Augurare buon anno può sembra assurdismo quando il passato si brucia negli ultimi istanti prima di mezzanotte, attendendo con ansia i tappi che saltino, e lo spumante che scorra a fiumi per festeggiare il nuovo che arriva.
Già il nuovo arriva con il consueto carico di buone proposte, speranze, attese, e certezze svanite alle prime ore dell’alba, quando con la mente annebbiata dall’alcol e dalle libagioni si torna a casa, si poggia la testa sul guanciale, cercando di riprendersi dalle follie della notte precedente.
Per me, anche quest’anno sarà un capodanno festeggiato due volte, prima con l’ora italiana e poi con quella bulgara. Sarà una serata uguale alle altre, ma diversa perché prima dello stappar di bottiglie, ci riuniremo davanti alla tv per il consueto discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, prima italiano, e poi bulgaro, dove con il rispetto dovuto alle istituzioni del mio Paese, ho trovato ammirevole vedere il Presidente bulgaro in piedi davanti alla nazione, e dove mi auguro di ascoltare anche quest’anno i richiami alla cultura, alla forza intellettuale ed umana di questo piccolo stato che allo scoccare della mezzanotte sarà un nuovo membro dell’Unione Europea.
Molte immagini passeranno nella mente d’ognuno negli ultimi istanti, negli ultimi momenti di quest’anno che ci sta lasciando, molto sarà consegnato alla storia personale e sociale d’ognuno, dolori, amarezze, gioie, ingiustizie, atti di carità e coraggio, atti di viltà umanamente disumana.
Si chiuderà un ennesimo sipario, per riaprirlo un attimo dopo nella speranza che il nuovo inizio, o la continuazione del precedente passato, possa cambiare il corso dell’esistenza d’ognuno e di tutti, ma come spesso accade, l’utopia cede il passo alla disillusione, cede il passo ad un mondo che cambia sempre più rapidamente e vertiginoso, per rimanere, alla fine immutato.
Un paio di slip rossi, un piatto di lenticchie. Tradizione, modernità e mondanità, fusi in una danza, in un silenzio assordante, dove vorremmo sentirci in armonia con il tutto, ma esso ci sfugge, si allontana da noi, e noi da lui.
Vorremmo un mondo diverso, senza ingiustizie, un mondo di fiaba e amore, dove il confine tra bene e male sia giusto e definito, ma i ventri rigonfi di affamati, barboni e drogati continuano ad essere presenti e abbandonati al loro destino. Si vorrebbe un mondo di salute e prosperità, dove la malattia fosse piaga scomparsa, e la morte, un’amica bastarda che non bussa alla porta di nessuno, dove la sofferenza, i pazienti distesi in un letto d’ospedale con gli aghi conficcati nelle vene, con bacinelle per vomito e feci siano dimenticate, dove la sofferenza dia un senso alla vita, un senso ad una vita diversa, anche se rinata in nuove vesti.
Tutto corre, vola, solo l’esistenza umana del singolo continua ad essere scandita da secondi, minuti, ore, giorni anni. Tempo passato in silenzio, in contemplazione, passato e consumato in frenesie, abbondanza, ritocchi esteriori per non vedere che tutto cade e s’affloscia. Tempo passato in preghiera, cercando si sentire la Parola di Dio, questo Dio spesso assente e distante, che sembra abbia abbandonato il mondo al suo destino infernale e crudele voluto dall’uomo. Questo Dio che nel silenzio del suo mistero, si fa presente, si fa forma di vita e guida verso la morte, questo Dio conducente verso l’alba della nuova vita che giunge dopo il travaglio del parto facendosi neonato.
Vorrei sentire quel grido d’infante, quel grido d’amore che solo il pianto d’un bimbo che ha appena varcato la soglia del mondo sa dare, quel pianto di speranza, identico in tutte le lingue e che non conosce guerre e divisioni, paure e dolori, quel pianto puro che guarda al futuro sconosciuto di questo mondo che dovrà imparare a conoscere, crescendo, amando, odiando, diventando santo o bandito, politico o brigante, banchiere o strozzino.
Auguri a quanti operano sulle strade, a quante battono nei vicoli oscuri, o nelle vie illuminate delle tangenziali, alle schiave del sesso prigioniere di briganti senza morale, nella speranza che possano trovare pietà amore e libertà, ai carcerati che nel silenzio rimbombante delle celle possano tornare ad una vita normale, dignitosa degna d’essere vissuta in una legalità che si vorrebbe equa per il ricco e per il povero, ad una legalità che non condanni il ladro affamato, e che assolva il terrorista, il pedofilo o l’omicida il giorno seguente.
Auguri al ricco, al povero, al dotto e all’ignorante, auguri all’uomo, perché il domani non sia simile a ieri, perché il dì a venire, non sia lo specchio deforme degli errori ed orrori passati.
Auguri soprattutto a quanti non festeggeranno, agli schiavi delle guerre, causate da pochi vigliacchi, subiranno torture, agonie e pene, a coloro che giacciono impotenti davanti alle avversità naturali e indotte dall’uomo per la gretta e superba stupidità vorace.
Non desidero un mondo perfetto, ma vorrei che l’imperfezione nefasta e funesta che indistintamente tutti ci avvolge s’affievolisse, non per incanto, ma per scelta, non per imposizione di perfezione, ma per ricerca della stessa, e per un’evoluzione che parte dal profondo del nostro essere si diffonda come un virus benigno, portante da una compresione diversa, più vera, meno ipocrita e arrivista.
Un caldo abbraccio agli Italiani e Bulgari, all’Europa tutta, all’Asia e Oceania, Africa e Poli indistinti, con la volontà e la speranza, che oltre l’illusione della conoscenza e del sapere, c’è all’interno d’ognuno un mondo sconosciuto e diverso, un mondo da scoprire e conoscere, ma soprattutto una vita da amare e da vivere attimo per attimo.
Buon 2007
Marco Bazzato
30.12.2006
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