Le voci già da tempo girano incontrollate. C’è chi dice “Andiamo” altri che dicono “Restiamo a casa”, altri ancora che ci stanno pensando, ma che non sarebbe giusto per gli atleti dover rinunciare ad una vetrina internazionale – e ai soldi – per colpa della morte di quattro tracagnotti, che se ne stanno appollaiati come cornacchie rosse, sul tetto del mondo a 4.000 metri, a pregare.
Il primo a rompere gli indugi, è stato l’originale ungherese – come il salame – Sarkozy, che politicamente parlando, sembrerebbe avere le uova di Fabergè piene dei cinesi, senza contare che l’aristocratico Pierre de Coubertin , Pietro del Copertone o Piero il Gommista, a seconda della pronuncia maccheronica del francese, starebbe facendo il diavolo a quattro, secondo alcuni in paradiso, secondo altri all’inferno, da quando ha saputo delle legnate ai poveri monaci pacifisti. Ma il de Coubertin sarebbe incazzato anche perché il suo motto: “L’importante non è vincere, ma partecipare”, è stato sostituito con.”L’importante e guadagnare”. E lui, dopo che è morto, non ci ha guadagnato una mazza, a parte qualche fiore in plastica, messo alla buona, in qualche commemorazione ufficiale, per poi essere portato subito via è più nero della polvere delle sue ossa, gettata sugli occhi degli stolti, per renderli ciechi.
Stando ad alcuni maligni, i cinesi, visto il cancan che si continua a fare – secondo loro senza motivo – vorrebbero istituire una nuova disciplina: Calci in culo al Tedoforo, se per proteste, si rifiuta di portare la fiamma olimpica al Il Paese di Mezzo.
Dicono che Piero del Copertone, stia bestemmiando come un barone, divenuto barbone, caduto in miseria, lassù in cielo o sotto terra, che San Pietro,che anche lassù prima de canto del gallo cambi idea o rinneghi tre volte, sembrerebbe in preda a crisi nervose, perle urla stridule, che farebbero perdere la pazienza anche ad un povero Cristo in croce, e in accordo col capo supremo, sembrerebbero intenzionati a far arrivare un bel Tsunami – durante le Olimpiadi – nel Mar Cinese Orientale, che a confronto di quello del 26 dicembre 2004, sarebbe una banale tempesta in un bicchier d’acqua.
Il Copertone, il Gommista, o De Coubertin per far contenti i puristi del francese, dopo essersi strappato i baffi uno ad uno, avrebbe convinto la Triade: Il Boss, il figlio, e l’Eterno assente a far qualcosa, qualsiasi cosa, pur di fermare lo scempio 2008, non della sua creatura: Le Olimpiadi, ma offeso di non essere della partita, di non aver potuto partecipare alla gara dell’ingrasso, dell’olocausto dell’agnello grasso, per la gioia del portafoglio.
Il Copertone, incazzato come un Jeffrey Dahmer affamato vuole la sua parte, la sua fetta, stanco dell’utilizzo del suo nome, del suo pensiero da sponsor voraci, di tv satellitari, che come piovre, come narcotrafficanti dell’etere, si contendono i planetari tossici sportivi a suon di milioni, certi di ricavarne miliardi.
E gli atleti? Il Copertone è incazzato con questi rinnegati, furioso con questi venduti, nero con questi signori dal milione facile, dall’ingaggio faraonico, che nemmeno Nefertari, Cleopatra o la Regina di Saba si sarebbero immaginate.
Il Copertone, il De Coubertin in molti lo sanno, in pochi lo dicono, che andrebbero fermate, boicottate, e vorrebbero vederle fallire come due torri che crollano a terra tra nuvole di polvere, volti smarriti, impauriti, lacrimanti e piangenti come quelli dei monaci, combattenti pacificamente per la propria libertà. Il Copertone, vorrebbe vedere, in quei giorni, le guerre fermarsi, il sangue arrestarsi, il dolore spegnersi non in onore dei giochi dell’uomo per l’uomo, ma per la pace.
Ma il Gommista, il De Coubertin, il del Copertone, è stanco di farsi prendere – come un sodomita da quattro soldi – per il deretano, è stanco d’essere nominato, come invitato assente al banchetto delle belle parole, ai brindisi dei calici, al cielo, alzati per ricordarsi della sua illustre – ma defunta – memoria.
Se De Coubertin piange, la storia attuale non ride. La storia, gli storici e la maggioranza dei politici tacciono, tergivisano, rimandando alle calende greche le decisioni sull’eventuale partecipazione, intimando agli atleti di rimanere a casa a manifestazioni concluse.
De Coubertin piange, impreca s’arrabbia, ma alla fine tace. Tace perché la sua parola rimane inascoltata, perché in un mondo così diverso da quello che ha lasciato il 2 settembre 1937, nonostante i buoni propositi, gli ideali di Olimpia del 776 a.C sono morti per sempre, uccisi dall’unica divinità esistente sulla Terra: il Dio Denaro.
Marco Bazzato
01.04.2008
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