domenica 30 settembre 2007

Anoressia? No grazie


La nuova campagna pubblicitaria del fotografo Oliviero Toscani continua a far discutere, perché il creativo che già in passato, era riuscito ad avere le prime pagine dei giornali, aprendo dibattiti, scandalizzando l'opinione pubblica con le sue immagini shock nemmeno questa volta si è smentito, tanto che il Comune di Milano, ha deciso di far togliere i manifesti, timoroso che potessero influenzare negativamente l'opinione pubblica.
Ma cosa c’era di così scandalizzante in questi manifesti? Nulla. Nient'altro che una semplice modella anoressica in posa plastica, che liberamente ha deciso di prestare il volto, e il corpo scheletrico, ad una campagna pubblicitaria contro l'anoressia.
Ma cosa veramente spaventa? La paura della malattia? Gli enormi occhi sporgenti della modella, che con sguardo supplichevole sembrano dire: «Non diventate come me!». I seni cadenti e raggrinziti, ormai come carne morta, penzolanti verso terra, attratti dalla forza gravitazionale?
Quel manifesto ha una forza ed una violenza visivo-simbolica conturbante, che affascina e attira perché il sottile filo della vita dell’anoressica, è quasi impercettibile, dove l'esistenza, di quanti soffrono questo dramma, che spinge all'autoconsunzione, porta lo spettatore a prendere coscienza di un’esistenza, che “volontariamente” si sta spegnendo.
Ma nel delicato mondo ovattato di oggi, dove i morti ammazzati in Tv sono una costante, dove la visione della violenza e della morte tocca e sfiora lo spettatore, solamente come un buffetto di vento e poi svanisce, quell'immagine reale e colma d'angoscia, spaventa.
Spaventa perchè prendere coscienza della realtà, è visto da alcuni come un dramma, come una paura atavica che deve essere rimossa dalla coscienza collettiva, e l’uomo contemporaneo, così anestetizzato dal caos quotidiano, ha orrore nel vedere uno dei volti violenti della malattia e della sofferenza.
Oliviero Toscani, con la brutalità visiva che gli e riconosciuta, senza timore mostra il dolore e l’orrore di un corpo che decade, di una vita che vuole spengersi, spinta da sconosciute voglie autodistruttive, e questo lascia annichiliti. Lascia annichiliti perché, sebbene per scopi pubblicitari, non si vuole pensare, si ha paura di spaventare, si ha orrore dell'orrore che colpisce centinaia di ragazze, che vivono in solitudine questo dramma.
L'uomo, specie l'Europeo, che vive in un oasi felice di "Pace Armata" ha perso il contatto con il dramma quotidiano della morte, dove da un lato cerca di rimuoverlo, dall'altro, specie le giovani, ipoteticamente spinte da modelli mediatici distruttivi, cercano angosciosamente l'eliminazione del grasso, presente nella mente, spingendosi a ricercare una morte, tramite consumazione, che le porta ad essere, secondo i loro schemi di pensiero, simili ai modello proposti, ma mai soddisfatte della propria estetica e tendenti, e come guerriere kamikaze, a sognare - a volte giungendovi - ad una morte lenta, dolorosa, sfinente e sfiancante, che non lascia spazio a dubbi e interpretazioni di sorta.
Non deve far paura la pubblicità della modella scheletrica, anzi, l'immagine stessa, deve portare a riflettere su un dramma sociale, figlio dell’opulenza e della ricchezza, figlio del benessere e dell’immagine, dell’apparire, anziché dell’essere, che fa cortocircuitare le psichi delle più deboli, ma che non deve essere imputata alla moda, ma ad altre cause, a conflitti interiori che spesso le ragazze hanno in se.
Colpevolizzare una campagna pubblicitaria, che ha avuto il coraggio di mettere sotto gli occhi di tutti la sofferenza e autodistruzione, deve far riflettere su come, l'uomo contemporaneo ha rimosso, come merce sporca o carne avariata, la sofferenza, e preferisce attaccare un fotografo, piuttosto che avere l'onestà di farsi una seria autocritica, di quanto nel baratro essa sia sprofondata, e quanta paura ha quando qualcuno lo fa - seppur per scopi pubblicitari - notare. Questa si chiama: Ipocrisia da struzzi con la testa sotto la sabbia, timorosi nel vedere e capire, deprivati soprattutto della volontà di curare.
Marco Bazzato
30.09.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/