mercoledì 2 aprile 2008

Milano: Expo 2015, razzismo strisciante?


Alla fine l’Italia c’è riuscita. Milano si è aggiudicata l’Expo 2015, battendo di misura Smirne, in Turchia.
Come spesso accade in questi strani frangenti, in questi “giochi” del destino, gli italiani e l’Italia tutta si sente vincitrice della scommessa. E già in molti si sfregano le mani, inumidendosi il pollice, per iniziare a contare la fiumana di denaro che si riverserà nei prossimi sette anni sul capoluogo di provincia Lombardo, che stando alle proiezioni dovrebbe portare ad almeno settantamila nuovi posti di lavoro nel settore dell’edilizia e dei servizi.

Certo Milano e la Lombardia è l’Italia si presentano già da subito benissimo, specie con la situazione aeroportuale, con Malpensa declassato a scalo locale, vista la fuga, o la decisione dei futuri nuovi padroni di Alitalia, di dirottare il traffico a Roma e/o Parigi.

Ma non importa. Milano e i milanesi sapranno reagire anche a quest’avversità, anche a questo segno del destino politico che ha distrutto la compagnia di bandiera del Bel Paese, vittima di scandali, sprechi, pressappochismo e compensi milionari agli amministratori – fallimentari – che, come avvoltoi, hanno spolpato la compagnia, lasciando al Paese i danni e svendendo, al peggior offerente, visto che era l’unico un patrimonio economico e storico, che per decenni era stato il biglietto da visita del Paese.

Milano cambierà volto. Milano risorgerà dopo decenni d’ombra, dopo la morte della “Milano da Bere” rinascerà – stando alle idee degli architetti – in nuove forme, nuove strade, palazzi, grattacieli, e chi più ne ha più ne metta. Un po’ – stando sempre ai soliti maligni – come è accaduto per Italia 90, con stazioni ferroviarie inaugurate e mai entrate in funzione, impianti sportivi, che a distanza di 18 anni sono cattedrali nel deserto del nulla, e/o col consueto spreco italico, che come per i rifiuti e le bufale campane, ci fanno fare un ottima figura davanti al mondo.

Come sempre accade, dopo che l’ebbrezza per la vittoria è finita, lasciando dietro di se gli strascichi di una sbronza, la realtà torna ad affacciarsi prepotentemente davanti agli occhi, e iniziano a levarsi le voci, non contrarie all’evento, ma prudenti. Voci come quelle di Adriano Celentano, che pur rallegrandosi del successo italiano, teme per la città meneghina e provincia le colate di cemento e la deturpazione, ancor di più di quanto già avvenuto del territorio.

Balza all’occhio, nonostante la felicitazione per il successo italiano, il candore con cui si sbandiera la – presunta – vicinanza nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, o le nuove realtà economiche che si stanno affacciando sul mercato globale. La vicinanza è così grande, che ancora una volta la fiumana di denaro, si è riversata nei Paesi ricchi, che getteranno ai poveri, le briciole – se ci saranno – per i progetti di collaborazione internazionale. Bastai fare una breve ricerca, per vedere a quanti Paesi africani è stato dato l’onore e l’onore, finanziamenti di denaro compresi, per ospitare l’evento che torna a cadenza quinquennale, della durata di sei mesi, creando così anche in quegli Stati nuovi posti di lavoro, possibilità per il turismo, e soprattutto conoscenza di realtà multiculturali diverse, che abitualmente si va a depredare. Tant’è che secondo
Expomuseum, la manifestazione è stata organizzata in Sud America, in Brasile nel 1922, mentre l’Africa ad oggi, ne risulta totalmente esclusa. L’expo, per quanto la manifestazione abbia una portata economica internazionale, dall’anno della sua istituzione, nel 1851, ha sempre visto in prima fila Paesi della Vecchia Europa e gli Stati Uniti, come organizzatori, lasciando agli altri continenti solo le briciole, o addirittura il nulla.

Senza contare che nella speciale classifica degli assenti, nessun Paese dell’ex Cortina di Ferro, ha mai ospitato l’evento, Mosca compresa, lo stesso dicasi per i Paesi islamici, che evidentemente, nonostante la visione globalista – a parole – nei fatti continua ad essere estremamente settaria ed elitaria.

Per assurdo, la sconfitta di Smirne, non rappresenta un passo avanti per le relazioni internazionali, specie col mondo islamico e con gli ex Paesi del blocco sovietico, ma è sinonimo dell’estrema arretratezza culturale e la mancanza di visione politica, che fingono di non vedere che il mondo continua a cambiare a velocità vertiginosa, ma che per cecità politica, o per semplice calcolo economico, mantiene i politici e gli organizzatori, impaludati a visioni sociali del diciannovesimo secolo.

Per l’ennesima volta, complice la spinta dell’interesse economico italiano e milanese in particolare, si è persa l’occasione di evolversi, di cambiare, preferendo rimanere ancorati a vecchi stereotipi colonialistici, piuttosto che aprirsi a nuove realtà culturali diverse, dimostrando – nonostante le parole pregne di buoni propositi – come il razzismo strisciante sia ancora una realtà ben presente nella vecchia Europa che continua a volgere il suo sguardo solo principalmente al Nord America, come se questa fosse l’unico faro di civiltà presente nel Pianeta.

Alla luce della scelta milanese, a livello provincialistico, non si può che esserne fieri, ma a livello del rispetto del multiculturalismo, che dovrebbe implicare anche l’andare a conoscere culture diverse, direttamente sul posto, gli organizzatori, sono ancora ben distanti dalla volontà d’abbandonare schemi di pensiero, defunti da secoli, oggi ancora troppo simili a quelli degli schiavisti dell’America Abramo Lincon, che vedono nelle nuove schiavitù economiche moderne, il desiderio di portare avanti i pensieri dei propri avi d’intelletto ristretto.


Marco Bazzato

02.04.2008

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