mercoledì 27 dicembre 2006

Amare la vita equivale ad amare la morte

In questi giorni di feste, belle brutte, allegre, o infelici, si fa un gran parlare di vita, di morte, di diritto di scelta, libero arbitrio, che verte in una direzione o nell’altra, dimenticandosi cioè, nessuna esclude l’altra, in quanto senza la vita non ci sarebbe la necessità d’esorcizzare il primo demone dell’uomo e dell’umanità, che indipendentemente dalla latitudini, dalle culture e tradizioni, ha sempre assunto un ruolo essenziale nella vita sociale di ogni popolo: la morte.
Ma è la nostra società postindustriale, post religiosa, laica, vorrebbe protrarre all’infinito la vita stessa, rimuovendo la malattia, la vecchia, il decadimento psicofisico del corpo, creando una quantità di modelli falsi e fasulli, tutti atti a cancellare come fosse un parente sconosciuto, un amico con qui abbiamo litigato in passato e non vogliamo più vederlo.
Accettare la cultura della vita, significa accettare la cultura della morte, amarla, sentirla come una parte vivente in noi stessi, in quanto la vita stessa appartiene alla morte costante che vive e si rinnova nell’uomo. La morte è invisibile, ma presente, morte di cellule, morte che emettiamo dai rifiuti corporei che tornano nei ciclo stesso della natura.
A voler andare oltre anche i ricordi sono una specie di morte, sono immagini immagazzinate sotto forma di impulsi elettrici, ma spesso i essi sono come un disco di vinile rigato, un disco incantato che gira a vuoto, come un motore perennemente su di giri che rischia di fondersi, e con essi anche la nostra vita segue quella onda anomala del reflusso dei pensieri che può aspirarci all’infinto l’esistenza finché essa non s’arresta completamente.
Ma alla fine cos’è la morte, se non la semplice cessazione delle funzioni biologiche, il semplice spegnersi di un interruttore dei ricordi, calato per l’eternità nell’off?
Questo buio, questo vicolo cieco, quest’oscurità malvagia, maligna e suadente è come una fattucchiera ammaliatrice, dove, nonostante la repulsa, è una gioia immergersi, sentirsi parte di quell’universo immateriale dell’inesistente che ama essere accarezzato, cullato, protetto, come un infante che emette i sui primi vagiti, come un bambino di pochi mesi che muove i primi passi.
Questa signora di nero vestito, questo cranio ossuto con le orbite vuote è un bimbo, è la parte più oscura, arcana, che costantemente vive nell’uomo come un cancro maligno che ci cannibalizza giorno per giorno, ci divora e consuma dall’interno come un virus conosciuto, ma di cui nessuno tiene tra le mani l’antidoto.
La morte nella sua bruttezza ha la sua bellezza. Ha il volto cinereo di un corpo privo del soffio della vita, ha il livore d’un cadavere che si decompone lentamente, ha l’aroma dolciastro che si attacca sulla pelle, impregnando vestiti, corpo e psiche, scavando un solco profondo all’interno d’ognuno, ha il freddo tepore della carne lasciata gelare per giorni nel frigo. La morte è quel cancello di separazione tra materia ed etere, quel muro di Gerusalemme, di Berlino, quel muro di pregiudizio difensivo e offensivo che si ha per lo sconosciuto, per l’avverso. La morte è un paletto conficcato nella carne, attraversa la gabbia toracica e lacera il cuore, e come un vampiro si ciba dell’uomo, cancella sogni, illusioni, delusioni, fantasie sante e perversioni malate.
Cantava San Francesco d’Assisi: Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare. Questa lode tenera e vera, questa ode all’immaginifico senso della non materia oltre alla vita, ci conduce per mano verso quel trascendente evocato per necessità, per fede, per bisogno individuale e sociale di non sentirsi soli, dispersi e perduti, ci guida con tenera dolcezza all’ineluttabile accettazione di un trapasso che va oltre brevità dell’esistenza finita, oltre quell’illusione d’eternità corporale che ci si dipinge nei volti, si rimodella nei corpi, per allontanare lo spettro sagace, l’avvoltoio carnefice, che si ciba fin dal concepimento di una nuova vita, della vita stessa.

Marco Bazzato
27.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

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