Essere affetti dal mongolismo, termine politicamente scorretto usato per definire i portatori della Sindrome di Down, malattia che in questo decerebrato caso sembrerebbe aver colpito più i genitori che la figlia, sta scatenando una valanga di reazioni sdegnate da parte delle associazioni di volontariato, che assistono questi bambini e/o adulti affetti dalla Sindrome. Sono molti, quelli che si chiedono, se non si stia superando il limite, se la scusa dell’estetica, per venire incontro alle difficoltà future della bambina, non nasconda nei genitori – che con l’estetica e/o l’idiozia maschile e femminile ci campano – per salvaguardare l’ immagine del restauratore delle imputridità fatiscenti carni umane, e della moglie pluripiallata al volto,inseguitrice – castrata – del mito dell’eterna giovinezza – una malattia patologico-professionale che gli fa pensare alla figlia non come una loro creatura, ma come una delle pazienti a cui restituire l’immagine, ma non la sostanza, che non hanno saputo generare.
Partendo dall’assunto che un adulto può fare del proprio brutto muso quello che gli pare, tant’è che di “Nuovi Motri”rifatti – parafrasando la celebre rubrica di “Striscia La Notizia” ne sono pieni i giornali e/o le riviste di gossip, non si capisce perché un minore, che ha già dei seri problemi di salute, di inserimento sociale, e comprensione, debba essere sottoposto, dalla tortura genitoriale ad interventi di chirurgia estetica, per eliminare non il problema alla fonte – la Sindrome di Down, ma per far sentire meno deficitari e colpevoli i genitori, che in virtù della professione, provano vergogna e orrore sociale per aver messo al mondo una figlia, non solo malata, ma soprattutto non conforme dei canoni estetici della società contemporanea, che il marito con la sua professione ha contribuito a rimodellare. Non va dimenticato, che un uomo o una donna, possono farsi un milione d’interventi estetici, per apparire, ma quando come cervello, come testa e/o ragionamenti, sono idioti o deficienti, tali permangono, non c’è chirurgia estetica e/o apparenza che tenga.
Ci troviamo, non solo con questo caso, davanti ad una genitorialità deviata, ad uno sfaldamento patologico della coscienza individuale e sociale, dove non conta chi si è, ma come si pensa d’apparire agli occhi degli altri.
Ma questa deviazione, non è una novità che nasce ora. Già a metà degli anni settanta, in Italia, a Padova, presso l’ospedale civile, alcuni medici, mi disse un amico, plurioperato al ventre, con l’addome, dopo sette interventi chirurgici, effettuati entro il primo anno e mezzo di vita, che sembrava una carta geografica rattrappita, venne sottoposto da enormi pressioni, sia lui, sebbene minore, sia i genitori, perché accettasse una plastica ricostruttiva addominale, per nascondere le cicatrici. Il bambino che all’epoca non aveva più di otto anni, si è sempre rifiutato, nonostante la giovane età, quei segni sull’addome rappresentavano la sua storia, il suo essere, la sua natura e le traversie che la vita stessa gli aveva messo innanzi, e che era riuscito, grazie alla medicina e alla famiglia, a superare.
Anche i genitori, all’inizio provarono a fare pressioni, non troppo forti sul figlio – così mi è stato raccontato – poi, a seguito di un ennesimo consulto medico, anche alla presenza del bambino, dove fu spiegato l’eventuale intervento , che prevedeva l’asportazione di alcuni lembi di carne dalle natiche, per rimodellarli sul ventre, il fanciullo, più intelligente dei dottori, li mandò, metaforicamente parlando, al diavolo, tenendo si sull’addome, la sua storia, il suo passato, i barba a chi per il loro disgusto personale e per il lavoro di alta macelleria addominale volevano nascondergli la storia, il suo passato, il presente ed il futuro.
Marco Bazzato
13.03.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/
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