giovedì 26 gennaio 2012

Liberalizzazioni dei carburanti

La montagna tecnocratica del governo Monti ha partorito un topolino – morto.

Si può ridurre a questo le fantomatiche liberalizzazioni dei carburanti, volute da colui che diceva di non conoscere i poteri forti in Italia, in tre parole:“chiacchere e distintivo”.

Sono solo 500 le stazioni di servizio dove decreti e terreni sono di proprietà del gestore, mentre perla altre quasi 25.000 pompe, queste appartengono alle compagnie petrolifere, che le danno in gestione, stipulando contratti di comodato d’uso gratuito della durata di sette anni, rinnovabili.

Nel decreto si scrive che i proprietari di impianti e decreti, che espongono un marchio di una compagnia possano acquistare il 50/% del erogato nel mercato libero, ossia presso l’extrarete, in modo da provocare così una diminuzione del prezzo alla pompa di circa sei centesimi.

Peccato che sia una mezza balla.

Chi è proprietario di decreti e terreno, gode già di un margine quasi doppio che serve sia per l’investimento dell’impianto, come per coprire quelle spese di manutenzione che nei contratti di comodato d’uso gratuito, sono a carico della compagnia petrolifera e/o del marchio –  come ricarica estintori, colori, manutenzione degli erogatori e servizi  e imposte sui terreni,. Quindi i titolari degli impianti di distribuzione carburante, che hanno contratti di fornitura esclusiva con una compagnia petrolifera, se vogliono possono già attuare sconti, avendo dei margini più ampi, , vendendo i carburanti con prezzi esposti più bassi, cosa che in parte già si fa, avendo alcune di queste stazioni di servizio già dei servizi non oil.

Va ricordato che la maggior parte dei P.V non sono dei chioschi, spesso ancora nei centri abitati, e in prossimità dei anche dei centri storici,  che dovevano sparire più di un decennio orsono, dove  mancano gli spazi per attività non-oil, come bar o rivendita giornali. 

Le compagnie petrolifere non hanno interesse a investire in un piccolo chiosco per ampliarlo, leggi urbanistiche permettendo. Mentre se il gestore volesse dedicarsi ad altre attività, l’impianto non essendo il suo, gli sarebbe impossibile dar seguito per la mancanza di spazi a norma, e l’assenza di volontà da parte dei marchi di investire su impianti destinati a morire, essendo vecchi, con pensiline mezze cadenti e chioschi fatiscenti degli anni ’60 e ’70, abbondantemente ammortizzati, dove le spese massime sono quelle obbligatorie della manutenzione ordinaria e raramente quella straordinaria. Cose che tutti i gestori in contratto di comodato conoscono benissimo, in quanto vengono ripetute come mantra dagli addetti di rete.

 Si deve sapere che se il gestore prende 38 cent a litro – margine fermo dai primi degli anni 20000, le agenzie proprietarie o che gestiscono gli impianti  o per conto dei marchi petroliferi, ne incassano quasi altri 40 cent – per il gasolio i margini sono più bassi –  al litro e non hanno interesse a fare investimenti nei piccoli e vecchi impianti che forniscono la maggioranza degli utili.

L’Italia, anche per la morfologia del territorio, sconta una rete di distribuzione carburati che si è espansa dagli anni ’50 del secolo scorso, crescendo in modo esponenziale, con una rete capillare sul territorio, per contrarsi ai primi degli anni ’90, che ha portato ad una riduzione dei punti vendita, passati dai 38.000 ai 25.000 attuali,  è ostaggia della lobby dei gestori in contratto di comodato gratuito – che fa comodo anche alle compagnie petrolifere proprietarie degli impianti, che in conserto non hanno mai voluto aprire a una  liberalizzazione del mercato. Infatti la lobby dei gestori in comodato, ha dichiarato 10 giorni di sciopero, in contrasto con le leggi vigenti e le autoregolamentazioni di categoria che impongono un periodo massimo di tre giorni solo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, per fare pressioni nei confronti del Governo, affinchè l’immobilismo permanga.

Non è solo colpa delle compagnie petrolifere se le liberalizzazioni languono, ma anche dei gestori, ostaggi dei contratti, costretti, volenti o nolenti, a tifare per padroni, che de facto sono indigeste.

Il governo poteva e doveva osare di più, ma come? Innanzitutto facendo il possibile affinchè gli impianti con un erogato inferiore ad un 1.000.000 venissero chiusi, obbligando le Compagnie ad accorpare i decreti,  mettendoli sul mercato, permettendo ai gestori di consorziasi, e con i piani regolatori comunali, in conserto con Regioni e Provincie, che devono mettere a disposizione dei nuovi proprietari zone commerciali ove far sorgere nuovi impianti, fuori dai centri abitati, senza vincoli di distanze minime tra una stazione di servizio e un'altra. Cosa  impossibile da attuarsi, visti i continui veti incrociati che il settore sconta, senza contare l’ostruzione dei comuni che non vogliono perdere una parte degli introiti derivati dalle tasse comunali, e dicono che gli impianti sono necessari per i cittadini, specie nei piccoli centri abitati, dove però i gestori di questi impianti a fatica riescono a portare a casa la giornata.

Bisogna sfatare un altro mito a riguardo la concorrenza,iniziata già negli anni ’90, quando si è passati  prima dal prezzo amministrato a quello sorvegliato, fino a quello consigliato dalla compagnie petrolifere – che ne giorni della liberalizzazione di prezzi dei carburanti, a discapito delle promesse del governo, e del battage mediatico che avevano spinto verso questa direzione, le compagnie, nei giorni immediatamente seguenti della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, aumentarono i prezzi alla pompa di  oltre dieci lire, avendo finalmente le mani libere dai legacci normativi, con i gestori però messi sotto accusa dall’opinione pubblica, se oltre all’aumento imposto dalla compagnia, applicavano un sovrapprezzo di qualche lira, –   anche oggi decisi dai veri  proprietari del carburante: i gestori, i quali – giustamente – per non farsi troppa concorrenza, hanno sempre avuto l’abitudine di andare presso i P.V concorrenti, guardando i prezzi l’uno dell’altro, applicando differenze minime, per non ingaggiare una guerra tra poveri, come fanno le Grandi Compagnie in ogni settore le quali spesso, quando viene dimostrato il Cartello, ricevono dall’Antitrust, il Garante per la Concorrenza, multe irrisorie e simboliche, non proporzionale agli utili netti,he rispetto al fatturato annuale

Ma l’Italia sconta anche un problema di arretratezza culturale, imposto dai media e della associazioni di categoria dei gestori che fanno del “terrorismo” quando parlano di desertificazione alla francese, con l’italiano, abituato al comodo a all’agio del piccolo chiosco sotto casa, condizionato a non richiedere la concorrenza.

 Nei Paesi civili, dove esistono vere stazioni di servizio, dotate di tutti confort, il consumatore può trovare il bar, i giornali, piccoli ristoranti, bagni all’altezza, anche per disabili, aperti 24h su 24, suddivisi in tre turni di lavoro, cosa che in Italia accade sulle reti autostradali,   non nei centri urbani ed extraurbani, per colpa dell’ostruzionismo culturale delle compagnie petrolifere e dei piccoli gestori.

Si deve anche tener presente che i prezzi del carburante, liberalizzazioni o no, no  non potrà scendere in modo sostanziale, in quanto oltre 50% e dovuto ad accise e imposte e a contributi una tantum, mai abrogati, sempre per rimpinguare i forzieri eternamente vuoti delle casse dello Stato Così come  nei Paesi dove la rete è “libera”, ossia esistono grandi stazioni di servizio, aperte 24h su 24, con una molteplicità d attività non oil, prezzi dei prodotti, sono più alti del negozio sotto casa, con   i prezzi delle grandi stazioni di servizio allineati tra di loro, o con differenze di pochi millesimi, che incidono irrisoriamente sul risparmio, o  sovente i prezzi dei carburanti sono i medesimi nel raggio di una ventina di chilometri, che per via della rarefazione,nessun consumatore va a farsi una trentina di chilometri in più per risparmiare qualche millesimo.

E basta entrare in qualsiasi stazione di servizio lungo la rete autostradale per rendersi conto che i prezzi dei carburanti sono notoriamente più elevati, rispetto alla rete urbana ed extraurbana.

Per concludere bisogna tener presente che in Italia, ogni volta che si è “liberalizzato” un settore, i prezzi invece di scendere, sono sempre aumentati,ricordiamo le assicurazioni Rc o i servizi idrici, e che la liberalizzazione voluta dal governo Monti non serve per andare verso un mercato più aperto, ma per cercare di incidere il meno possibile sugli utili delle grandi compagnie petrolifere, italiane e straniere, i cosiddetti poteri forti che Mario Monti dice d’aver sempre combattuto quando era commissario per la concorrenza presso l’Unione Europea, ,ma per quanto concerne l’Italia ha capitolato, e di brutto.


Marco Bazzato
26.01.2012

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