sabato 17 marzo 2007

Rapimento Mastrogiacomo:ipocrisia italica

Da giorni la vicenda del giornalista Daniele Mastrogiacmo del quotidiano La Repubblica, rapito in Afganistan, tiene l’Italia con il fiato sospeso.
Nelle ultime ore è trapelata la notizia dell’uccisione dell’autista afgano, accusato d’essere una spia, e giustiziato dagli stessi carcerieri che detengono Daniele Mastrogiacomo.
Ma quanto vale la vita di un ostaggio afgano? Evidentemente per la stampa italiana nulla. L’ucciso,.Saied Agha, 25 anni, padre di quattro figli, saputa della morte del marito, la moglie incinta dell'autista residente a Kandahar, ha perso il bambino,non ha tavuto una parola di pubblico cordoglio da parte del direttore del quotidiano italiano, dalle forze politiche inostrane, che hanno attivato tutti i canali, forse, per salvare solo la vita del giornalista.
Fa orrore pensare che davanti alla morte di un essere umano, forse pagato pochi euro per il servizio di trasporto, nessuno abbia avuto l’umanità, il decoro e il rispetto di spendere due righe di cordoglio, mentre il sostegno a Daniele Mastrogiacomo ai familiari continuano a sprecarsi con appelli alla liberazione, manifestazioni di piazza, illustri premi nobel che si sperticano in parole d’affetto solo al professionista nostrano.
Si è toccato il fondo dell’inciviltà. L’Italia è presente in Agfanistan come esercito invasore, nonostante si continui a spacciare la missione dei nostri soldati, come una forza di pace armata, a cui si chiede il cambiamento delle regole d’ingaggio per partecipare alla prevista offensiva di primavera.
Certo dispiace per il giornalista e i suoi familiari ma loro, almeno per ora, hanno la quasi certezza che il loro caro sia ancora vivo, mentre una vedova afgana (ma chi se ne frega, è una povera stracciona) con quattro figli, sta piangendo, forse nascondesi, e nessuno si degna di scrivere due righe di pubblico cordoglio. Bell’esempio di oggettività, obiettività, etica professionale del giornalismo di casa nostra, dove il provincialismo di cui è intessuto, ha in questa vicenda raggiunto un livello di bassezza, tale da far pensare che il cinismo abbia preso il posto alla dignità professionale e il rispetto per una vita (anche se non appartenente alla ricca e opulenta Italia) strappata ai suoi cari.
Ma se per una malaugurata ipotesi, ciò dovesse accadere anche al prigioniero italiano, ecco che assisteremo allo stracciarsi delle vesti, ai funerali di Stato, a parate di politici in prima fila, forse con la cipolla tra le mani per simulare lacrime di commozione, cordoglio per i famigliari, dimenticando la vittima straniera, il collaborazionista al soldo di un inviato, un collaborazionista pagato, secondo i partigiani antifascisti afgani, dal nemico invasore che vuole fare propaganda.

Marco Bazzato
17.03.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/