Evidentemente il “papen” dall’accento di un panzer teutonico non piace, sono infatti ancora vivi nella mente di molti, la figuraccia universale rimediata all’Università di Ratisbona durante la Lectio magistralis tenutasi il 12 settembre 2006, e che ha fatto incazzare un bel po’ di musulmani, per l’alto esempio di rispetto fraterno tra le religioni, andando a sputare – metaforicamente parlando – addosso agli altri, chiudendosi gli occhi innanzi agli spregi storici e dei diritti umani che proprio lo Stato Vaticano, e i suoi emissari, sparsi per mezza Europa commettevano – nel nome di Dio – in quegli anni bui.
Gli illustri sobillatori sono ancora incazzati per il casino e l’abiura imposta a Galileo Galilei nel 1616, perché sposava le idee – eretiche per l’epoca – copernicane. A parte il fatto che usare come pretesto quest’evento, non meno grave dell’arrostimento di Giordano Bruno a Campo dei Fiori, il 17 febbraio del 1600 – che stando ai racconti dell’epoca, si dice che quello fu un buon secolo per i barbecue a base di carne umana – che inginocchiato, prima d’essere arso vivo disse: «Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla», e per dirla alla Fantozzi “Una cagata pazzesca”, visto che non è necessario usare pretesti vecchi di più di 400 anni per metterlo alla berlina, basta attaccarsi al discorsi, dove esprimeva un certo disagio nei confronti della scienza, e che l’uomo deve confidare unicamente in Dio per la guarigione del corpo. Ergo, per farsi passare l’arteriosclerosi, o la senilità – dovrebbero bastare qualche Padre Nostro, Ave Maria, ed Eterno Riposo. Parafrasando Guido Angeli: se ci credete, o se credete, provateci!
La “rivolta” della Sapienza, ha un fondo di verità che esula dalle boiate storiche che con le proteste odierne non possono essere modificate, la verità sta nel fatto che l’Italia, per quanto a parole si dica essere un Paese laico, e clericalizzato – o per dirla con un termine amato dagli ambientalisti, non è declericalizzato – molto di più di quanto si pensi. Basti pensare alla battaglia che da anni Luigi Tosti porta avanti,in solitaria, e senza che i media ufficiali ne parlino, contro l’abolizione dei crocifissi dagli edifici pubblici dello Stato italiano, non perché questi siano un fastidio, ma perché è necessario per la giusta distinzione tra Stato e Chiesa.
Che alla Chiesa piaccia oppure no, il Bel Paese, da tempo, nonostante quanto afferma la propaganda clericale, è una nazione decristianizzata, o decatecolizzata, tant’è che le vocazioni sono in calo, e si è addirittura costretti ad importare preti dall’Africa, visto che il Paese che prima esportatore di missionari in tutto il mondo, è diventato terra di evangelizzazione cattolica da parte di sacerdoti provenienti dal presunto terzo mondo. Senza contare le chiese, sempre più vuote, frequentati da anziani, dove vista la moria di fedeli, lo Stato Città del Vaticano, come ogni multinazionale globalizzata che si rispetti, dopo aver sconsacrato i luoghi di culto, portandoli allo stato laicale, li vende spesso ad associazioni islamiche, che dopo averle sbiancate le trasforma in moschee, visto, che l’islam cresce, e il cattolicesimo cala.
Contestare l’imperatore vaticano, non è un atto di censura nei suoi confronti, ma un atto di democrazia, perché una Chiesa che non sa accettare il dissenso, è una Chiesa chiusa in se stessa, paurosa del dialogo e del cambiamento, una Chiesa che ha paura del sacerdozio dei preti, per paura di perdere le eredità dei sacerdoti morti, è una Chiesa che col tempo andrà verso un a lenta ed inesorabile agonia ed emorragia di fedeli e denaro, anche se le questue e le oblazioni a scopo d’indulgenze, rappresentano da tempo una minima parte degli introiti della multinazionale d’oltretevere.
Ci sono due appunti finali per concludere. Il primo è che la Chiesa come sempre è in ritardo, visto che dopo aver plaudito alla moratoria dell’ONU sulla pena di morte, si è dimenticata che le Catechismo della Chiesa Cattolica, sempre così attenta nel suo dogmatismo relativista, all’articolo 2267 contempla ancora la pena di morte, in casi eccezionali, ,ma la contempla.
Punto secondo: non va dimenticato che l’Imperatore Vaticano, come qualsiasi cittadino Europeo ha il diritto d’esprimere la sua opinione, e che come persona che continua ad ambire ad avere un ruolo pubblico, sempre meno ascoltato anche dalle platee che si assiepano in Piazza San Pietro, deve imparare a mandare giù qualche boccone amaro, visto che sia i fedeli, sia i laici, non hanno ancora dimenticato il predecessore: Giovanni Paolo II, dove Benedetto XVI non sembra – citando il vangelo – “Nemmeno degno d’allacciarli i calzari”. Lasciamolo parlare, augurandosi uno scivolone in stile Ratisbona, poi, per criticarlo democraticamente c’è sempre tempo.
Marco Bazzato
15.01.2008