Partendo dal presupposto che la ricostruzione storica fatta da Andrea Galli sia corretta, restano degli interrogativi sia di ordine penale - per la giustizia non solo italiana - ma sopratutto di ordine etico-morale, a riguardo gli stessi insegnamenti dottrinali della Chiesa Cattolica.
L’articolo fa riferimento al regolamento canonico – emanato dallo Stato Vaticano – inerente le procedure da attuare, solo in sede ecclesiastica, se avvengono atti di violenza di clerici nei confronti di minori, trincerandosi dietro che “ in base alla legge italiana il privato cittadino (tale è anche il vescovo e chi è investito di autorità ecclesiastica) è tenuto a denunciare solo i crimini contro l'autorità dello Stato, per i quali infatti è prevista la pena dell'ergastolo”; il che sembrerebbe un modo alquanto peloso e penoso d'accantonare obbligo morale di un vero Cristiano, di un buon cattolico, e sopratutto di un esponente del Clero, utilizzando secondo convenienza, le leggi dello Stato italiano, riservandosi il diritto di giudicare il clerico secondo la legge ecclesiastica vaticana, gli accusati di pedofilia, dimenticando, che il sacerdote stesso, non avendo passaporto vaticano, ma italiano,o di altri Stati, è responsabile davanti alle leggi dello Stato d'appartenenza, o del Paese straniero dove è inviato a fare apostolato.
Fa paura come il concetto relativistico – così esecrato a parole dal Santo Padre – sia usato in modo strumentale e arbitrario, non per difendere la parte lesa, ossia il minore, ma per tutelare uno spregevole agli occhi di Dio e dell’uomo, esecrato da Gesù stesso e chiaramente descritto nel Vangelo di Marco 9.42, dove il Cristo dice: “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare”. Certo il messaggio del Vangelo è simbolico, ma un reato di tale portata, non può essere pretestuosamente difeso a favore di quanti si sono lordati di tale infamità.
Formalmente non si può accusare il Vaticano d'aver sottovalutato il problema, ma se di errore in malafede, o buonafede, si può parlare, è stato quello di non aver collaborato con le istituzioni giudiziarie,, nascondendosi probabilmente dietro il vincolo di segretezza della confessione, usando strumentalmente la religione per tenere celato un disordine morale, psicologico, personale e sociale del clerico che si abbandona ad atti pedofili, per paura di compromettere l'immagine della Chiesa stessa.
La Chiesa – anzi le istituzioni dello Stato Vaticano – non dovrebbe sentirsi assediata, ma essere felice della costante attenzione che i media nazionali, anche informatici, dedicano alla medesima, perchè è uno sprono costante verso quella santità divina a cui l'uomo - secondo il ministero cattolico - dovrebbe assurgere.
Trovare scandalizzante il comportamento di quanti mettono a nudo le infamità umane, celate anche sotto le tonache, dove la Chiesa stessa non dovrebbe aver timore di denunciare alla giustizia secolare quei criminali contro l'uomo e contro Dio che vivono dentro le Sacre Mura nel mondo, è uno errore in primo luogo nei confronti dei fedeli, dei semplici, che hanno come primo desiderio avere una chiesa sana, non pilatesca, che si nasconde dietro codici e codicilli legulei come azzeccagarbugli, che devono salvare la forma e l'apparenza, nascondendo al grande pubblico la sostanza nera e maligna che si annida al suo interno.
Marco Bazzato
21.05.2007
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