venerdì 25 gennaio 2008

Il Governo è morto!


Il pargolo, povero piccolo paffuto è morto. Morto nella culla, soffocato da un rigurgito interno di una giustizia colpito dalla giustizia stessa, morto, anche se aveva compiuto appena diciotto mesi, ma pochi lo piangono, molti sorridendo lo percuotono, ballano e cantano, come se il Paese si fosse liberato da una malefica jattura. Lo hanno affossato, tradito e crocefisso, come nemmeno Giuda nei Getsemani, seppe tradire con cotanta freddezza.

Si sono avventanti sul cadavere dell’infante ancora caldo. Si sono avventanti sul piccolo corpo, calpestandolo senza ritegno, trattato come il serpente nell’Eden, la cui testa venne schiacciata, come un pesce rancido, puzzante dal Capo, il tanfo è fetore era diventato nato nauseabondo.

Non ci saranno funerali, fanfare e bandiere. Non ci saranno militar silenzi a scandire l’ultimo viaggio verso l’ignoto luogo di sepoltura, in attesa di resurrezione che nessuno, dai tempi della s-vendita dell’Alfa Romeo, e altre agonizzanti di Stato, che come l’ultimo morto, sono implose dall’interno, come se avessero ricevuto un colpo segreto dal Divino Maestro di Hokuto.

Nessuno piange, ma tutti soffriranno ancor di più, non per precoce dipartita, ma perché dopo il biennale salasso familiare, con uomini, donne, e famiglie impoverite, la nuova tempesta cadrà sul capo d’ognuno per pagare lo sbraitare inutile e vuoto del presunto futur vincitore.
Da anni, come la “Munnezza” napoletana, siamo un Paese governato da morti fermentati, un Paese, dove i “Sancio Panza” sono figli dei mulini a vento, parlano, parlano, distribuendo ad amici degli amici regali e prebende, sfruttando, pretendendo, chiedendo, inchinandosi e prostrandosi ai forti e violento e potente coi deboli.

Tra poco, un nuovo pargolo nascerà. Nascerà tra le macerie dell’infante appena sepolto, sulla tomba dell’impubere defunto, come un novello conquistatore, un Magno Alessandro, un Piccolo e paffuto Napoleone plutocrate, prendendo il potere, il comando della barca alla deriva, del transatlantico, pronto a solcare i sette mari, portandosi appresso le carestie passate, i dolori e rifiuti ammucchiati, ricercando una nuova discarica, creando nuove colline d’infausti frutti venefici.

Tutto come e peggio di prima. Nessun nuovo Eletto potrà guidare la barca alla deriva delle correnti verso un porto sicuro, verso un porto accogliente che saprà ridare prosperità e benessere.

Lacrime e pianto, fame e disgrazie, tumulti e picchetti, manganelli calati sui capi degli affamati di verità e giustizia reclamanti il pane, nuovi Signori, s’affacceranno all’orizzonte, padroni sconosciuti delle nostre vite, solcheranno il cielo con frecce infuocate, nuovi Signori dei nostri destini, condurranno gaudenti il Paese all’abisso.

Dio, secondo alcuni è morto, secondo altri, veglia dormiente sui nostri capi, lasciando il mondo, lasciando il Paese al tristo destino, attendendo la nuova rivolta, attendendo l’ennesimo bagno di sangue dei derelitti.

Il radioso futuro nascerà morto, senza speranze, certezze e virtù. Nascerà al capezzale di centinaia di medici neri, che con arcani riti Vudu, maledendo la nascita, perchè segno infausto di nuova Apocalisse, pronti a soffocar l’infante in fasce.

È già alba nera di rinnovate sventure, alba infausta d’un levarsi di sole morente della Costituzione violentata, stuprata, vituperata e calpestata, resa Magna Carta Straccia dai veti crociati, di governi ombra e balneari, di divergenze parallele, e ribaltoni.

Ad essa il popolo 12 lustri fa guardava con speranza, per sollevarsi da una guerra infingarda e bastarda, ad essa gli umili, gli ultimi, i poveri erano portati a credere, come Dogma di una Nuova Laica Legge divina, scesa dal Cielo e scritta dall’uomo. Ma tutto è andato perduto, calpestato e dimenticato, lasciato marcire ed ammuffire, come il frutto abortito d’una madre snaturata, copulante non per generare nuova vita, ma per far rigettare e raschiare il frutto indigesto al ventre, di quell’essere lei crescente.

È morto, tutto è morto per sempre. Sepolto da decenni in suolo sconsacrato dagli italici politici. È morto, rigettato, già sepolto tra le ennesime pagine ammuffite d’un Italia decadente e decaduta. È morto e ieri, come oggi e domani, l’italiano non ha più fiducia nei nuovi vecchi che verranno, perché, come il pargolo appena ucciso, era nato, nascerà domani e sempre vecchio e moribondo.


Marco Bazzato

25.01.2008