domenica 24 dicembre 2006

Un grido di buone feste

Arrivano i giorni della sordità, dei ventri rigonfi, dei vini frizzanti che scorrono a fiumi. Giorni della delizia, dell’abbondanza. Giorni dove a nessuno si nega un sorriso, dove le mani si stringono in abbracci veri o fasulli che nascono o giungono dal cuore, e ipocritamente si stringono mani covando vendette tra sguardi omicidi, pronti ad infiammarsi sotto la cenere.
Arrivano i giorni del tutto e del nulla, dei buoni propositi dimenticati il giorno seguente.
Giorni in cui per un attimo, vilmente ci crediamo fratelli, mangiando alla stessa tavola imbandita.
Suona la musica. È una campana a morto, è l’urlo di battaglia del riposo del guerriero, l’urlo silenzioso di chi è pronto ad una nuova guerra, di chi pavido attende tremante la nuova crociata, dove il sangue scorrerà copioso e, a grumi seccherà sulla terra gelata.
Udite a distanza il rumore di passi e danze tribali, è l’urlo disumano dell’uomo che attorno al fuoco brucia l’ennesimo corpo, è un grido di bestia affamata pronta con le fauci a strappare un brandello di carne salata.
Sentite quei rintocchi glaciali che tagliano la mente, lacerano lo spirito, entrano in profondità negli angoli più remoti dell’essere. Sentite quei rintocchi, sono come il suono ritmico d’un cuore che batte all’unisono con le grida del travaglio del parto. Ascoltate quelle grida, quel dolore abissale che scende nel ventre lacerato, facendo breccia con la testa nell’antro della vita. Percepite quella testa, quel piccolo frugolo silenzioso, che vibrando impazzito, s’affaccia alla nascita, e che inevitabilmente verrà condotto come agnello sacrificale al calvario della morte sul Golgota. Lo vedete? È lì, tra incitazioni e urla invasate, parole gridate, tra lacrime e pianti di gioia per quel piccolo corpo. Esce imbrattato di placenta e sangue. Tace perchè il mondo che si pone innanzi ai suoi occhi chiusi ha il volto decadente di un pianeta condannato all’estinzione, condannato alla guerra, al sopruso, alla vendetta della follia omicida e suicida, un mondo che si specchia negli sguardi morti, nell’incidere lento come cadaveri erranti cercanti una pace eterna tra i vivi, ma che mai verrà.
Venite, emette il primo vagito accolto tra braccia amorevoli d’una madre venerata, cullato tra le braccia forti d’un padre sconosciuto, sentite il raglio d’un asino che non capisce la follia di quella presenza, scaldata dal calore animale d’un bue che forse vorrebbe essere altrove.
Chi sei sconosciuta creatura? Chi sei, re dei vivi e dei morti, signore delle speranze perdute, a cui affidiate e confidiate affanni e sventure?
Chi sei, che vuoi osanna, preghiere, vuoi essere simbolo di vita in un mondo perduto, mentre la morte signora stende la mano sul capo di tutti, che ubriachi di lazzi e giochi danzano giocondi sulla tomba del mondo?
La campana a morto continua a rintoccare, continua a suonare il suo grido di battaglia infinita, chiamando a se anime sante e dannate, assassini e immacolate, peccatori, malfattori, prostitute e papponi, senza distinzione alcuna.
Attendete l’ultimo squillo di questa notte benedetta e dannata, l’ultimo rintocco prima di giacere tra le braccia d’un sonno, e al risveglio, sarete accolti a feste finite nel nulla del nuovo giorno.

Marco Bazzato
24.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

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