nascondendoli dietro il vacillante riparo delle convinzioni sociali, dietro il cadente nascondiglio dei dogmi religiosi.
Ma lei prevarrà, lei sarà la regina dell’illusoria eternità. La morte sarà, nostra madre, nostra compagna, nostra amica che ci terrà per mano per sempre, sarà quel nettare velenoso che ci sfiorerà le labbra rubandoci l’ultimo respiro, sarà quel vampiro che ci gelerà per sempre il sangue nelle vene.
La morte è quel demone eterno che c’insegue dal primo vagito, è quella mano nera posata sul nostro capo, è quel tocco delicato, sulfureo, proveniente dall’oscurità tenebrosa e abbracciante.

Marco Bazzato
28.11.2006
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Non attaccate la Bulgaria

Una rumena che vive in Romania non dovrebbe fare articoli di un paese che forse non conosce, e che nel suo articolo riporta dati vecchissimi. Poi la Bulgaria è piena di giornalisti che non possono "ottenere la grazia" d'essere corrispondenti per le testate italiane, ma una rumena oltretutto architetto puo' dare la luce a riguardo questo che succede in un paese vicino, ma forse sconosciuto per lei. Il comportamento Italiano e Rumeno contro i bulgari e la Bulgaria e' un segreto di Pulcinella. Se giornale come Avvenire che pretende di obbiettività dell'informazione che pubblica, si fida più di una straniera invece di una persona dal posto, cosa resta per le altre testate che categoricamente sono contro i fatti?.Un' altra cosa, le donne che vendono i loro figli in Italia, sono rom, un' etnia che non ha niente in comune con la nazione bulgara. Il passaporto rilasciato dal certo paese non definisce la provenienza e nè tantomeno l'appartenenza ad un gruppo etnico. La mafia bulgara? Gli italiani hanno dimenticato che prima devono risolvere i loro problemi attuali a Napoli, e non solo lì, e poi giudicare altri paesi. E la presunta "reporter" rumena forse non è informata delle bande rumene che profanano quasi ogni giorno le case delle famiglie italiane e rubano i soldi ai cittadini tramite truffe con bancomat.Essere obbiettivi ci avvicina alla moralità cristiana e cattolica!Sarebbe utile che la signora in questione aprisse un velo più ampio sulle realtà criminali importate in Italia dal suo Paese, questo le farebbe certamente più onore e che lasciasse scrivere ai bulgari le realtà di casa loro.Voglio aggiungere che negli ultimi mesi la stampa rumena si è scatenata contro la Bulgaria. Tralascio per rispetto quanto è stato scritto a sproposito, ma questo da l'idea che forse le preoccupazioni Italiane ed Europee non sono rivolte contro la Bulgaria,ma sono focalizzate, e nessuno lo dice, sull'altro Stato che diverrà membro dell'Unione dal primo gennaio 2007.
Vessela Lulova Tzalova
Giornalista Free Lance

sabato 25 novembre 2006

Violenze in classe: avviso di garanzia agli amministratori del motore di ricerca, ma al professore assente no. Perché?

Il motore di ricerca Google è finito sotto l’occhio della magistratura per il video messo in rete dai ragazzi di Torino.
La procura di Milano in seguito alle percusizioni della Guardia di Finanza, ha messo sotto accusa i vertici della Google Italia per omessa vigilanza[1].
Siamo al paradosso. Di questo passo dovrà essere incriminata anche la ditta che avendo costruito, commercializzato e pubblicizzato il telefonino, quindi tutta la filiera industriale e commerciale che ha permesso ai ragazzi di firmare con il telefonino e poi successivamente metterlo in rete.
Bisogna iniziare a fare un po’ di passi indietro,e rianalizzare la situazione sotto un altro punto di vista, molto più ristretto, ma forse più veritiero, altrimenti si perdono di vista le responsabilità individuali.
Stando a quanto scritto dagli organi d’informazione, la violenza nei confronti del giovane down si sarebbe svolta a cavallo di maggio e giugno dell’anno scorso. La prima domanda che bisognerebbe iniziare a porsi è la seguente: dov’era il professore al momento del fatto?
Partendo da questo ed equiparando l’avviso di garanzia nei confronti della Google, lo stesso avviso di garanzia dovrebbe essere necessariamente inviato al professore che doveva essere in classe a sorvegialare i ragazzi, mentre a quanto risulta riportato dalla stampa gli alunni erano rimasti soli, e rileggendo i vari articoli ancora presenti sulla rete, non sembra che siano stato inviato alcun avviso di garanzia al insegnate uscito dalla classe poco prima che iniziasse il barabaro gioco, ma che nei suoi confronti, il preside ha mosso solo un addebito discipilanre[2].
Ma stiamo scherzando? La prima colpa è del professore, che avrebbe dovuto farsi sostituire durante l’assenza dalla classe, seppur breve, da un ausiliaro scolastico.
Invece cosa fa la scuola? Corporativismo, si chiude a riccio e avvia una semplice azione disciplinare, ma come? Sarebbe interessante sapere cosa questa persona aveva di così importante da fare, e perché non ha chiesto un sostitituo durante la sua assenza.
È paradossale addebitare le colpe ad un motore di ricerca, che nell’assurdo, grazie all’imprudenza di chi ha messo in rete il video, ha permesso che i quattro venissero identificati.
L’avviso di garanzia nei confronti della filiale italiana di Google, appare come un’attacco alla libertà di cirocolazione delle idee, dei pensieri e delle immagini, un tentativo maldestro di creare un precedente, anche per limitare la libertà delle immagini e delle opinioni.
Riporto alcuni estratti di una circolare ministeriale inviata dall’ufficio di Venezia del Ministero dell’università e della riceca, ufficio scolastico regionale[3], datata 5 novembre 2006, certamente non attintente con il quadro in questione, ma che nonostante l’automomia scolastica, da un quandro abbastanza esaustivo di quelle che dovrebbero essere le direttive applicate nelle scuole italiane.

“La vigilanza è obbligo che investe tutto il personale scolastico, riguardando in via primaria i docenti, ma anche gli ausiliari e, a diverso titolo, i dirigenti scolastici (omissione rispetto agli obblighi organizzativi).

Le forme di responsabilità ascrivibili al personale scolastico scaturenti dall’omessa vigilanza sono:
la responsabilità civile extracontrattuale verso i terzi (cioè verso gli alunni e le loro famiglie);
la responsabilità disciplinare (per violazione dei doveri collegati allo status di pubblico dipendente);
la responsabilità amministrativa e patrimoniale (che si genera quando, per effetto della condotta dolosa o colposa del dipendente, l’Amministrazione di appartenenza ha subito un pregiudizio economico);
la responsabilità penale (solo in caso di violazione di norme penalmente sanzionate).


Soffermandosi sulla responsabilità civile extracontrattuale si riportano le fondamentali disposizioni normative del Codice civile:
art. 2047 c.c. “ in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere e volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
art. 2048 c.c. “i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la vigilanza.
Le persone indicate dal comma precedente sono liberate da responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.”

Quindi, la responsabilità civile extracontrattuale sussiste sia nel caso in cui l’alunno autore del fatto sia incapace di intendere e volere sia nel caso in cui il soggetto sia capace; e ancora sia nell’ipotesi in cui il comportamento dannoso dell’alunno sia compiuto nei confronti di terzi sia nell’ipotesi di danno procurato a se stesso.
Tuttavia, in virtù del rapporto d’immedesimazione organica che lega l’Amministrazione ai dipendenti, all’Amministrazione stessa è estesa la responsabilità civile per i fatti cagionati dai propri funzionari e dipendenti (art. 28 Cost.), venendo chiamata al risarcimento ogniqualvolta si riscontri l’ingiustizia del danno e la sussistenza del dolo o colpa per il fatto del dipendente.
In particolare per quanto riguarda il docente, lo stesso non può essere personalmente citato a giudizio a rispondere del risarcimento del danno (fatta salva la facoltà di un suo intervento volontario nel processo civile) poiché, secondo l’attuale orientamento della Cassazione, legittimata passiva è solo l’Amministrazione scolastica.”

I presupposti, per scavare in profondità all’interno della scuola stando anche alle circolari emanate non sembrano lasciare spazio a dubbi.
I genitori del ragazzo Down dovrebbero muoversi in tutte le sedi giudiziarie competenti nei confronti della scuola e del professore assente, il resto dovrebbe passare in secondo piano, visto che la responsabilità primaria è della scuola e dell’insengante, in quanto il ragazzo down era stato affidato all’istituzione scolastica ed essa aveva l’obbligo di vigilare e garantire la sicurezza del diversamente abile, ma invece, è stato lasciato solo, permettendo che accadesse quello che non dovrebbe succedere se il controllo degli alunni fosse adeguato, in quanto gli alunni hanno dimostrato totale incapacità di autocontrollo e analisi critica dei fatti e degli eventi.

Marco Bazzato
25.11.2006
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[1] corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/11_Novembre/24/google.shtml
[2] repubblica.it/2006/11/sezioni/cronaca/video-down/nuovo-video/nuovo-video.html
[3] win.istruzioneveneto.it/giuridico_gestionale/Vigilanza.rtf

venerdì 24 novembre 2006

Il programma Ritalin accelera



Non passa giorno che non venga proposto dai media il problema del bullismo a scuola. Nelle ultime due settimane è scattata la ricerca sistematica dello scoop sugli alunni impertinenti, sugli atti vandalici, sui comportamenti poco signorili dei figli della generazione internet che rivesrano sui portali le loro scorribande scolastiche. Il Paese non ne può più di questa violenza degenerativa, i ragazzi dalle elementari alle superiori, sono diventati piccoli teppisti minorenni che devono essere puniti, devno essere resi inoffensivi e sonnolenti in classe.
Non c’è più rispetto per il professore, per il disabile, per il debole, per il diverso, l’angheria sembra essere diventata il pane scolastico quotidiano, e lo stato deve intervenire. Si ma come?
Drogando i ragazzi, questa è l’unica soluzione, e togliendo i telefonini, che non avrebbero mai dovuto entrare in classe.
Ma la scuola italiana è solo questo, oppure come sempre i casi estremi di pochi idioti, di quattro gatti senza testa, devon a tutti i costi dettare la direzione nazionale dell’ordinamento scolastico? Stando a quanto ci stanno raccontando i media sembra proprio che andrà a finire così.
Ma non preoccupiamoci, la soluzione, che già da anni anche in Italia è a disposizione, sta per accelerare il passo, sta per diventare realtà con grande gioia di una casa farmaceutica in particolare. drogare i bambini, i ragazzi con il Ritalin[1].
I mass media naturalmente non lo dicono, ma intanto il governo sta pensando alla creazione di un atuority contro il bullismo[2], per frenare trovare una soluzione tramite consulenze fantasma, ma pagate dai contribuenti.
Resta da vedere se questa sovraesposizione mediatica di determinati fenomeni, sia rappresentativo della realtà scolastica italiana, oppure con i dovuti distinguo dei singoli casi, non sia un fenomeno così esteso come lo si vuol far credere.
Ma davanti al presunto dilagare di questo fenomeno, viene da chiedersi che ruolo gioca la famiglia, se quella di spettatore passivo, di educatrice mancata, di connivente silenziosa, pronta a rifornire i pargoli di telefonini, abiti firmati, e quant’altro, purchè il ragazzo non crei problemi.
Per tentare d’arginare anche se con estremo ritardo, il Veneto è stata la prima regione italiana a bandire i telefonini da scuola[3]. Strano, che però questa volta a differenza di quanto avvenuto in passato, non ci sia stata le levata di scudi dei genitori, che preoccupati e presenti a corrente alternata, avevano vicemente protestato contro la decisione delle autorità scolastiche. Evidentemente, forse hanno capito che la scuola non dovrebbe essere un luogo di parcheggio, pazzeggio, angherie e soprusi vari.
Ma c’era bisogno di dover arrivare a trovare i filmini delle violenze sulla rete per rendersi conto che qualcosa nella scuola italiana non funzionava? D’altronde, con i professori perennemente in sciopero, le scuole che mancano dei requisiti minimi di sicurezza di legge[4] , e che se fossero locali adibiti da esercizi privati, dovrebbero essere chiusi perché dichiarati inagibili, cosa si può pretendere?
Ma i responsabili di questo degrado sono ancora gli amministratori, i politici, che partendo dalle istituzioni nazionali, via via scendendo fino a quelle locali e comunali, della cultura e dell’istruzione se ne sono sempre disinteressati, tant’è vero che l’Italia si piazza agli ultimi posti, che unita spesso alla loro scarsa preparazione culturale, difficilmente riescono a comprendere, e quindi poter afferrare e risolvere i problemi.
Quindi ben venga l’ennesima commissione di saggi strapagati, che consiglierà, obbligando le famiglie, al far assumere anfetamine ai figli, pena il rischio di un’eventuale perdita della patria e podestà.

Marco Bazzato
24.11.2006
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[1] laleva.cc/cura/ritalin/ritalin_italia.html
[2] bullismo.it/
[3] tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo337083.shtml
[4] repubblica.it/2005/i/sezioni/scuola_e_universita/servizi/sicurezza/giornata-sicurezza/giornata-sicurezza.html

martedì 21 novembre 2006

La madre del delitto di Cogne ha stancato

Non se ne può più. Poche sere fa c’è stata l’ennesima puntata di Porta a Porta dedicata ad Anna Maria Franzoni, la mamma del piccolo Samuele ucciso a Cogne il 30 gennaio 2002.
Ormai si è visto tutto e il contrario di tutto, continando a dare spazio ad una vicenda personale che anche se ha avesse teoricamente sconvolto l’Italia nei fatidici giorni dell’omicidio del bambinino, oggi a distanza di quasi cinque anni ha superato ogni confine del buon gusto, del buon senso e del rispetto della dignità dei cittadini che siedono davanti allo schermo tv.
Non è possibile che una madre condannata in primo grado, anche se non con sentenza definitiva debba trovare così tanto spazio nei media nazionali, rilasciando interviste, scrivendo libri a quattro mani della sua vicenda, venendo trattata come una star e non come una presunta assassina, anche se non in forma definitiva? Certo esistono i tre gradi di giudizio, e nessuno è colpevole fino all’ultima senteza, ma da qui a cercare a tutti i costi l’assoluzione mediatica, dividendo il paese per una omicidio che non dovrebbe trovare i gradi di giudizio all’interno dei media, ma dentro le aule giudiziarie.
Forse al popolo Italiano che la Franzoni sia innocente o colpevole non interessa molto, ma popolo gode di questo spettacolo da circo, per passare il tempo e le serate nelle quattro stagioni dell’anno, visto che sovente oltretutto l’offetta non è delle più allettanti, anzi alcune serate sono addirittura scadenti.
Il caso di Cogne non è nè un caso culturale, nè un evento sociale, nè una qualsiasi altra cosa che elevi l’intelletto, anzi, indipendentemente dai fatti ancora nebulosi è uno dei tanti barbari omicidi irrisolti in Italia.
Una tv che da nei programmi d’approfondimento da troppo spazio ad una barbarie del genere, sfruttando il pietismo peloso della morte di un bambino, invece di trasmettere valori, trasmette l’elevazione del presunto colpevole a soggetto mediatico, usando con cinismo la morte di un bambino (nemmeno fosse l’unico) per riempire i palinsesti televisivi a tutte la ore del giorno con interminabili e logorrici approfondimenti, che non approfondiscono nulla, ma rimpinzano i conticorrenti degli ospiti in studio.
La signora Franzoni è innocente? La smetta di fare la primadonna e si lasci sottoporre ad una nuova perizia psichiatrica che fughi, si spera una volta per tutte, i dubbi e che la giuria la scagioni dalle accuse.
La signora Franzoni è colpevole? Lo Stato le da ancora l’opportunità di non farsi un giorno di carcere, sfruttando una perizia psichiatrica che la definisce insana di mente al momento dell’omicidio, ma che non sussitono i presupposti per la reiterazone del reato, e si chiude la faccenda, e torna ufficilamente pazza al momento dell’omicidio, ma sana tutti gli altri giorni della sua vita dal marito, dai figli, spengendo i riflettori.
Vuole andare in prigione da martire dello sistema giudiziario Si accomdo, nessuno glielo impedisce se ha così piacere di tornare dietro le sbarre per gridare al mondo fino al termine della condanna che lei non c’entra, bene. Tanto nel giro di pochi anni ci sarà un ennesimo indulto per svuotare le galere.
In questi giorni si è assistito all’ennesimo colpo di scena: la rinucia di Taormina a guidare il collegio difensivo, scaricando l’onere ad un avvocato d’ufficio, che sicuramente per mettersi al passo avrà bisogno di settimane se non di mesi per studiarsi gli atti processuali.
Anche questo colpo di teatro assomiglia ad un piano ben archiettato per allontanare e far slittare il più possibile il dibattimento, portando a pensare che alla fine il vero innocente è colui che vuole che la verità venga accertata il prima possibile, mentre queste pratiche dilatorie, fanno supporre ad una fuga dalla verità, ad un ennesimo tentativo di screditare la giustizia, fuggendo dalle aule dei tribunali per rifugiarsi con tutti gli onori che si competono ad un indagata e condannata in primo grado di un omicidio, sulle comode e ovattate poltrone degli studi televisivi, forse il luogo dove oggi questa primadonna, si sente a più agio, e trattata con i guanti bianchi.
C’è una domanda a cui però non ho si è trovata risposta sui media: ma chi veramente paga le spese processuali, le perizie di parte, investigatori, avvocati e quant’altro? Possibile che nessun giornalista abbia mai scavato in modo approfondito da dove, in quasi cinque anni i coniugi Lorenzi hanno trovato il denaro necessario, per far fronte i costi non indifferenti della giustizia? Non credo che nessuno abbia lavorato gratis o, tant’è vero che sarbbe interessante conoscere la cifra fino al giorno d’oggi spesa solo per le marche da bollo…

Marco Bazzato
21.11.2006
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Lino Banfi è tornato alla commedia pruriginosa

Sarà forse l’età, sarà forse la nostalgia per Giovannona Coscia Lunga o per le varie maestre che vanno con gli alunni, ma rsta di fatto che Il Nonno Libero nazionale è tornato sul luogo del delitto della commedia all’italiana, dove tutto si immagina ma poco si vede. È tornato con un lungometraggio di quasi due ore per parlare della realtà eterofobiche con il Tv Movie “Il padre delle spose”.
Quella piccola porzione omeopatica d’Italia grida con gioia al cambiamento, l’Italia arcobaleno sventola le sue bandiere “d’amore” fricchettone per tutti e lo fa come sempre attraverso l’occhio della serratura, attraverso l’occhio pruriginoso delle fantasie maschili più nascoste: il sesso saffico trasformato in presunto amore, nel nome di quei presunti diritti legali di tutti, che vanno contro alla naturalità e all’evoluzione della vita.
Qualcuno dovrebbe spiegare ai cittadini italiani il senso di questa “Opera artistica”, il problema personale di un genitore che scopre d’avere la figlia eterofoba, e quindi “sposata” con un’altra donna, con i rapporti famigliari?
Certo che un padre per l’amore paterno che porta dentro di se perdonerò sempre le scelte scellerate della figlia, ma questo che rilevanza ha con la società?
L’atto individuale paterno, nasce e muore all’interno delle mura domestiche, infatti il dramma dell’uomo è sul dolore della figlia, colpita a morte da una coltellata al petto, e quindi, durante un momento d’estrema sofferenza ammette e permette tutto anche l’inammissibile, togliendo di riflesso al padre sofferente la lucidità della ragione, perché schiavo della sofferenza del dolore.
“Il padre delle Spose” non dice e non aggiunge nulla di nuovo ai vizi italici mostrati già negli anni settanta dal medesimo attore, solo che attraverso l’ideologia di pochi, si vorrebbe imporre a tutti i costi il mettere in piazza quelli che da sempre sono considerati vizi privati, ora trasformate in pubbliche virtù orgogliose.
Il film ha voluto porre l’accento su due realtà per natura inconciliabili, la prima quella rurale e contadina provita, e l’altra quella che porta necessariamente a trasformare l’esistenza umana in un OGM Terminator, ma che a differenza del semente geneticamente modificato, non può in nessun caso riprodursi vista l’uguale polarità dei due soggetti, e quindi destinato inevitabilmente ad estinguersi senza lasciare alcun discendente di sangue dietro di se.
La Tv di Stato ha commesso un errore nei confronti della maggioranza silenziosa dei cittadini italiani, ed è stato quello di trasmettere un film, che, sebbene nella presunta delicatezza è stato trasmesso in fascia protetta, dove minori, figli di coppie eterosessuali si sono visti sotto gli occhi immagini o situazioni, che sebbene non pruriginose, potrebbero essere risultare dannosi per la loro crescita, e appare strano che psicologi, operatori dell’infanzia, e psichiatri siano rimasti in silenzio, senza aprire bocca in nessun dibattito pubblico a difesa dell’infanzia violata per l’ennesima volta, e costretta a subire le ideologie eterofobiche di pochi adulti.

Marco Bazzato
21.11.2006
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venerdì 17 novembre 2006

No vaticano alla satira


Gli strali non ufficiali del Vaticano si abbattono sulla satira e sui comici, che hanno avuto origine da un articolo di Avvenire del 11.11.2006 (1) colpevoli d’essersi macchiati del reato di lesa maestà. Monsignor Georg Gänswein, il segretario di Benedetto XVI, ha commentato ieri le trasmissioni satiriche sul papa (2).
Il Ridge teutonico ha a detto tra l’altro: “Spero che trasmissioni di questo tipo smettano: d'accordo la satira ma queste cose non hanno livello intellettuale e offendono uomini di Chiesa. Non sono accettabili” (3).
L’anatema (4) d’oltretevere ha avuto la consueta grancassa mediatica che si conviene ad ogni parola che giunge da quel piccolo stato straniero situato all’interno delle mura capitoline. Naturalmente per non smentirsi, i giornali filovaticani, hanno preso come metro di paragone i regimi islamici più radicali, dove la censura e la sharia si abbattono come una mannaia sui colli dei colpevoli di profanazione alla religione. Forse il Vaticano si auspica lo stesso trattamento ai giullari e ai comici che irridono gli uomini di chiesa? Ma poi chi sono questi uomini di chiesa intoccabili? In primo luogo non si può far altro che prendere atto che sono persone prive di spirito, prive di allegria per la vita stessa, persone che indipendentemente dallo scamiciato nero che portano addosso, vorrebbero vedere i cittadini italiani, e quindi non cittadini dello Stato Vaticano, piegati e asserviti alle volontà divine da loro imposte.
Gli uomini di chiesa si sono mai chiesti se i cittadini italiani si sentono offesi ,quando aprendo i giornali leggono di preti arrestati per pedofilia? Persone che già in passato si erano macchiati di tali abomini, invece d’essere radiati dalla società religiosa, sono semplicemente stati spostati in altre parrocchie per continuare a solazzarsi sulle loro nefandezze a danno dei minori?
Il comico faccia il comico, e il prete eviti di fare il pedofilo, eviti d’andare a prostitute, a transessuali o con i gay, quelli sono i veri scandali, che devono essere portati alla luce (5). Un paese civile ha il dovere di difendere i cominci e la satira, ha l’obbligo di nono lasciarsi condizionare da uno stato straniero, o sovraterreno, che vorrebbe l’annichilimento del pensiero diversificato, a favore di un pensiero unico, che non tiene conto delle pluralità umane.
I comici italiani nelle loro satire a volte buone, altre meno, prendono di mira il potere, qualsiasi potere, non importa se italiano o straniero, tenendo vigili con la battuta, la goliardia lo spirito spesso addormentato degli italiani, mettendo all’indice, alla berlina tramite parodie o battute salaci, comportamenti, situazioni, tic caratteriali e comportamentali del potente di turno.
Se si dovesse dar seguito agli strali d’oltretevere, per il principio dell’eguaglianza assolutistica vaticana, allora il comico dovrebbe rimanere in silenzio, cambiare lavoro e rinchiudersi in un convento a meditare, visto che la satira non prende di mira solo il papa o gli uomini di chiesa, ma anche politici, subrette, e categorie comuni come massaie, contadini, industriali, operai, e intellettuali. Dando retta a questa corrente si arriverebbe alla cancellazione di ogni spettacolo d’intrattenimento, ad ogni possibilità di ridere e riflettere sui comportamenti umani e sociali della società stessa.
Viene da chiedersi se viviamo in uno stato laico, oppure in uno Stato costretto in modo diretto o indiretto a subire le pressioni, a volte eccessive da una potenza economica straniera che tra i sui cittadini ha il reddito medio pro capite di 407.095 Euro (6), e se i nostri comici ogni tanto non ci facessero sorridere anche innanzi a queste cifre, all’italiano medio, che fatica a sfamare la famiglia ed arrivare a fine mese, o parafrasando il celebre film del compianto Massimo Troisi: Non ci resta che piangere.

Marco Bazzato
17.11.2006
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(1) db.avvenire.it/avvenire/edizione_2006_11_11/articolo_699140.html
(2) ilgiornale.it/a.pic1?ID=133968
(3) ilgiornale.it/a.pic1?ID=133968
(4) Zingarelli [vc. dotta, lat. tardo anathema, dal gr. anáthema ‘maledizione’, da anatíthemi ‘io pongo sopra, dedico’; 1619]
s. m. (pl. -i)
1 Nelle religioni greca e romana, consacrazione votiva agli dei inferi Nella religione cristiana, scomunica solenne contenente originariamente la maledizione dello scomunicato.
2 (est.) Maledizione: gettare, scagliare l'anatema contro qlcu.; fulminare qlcu. di anatemi.
3 †Chi è colpito da anatema.
(5) Vangelo di Tommaso versetto 5
(6) wikipedia.org/wiki/Citt%C3%A0_del_Vaticano

giovedì 16 novembre 2006

Gelosia

Dentro la caverna
dei dolori passati
giace il mio cuore.
È oscura questa grotta,
è lacrime e pianto
per i tradimenti subiti.
Sono immagini nere
volteggianti come avvoltoi
bramanti lo spirito stanco.
Li sento, mi toccano
trascinandomi in oscuri meandri
d’un percepire senza luce.
Dov’è il mio amore?
Lo vedo, ci parlo
eppure è distante.
Lo bramo, lo amo
lo allontano,
vittima prima dei dolori subiti.
Piango lacrime amare
sulla sua nera maglietta
pregna della nostra passione.
È silenzio nella nera caverna
ove l’unico barlume di luce
è cieca rabbia per l’amore che all’attimo
non riesco a sentire.
Lo sento, è presente nel cuore
è forza viva movente emozioni.
Lo sento è forza nascente
da spirito antico,
da spirito presente
d’un antico ponte d’una Venezia perduta.
Ora quello spirito
è qui a recalamare le mie emozioni
facendo nascere paure senza pace.
Parte la mente verso lidi illusori,
lidi di paure, pianto
e rabbia bruciante.
L’antica pergamena
trascritta in nuovi simboli
apparentemente sconosciuti
brucia nel mio corpo come quei fogli ingialliti,
brucia lo spirito come anima in fuga
verso un abisso senza fine.
Gelosia,
quando sento la sua voce
parlare di volti sconosciuti,
quando sento che altrui parole
accarezzano il suo udito.
Ed io in terra distante
mon posso abbracciarlo,
non posso sentire e bramare
il suo spirito nel mio corpo presente.
Mi manca,
mi manca
è ferita d’amore mai chiusa
ferita esposta al pianto del mondo,
ferita di lontananza che cerca nuova pace.
Son qui, chiusa in limbo d’attesa
rinchiusa in una prigione
forse senza speranza.
Sono qui, attendente
il raggio d’un nuovo sole
che illuminerà i nostri volti
in un tramonto di mezza estate.
Sento le spine ferirmi la pelle,
sento le membra bloccarsi
innanzi al muro d’una distanza incolmabile.
Fremono gli attimi d’attesa
fremono i secondi che sembrano secoli
e che mai voglion giungere al destino abbracciante.
Piango nel tramonto d’una grigia sera
in un parco abbandonato
dove una madre culla il suo bimbo
e gli amanti si fanno promesse d’amore.
Piango ripensando ai dolci momenti d’amore,
li sento. In noi sono presenti
come fornace viva
alimentanti l’anima.
Li sento distruggenti
come fiamma infernale
bruciante in un’attesa
che all’attimo è senza fine.
Dov’è la nuova alba?
Il nuovo raggio di sole
il tocco dolce d’una brezza
che accarezza i nostri corpi?
Sento il gelido inverno
raggrinzirmi la pelle,
fiocchi di neve
in cielo volteggianti
toccano terra, morendo.
Dov’è il mio sorriso
in questo mondo perduto?
Dov’è il mio futuro
in questi attimi senza speranza?
Avanzano i miei passi
verso l’imbrunire
danzano i miei capelli
su un corpo che vorrebbe volare.
Silenzio, l’aria aleggia stanca
i pensieri nell’antica caverna d’oscuro pianto
sono rimasti imprigionati,
li sento, non sono più miei
appartengono a demoni neri
che vorrebbero il mio spirito affossare.
Urlo il nome dell’amato
l’eco profondo della mente
rimanda l’eco di nomi ignoti.
aleggianti come in una camera a gas
deprivante la vita.
Aleggia nell’aria stantia
un antico fantasma,
vedo il suo strascico di pizzo
lasciarmi segni nella mente.
Era immagine abbandonata nell’agosto passato,
era risata satanica ritrovata nell’ultimo dolore
fra labbra socchiuse
per non far uscire l’urlo lacerante della vita morente.
Quante piaghe nell’anima
quanti spiriti morti
aleggiano senza volto
nelle paure della mente.
Imprigionata in una caverna senza speranza
attendo il nuovo presente
per dimenticare fra le braccia dell’amato i dolori passati
con nel cuore dolci parole di carezze d’amore,
che mi faranno tornare alla vita.

Marco Bazzato
15.01.2004
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martedì 14 novembre 2006

L’Italia un paese impazzito?

Le sconvolgenti parole del premier Romano Prodi, che ha dichiarato che “Siamo un paese impazzito che non pensa al domani”, oltre ad essere offensive per gli italiani, risuonano beffarde e maligne alla luce di quanto il governo da lui guidato sta portando avanti. Secondo il premier, siamo un popolo che pensa all’interesse personale e non al bene sociale, che pensa al misero orto di casa propria anziché vedere la globalità dei problemi.
Le affermazioni del presidente del consiglio, credo abbiano ferito più di un italiano che non riesce arrivare alla fine del mese, più di un commerciante che si vede quotidianamente strozzato da un fisco iniquo, mentre la delinquenza dilaga, le protezioni sociali calano, la ricchezza del paese va a finire in mano straniera, mentre ammazzare, rubare, spacciare droga, essere pedofilo, camorrista, mafioso, bandito o speculatore finanziario che mette sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie con false comunicazioni sociali, la fa franca.
Certo che siamo impazziti, ma alla pazzia non ci si giunge in un attimo, si è trascinati lentamente dall’inefficienza della macchina statale, dalle ferrovie e dalle compagnie aere sul lastrico, dalle società autostradali fatte con i risparmi degli italiani e vendute ad acquirenti esteri, che difficilmente sistemeranno la situazione della viabilità nazionale, in quanto lo stato stesso non è riuscito a farlo, e pretendiamo che lo faccia una società straniera?
Si siamo sulla via del manicomio, del Ritalin, degli psicofarmaci, per la gioia di psichiatri, psicologi e teorici del equilibrio psichico rubato, defraudato, mandato al macello per colpa di arruffoni senza scrupoli, di giochi internazionali e numeri dettati da alti papaveri, situati non si sa mai dove.
Siamo un paese impazzito, un paese che importa senza esportare, un paese che consuma producendo solo servizi, perché le industrie sono state spostate in estremo oriente o la produzione è fatta dalla nuova schiavitù senza diritti umani, e sindacali minimi, gli stessi diritti che tra pochi anni saranno negati anche ai cittadini italiani se non si inverte la tendenza.
Siamo un paese impazzito? Si, un paese che continua ad eleggere sempre le solite facce, che manda al governo soggetti senza arte e né parte, che poi fanno manovre finanziare ottime di mattina, mediocri di pomeriggio e rinnegate in toto alla sera.
Siamo ostaggi di un manicomio chiamato politica della sopravvivenza, politica dei due anni per avere la pensione a vita, di una politica cui non importa nulla i destini del paese, ma che invece di occuparsi dell’emergenza criminalità sulle strade, delle armi che girano indisturbate dappertutto, si preoccupa di censurare come ai tempi del peggior stalinismo un prodotto intellettuale come un videogioco, senza pensare che non c’è bisogno d’accendere e lanciare un gioco da consolle per immergersi nella violenza, basta uscire sulle strade, camminare lungo le vie poco illuminate dove tossici, papponi, puttane, travestiti, omosessuali e minorenni si prostituiscono e si accoltellano per il dominio del territorio. Ma è meglio fermare un videogioco violento, anziché combattere altre forme di violenza e sopraffazione.
Si, siamo un paese votato alla pazzia, dove l’opposizione del precedente governo Berlusconi, ora al comando della barca Italia dormiva, quando furono stornati per le spese militari i fondi dell’otto per mille della cultura. Quegli stessi uomini pronti a fare le pulci ad ogni sospiro del precedente governo dov’erano? A casa a poltrire, tanto la diaria parlamentare arrivava tramite bonifico bancario lo stesso?
Ora li stessi che erano contro le guerre che fanno? Invece di far tornare i nostri soldati, ne hanno inviati altri al fronte, per far contenti chi? Per gli impegni internazionali? Ma che mantengano le promesse, da mariani ubriachi d’alcol, fatte in campagna elettorale agli elettori.
Sì caro premier, ci sta facendo affondare tutti, come ha fatto affondare a suo tempo la Cirio, l’Alfa Romeo e tutte le industrie di Stato svendute per un tozzo di pane.
Prima di accusare gli italiani d’essere un paese impazzito, si guardi bene a casa propria e si chieda se non ha nessuna responsabilità morale etica e umana su quanto oggi sta avvenendo.
La distruzione dello stato sociale tanto paventata con manifestazioni di piazza nei confronti dei governi di destra, è sempre stata fatta dai governi di centro sinistra, vedi legge Biagi e altro, contratti atipici e cooperative di lavoratori autonomi senza protezione sociale e medica.
L’italiano è ancora troppo buono, forse ha ancora una riserva di pazienza, dei piccoli risparmi messi al riparo dalle mani voraci di Visco che vorrebbe tassare anche le pulsazioni cardiache dei cittadini, il flusso di sangue che scorre ogni giorno in ogni uomo, e i neuroni del cervello di tutti noi se potesse, ma per ora la scienza glielo impedisce. Chissà che tra pochi anni non ci sia la tassa sui pensieri contro i governi che fanno macelleria sociale dei diritti dei cittadini e che scialacquano senza ritegno la ricchezza di uno stato che tra pochi anni invece di vedere sulle strade le gazzelle dei carabinieri, vedrà i carabinieri in groppa a gazzelle, che proveranno a rincorre delinquenti comunque sempre in libertà di un paese desertificato di ogni sicurezza.

Marco Bazzato
14.11.2006
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domenica 12 novembre 2006

Ancora su Napoli

Sono rimasto sorpreso e sconfortato allo stesso tempo dal numero di commenti che ricevuti in forma pubblica e privata a riguardo l’articolo “Calderoli ha ragione?”, e un vecchio detto dice: il dolore batte dove il dente duole.
Tocca Napoli è muori. Tocca il sistema ed è come beccarsi una scarica elettrica, non solo metaforica ma anche di insulti più o meno palesi, ma va bene così, significa che l’attenzione anche se suscita reazioni spesso esagerate, è ben forte e vigile.
Ma tale attenzione, tale forza di parole e di cambiamento va rivolta dalla città alle istituzioni locali e nazionali, che malate da perenne lassismo preferiscono mettere sotto scorta i turisti in visita alla città, anzichè rincorrere i ladri per i vicoli dei quartieri spagnoli. Preferisco misure di facciata, anzichè interventi risolutori, radicali, e senza possibilità di ritorno al cancro che sta rendendo agonizzante interi quartieri dalla città.
La colpa è del sistema si dice, alcune volte è vero, altre sono parole dette a sproposito, o dettate anche dallo sconforto, perché dopo i proclami sotti riflettori, a luci spente non cambia nulla, anzi peggiora.
Napoli soffre di una cancrena sociale che dipende in primo luogo da un humus fertile dove le istituzioni lasciano fare, dal compromesso facile, da leggi scritte su bianchi fogli di ghiaccio sottile che al primo sole primaverile si sciolgono come le promesse elettorali, ed il conseguente relax di natiche dopo essersi accomodati sulle comode poltrone.
Non è possibile che si debba osservare alla tv le immagini di quartieri che sembrano usciti da un paesaggio del terzo mondo, diamine, siamo in Europa dicono, e abbiamo una città che fa vivere i suo cittadini con la paura del furto quotidiano, della mattanza, del timore di prendere un’ambulanza dove invece d’esserci paramedici ci possono essere killer cammorristici.
Napoli è malata, e nessun medico sembra intenzionato a praticare una terapia shok sul malato termianinale, sulla cancrena degli appalti, sullo stupro dell’edilizia fuori controllo, sul racket che strozza il commercio e che per paura di ritorsioni mortali ha timore di denunciare. I cittadini sono snervati dal vedere il talieggiatore arrestato di lunedì a piede libero di giovedì, il minorenne che ammazza due giovani in una rissa, invece di passare il resto dei suoi gorni dietro le sbarre, deve essere rieducato...
Una città dove piangere i morti sembra essere diventata una colpa, mentre ammazzare un sinomimo di prestigio sociale.
Già nei film degli anni settanta si vedevano le stesse identiche scene di oggi, sono passati trent’anni eppure sembrano film girati la settimana precedente. I morti ci sono stati, gli innocenti trucidati in modo barbaro anche, i turisti derubati, costretti a mettersi al polso l’orolgio di plastica perché le forze dell’ordine sono impossibilitate a mantenerlo.
Napoli è una città ricca di cultura, ma manca la cultura del rispetto, manca in primo luogo però la cultura che dovrebbe essere garantita da uno Stato che si dicendosi civile dovrebbe dare garanzie minime di un posto di lavoro, garanzie ai commercianti di non avere una doppia imposizione, garanzie che il cittadino possa uscire di casa e non rientrare con l’appartamento svaligiato, oppure correndo il rischio che una pallottola vagante ti colpisca al cuore.
In un paese che si dice civile non può continutare ad essere indifferente, non può proseguire solo sulla strada del “volemose bene” a tutti costi, mentre cresce sotto i piedi della parte sana dei cittadini la leptospirosi galoppante e costante dell’illegalità.
Per andare oltre a quest’impasse bisogna fare terra bruciata attorno a tutto e a tutti, senza guardare in faccia a collusi di qualsiasi ordine e grado, fornendo la città di magistrati, strutture mezzi, agenti, intelligence che possano indagare arrestare, rinchiudere e gettare via la chiave di quanti lordano la città. Ma questo sforzo deve essere sostenuto dai cittadini, non è possibile che si continui a vedere attacchi alle forze dell’ordine da parte di abitanti inferociti che preferiscono vivere nell’illegalità e che ostacolano anche fisicamente la pulizia e il cambiamento.
Una lettrice mi ha domandato se sono mai stato a Napoli. La risposta semplice è no. Ciò però non cambia che nel corso degli anni e per ragioni diverse ho avuto il piacere di venire a contatto con il calore e l’affetto che la gente di quella città ha saputo darmi, ed è proprio per questo che credo che il capoluogo partenopeo possa e debba rinascere. Ma la rinascita deve partire dai vicoli, dai quartieri disagiati, dai quartieri lasciati prospoerare nell’anarchia, schiavizzati dalla legge del più forte. Non può esserci una Napoli dei ricchi e una Napoli della miseria, dell’arrangiarsi perchè è impossibile dare uno sbocco ai propri figli, una Napoli priva di posti di lavoro, una Napoli che abbandona la scuola anche con il permesso dei genitori per andare sulle strade a commettere scippi, spacciare droga o commettere omicidi, una Napoli patrimonio universale della cultura, e una Napoli vergogna dell’incultura e del degrado etico, umano e sociale.
L’esercito non serve, quell’esercito c’è gia, ma non è l’esercito dei cammorristi, degli affiliati, è l’esercito dei cittadini onesti, delle istituzioni politiche locali, provinciali, regionali e nazionali sane, che deve unirsi ed espellere la feccia da ogni strato della società, partendo dal vertice e facendo crollare la piramide delle connivenze, degli agganci con l’illegalità, denunciando, facendo incarcerare galoppini, fiancheggiatori palesi e occulti, distruggendo quell’humus marcio che infetta la città e che è una delle tante, troppe vergne dell’Italia, ripulendo le strade, costruendo scuole, costringendo anche con la forza a mandare i figli a scuola, attaccando senza pietà la micro e macrocriminalità, creando occupazione, industria, invogliando imprenditori nazionali e e locali ad investire, ma non sotto il mantello del crimine organizzato e del taglieggio, ma sotto l’area protettrice un vero Stato, e non di troppi burattini impegnati a proteggersi le spalle e scaldare sedie, beccandosi stipendi milionari senza far nulla di vero e tangibile per questa città.

Marco Bazzato
12.11.2006
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giovedì 9 novembre 2006

Macelleria in Palestina e Israele


Nel nome dell’unico paese meritevole di difendersi attaccando impunemente, è stata riaperta la macelleria palestinese.

All’alba di ieri alcuni razzi hanno colpito un palazzo nella Striscia di Gaza causando la morte di diciotti civili che stavano dormendo nei loro letti. Tra i pezzi di brandelli di carne carbonizzata, vittime incolpevoli dell’ennesima strage che si perpetua nella regione, anche dieci bambini. Forse anche loro erano terroristi, oppure è meglio la morte preventiva perché in un futuro potrebbero diventare terroristi?
Naturalmente il governo Israeliano si è giustificanto affermado che è stato un tragico incidente, un errore e che verrà aperta l’ennesima commissione d’inchista per stabilire le eventuali responsabilità. Ma intanto innocenti continuano a venire arrostiti, continuano a crepare in modo indegno e vile per una guerra che da ambo le parti non vuole trovare soluzione.
Come ormai da troppo tempo accade, il mondo civile si indegna, ma non condanna, il mondo intero assiste silenzioso e docile all’ennesima strage degli innocenti, degna di Erode. Nessuno nel mondo civile si sogna d’imporre e far rispettare le medesime sanzioni economiche imposte al Libano, nessun nel mondo civile si sogna di attuare un blocco navale ad Israele. E l’impunità continua.
In questa situazione di odio continuo nessuno dei belligeranti può tirarsi indietro dalle proprie responsabilità e dai crimini commessi. Nè Hetzbollà in Libano, nè Hamas nella Striscia di Gaza che ha minacciato di far riprendere gli infami attacchi suicidi, che alla stregua dei crimini Israeliani, macellano innocenti nello stato ebraico. Ma nessuno sembra interessato a fermare l’escalation di violenza, troppi interessi geopolitici in gioco, troppe armi da vendere ad entrambi gi schieramenti in lotta, troppa le tecnologia sofisticata che viene rifornita dall’occidente asservito allo stato di Israele, troppe le armi, i missili più o meno evoluti, gli esplosivi l’armamento leggero che viene fornito ai terroristi da parte di Stati fondamentalisti ai palestinesi.
I mezzo a questa macelleria umana a cielo aperto, come sempre ci stanno gli innocenti da entrambe le parti, non importa se ebrei o palestinesi, non importa se pregano il loro dio di venerdì o di sabato, se non lo pregano, o se sono atei o laici, non importa nulla. Importa che la comunità internazionale è mezza orba, che nessuno si azzarda a muovere un dito più del necessario per fermare questa ennesima escalation.
C’è da provare vergona nei confronti della classe politica, per i loro condanne vibranti a senso unico, per la cecità con qui si continua a permettere tutto questo.
A chi chiederenno giustizia questi morti, e i futuri che moriranno macellati da un potere, indipendentemente dalla bandiera d’apparteneza che da troppi decenni non guarda in faccia a colpevoli, o innocenti, ma che macella tutto e tutti indiscriminatamente.
I cittadini dello stato di Israele, della Palestina, e del Libano hanno il diritto di vivere sicuri e non essere nella costante tensione di saltare in aria per un kamikaze, un razzo, una cluster bomb, sarebbe ora che i politici iniziassero a darsele tra di loro di santa ragione, lasciando vivere in pace i popoli che indipendentemente dai giochi sopra le loro teste desidrano solo continuare a vivere. Ma come sempre l’utopia è un sogno maledetto, mentre l’amara realtà è il macello di carne umana che ci ha quasi reso indifferenti e insensibili alle atrocità che accadono.

Marco Bazzato
09.11.2006
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lunedì 6 novembre 2006

Solo Saddam Hussein condannato a morte?


Il tribunale iracheno ha condannato a morte tramite impiccagione l’ex rais di Bagdad. Naturalmente gli iracheni bombardati dalle bombe al fosforo, dalla cluster bomb, e sottoposti alle radiazioni dell’uranio impoverito usate dagli americani hanno festeggiato in piazza per la condanna dell’odiato dittatore.
Il feroce crimilale di guerra, colpevole di crimini contro l’umanità sarà se tutto va bene appeso ad un palo e penzolerà con la lingua a bocconi e gli occhi schizzati fuori dalle orbite.
La giustizia cieca e asservita all’invasore americano e alla coalizone internazionale, si dice soddifatta della pena inflitta al boia iracheno, anche se Italia e Francia si sono dissociate dalla barbarica sentenza.
Ma indipendentemente dalle colpe vere, presunte, inventate, dalle prove false presentate al mondo da parte degli invasori statunitensi per giustificare l’aggressione ad uno stato sovrano, non si capisce perchè un medesimo tribunale del popolo americano non metta i sotto impechement l’attuale amministrazione a stelle e strice, visto che Saddam è stato accusato di Genocidio di 148 sciiti a Dujail nel 1982.
La causa di genocidio riferita a 148 morti è risibile, ma anche se fosse vera, non per proteggere l’ex presidente iracheno, è spropositata rispetto al numero dei morti, e anche un idiota capisce che il processo era eteroguidato ed era tutta una farsa mediatica.
Accusare Saddam di genocidio per un numero così risibile di vittime, fa gridare allo scandalo, al complotto e alla macchinazione politica internazionale per eliminare un personaggio scomodo sotto l’aspetto politico.
In Iraq ed in Agfganistan gli americani e gli alleati non hanno fatto un numero di vittime inferiori a quelle fatte da Saddam, anzi le cifre sono centuplicate, in Cile l’ex dittarore Pinochet gode della libertà a corrente alternata, Israele che nei loro recenti attacchi nei confronti del Libano hanno causato ben più di 150 morti, ma nessuno si è sognato di accusarli di genocidio. Quei erano danni collaterali, certo lo stesso si deve affermare di Hetzbollah, che usano bombe umane kamikaze contro civili Israeliani innocenti, dove nessuno dei dirigenti è stato processato, ma in compenso il paese dopo le libere elezioni democratiche viene lentamente strozzato dalle sanzioni internazioanli, e dal sequestro preventivo da parte israeliana delle somme di denaro necessarie al sostentamento degli abitanti della striscia di Gaza. Ma in questo caso la comunità internazionale rimane inerte, silenziosa, e senza la spina dorsale, d’alzare la testa, altrimenti verrebbe tacciata della moda dilagante degli ultimi decenni: cioè l’antisemitismo, e basta solo quella semplice minaccia verbale per rendere la comunità internazionale buona e docile come agnelli pronti ad essere immolati sull’altare dei sacrifici umani.
Non dobbiamo difendere Saddam, se ha le sue colpe deve pagare per quello che compiuto, ma lo stesso dovrebbe avvenire nei confronti di tutti quei leader internazionali, sebbene in carica, hanno le mani ben più lorde di sangue di quelle dell’ex rais.
L’utopia per una società illuminata e cosciente dovrebbe portare a pene certe per tutti, ai tribunali non dei vincitori nei confronti dei vinti, ma a tribunali indipendenti, che non abbiano timore, proclamare paria della società umana e civile, quanti, indipendentemente dalla super potenza nucelare d’appartenenza e dal ricatto politico, si macchiano della morte di innocenti, siano essi all’interno del territorio nazionale, sia al difuori del medesimo, e non importa se queste morti vengono chiamate danni collaterali, o con altri vili aggettivi, i morti sono morti. Se si vuole essere provocatori del tutto...anche l’attacco alle torri gemelle ha creato sfortuntamente dei danni collaterali, ma quei danni, nell’occidentale mondo civile sono stati elevati al rango vittime di serie A, e in nome di quei morti, la giustiza americana si è trasformata in vendetta senza fine, e la condanna di Saddam ne è l’ennesima dimostrazione.
Si ad un vero tribunale internazionale per condannare mandanti politici, palesi e occulti, esecutori morali e materiali, fiancheggiatori silenziosi e palesi, e quant’altro si macchiano in qualsiasi forma di delitti contro il genere umano. Non a falsi tribunali, che null’altro sono che mere vendette politiche atte ad eliminare personaggi scomodi, utilizzando una falsa ufficialità giuridica.

Aggiunta: nel processo non è menzioata nella sentenza la strage dei curdi, altrimenti si sarebbe dovuto risalire a chi (Donald Rumsfeld, attuale segretario alla Difesa) negli anni ottanta riforniva Saddam di gas Nervini e armi di distruzione di massa.
Rumsfeld tra gli altri incarichi ricoperti, dal 1983 al 1984 fu inviato speciale di Ronald Reagan in Vicino Oriente. Fu in questa veste che incontrò Saddam Husayn, all'epoca sostenuto dagli Stati Uniti nella guerra contro l'Iran. Risale a quest'epoca il famoso video in cui Rumsfeld stringe la mano a Saddam. (1)


Marco Bazzato
05.11.2006
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Note:
(1) Wilkpedia

sabato 4 novembre 2006

TV Bestemmia

Dopo il caso della bestemmia in diretta di Massimo Ceccarini, irrompe nei media italiani un’altro personaggio di ben diversa caratura intellettuale che durante un incontro politico all’interno del proprio partito si lascia sfuggire, o lo fa deliberatamente una bestemmia: Emma Bonino.
Ormai il tabuù è rotto, e la pratica rischia di diffondersi a machcia d’olio come un virus infettivo da parte dei volti più o meno noti dell’arte, della cultura e della politica italiana.
Ma non dobbiamo stupirci di tale comportamento da parte dei radicali, essendo noto il loro anclericalismo, e la loro libertà di scelta atea, che però non signfica che debbano dare aria a i loro pensieri, anche i pù contorti.
Che l’utilizzo della bestemmia sia utilizzato specie in Veneto e in Toscana non come offesa alla divintà, ma come intercalare verbale, è risaputo da anni, ma che un’esponente politico, anche se all’interno di un dibattito di partito si abbassi a tanto, diventa oltre che offensivo per gli italiani, anche per partito di dimensioni omeopatiche di cui fa parte.
Ma questo non deve stupire, visto che fu proprio Radio Radicale negli anni 90 ad aprire su scala nazionale Radio Bestemmia dalle frequenze dellla medesima. Ricordo ancora quel periodo, dove si toccò il fondo, l’abisso, il degrado più assoluto in termini di voce ai più disparati e disperati soggetti dello umanità. Furono trasmissioni dotate di una ferocia verbale al limite del codice penale, dove qualsiasi soggetto dotato di insanità mentale poteva aprire la bocca e sfogarsi di tutte le idioze, i rancori, e stupidità che aveva in corpo. Fu come aprire una discarica abusiva nell’etere, e quanti volevano erano liberi di vomitare al suo interno, nella fossa biologica del degrado quando di peggio conservavano dentro.
Alla luce di questo ritorno di fiamma comportamentale, dimostra che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, e il nostrro amato parlamento italiano dovrebbe muoversi nella direzione non di censuare la libertà di parola di questi singoli soggetti che utilizzano il microfono per dar sfogo ai loro comportamenti, ma bandendoli dal parlamento, dove a questo punto siedono in modo inopinato ed insultante, e spegnere completamente le telecamere innanzi a simili manifestazioni di inciviltà.
Ci è ancora andata bene, perchè come hanno dimostrato i vari Ceccarini e Bonino, si sono scagliati contro la divinità religiosa cattolica, ma cosa sarebbe successo se anzichè bestemmiare il dio dei Cristiani avessero insultato il dio dei Musulmani o degli ebrei?
Quando la cosidetta società civile e della comunicazione mette in mano un microfono, chiunque esso sia dovrebbe riflettere mille volte, perchè taluni soggetti dimenticano che al mondo non esistono solo loro e i loro pensieri e frasi personali, ma il microfono, la telecamera è un arma potentissima che dovrebbe richiedere un minimo di autocontrollo comportamentale e rispetto sociale quando lo si impugna.
Ora come hanno espulso Massimo Ceccarini dalla Tv di Stato, ci si augura a questo punto che per un lunghissimo periodo non venga più messo un microfono e una telecamera e mandata in onda su scala nazionale, sia dalle tv di stato, sia da quelle private la “signoraBonino.

Marco Bazzato
04.11.2006
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giovedì 2 novembre 2006

Tolleranza: una parola una bestemmia

Non se ne può più. Ci hanno rimepito la testa con la parola tolleranza e con questa scusa ci è stata tolta la libertà di pensiero e di parola di dire quello cosa ci piace, cosa non ci piace, chi ci sta antipatico e chi no.
Il vocabolario Zingarelli, da tra le tante definizioni di tolleranza questa: Capacità di tollerare ciò che è o potrebbe rivelarsi sgradevole o dannoso, Sopportazione
Con la scusa di tollerare tutto e tutti ad ogni costo, si sta diventando indifferenti a quanto ci rirconda. Ogni parola, ogni frase interpretata in modo diverso da quello standard ed uniformato viene visto come razzista, xenofobo, omofobico o quant’altro. Ma dov’è finita la libertà individuale di dire o scrivere apertamente cosa o chi piace o non piace? In nomne di un presunto ipocrita e falso quieto vivere, si permette che il diritto fondamentale di scegliere amicize, dichiarare quello che fa schifo, o addirittura ribrezzo vienga bollato come sovversivo ed illegale. La società attuale, ha perso specie negli ultimi anni la forza ed il coraggio d’espeorsi, la forza è la volontà d’andare oltre a quello che il pensiero massificato e di massa imponte, siamo soggetti ad un nuovo tipo di servilismo linguistico e concettuale che strozza la libertà stessa della persona. Oggi conta solo il diritto dell’altro, il diritto di chi si crede sopra alle leggi, sopra al buon senso, sopra al comune senso del pudore, sopra a dei valori familiari e sociali che per millenni sono stati il principio fondante dell’Italia. Se solo ci si permette di scrivere che certi comportamenti sono sbagliati, che certi atteggiamenti possono risultare sgradevli a chi non li accetta, a chi non condivide determinati disvalori, o chi ha valori propri e che non desidera vederseli infrangere dal primo che grida al razzismo e all’emarginazione, all’omofobia o a quant’altro si inventa per evitare la libera espressione.
Viviamo in una realtà temporale dove l’unico punto di riferimento sociale sembra essere diventato la trasgressione, l’elevazione del diverso a rango di assoluto punto di riferimento comportamentale, al disvalore della vita stessa e dell’amore. Ma siamo così convinti che questi presunti emarginati non nè approfittino della loro situazione, e che partendo dal piangersi costantemente addosso, e vedersi il mondo contro, non vogliano minare la società alla base della convienza sociale e culturale?
Esiste un punto di rottura, un punto dove anche la migliore volontà aperta si scontra con il rifuto d’accettare quanto certi modelli falsi e marginali a livello numerico e sociale ci vengono imposti e sbattuti in prima pagina, nei giornali, nelle tv, nei cinema, e in quant’altro il degrado dei mezzi di comunicazione di massa obbliga a vedere.
Il popolo è stanco di dover subire sempre e comunque determinati soggetti. Soggetti che calpestano i diritti della maggioranza degli italiani in nome solo dei loro inderogabili diritti. Tutti gli altri ogni giorno di più hanno solo obblighi. Obblighi di tolleranza, obblighi d’accettazione, obbligo di digerire ogni genere di neffandezze che ci viene ordinato di sorbirci.
Non ci piace l’orientamento sessuale di un determinato personaggio? Faccia a meno dichiararlo e la smetta di bollare tutti come omofobi, visto che il primo eterofobico è lui!
Non ci piace la minestra di verdure? Siamo minestrofobi! Non ci piaciono gli spaghetti? Cavoli siamo tutti affetti da spaghettofobia. Secono quelli a qui noi non non piacciamo, soffriamo sempre di qualche fobia, di qualche paranoia, di qualche malattia mentale che deve essere curata magari con un bel internamento d’ufficio.
Secondo alcun, siamo tutti malati, ed è vero. Siamo malati del diritto dell’altro e del nostro obbligo di subirlo, siamo malati del dovere di ricevere immondizia ad ogni ora del giorno e della notte, siamo ammalati di disgusto costante, di senso di ribrezzo che prende lo stomaco e che sale al cervello come una lancia infucata. Siamo ammalati di silenzio, siamo ammalati di codardia nel non dire basta ad ogni tipo d’orgoglio futile e meschino. Viene da chiedersi, perchè ad un certo punto dobbiamo solo essere noi i malati, e gli altri sono solamente sani?

Marco Bazzato
02.11.2006
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Perchè Calderoli ha ragione



L’ex ministro della Lega Nord Calderoli, da buon incendiario linguistico,ruspante nelle parole, non usa mezzi termini per descrivere la situazione di degrado in cui versa Napoli e l’hinterland.
Come spesso però accade, l’Italia ipocrita e falsabuonista si scaglia contro il senatore leghista, anzichè farsi un esame di coscienza politico e capire il perchè nel capolouogo partenopeo la violenza urbana e le guerre cammorristiche continuino indisturbate il suo bagno di sangue.
Se fossi napoletano mi sentirei onorato delle parole del leghista, perchè a modo suo, e senza mezzi termini ha gettato dell’alcol etilico, senza complimenti verbali, nei confronti di una situazione sociale degenearta, e che non sembra in questo momento possa risalire la china.
Se chiamiamo civiltà sociale una città che è in preda all’anarchia, in preda a bande cammorristiche, al taglieggo, al commercio e alla produzione di prodotti falsi griffati, dove il contrabbando dilaga da decenni, dove invece di stringere un nodo gordiano nei confronti della criminalità si esalta l’arte d’arrangiarsi partenopea come sinonimo d’arrancare nel quotidiano, allora non ci siamo.
Possibile che gli onesti siano costretti a tapparsi in casa, possibile che tutto continui a passare sempre sotto un silenzio opprimente, e che le forze politiche di centro sinistra e centro destra non abbiano di meglio da fare che non rilanciare agenzie stampa nei confronti del senatore ruspante?
Abbiamo una classe politica senza pudore, una classe politica incollata alle poltrone, non importa in che palazzo preferisce disperdere il denaro dei contribuenti, ma che ama sopratutto a perdere tempo in beghe interne, in litigate da comari in menopausa, invece di deciare risorse economiche e umane per cambiare una situazione che agli occhi della società civile internazionale ci fa sembrare dei parassiti.
Eppure tutti sono fondamentalmente certi che i primi danneggiati da questa situazione intollerabile siano i napoletani stessi,siano gli stessi cittadini, che si vedono taglieggiati in modo legale dallo Stato con tasse e balzelli che colpiscono indistinamente tutti gli italiani, e cosa ancor peggiore, sottoposti al taglieggio di una micro e macrocriminalità che sembra che nessuna forza politica sia veramente intenzionata a sconfiggere.
Non si può continuare a tagliare risorse alle forze dell’ordine ai magistrati, alla giustiza, lasciando le auto ferme in garage per mancanza di carburante, gli uffici senza carta e cartucce per pc, i magistrati senza scorta, mentre i nostri politici viaggiano praticamente quasi con eserciti privati che fanno da guardia spalle.
Ma dove stiamo andando a finire? Lasciamo i cittadini sguarniti, privi di sicurezza sociale ed economica, mentre gli aumenti degli stipendi della classe politica sono la vergona euroepa, ma i problemi alla radice invece di venir risolti affondano il paese ancor di più?
Siamo all’ennesima farsa mediatica, alla politica dello scarica barile, al rimpallo delle responsabilità, al gioco al massacro di chi la spara più grossa per proteggersi le spalle, o per proteggerere non si sa alla fine che tipo di interessi o gruppi.
Possibile che si debba aprire un giornale, accendere la tv e leggere in un paese non in guerra un bollettino di guerra quotidiano, che ci fa quasi assomigliare al Iraq?
Fino a che punto la forza di sopportazione del cittadino può rimanere salda nei principi sociali e legali, innanzi alla diffusione capillare della violenza?
Calderoli, è brutto dirlo, ha toccato un nervo scoperto. Napoli deve essere ripulita, deve essere bonificata della feccia che la soffoca e uccide, la città e i suoi cittadini migliori hanno il diritto di respirare un’aria sana, un aria fresca che giunge dal Golfo e sentirsi finalmente orgogliosi delle proprie tradizioni migliori, della propria cultura, del proprio posto nel mondo, che da sempre la parte creativa di questa sana società ha saputo diffondere a tutte le latitudini.
La politica Nazionale, regionale, locale lo deve ai napoletani. Non è più il tempo di proclami e appelli urlati, è arrivato il tempo che lo Stato faccia piazza pulita dell’aAntistato, che acquisti una buona quantità di deratirzzante e che renda finalmente vivibile la Campania, le città del nord e del sud che indistintamente sono ostaggie di troppi interessi criminali che distruggono e sviliscono il tessuto sociale del Bel Paese.

Marco Bazzato
02.11.2006
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mercoledì 1 novembre 2006

Soldati a Napoli?

Nel capoluogo nell’Hinterland Campano è guerra aperta. Il numero dei morti ammazzati, fà quasi sembrare la città un campo di battaglia, e da più parti si inizia ad invocare l’intervento dell’esercito a difesa dei cittadini. L’Italia per l’ennesima volta compie la sua triste figuarccia davanti agli occhi del mondo. Una delle città più belle, ricche di storia, arte e cultura è ostaggia da decenni di clan criminali che non continuano indisturbati a spartirsi il controllo della medesima. Mentre Roma parla, Napoli muore.
Napoli muore ogni giorno, ad ogni chiusura di discarica che sommerge la città di rifiuti, muore allagata dal sangue di innocenti colpiti amorte, e colpevoli che invece d’essere nelle patrie galere continuano ad essere a piede libero. Mure per la mancanza di una cultura sociale, per un malcostume non generalizzato, ma localizzato che fa si che in taluni rioni sia di fatto impedito l’accesso alle forze dell’ordine da parte di cittadini inferocici. Una città in ostaggio della malavita, dove nel terrore generale non si è al sicuro nemmeno all’interno delle mura domestiche. I cittadini onesti napoletani continuano ad invocare protezione, continano a sfilare per le vie della città chiedendo ordine pubblico, sicurezza personale sociale igenica e ambientale, ma tutto immancabilmente viene rimandato. Ogni intervento si trasforma in un dibattito sterile di opinioni politiche e veti incrociati, dove si pensa a mantere ben salda la colla sulla poltrona anzichè risolvere le questioni.
Ma i napoletani hanno diritti e doveri diversi da quelli degli altri italiani, che debbono vivere confinati quasi in un ghetto sociale e culturale che non fa altro che snaturarli e svilirli? Di chi sono le colpe politiche davanti a questa continua emergenza?
Domande banali che non riceveranno mai risposta, come i mali della città che non trovano soluzione degna di un Paese che agli occhi del mondo vorrebbe definirsi civile. Ma dove sta la civiltà? Un paese che ha la sfacciataggine di definirsi civile non lasica una città una regione in mano a cosche criminali e/o mafiose-cammorristiche. Un paese che ha a cuore il destino dei suoi cittadini, della parte sana, produttiva, culturale non vive di politica attendista, del tirare camapare, dello scaldare la sedia, dell’essere forte con i deboli e debole con i forti, scaricando le colpe sempre sulle amministrazioni locali, provinciali, regionali, e nazionali passate. Un gico al rimpiattino delle responsabilità che induce a pensare sempre al peggio.
I Napoletani sono i primi che reclamano pulizia a casa loro, ma non hanno gli strumenti per farlo, e non vogliono abbassarsi ad una giustizia fai da te che aprirebbe nuove ferite insanabili.
Siamo vaccinati al dolore dall’essere diventati indifferenti, bravi a sdegnarsi se qualcuno abbandona un cane per strada, ma ci dimentichiamo degli uomini, dei soggetti intelligenti e pensanti, di coloro che sono il motore trainante della città, della regione, della nazione: gli operai, i pensionati, la piccola e media impresa, gli artisti, gli uomini di cultura?
Stiamo cedendo il passo all’illegalità, alla cultura della soprafazione di chi alza prima la voce, poi un arma.
Il 47% dei Napoletani reclama l’intervento dell’esercito. Questa non è la soluzione. Non è trasformare Napoli in una nuova Beriut che farà risolvere i problemi e i conflitti. La legalità nasce dalla cultura, nasce quando si crea un terreno fertile e si impedisce alle piante malate d’attecchire, la legalità vige quando un condannanato ha la certezza della pena, e non la libertà dopo pochi anni o pochi mesi. La legalità in primo luogo si manifesta dalla volontà politica di non occupare solo poltrone, ma agendo, lasciando in un angolo i miseri interessi elettorali e di partito, accantonando le beghe da comari a cui troppo spesso indegnamente il cittadino è costretto ad essere spettatore passivo. Troppe opinioni difformi creano solo fumo, troppe parole spesso producono inattività e inedia, mentre sulle strade si continua a morire, mentre nei vicoli si continua a spacciare, mentre il contrabbando dilaga e il taglieggo è fonte di sostentamento dell’antistato.
Davanti a questo ennesima carneficina ora abbondano le dichiarazioni, abbondano i proclami che invitano al cambiamento, che gridano allo sdegno, e alla necessità di rompere il muro di indifferenza. Ma dov’erano fino ad una settimana fà questi politici? Dov’erano i rappresentanti istituzionali? Oppure esiste una cifra non scritta di morti ammazzati che una cittò può sopportare, ed oltre a quel fatidico numero non si può più tacere, e si deve inizare a blaterare?
I quotidiani oggi abbondano d’articoli, di parole e proposte, ma tanto forse tristemente lo si sa già, passata l’onda emotiva di sdegno, tutto tornerà come prima, peggio di prima, fino a che una nuova emergenza non eromperà nuovamente. Ma alla fine, di tutto questo parlare rimarrà solo il silenzio assordante, le grida al cielo delle madri che piangono i figli, rimarrà solo il dolore composto e angosciante degli innocenti che abbandonati dallo Stato e dalla politica, dovranno continuare la loro quotidiana battaglia per la sopravvivenza.

Marco Bazzato
01.11.2006
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Sacerdozio e pedofilia


Ormai non passa giorno che aprendo qualche articolo, specialmente nella rete, visto che la tv di Stato e i maggiori network nazionali si guardano bene da fare un informazione ampia e approfondita, che non si leggano notizie vere o presunte di violenze fatte dai sacerdoti ai danni di minori.
Questo virus endemico invece d’essere denunciato dalle gerachie ecclesiastice il più delle volte passa sotto silenzio, e sovente il massimo della pena canonica prevista per il sacerdote instabile è lo spostamento ad un altra parrocchia, meglio ancora se in un altra diocesi dove possa continuare a coltivare indisturbato le sue perversioni.
Quello che fa riflettere che in pieno ventunesimo secoli ci troviamoancora davanti a famiglie, donne specialmente, che nonostante vedano la sofferenza dei figli, si lasciano convincere, complice l’asservimento culturale e da plagio mentale a rimanere in silenzio davanti ad abusi di tale portata, inviate al massimo a rivolgersi al vescovo affinchè invece di denunicare il pervertito alle autorità inquirenti, si muova nella direzione opposta, ossia proteggendolo.
Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una macina d’asino al collo e che fosse sommerso nel fondo del mare. ( Matteo 18:6 ) Questo versetto tratto dal Vangelo di Matteo dovrebbe servire da monito specie a quanti nella gerachia ecclesiastica si ostina a trattare la pedofilia come un problema interno alla chiesa, come se al difuori di essa, cioè il cosidetto mondo secolarizzato tanto disprezzato anche dal Papa non potesse perseguire e punire adeguatamente i perpetuatori di tali crimini contro i più indifesi.
Davanti a tutto ciò però si rimane sconcertati non solo per il silenzio assordante dei media ufficiali, ma sopratutto per il modo pomposo e distorto che si porge l’informazine da parte della velina Vaticana.
Certamente l’assioma sacerdote uguale a pedofilo è assolutamente da scartare, ma ciò non toglie che il problema sussista e che continui ad essere venduto ai media come un fattore marginale all’interno della Chiesa, e quello che stupisce ancor di più è come spesso il popolo italiano rimanga indifferente a tali atrocità, con il rischio di mettere al bando la famiglia stessa che ha osato cercare giustizia, solidarità sociale e umana davanti allo scempio psichico di tanti indifesi.
Se la chiesa e in primo luogo il potere assoluto e imperiale del Vaticano decide di fare pulizia al suo interno, questo sarà visto come un bene per i fedeli (i pochi rimasti) che ancora credono all’assoluta buona fede di un Papa che ha dovuto chiedere l’immunità diplomatica per evitare l’arresto da parte delle autorità statunitensi per il suo appoggio, quand’era direttore del tribunale per la dottrina della fede, per aver cercato di coprire lo scandalo dei preti pedofili negli Stati Uniti.
Una chiesa che nei secoli passati non ha esitato a consegnare al braccio secolare e di riflesso al rogo migliaia se non di più di esseri umani, oggi non dovrebbe aver anessun timore di consegnare al braccio addolcito che oggi è la legge dello Stato Italiano i sacerdoti che si sono macchiati di tali infamie. In fin dei conti, grazie anche all’unità d’Italia e alla caduta dello Stato Pontificio sono state abolite le pene corporali che santa romana chiesa nei secoli bui faceva infliggere ai suoi fedeli. A tale proposito, sarebbe utile da parte Vaticana il ritorno in ague dell’utilizzo almeno in sede dello Stato Ponificio dell’utilizzo delle tecniche descritte nel Manuale dell’inquisitore di Fra Nicolau Eyumerich A.D 1376 nei confronti dei sacerdoti pedofili, affinchè secondo quanto descritto nel libro si applichi nei loro confronti la giustizia con equità e magmaninità divina e umana, utilizzando tutte le tecniche interrogatoriali ivi descritte, forse così senza attaccare la macina d’asino al collo, la chiesa saprà finalmente fare pulizia al suo interno, rendendo vivo fino in fondo il versetto del Vangelo di Matteo.
Marco Bazzato
01.11.2006
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