mercoledì 30 novembre 2011
Suicidio assistito: morto Lucio Magri, fondatore del Manifesto
È morto in Svizzera Lucio Magri, fondatore del Manifesto, grazie all’aiuto di un medico amico. Una decisone consapevole maturata dopo la morte della moglie, a cui era legatissimo.
È stato però costretto a recarsi in Svizzera, perché le assurde leggi italiane non permettono all’individuo di disporre della propria vita, scegliendo anche il momento di farla finita quando lo reputa più opportuno. Il suo è stato un viaggio della speranza, con la certezza che questa speranza trovi accoglimento e pace nella morte.
Non è giusto condannare Lucio Magri per la sua scelta ponderata e ragionata, sarebbe invece giusto chiedersi perché un cittadino italiano debba essere costretto a recarsi all’estero per dar corso a tale pratica, e perché l’Italia non vuole adeguarsi agli altri Paesi europei evoluti che hanno fatto con la legge sull’eutanasia, non solo un atto di pietas umana, ma anche sapendone monetizzare il tutto?
La colpa è di un radicalismo che obbliga le persone a vivere, anche contro la propria volontà, è da ricercarsi nell’imposizione della morale cattolica al Paese, che continua a negare il dibattito sul diritto della “dolce morte”, non solo per quanto concerne lo “staccare la spina” a un malato terminale, e il caso Englaro ha fatto scuola, ma anche sul diritto e sulla liberalità di usufruire della propria vita, scegliendone il momento del trapasso. In Italia infatti si può parlare di statalizzazione della vita, dove questa non appartiene al cittadino, ma allo Stato che gli nega il diritto di disporne al meglio, costringendolo a suicidi plateali, vedi Mario Monicelli, o recandosi all’estero.
Se la politica italiana, invece di strizzare l’occhio al Vaticano, rimanendo prono sulle sue posizioni, “staccasse la spina” da quel cordone ombelicale culturale che drena denaro e risorse al Paese, lasciando che la politica faccia politica, non viziata dall’etica in salsa talebana, il Paese potrebbe ambire a entrare, come ha fatto la Svizzera e non solo, a quella nicchia di mercato, che nei prossimi anni potrebbe espandersi dell’eutanasia, della “dolce morte”, ma soprattutto liberalizzando il diritto alla morte.
Una nazione che non permette il suicidio medicalmente assistito è una nazione culturalmente e mentalmente arretrata, perché va contro il diritto naturale dell’essere umano di disporre della propria esistenza e del momento in cui farla finita.
Perché allora se si vuole essere pignoli fino all’inverosimile, certamente in molti sapevano della volontà di Lucio Magri di farla finita, ma contrariamente a quanto avviene in altre occasioni, dove spesso le persone annunciano le proprie intenzioni suicide e vengono salvate in extremis perché la psicologia dice che chi ha propositi suicidi lancia dei segnali d’avvertimento che vanno colti, compresi e decodificati, ma in questo caso coloro che sapevano hanno taciuto. Era per via forse dell’età? O per un atto estremo, oggi incompreso di libertà interiore e culturale del singolo?
Se si fosse trattato di un’adolescente o di un adulto nel pieno delle forze si sarebbero mobilitati assistenti sociali, psicologi per curarlo, per farlo desistere, per ospedalizzarlo anche con un TSO – Trattamento Sanitario Obbligatorio – mentre in questo caso coloro che sapevano hanno saputo e rispettato la scelta dell’individuo, perché?
Forse per una serie di motivi, il primo legato all’età e alla depressione, dove nella liberalità della scelta si è deciso di non intervenire, lasciando al medesimo il libero arbitrio, ma anche perché si sta facendo strada l’idea che l’anziano, nella terza età, deve avere il diritto di disporre come meglio crede degli ultimi scampoli dell’esistenza, scegliendo come e quando arrestarla.
Ed è la fiction fantascientifica che fa da apripista all’attualità. In un episodio di Star Trek Next Generation, TNG 4x 22 (1) “Una vita a metà”, dove in un pianeta è prassi alla soglia dei sessant’anni il suicidio rituale per evitare la vecchia e la malattia. Questo apre nei vari personaggi un dibattito e uno scontro culturale al limite dell’incidente diplomatico tra le diverse concezioni etiche dei pianeti, dove alla fine prende il predominio la cultura d’appartenenza, con il protagonista che sceglie di tornare nel suo pianeta, rispettando la tradizione degli antenati.
Ed è bello pensare che il gesto oggi considerato dalla cultura dominante come un atto estremo, dove per metterlo in pratica ha dovuto, come un carbonaro o come i primi cristiani che per fare i loro riti si rifugiavano nelle catacombe, che in un immediato futuro possa essere considerato un atto maltusiano (2), non riferito come in origine al controllo delle nascite, ma alla coscienza culturale della morte, se praticato, in un lontano futuro possa diventare un atto connaturato alla natura e alla tradizione culturale del genere umano, leggendo il tutto entro un’ottica di controllo e contenimento della sovrappopolazione planetaria, riservando risorse alle giovani generazioni, debellando la fame e le disuguaglianze sociali, perché se cambiasse la cultura, sapendo che la vita è un contratto culturale e sociale a termine, i singoli e la società potrebbe essere spinta a dare il meglio di se, prima che la clessidra termini la caduta della sabbia dall’alto verso il basso, azzerando il tempo che l’uomo ha a disposizione.
Si preferisce leggere la scelta di Lucio Magri come una liberazione di risorse, anche economiche, nei confronti delle giovani generazioni, dando un segnale di cambiamento culturale e sociale, che una persona può e deve vivere una vita piena, facendo da apripista alla cultura accettata e riconosciuta dell’eutanasia come atto d’amore nei confronti della società.
Leggere l’evento doloroso come un atto nei confronti dell’umanità può aiutare anche la cultura italiana a comprendere che è stato un estremo atto d’amore nei confronti della vita, dove indipendentemente dalle teorie psicologiche e psichiatriche empiriche e antiscientifiche, essendo accettate come un dogma non comprovato, sono un atto di fede cieca, l’essere umano, se adeguatamente supportato da un alto livello culturale, ambientale e sociale, saprebbe scegliere con altruistico discernimento il giusto per gli altri, senza essere un peso per loro e per se, perché strutturalmente e culturalmente portato a comprendere che la vita essendo un dono ricevuto, è una proprietà che appartiene al singolo e come tale ha il diritto di disporne al meglio, per se stesso e per la società.
Marco Bazzato
30.11.2011
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