Quanti uomini hanno camminato su questa terra? Quanti pensieri hanno solcato questo cielo che ci sovrasta, quante carcasse scheletriche consumate dalla polvere del tempo? Tutto per cosa? Tutto per illuderci d’esser vivi, per illuderci che la vita sia un dono, una speranza verso un futuro che mai verrà. Siamo polvere dispersa nel cosmo, un granello di nulla che s’illude della propria grandezza, un granello che si dissolve nell’acido della morte, quando esaliamo l’ultimo respiro.
Vivere perché? Per credere che esistere abbia un senso, per credere che siamo esseri creati da qualche dio che ci ama e che ci pone una mano sopra il capo nei momenti di tristezza? Bugie, fantasie, brutti sogni e maledette illusioni.
Siamo schiavi della paura, schiavi d’un inganno mortale chiamato vita, schiavi di corpi decadenti, rifatti, ricostruiti, per illuderci di vivere per sempre.
Meglio essere non nati, che vivere da morti, meglio non essere nei pensieri di nessuno, che non occupare le menti altrui con ricordi fallaci, distorti, rimodellati dall’erodere del tempo. Meglio il flagello oscuro del vagare dentro un grembo, dentro un seme che mai si unirà per costruire una vita, meglio fantasmi dimenticati, piuttosto che esseri striscianti, battaglianti per un esistenza infima, per un esistenza, che non è degna né pensata e né concepita. Siamo figli della lussuria, del coito primordiale, di un atto disumano, che fa gridare per le doglie del parto, che fa piangere lacrime amare, quando la contrazione giunge al vertice e gli arti sembrano staccarsi dal corpo.
Siamo parassiti che infettano l’ambiente, scarichiamo veleni nefasti che appestano l’aria, siamo guerra e sangue, dolore e vendetta, odio e illusione d’amore.
L’uomo è un sacco nero pestilenziale, un virus purulento senza speranze, senza avvenire.
Festeggiamo natali, compleanni, ricorrenze amene, per ricordarci il tempo che passa, per sentire ogni giorno quel cappio nero che si stringe al collo, e che all’ultimo respiro, ci farà schizzare le orbite fuori della testa. Viviamo come zombi, come prodotti industriali con la data di scadenza, attendendo quell’attimo che saremo gettati nei rifiuti, perché carne inerte.
Eppure siamo attaccati a questa nefasta carne, a questo nefasto corpo, a questa vita maledetta, da cui fremiamo d’orrore solo al pensiero di lasciarla, siamo attaccati e non vogliamo morire, piangiamo, quando sentiamo che l’oscurità danza davanti ai nostri occhi, quando vediamo per un attimo il triste oblio della morte. La morte, quando tocchiamo con mano quel nulla eterno, quell’istante senza pensieri, senza dolori, senza sofferenze e senza ricordi, come un rigurgito di vomito, la ricacciamo nello stomaco, imprigionandola, imprigionandosi ancora nel corpo morente, lacerato dal mille sofferenze, distrutto da mille dolori, imprigioniamo alla vita dentro la mente, che la stringe a se, come un figlio che vorrebbe soffocare d’amore, imprigioniamo quei richiami che ci guidano all’oblio, nascondendoli dietro il vacillante riparo delle convinzioni sociali, dietro il cadente nascondiglio dei dogmi religiosi.
Ma lei prevarrà, lei sarà la regina dell’illusoria eternità. La morte sarà, nostra madre, nostra compagna, nostra amica che ci terrà per mano per sempre, sarà quel nettare velenoso che ci sfiorerà le labbra rubandoci l’ultimo respiro, sarà quel vampiro che ci gelerà per sempre il sangue nelle vene.
La morte è quel demone eterno che c’insegue dal primo vagito, è quella mano nera posata sul nostro capo, è quel tocco delicato, sulfureo, proveniente dall’oscurità tenebrosa e abbracciante.
Marco Bazzato
28.11.2006
http://marco-bazzato.blogspot.com/
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