martedì 29 novembre 2011

Cani randagi la Romania dà la licenza d’uccidere





Sono iniziate le polemiche – immotivate – circa la legge approvata dal parlamento romeno che consente la soppressione dei cani randagi in eccesso, previo referendum nelle singole città, circa la possibilità d’abbattimento dei medesimi, dando via ad una forma di caccia urbana legalizzata.

Le associazioni animaliste straniere, italiane comprese, pur con il loro diritto di critica, hanno iniziato a muovere l’opinione pubblica contro quella che reputano, in casa d’altri, una legge crudele,  usando un approccio emozionale anziché razionale al problema, condizionando la ragione dei cittadini, rischiando di infiammare, per un problema endemico interno romeno, i rapporti tra i due Paesi. (1).

Perché il parlamento romeno ha legiferato correttamente?

Perché in primis va tutelata la salute pubblica dei cittadini, dove il presunto animale da compagnia, denominato anche da affezione, vale quando fa compagnia, ed è accolto in casa da dei padroni emerita la giusta tutela, ma quando inizia a vagabondare, a inselvatichirsi, diventando pericoloso per adulti e bambini, ecco che, come si fa per i topi, con la derattizzazione di cui nessuno si lamentala per  crudeltà nei loro confronti,che muoiono avvelenati –  e per gli animalisti sarebbe crudeltà tollerabile e relativistica –  urgono misure radicali, , eliminando il problema alla radice, con la conseguente riduzione dei costi per la società, per quanto l’ospedalizzazione da  morsi dati agli umani, che tra vaccini, giorni di malattia e altro, erodono  milioni di euro alle casse pubbliche.

In secondo luogo, va bene il rispetto per gli animali, anche da compagnia, sanciti dagli stessi trattati dell’Unione Europea, ma non vanno dimenticati i costi sociali che il randagismo comporta e conti sono presto fatti, se i randagi fossero dentro i canili, ipotizziamo 300 euro all’anno per capo, in Italia, abbattiamo il costo visto che lo standard romeno è più basso rispetto a quello italiano, fino a 100 euro…sopprimerlo in Romania costa 80 euro, praticargli la sterilizzazione 20 euro, differenza di guadagno in un anno: 20 euro, moltiplichiamo per 2.500.000 randagi, solo per i cani, e salta fuori la cifra 50.00.000 di euro risparmiati, e se si ragiona secondo la vita media di un cane, ossia 10 anni, i risparmi diventano 500 milioni, esclusi i costi sanitari per gli esseri umani aggrediti, morsicati e i ricoveri ospedalieri, le antirabbiche e giornate di lavoro perse.

Hanno poco da lamentarsi le associazioni animaliste che parlano di 20 euro a sterilizzazione per capo, non risolvendo il problema del randagismo e dei branchi aggressivi in città, non è con la sterilizzazione che si risolverebbe il problema, che provocherebbe a un costo di 5 milioni di euro l’intera operazione.  Perché viene da chiedersi, chi paga per andarli a prelevare, trasportarli negli ambulatori e poi riportarli al luogo di cattura, abbandonandoli  nuovamente – commettendo un rato? – per di più nel caso dei maschi senza il piacere d’andare in calore? O i conteggi vengono fatti in modo ampio, non tralasciando nessuna voce, oppure si sparano cifre a metà per manipolare l’opinione pubblica.

Che l’iniziativa si giusta dal punto di vista etico è un altro discorso, ma il governo romeno, assieme al parlamento che ha approvato la legge doveva tenere in considerazione due cose fondamentali: il risparmio economico e la sicurezza dei cittadini, vittime del prolificare incontrollato dei cosiddetti animali da compagnia, tornati allo stato brado. Hanno optato per tutelare la salute pubblica, e non si crede che sia corretto condannare un Paese perché ha scelto la tutela della salute pubblica dei cittadini, vittime incolpevoli di una situazione fuori controllo.

È anche vero che urgono, non solo in Romania, ma nell’intera Unione Europea norme più stringenti e leggi più restrittive per il possesso e la detenzione degli animali da compagnia e/o affezione. Una delle cose giuste da fare sarebbe di istituire un fondo, dove i proprietari di animali d’affezione versino un minimo, proporzionale al reddito, di 100 euro l’anno, per i cani di piccola taglia e bastardi, o meticci che dir si voglia, fino a un massimo di 1.000 euro all’anno per i “marchi” più pregiati, per venire incontro, nel caso di abbandono, ai costi di soppressione e smaltimento o mantenimento, da firmare a scelta al momento dell’acquisto o dal rilascio dell’animale da un canile autorizzato ai nuovi proprietari, il tutto unito ad una tassa proporzionale al reddito da versare in due tranche semestrali allo Stato, inserendo l’animale nella dichiarazione dei redditi, unito ai costi per il suo mantenimento, inteso come costi veterinari, cibi, giochi e vestiti, accessori, accludendo le fattura d’acquisto di prodotti e servizi, da mettere in detrazione in misura dell’aliquota iva pagata.

Il cosiddetto “animale da compagnia” a parte gli anziani oltre i 65 anni che dovrebbero pagare tasse e partecipazione al fondo ridotte del 50%, per gli altri deve essere considerato alla stregua di un bene di lusso, di un oggetto ludico, non necessario per l’esistenza e la sussistenza dei cittadini, a parte determinate categorie, per esempio  la pet terapy, inserendo la detenzione degli animali da affezione nel il nuovo redditometro come si fa in Italia per i cavalli.

Non si tratta di scoraggiarne l’adozione, ma incoraggiane l’adozione responsabile in base alle effettive possibilità di reddito, dove se una persona o una famiglia possono permettersi di mantenere uno o più cani o gatti, non avranno problemi a dare il loro contributo di garanzia al fondo, pagandone le tasse relative, visto che in moliti considerano determinate categorie di animali come facenti parte della famiglia, e quindi ogni membro deve essere chiamato, anche  per interposta persona, a dare il proprio contributo allo Stato.

Dietro a questa levata di scudi, certo dettata in primis dalla buona fede dei possessori di animali d’affezione, non va dimenticato che alle spalle, in silenzio, ruotano interessi economici milionari che vanno, dalle spese veterinarie obbligatorie, alle vaccinazioni, ai cibi per animali, gli abiti e accessori, i canili che ricevono finanziamenti e che vedono in ogni legge che sembra andare contro i diritti degli animali stessi, la paura per la possibile perdita di introiti derivati dalle accresciute o modificate normative in materia, che costringono i proprietari ad adeguarsi, con la conseguente paura di veder diminuire i loro profitti.

Il problema di fondo è principalmente la stupidità di alcuni proprietari di animali d’affezione che una volta che si sono stancati del loro “giocattolo” preferiscono abbandonarlo lungo una strada, fregandosene delle conseguenze e dei costi che poi ricadranno necessariamente sulla società, per questo l’acquisto o l’adozione di un animale d’affezione non deve essere un atto di puro sfoggio e piacere ludico, ma una scelta consapevole e non c’è nulla di meglio che vincolare economicamente a una tassa e alla partecipazione obbligatoria ad un fondo di salvaguardia, per dissuadere gli acquirenti irresponsabili all’acquisto o all’adozione, pagandone preventivamente i costi sociali che ne deriverebbero a seguito dell’abbandono.

Marco Bazzato
29.11.2011




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