martedì 5 febbraio 2008

I coniugi Romano



Non c’è che dire, ma i coniugi Romano, iniziano a star simpatici a molti. Stanno simpatici, non per la ferocia con qui hanno commesso la strage di Erba., ma per come, con quei grandi occhini porcini, i sorrisi, le naturali carezze tra marito e moglie, i due sanno darsi anche se rinchiusi – come animali feroci – in gabbia.

Mostri senza cuore, bestie, assassini privi di pietà e scrupoli sono tra i tanti aggettivi con cui – a torto o a ragione, lo stabilirà il processo – sono stati pregiudizialmente condannati, ma loro, fin dai primi momenti dell’arresto, hanno mostrato una solidità familiare invidiabile. Lui si preoccupa per leie viceversa, complici reciproci di un universo tutto loro, dove a nessuno è permesso, bambini compresi, di mettervi piede.

Li ho osservati, dalle scarne immagini tv, in questi giorni. Ho guardato i loro occhi, vivi per loro, e spenti per il mondo, ho sentito come – per loro – noi, fuori dalla gabbia siamo gli animali, come – per i Romano – gli altri sono soggetti malati, di cui andava bonificato il territorio.

Nella loro primitiva e lucida normalità, gli altri erano dei pezzi di un puzzle fastidioso, il bambino, non era altro che un tassello impubere, rumorosamente malato, andava eliminato.

La loro – e nostra – normofollia, non è uno dei mali di tutti i tempi, la prassi della normalità esplosiva, la prassi della follia omicida, che sondando come un fiume che rompe gli argini, travolge – con meditata e programmata ferocia – il nemico, travolge sradicando dalla terra quelle radici, piccole e vecchie, che come una goccia costante sul capo che annichiliscono la presunta e teorizzata sanità mentale.

I coniugi Romano, non sono pazzi, ma – a mio avviso – forse sebbene abbiano premeditato il massacro, saranno riconosciuti incapaci di intendere e volere al momento dei fatti e, non importerà con quale ferocia essi hanno ucciso, incendiato e sviato, non importerà con quanta rabbia covata per anni, hanno tolto la vita, distruggendo due famiglie, ma se sono fortunati, secondo quanto la legge italiana, da anni territorio di trincea, amica dei colpevoli e nemica delle vittime, sconteranno qualche anno in una struttura psichiatrica, per poi tornare liberi, potendo riprendere la loro vita normale.

I Romano, oggi rappresentano la parte più rendiconta e bieca della coscienza umana, quell’angolo buio e imperscrutabile dell’arcano demiurgo umano. Un luogo dove dall’alba della civiltà, filosofi, dottori e in anni più recenti, psichiatri, criminologi e quant’altro, hanno cercato – senza riuscirci scientificamente – di sondare e capire, in quanto scientificamente incapacitati a capire e prevenire, ma ottimi a giudicare e pontificare col senno del poi.

I Romano oggi attirano. Attirano come in passato hanno attirato Erika e Omar, come ha attirato prima Cogne, poi Perugia o Garlasco. Attirano perché l’oscurità, il buio, il maleficio della normalità è una piaga inconfessata ed inconfessabile che l’essere umano, come un infame marchio di fabbrica si porta appresso. Attira perché il profumo del sangue, delle urla strazianti, delle martellate, dei coltelli che scavano, triturano, lacerano, fendono in profondità le carni, profumano di quell’aroma sinistro, a cui nessuno vorrebbe rinunciare, ma per convinzioni sociali, strutturate da millenni di civiltà, restano latenti, come un virus da immunodeficienza che uccide lentamente, consumando dall’interno, scavando, come un fiume che erode gli argini, l’il fragile terreno argilloso della mente umana, sempre impastata di rifiuti inconsci, pronti a crollare come una diga mal costruita.

L’odore della morte prende, avvolge, innalzando verso l’abisso della consunzione mentale la fragile sostanza umana, come antibiotico inefficace che, sebbene s’insinui nelle vene, trasportato dal sangue, non sortisce solo alcun effetto, benefico. Anzi. La morbosità per il dolore altrui, fa aumentare il desiderio fantastico e fantasioso di renderlo reale ad altri, fa aumentare – inconfessatamente anche a se stessi – il lucido sogno di follia d’emulare le gesta degli amati e amanti eroi neri degli incubi più foschi e cupi.

L’uomo da centinaia di migliaia d’anni ha ingabbiato la propria animalità, chiudendo in uno scrigno inaccessibile ma latente i propri desideri più perversi, gettando la chiave, timoroso di trovarla, ma sognatore indefesso, quando altri, superato quel sottile confine tra presunta follia e animalità primordiale, riesce a scardinarla, aprendo quell’angolo – nel caso dei Romano, simbiotico – che ci rende puri e liberi davanti a se stessi, ma nemici, come animali feroci da rinchiudere, della società umana e delle sue regole etiche e morali, imposte o proposte, sotto la minaccia di punizioni umane e/o divine.

I Romano non sono altro che i Caino e Abele moderni, gli Erodi eroi neri dei giorni odierni, che dall’inizio della Storia, mostrano inequivocabilmente come la spinta propulsiva della vita alla vita, sia la morte, il dramma, l’olocausto, il sangue, non importa se versato per una guerra tra Stati, o sparso per dissapori condominiali o versato per rigettare un figlio indesiderato, concepito per errore in una notte d’orgasmica follia, o un figlio bramato, ma impossibilitati dall’essere creato. Morte generatrice diretta o indiretta della vita stessa. Morte che è amica, sorella, parente indesiderato che busserà prima o poi alla porta di tutti.

I Romano rappresentano quella morte, quella falce oscura che non può essere rinnegata o negata dall’esistenza umana, perché ci accompagna fin dal concepimento, erode e consuma sin dal primo vagito, perseguitando il genere umano, come stupratore che vuole insinuarsi nella mente dell’uomo, per renderlo succube alla sua volontà, riuscendoci e rimanendo impunita con tutti.


Marco Bazzato

05.02.2008