martedì 7 ottobre 2008

“Progetto Emmaus”, di Marco Bazzato



Vive, il mondo cristiano, di una promessa: Gesù di Nazareth, il Dio fatto carne che con la resurrezione sconfisse il supremo male della morte, ritornerà sulla Terra. Su questa certezza per i fedeli, sulla medesima, intrigante ipotesi per i non credenti, si sono spesi secoli congetturando il tempo, il luogo, la modalità di un ritorno così sconvolgente.

Marco Bazzato è l’autore che, più di recente, ha messo in moto la sua inesauribile fantasia per riportare tra noi il Cristo scegliendo, non certo a caso, di inserirlo in un presente che con le sue mille contraddizioni, con il progressivo distacco dalla spiritualità determinato dal materialismo imperante, non potrebbe presentarsi come più opportuno, e al tempo stesso scomodo, per una tale, tramutante venuta.

Non si pensi che l’autore di “Progetto Emmaus” voglia, attraverso il suo racconto, rubare il mestiere ai saggisti: la sua opera va semmai ad inserirsi nella corrente letteraria della fanta-teologia oggi in ascesa perché, proprio oggi, si fa sentire più acuto il bisogno del Grande Emendatore capace di curare i mali di un mondo che, il Pontefice stesso, definisce “gaudente e disperato”.

Ecco allora che Bazzato si fa avanti per gridare, attraverso la sua versione del ritorno del Salvatore, una denuncia forte e priva di qualsiasi reticenza o clemenza, contro i duemila anni di corruzioni e degenerazioni che hanno stravolto il senso stesso del Verbo. Sembra, anzi, che l’Emanuele dei nostri giorni immaginato dall’Autore non sia che l’efficacissimo pretesto per denudare dei suoi vistosi ma falsi orpelli ogni responsabile di un deviazionismo tanto nocivo.

Un pretesto - dicevo - ma intenso e ben definito assieme alla descrizione della sua corte di contemporanei seguaci; i medesimi che già gli furono accanto due millenni or sono. Non ne manca quasi nessuno: da Pietro a Giovanni a Paolo, dalla Maddalena a Maria stessa, trasfigurati nel costume epocale che ci è proprio, eppure così riconoscibili all’interno dei loro immutabili ruoli. E nella storia si muovono anche i nemici di allora divenuti gli avversari di oggi che, per non turbare uno status quo sorretto da giganteschi interessi inscindibilmente concatenati tra loro, ancora macchineranno affinché il sommo potere divino non venga a turbare quello bassamente terreno.

Qui non si dice, ovviamente, la conclusione di una vicenda che procede a tratti come un incalzante film d’azione per riassestarsi poi sulla connotazione del mistery più fitto: ma sappia il lettore che le trame ordite al fine di impedire che il disegno di Emanuele si realizzi, coinvolgono la CIA e il Mossad, gli emissari del mondo islamico, il potere finanziario internazionale, i governi degli Stati più potenti del pianeta. Tutti rotanti attorno ad un Vaticano conflittuale e lacerato dove l’Opera è un’influente congregazione, fulcro delle azioni messe in atto per neutralizzare gli intenti del redivivo Salvatore.

Conseguente ed ottimo è il modo in cui Bazzato assegna un ruolo fondamentale ai media, all’elemento cioè mancante nel secolo zero e che oggi, invece, è capace di determinare tanto; vuoi a favore, vuoi contro qualsivoglia vicenda debba coinvolgere una pubblica opinione in parte manovrata e in parte addirittura inconsapevole dell’evento straordinario, immenso che si sta consumando sotto i suoi occhi svagati.

Un Cristo-Emanuele ben tratteggiato nella sua sofferta debolezza fisica ed ancor più sicuro e determinato nella volontà divina che sorregge il suo disegno, si muove dunque nel romanzo procedendo sopra la traccia della scrittura di Bazzato come se nuovamente camminasse leggero sulle acque. Uno stile letterario scorrevole e piano, quanto mai attuale; a volte persino eccessivo nell’intrecciarsi dei dialoghi di protagonisti e comparse, contrassegnati da un linguaggio ordinario che si discosta in modo volutamente smaccato dall’eloquio antico, o fuori da ogni tempo, del Nazzareno.

Da questo insieme di coinvolgenti alchimie, insomma, deriva un libro che avvince, privo delle tanto comuni fasi di tedio. Infatti è davvero sorprendente la densità degli eventi che l’Autore propone in un susseguirsi che non dà tregua e che spinge il lettore alla conclusione dolce-amara della vicenda ad un ritmo più che incalzante.

Non è compito del recensore indagare sull’attendibilità delle ipotesi, né di certo è un dovere del romanziere proporre temi e narrazioni più condizionati dal reale che dall’inventiva: resta però una piacevole opzione del lettore quella di affrontare un libro vivace e ricco che saprà intrattenerlo facendolo anche riflettere sul degrado degli alti ranghi di una società di cui tutti, se non artefici, siamo certamente e tristemente partecipi.

Anna Antolisei
Giugno 2007

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