«Nonno, mi racconti una storia?» domandò il nipote seduto davanti al fuoco.
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Il nonno mise un altro ceppo e la fiamma si ravvivò. Fece un sospiro, fissò il ragazzino avvolto nelle pelli d’animale. Nonostante il calore della fiamma, la piccola capanna non riusciva a riscaldarsi. Quell’inverno era uno dei più freddi che il vecchio ricordasse. E di primavere ne aveva viste più di sessanta, ormai.
«Non è una storia ambientata nel passato, ma sono le previsioni degli anziani del villaggio, quelli con molti più anni di me, che riescono a vedere oltre le nebbie del futuro. E sarà un futuro, secondo loro terribile per gli uomini.
«Perché nonno?»
«Perché diranno che quelle bestiacce che abbaiano, quelle bestiacce che si aggirano attorno alle nostre capanne in cerca di cibo diventeranno i nostri amici…»
«Nostri amici?»
«Sì. Dicono nostri amici, ma io spero che ciò non avvenga mai, sarebbe la fine del mondo che noi conosciamo…la fine…»
E il vecchio iniziò a raccontare…
In un futuro lontano lontano il mondo sarà diverso. Gli uomini non vivranno i capanne fatte di canne, ma in case fatte di sabbia acqua ,mescolata ad una cosa che nessuno sa cosa sia, chiamata cementum. Avranno il calore in casa, ma senza usare fuco e legna. Cuoceranno i cibi sopra piastre di metallo dove gli spiriti maligni creeranno il calore. Gli anziani dicono che saranno gli spiriti dei defunti, dei figli bastardi, dei codardi, dei guerrieri senza onore e delle donne che si sono concesse ai piaceri della carne, donandosi come prostitute non all’uomo scelto per loro dagli anziani, dai genitori, ma scegliendo secondo le loro volontà. Un mondo così non sarà destinato ad esistere. Un modo così sarà condannato alla dissoluzione nella perversione. Un mondo dove la donna può decidere il proprio destino sarà un mondo condannato all’estinzione.
Ma il mondo potrebbe anche, pur pagandone un prezzo altissimo tollerare certe empie scelte, certe scelte che mettono il desiderio carnale di una donna al primo posto rispetto al diritto del maschio d’essere signore e padrone del destino della riproduttrice. Ma gli uomini e le donne del futuro andranno oltre a questa follia suicida. Andranno oltre a questa dissoluzione dei costumi millenari da quando il grande spirito ha creato il tutto.
Gli uomini si abbasseranno ad essere bestie ed eleveranno gli animali ad umani. Con risultati catastrofici. Lo dicono le stelle, lo dice la fiamma del fuoco, lo dicono le ossa degli infanti bolliti di cui ci siamo cibati. Basta guardare i loro crani così fragili, per rendersi conto di quanto fragile e vuoto sarà il destino che attende l’umanità. Un’umanità che si porta l’animale in casa, un mondo dove il latrato della bestia assassina diventa moina, diventa guaito di presunto affetto, dove la bestia sarà il condottiero del non vedente, dove il pulcioso vorrà salvare l’umano dall’annegamento, dalle fiamme, dalle catastrofi che gli spiriti celesti mandano all’uomo per punirlo e mondarlo dalle sue iniquità. Nel futuro sarà la bestia a che condurrà la casa dell’uomo, perché costui si sarà instupidito e rammollito, perché penserà più al cibo del quadrupede che non al cibo del bipede che è figlio dei proprio lombi…
Fuori si udii una bestia ringhiare. Era il ringhio furioso di una creatura affamata di carne, di una creatura demonica che voleva infilare i denti aguzzi nella carne d’un infante.
Il vecchio si alzò con la lentezze che il fragile corpo gli permetteva. «Prendi quell’infante» ordinò con voce rassicurante.
Il ragazzo si alzò e tolse dal recinto il neonato di pochi mesi frutto della vittoria del giorno precedente su una tribù nemica. Questi si mise a piangere, ma il nipote eseguì. Il nonno nel frattempo aveva raccolto l’ascia di pietra. Il manico era fatto con la tibia di un guerriero del villaggio morto anni prima.
«Mettilo sull’altare sacrificale».
Il ragazzo eseguì. Il vecchio alzò l’ascia al cielo, proferì una preghiera sommessa dal Dio del Sacrificio e fissando per un ultimo attimo gli occhi del neonato che sentendo per istinto avvicinarsi l’ora della morte pianse disperatamente ancora più forte. Il vecchio calò, con tutta la forza che gli permettevano le sue vecchie ossa, la pietra dell’ascia sul cranio del piccolo, frantumandogli la scatola cranica, facendolo morire all’istante.
Il nipote, che aveva assistito alla scena, fissava il nonno incantato. Ammirava il suo coraggio, la sua mano ferma, il respiro che non era mai diventato affannoso, e sorrideva. Non vedeva l’ora d’essere come lui per abbattere i nemici, anche quelli inermi, usando la medesima determinazione. Ma a tutto ciò mancavano ancora due anni. La sua iniziazione sarebbe avvenuta al compimento del dodicesimo anno. Sarebbe diventato adulto solo dopo aver superato la prova della decapitazione di una donna anziana della sua tribù. Questo era il volere della legge e lui adorava quella legge scritta nelle stelle dal Dio del passaggio del rito del sangue.
«Prendilo, smembralo e lancia i resti fuori dalla tenda» ordinò il vecchio dopo aver sollevato il cadavere dell’infante al cielo, bevendo il sangue che usciva dalla ferita sulla testa.
Il ragazzo eseguì. Era il suo primo smembramento, il padre glielo aveva sempre promesso ma mai glielo aveva fatto fare, ora il nonno gli offriva questa opportunità e lui voleva coglierla in segno di rispetto.
«Bevi il suo sangue. Anche se sangue del nemico questo è sangue puro» disse mentre gli porgeva il cadavere. Il ragazzo non si fece pregare. Prese il corpo dell’infante, lo adagiò prima a terra e poi con le piccole mani entrò nella scatola cranica e trovò la massa gelatinosa dove gli stregoni dicevano si celasse lo spirito. La toccò con le dita e poi provò ad estrarne alcuni pezzi. Dopo vari tentativi, mentre il nonno lo osservava compiaciuto ci riuscì .L’assaggiò. Era buona.
«Bravo, ora appoggia la bocca sulla testa e bevine il sangue. Ti sentirai rinvigorito». Gli disse sorridendo compiaciuto. Il nipote eseguì. Era divino. Sembrava veramente di toccare il Dio del passaggio.
«Posso smembrarlo ora?» chiese timidamente mentre rivoli di sangue e materia celebrale gli uscivano dalla bocca.
«Certo, se vuoi ti aiuto. Io lo tengo e tu tiri…»
Il ragazzino annuì. Il nonno si avvicinò al corpicino e gli prese la testa, mentre il nipote gli afferrava le gambine inerti. «Tira forte, senza paura.». Lo incitò. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Contò mentalmente fino a tre poi diede uno strattone. Si sentì un “crac”. L’osso del collo si era rotto, ma anche le ossa delle gambe. Ora restava da vedere quali dei tessuti avrebbero ceduto per primi, se quelli del collo o quelli delle gambe. Il ragazzo sperò in quelli della testa. E così avvenne. La testa rimase in mano al nonno, mentre il resto del corpo si inclinò verso il basso, ma Saruk, non lo fece cadere a terra.
«Bravissimo, ora fai la stessa cosa prima con le gambe e poi con le braccia. Puoi farlo da solo, senza bisogno del mio aiuto» lo incitò Ferrus,il nonno.
Saruk rinvigorito dal gesto di coraggio annuì contento. Prese con una mano una gamba e con l’altra, l’altra gamba e sollevando il cadavere verso l’alto, le allargò fino a quando non sentì che entrambe le ossa avevano ceduto.
«Tira, forza, non avere paura. Tira».
Aveva la fronte imperlata di sudore per lo sforzo, ma sapeva che ci sarebbe riuscito. Doveva farcela se voleva diventare un guerriero forte e valoroso. E ce la fece. Dopo che le ossa si furono spezzate, vide anche la friabile carne ed i muscoli lacerarsi. Vide le ossa, i nervi, il sangue che sprizzava fuori copioso. Sorrise compiaciuto di se stesso.
Era come togliere la cosce ad uno dei volatili che scorazzavano nel piccolo recinto costruito dalla madre. Ora doveva toglierli le ali. No anzi, si corresse mentalmente, le braccia.
Ripetè subito dopo lo stesso con le braccia del cadavere del neonato.
«Fatto, ora cosa devo fare?»
«Raccogli tutto e gettali fuori. Quando la bestia si avvicinerà per cibarsene, noi la prenderemo. Sei d’accordo?»
«Si, ma prima voglio sapere come va a finire la storia» lo esortò Saruk, gustandosi il sapore di materia celebrale e sangue in bocca e deglutendo il tutto lentamente.
«Bene…» disse il nonno, ravvivando nuovamente il fuoco e gettando uno sguardo sugli arti, il tronco e la testa del neonato smembrato.
… Le ossa parlano chiaro. Quelle bestie domineranno il mondo. Non sarà più concesso cibarsene come facciamo noi. Non sarà più concesso scuoiarli per ricavarne pelli per proteggersi dai rigori dell’inverno. Quelle bestie riceveranno il cibo migliore del nostro, la carne migliore, il pesce migliore, sarà vestito come un uomo per non sembrare più una bestia.
In molti dicono che fra migliaia di lune tutto quello che vediamo oggi non esisterà più. Non si potranno bollire i nemici, non ci si potrà cibare dei gli infanti nati morti o uccisi per necessità di sostentamento o uccisi per divertimento o riti sacrificali. Nulla. E la donna sarà la migliore alleata della bestia, soprattutto se non avrà discendenza, considererà la bestia la sua discendenza, circondandola d’attenzioni animalesche che di umano non hanno nulla…
«Non può essere» lo interruppe il nipote. «Il mondo, l’uomo del futuro non potrà essere così stupido da cedere a tutti i ricatti della donna e dell’animale. Sarà la fine per tutti loro. Possibile che non sapranno fermarsi in tempo?» Terminò quasi bisbigliando dallo spavento.
«Ti ricordi cosa abbiamo fatto due giorni fa? Gli domandò il nonno cercando di distogliergli i pensieri cupi su un futuro che grazie agli spiriti non potrà mai conoscere.
«Certo» Rispose Saruk, indicando nel frattempo con un dito i resti del neonato.
«Hai fame?»
«Sì»
«Mangia pure, ma lasciane per la bestiaccia qua fuori»
Saruk si avventò sull’addome del cadavere. Aveva i denti aguzzi e affilati e gli fu facile laceragli il ventre e tuffarsi, come un ingordo, nello stomaco, nel fegato e nei reni del neonato, dando dei rapidissimi morsi e strappando ampie porzioni.
Saruk era abituato alla carne dell’animale che abbaiava. La sua tribù non poteva permettersi spesso carne dei nemici. Anche se erano guerrieri valorosi, in quelle terre desolate le tribù con cui combattere e vincere erano poche, dovevano accontentarsi di altri tipi di carne e quella che prediligeva di più, dopo quella umana, era quella degli animali che abbaiavano, e in quelle terre non mancavano.
Saruk, dopo aver gettato i resti del neonato fuori dalla tenda, lasciandoli abbastanza vicini per poter prendere la bestia abbaiante, uccidendola mentre se ne cibava rimase con la mano destra sulla pelle della tenda tenendola socchiusa, pensando…
….Era stata una giornata di caccia bellissima. Le bestie abbaianti in quella zona erano moltissime e di specie diverse. Alcune avevano gli occhi di due colori, altri il folto pelo marrone o nero, con le zampe grosse, o con il pelo bianco e a riccioli, altre ancora abbaiavano sempre e sembravano quasi senza pelo e si attaccavano alle gambe facendo gesti che a Saruk sembravano strani, ma non a suo padre e a suo nonno che non dicevano nulla, ma sorridevano.
Ne avevano trovati quasi una decina di quelli che anche da grandi sembravano senza pelo. La madre in quel momento non c’era. Forse era andata in cerca di cibo. Quando il padre di Saruk gli aveva visti, rannicchiati in un piccolo pertugio sottoterra, aveva gridato con tutto il fiato che aveva in gola. Saruk era stato il primo ad arrivare, seguito dal nonno e da altri tre uomini della tribù.
Il ragazzo sorrise. I cuccioli non avevano più di qualche settimana. Dovevano essere buonissimi, si disse tra se pensando a quanto sarebbe avvenuto dopo poco.
Il nonno prese quello che sembrava il più grasso e lo alzò al cielo in segno di ringraziamento. Poi prese un oggetto accuminato dalla bisaccia in pelle e glielo infilò nell’occhio. L’animale guaì per il dolore ed il gruppo sorrise. Ferus gli cavò prima l’occhio destro e poi il sinistro e li diede al più giovane del gruppo, a Saruk, affinchè una volta adulto avesse lo stesso sguardo dell’animale durante la caccia.
Il ragazzo dopo aver fatto un cenno col capo prese con le mani gli occhi che il nonno gli porgeva e li ingurgitò, deglutendoli senza masticarli.
La piccola bestia accecata continuava a guaire per il dolore, ma nessuno se ne curava. Il Dio del cibo richiedeva ben altri sacrifici.
«Posso farlo io?» domandò Saruk al padre.
Il genitore annuì.
Saruk prese la bestia che guaiva e la getto sopra una grossa pietra con tutte le forze che il suo giovane braccio gli permetteva. Poi a turno tutti i membri del gruppo saltarono sopra il corpo ormai morto del cucciolo, danzando. Facendo poi lo stesso agli altri della cucciolata.
A,l termine il nonno prese una grossa pietra tagliente e tolse la pelle ai cuccioli gettandole nella bisaccia, per farne in seguito copri capi ed ornamenti per le tende e la carne in un'altra bisaccia per dividerla con il resto della tribù. Non restava che attendere la madre dei cuccioli. Lei sua carne era destinata alle donne della tribù…
Ritornò in se, strappato dai ricordi, quando udii una bestia avvicinarsi con passo furtivo. Gli occhi di Saruk si erano abituati all’oscurità e scorse l’animale abbaiante che ormai era a pochi passi dal cadavere fatto a pezzi del neonato.
Saruk ne rimase stranamente affascinato. Era la prima volta che lo vedeva sotto quella luce e….
…e Ferus vide che il nipote, dopo aver lasciato chiudersi alle spalle la tenda di pelliccia, si era portato all’esterno, e si stava avvicinando alla bestia, non come un guerriero, ma quasi in segno di resa. L’animale si avvide del suo gesto e dopo aver ignorato i resti del neonato si avvicinò a Saruk senza né ringhiare, nè abbaiare, ma guaendo in modo che a Ferus parve quasi umano, quasi come il suono affettuoso di un neonato che cerca dal seno il latte materno. E il latte materno, per la bestia abaiante sembrava impersonata dal nipote.
«Vieni qui…» bisbigliò il ragazzo all’animale.
Questi gli si avvicinò annusandoli con circospezione la mano che odorava del sangue del neonato.
Tutto avvenne in pochi istanti.
Saruk cadde a terra con il nonno ansimante che lo fissava inorridito.
Gli anziani del villaggio avevano ragione, anche se non avrebbe voluto ammetterlo. Gli spiriti erano stati chiari. Suo nipote poteva diventare un corruttore dei costumi della tribù e andava fermato. E il compito era toccato, dopo che gli anziani si erano consultati tra loro, proprio a lui.
Ferus rimase ammutolito davanti al corpo morto, col cranio fracassato del nipote. Ma lui era lo strumento della giustizia degli spiriti del cielo.
Il cane dopo aver assistito alla scena, prima fissò il cadavere di Saruk e poi guardò dritto negli occhi Ferus,. Entrambi abbassarono lo sguardo. Ferus trattenne una lacrima, mentre il cane dopo essersi messo a latrare si voltò, fuggendo nel buio della foresta abbaiando di dolore per la morte del primo essere umano che l’aveva accolto.
Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti è puramente casuale.
Marco Bazzato
29.07.2009