venerdì 29 dicembre 2006

Ammazziamo Saddam

L’ex rais di Bagdad è stato condannato a morte da una giuria di suoi pari, cioè i nuovi servi dell’amministrazione americana, che come il dittatore deposto hanno nella coscienza il genocidio dei curdi, con i gas gentilmente forniti dalle precedenti amministrazioni U.S.A.
È un peccato che la filiera giustizialista, abbia preso di mira solo il pesce piccolo iracheno, anche se dittatore del suo paese, e che la stessa giustizia non nazionale, ma internazionale non abbia messo sul banco degli imputati i manovratori occulti di questa vicenda.
Ammazzare Saddam, numericamente parlando, significa aggiungere un altro cadavere alla catasta, ma si ammazzerebbe come un cane, il burattino, il fantoccio, un feticcio che però con la sua morte rischierebbe d’incendiare ancora di più la regione.
Non si vuole salvare la vita ad un mostro per un senso d’umanità falsa e pelosa, ma perché quella morte porterà come conseguenza ad altre morti, altro sangue, gettando per l’ennesima volta benzina su una pira che non accenna a spegnersi.
Impiccarlo, mettergli il cappio al collo, dove per l’occasione centinaia di persone si sono presentate per eseguire la sentenza, equivale ad abbassarsi al livello animale di Saddam e alla sua internazionale combriccola di vigliacchi che se ne stanno rintanati nei loro uffici, e si godranno con pacata e misurata soddisfazione il vederlo penzolare, felici d’aver eliminato un “amico” scomodo, un dittatore che in passato era visto come baluardo di civiltà, contro il dispotico regime iraniano.
È interessante la cultura occidentale. Prima fornisce armi, tecnologia, osanna dittatori e criminali feroci, poi, come stracci vecchi, invade e distrugge un paese per decenni considerato amico, miete centinaia di migliaia di vittime innocenti, usando bombe al fosforo, all’uranio impoverito, contamina falde acquifere, mette un paese ricco di risorse naturali alla fame, lo depreda. Ma se questo popolo si ribella all’invasore straniero, al ladrocinio internazionale, non vuole nel suo suolo governi fantoccio, desidera l’autodeterminazione che all’articolo cinque recita: Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna[1], eccolo diventare un paria internazionale, eccolo diventare un paese terrorista, fucina di terroristi, un paese dipinto come distruttore delle libertà fondamentali dell’uomo stesso, un nemico dell’umanità, e come tale va schiacciato, sterminato, contaminato e distrutto.
Ammazziamo l’ex dittatore, facciamolo penzolare dalla forca con gli occhi fuori dalle orbite, l’osso del collo spezzato, così finalmente il mondo sarà più civile, più libero dopo che il vecchio assassino, penzolerà dibattendosi sulla forca, e con la sua morte, i dispensatori di pace armata, i vigliacchi che armano il mondo, tireranno un sospiro di sollievo, perché finalmente, la pace e la giustizia universale degli ipocriti sarà fatta dai suoi complici.
Manca poco alla resa dei conti finale, alla nuova fuga così simile a quel giorno di Saigon del lontano 29 aprile 1975[2], quando l’invasore liberatore, se né tornò a casa, sconfitto, con la bandiera americana insanguinata tra le mani, ma nel futuro come in passato, ci sarà pronta la grazia presidenziale che salverà dalla forca o dal carcere a vita i mandati dei misfatti e dei crimini contro l’umanità che il popolo iracheno ha subito da parte dell’invasore, e la feroce giustizia dei vincitori sputerà per l’ennesima volta sulla memoria delle vittime innocenti.

Marco Bazzato
29.12.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/

[1] Carta di Algeri: Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli.
[2] zmag.org/italy/pilger-cadutasaigon.htm

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