È successo poco tempo fa ad una cittadina straniera, che partendo dal suo Paese ha deciso di inscriversi in una nota facoltà universitaria del Nord Est. La persona dopo aver ottemperato ai termini del bando, è partita fiduciosa verso l’Italia con il desiderio di fare dei sacrifici, affrontando i disagi che la distanza, gli spostamenti, gli orari, e l’ambiente ostile Veneto che aveva già avuto modo di conoscere sulla pelle, spesso offre ai cittadini del suo Paese.
La candidata arriva nella città pronta ad affrontare il colloquio conoscitivo, secondo il programma e l’orario che le era stato preventivamente fornito. Il pomeriggio del giorno fissato, attende fiduciosa gli esaminatori, ma per uno strano gioco del destino si trova sola, faccia a faccia, senza la presenza di alcun testimone, con l’esamintore. L’uomo in questione, forse per un pregiudizio personale nei confronti del paese di provenienza della candidata, o per motivazioni sue personali che giustamente non ci è dato a sapere, appare svogliato, con lo sguardo assente, il colletto della camicia uno dentro e uno fuori, pone le domande come se indipendentemente dalle risposte date, si fosse formato già un suo pregiudizio soggettivo, anzichè oggettivo, come si imporrebbe a chi è chiamato a svolgere il lavoro di selezionatore. L’esaminatore non prende appunti, come se la memoria potesse sorreggerlo e fosse l’hard disck di un pc davanti al numero di candidati che in quei giorni deve visionare. Il colloquio dell’aspirante studentessa si conclude nello sconforto, presagendo che la mancanza di un’altro esaminatore sia di danno per lei. Cosa che puntualmente avviene. Dopo cinque giorni escono i risultati degli ammessi, e si vede esclusa dalla lista, confina in un angolo remoto, e che in una mail scritta nei giorni successivi al coordinatore del Master ha descritto così: “Avendo scorso la graduatoria finale, ho avuto la sensazione di trovarmi innanzi ad una graduatoria simile ad una classifica musicale, inquanto nei primi 50 posti, abbondano i punteggi doppi, tripi o quadrupli. Mentre dal 51 al 69 sembra assistere ad una discesa senza possibilita' di mediazione.” Non vinta però dal giudizio negativo ricevuto, chiede ad una terza persona di telefonare alla segreteria del Master. L’uomo dopo essersi presentato inizia a porre alcune domande in rapida sequenza alla segretaria, chiedendo sopratutto la possibilità della candidata di visionare il suo verbale di colloquio, l’addetta candidamente risponde che non è prassi del dipartimento verbalizzare i colloqui, quasi seccata però dal fatto che ci si stupisse per la mancanza dei medesimi.
Da notare che il dipartimento in questione ha prolungato i termini di scadenza, avvisando i candidati che già avevano presentato domanda in tempo utile, senze aggiornare il bando stesso, compiendo un irregolarità formale nei confronti di coloro che si erano attivati nei tempi stabiliti dal bando originale, e forse portando anche all’esclusione di qualuno di essi, forse a favore dei ritardatari, ma non permettendo ad altri candiati che avessero letto il bando nella rete di presentare la domanda di preiscrizione, visti i termini scaduti.
La candidata esclusa ha iniziato così una corrispondenza via mail con il coordinatore del Master, ricevendo, dopo aver esperesso in tutta franchezza i suo dubbi a riguardo la bocciatura, i dubbi inerenti all’allungamento della scadenza delle domande di preiscrizione, e sopratutto, dopo reiterate mail la possibilità di visionare il verbale del colloquio. Tra la candidata e il professore del dipartimento gli scambi verbali di fioretto non sono mancati, anzi al porre dei motivati dubbi sull’andamento del medesimo, il direttore ha risposto trasformando a suo piacimento i dubbi in insinuazioni, parola greve e offensiva, visto che in ogni parte d’Italia si usa dire: domandare è lecito, rispondere è cortesia, ma rispondere scortesemente e in modo arrogante, arrivando a vergare il foglio elettronco con frasi del tipo “Le ho negato, e Le negherò, ne sia sicura ogni diritto all'insinuazione: glielo ripeto, perché sappia come comportarsi. Forse non ne è convinta: ma Lei ha a che fare con gente seria!”
Una risposta così denota poca dimestichezza con i rapporti umani, ma sopratutto un modo alquanto strano di trattare con una persona, che indipendentemente dalla nazionalità, e ancor di più se straniera e non residente nel suolo italico, che null’altro fa che chiedere delucidazioni, dove colei che domanda non è vista con l’occhio benevolo di chi va a chiedere informazioni, ma come uno spirito ribelle che si permette di mettere in dubbio sacrilegamente il dogma dell’istituzione universitaria, dandole quasi in modo esplicito della maleducata, ordinando e imponendo ordinarle in modo discriminatorio e intimidatorio di rimanere su un angolo senza uscita, terminando oltretutto la frase con una puntuazione esclamativa che secondo le intenzioni dello scrivente dovrebbe servire a far abbassare il capo e non ammettere più repliche.
Dopo quella risposta di tal portata, dove un professore di filosofia dimentica Voltaire che disse “Non condivido le cose che dici ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirle”, la candidata si è guardata dal rispondere con lo stesso tenore, ma con fermezza ha ribadito nella successiva risposta che “...Naturalmente ogni persona si esprime con le sue parole, e risponde in primo luogo a quanto dice o scrive. Io rispondo per le parole "dubbi", ma non per la parola "insinuazioni", in quanto usate da Lei...”
“....Sono abituata, egregio Professore, che nessuna persona, chiunque essa sia, si permetta di mettermi in bocca parole e/o pensieri diversi dai miei, perchè' lo reputo un modo sgradevole di confrontarsi, e che tende ad annullare la possibilità del signgolo d'esprimersi liberamente, solo e solamente secondo le proprie parole” terminando la mail con l’ennesimo invito al professore e all’esaminatore di poter visionare il suo verbale di colloquio, e pronta a farsi ricevere il lunedì successivo.
Cosa che puntualmente avviene. Il giorno fissato la candidata esclusa si presenta puntuale nell’ufficio del coordinatore ricevendo da lui e dall’esaminatore una calorosa accoglienza formale, così diversa dal tenore della mail ricevute i giorni precedenti. In quell’incontro avviene il colpo di teatro: il professore candidamente propone alla donna il suo reintegro al Master, cioè basta che versi la cifra richiesta nel bando e potrà frequentarlo, lasciando così alle spalle le polemiche precedenti. Nella stessa occasione le viene consegnato un foglio di carta che dovrebbe essere secondo le intenzioni dell’estensore il verbale non fatto, ma esso forse per povertà dell’università non è stampato su carta intestata, non è protocollato, non compare nessuna data e anche se è presente il nome dell’esamintaore e manca della firma del medesimo. Sconcertata davanti a tale comportamento preferisce il silenzio, anche perchè non si aspettava una tale remissività e appiattimento verso l’angolo sia da parte del professore, sia da parte dell’assistente esaminatore.
Il colloquio si conclude con le consuete strette di mano, e sorrisi forzati di persone che non vedono l’ora che la tenda del palcoscenico si chiuda, e la platea dopo lo scroscio d’applausi finali esca dal teatro felice e contenta, e il direttore ribadendole per l’ennesima il suo reintegro la accomiata.
La corsista riammessa esce dal vecchio palazzo universitario dai muri scrostati con la mente confusa, e i pensieri che turbinano a mille. La sceneggiatura sembrava quasi una riscrittura in chiave moderna delle “Baruffe chiozzotte” di Carlo Goldoni. Era stata formalmente riammessa, ma non aveva nulla tra le mani, se non le parole del professore, naturalmente come questa volta come testimone l’esaminatore del colloquio, e quel pezzo di carta che non è nemmeno buono per provare ad accendere un caminetto nei lunghi inverni nel suo Paese. Aveva due giorni per decidere, due giorni per fare il bonifico bancario e poi infilare la testa nella gabbia dei leoni. Prima la delusione dell’esclusione, le frasi non proprio bonarie che le erano state scritte nelle mail, poi il colloquio e il colpo di teatro della riammissione formale. Era troppo, era veramente troppo. Da una parte si sentiva vincitrice morale, era stata riammessa, ma era delusa dal comportamento professionale di alcuni componenti di un dipartimento universitario che gode di fama internazionale, e che dovrebbe essere sempre un fulgido esempio di correttezza sostanziale e formale. Alla fine sceglie di non iscriversi, sente che quel Bel Paese di qui tanti favoleggiano e solo una bella fiaba da raccontare ai bambini per addormentarsi. La realtà, l’amara realtà è ben diversa.
La candidata riammessa ha riscritto al professore ringraziandolo per l’ammissione verbale al Master, ma avrebbe desiderato che il tutto avesse avuto un finale diverso. Per tutta risposta il direttore del dipartimento risponde: "...comprendo a fondo dalla sua e-mail, ma lo avevo già ampiamente "intuito" prima, che purtroppo il suo rapporto con noi è impostato su basi tali da comprometterlo alla radice, nonostante tutta la nostra disponibilità.Le abbiamo fornito ogni spiegazione circa la valutazione che abbiamo dato dei suoi titoli e del colloquio. Per noi è ampiamente sufficiente, nella sostanza e nella forma. Decidiamo noi l'una e l'altra, e ci assumiamo la responsabilità dell'una e dell'altra.
Se abbiamo "peccato" in un senso, è nella direzione di essere con Lei fin troppo indulgenti: ad esempio, avremmo fatto meglio a mettere subito e con forza in evidenza la pesantezza delle opinioni da Lei espresse.
Lei naturalmente ha la facoltà di iscriversi che noi Le abbiamo accordato, ma deve sapere che se lo farà, dovrà da subito assumere nei confronti del nostro lavoro un ben differente atteggiamento.
“Per noi è ampiamente sufficiente nella sostanza e nella forma.” Strano modo di esprimersi, anzichè essere esaurienti e fugare ogni dubbio, si preferisce una spiegazione ampiamente sufficente, quel tantino in più, tanto da affermare in teoria dire che si è stati esaustivi. Un professore universiatario dovrebbe ben sapere che con la sufficenza ampia, praticamente uno striminzito 18 o 20 non si fa molta strada nella realtà universitaria. Sembra una storia Kafkiana, che mi fa venire il mente un amico dei tanti anni fa che svogliatamente si accontentava di galleggiare, anche se boccheggiando a fatica, spesso annaspando, ma disposto alla mera sopravvienza, ben conscio della sua svogliatezza negli studi, anche lui spesso diceva: quando sono ampiamente sufficente di cosa dovrei preoccuparmi? Del futuro, tanto paga mamma e papà.
Ma allora perchè la candidata esclusa è stata riammessa, scavalcando forse altre persone prima di lei nella graduatoria? Forse perchè non ha accettato passivamente il responso?
A riguardo le dichiarazioni che la candidata avrebbe espresso, non erano opinioni, ma fatti inerenti solamente la realtà del suo Paese, fatti che sicuramente conosce in modo più ampio e con un approccio meno teorico, ma di interazione sociale e culturale, rispetto a quella dell’esaminatore e del professore. Aggiungo che la candidata ha esperesso opinioni solamente a riguardo la realtà del Suo Paese, e non dei Paesi limitrofi dove non ha esperienza diretta, e quindi l’aggiunta fatta dal professore non riguardava quanto espresso nel colloquio conoscitivo, quindi oltre ad essere fuoriluogo risulta inesatta e fuorviante. Il professore forse non accetta le opinioni diverse dalle sue, forse perchè cozzano con la visuale accademica di una realtà locale che sicuramente non ha convissuto per tutta una vita, ma solamente studiato, dimostrandosi anche poco propenso all’utilizzo empatico per approcciarsi in modo diverso e forse più ampio alla complessità di una realtà sociale che non neccessariamente conosce appieno.
“...Che purtroppo il suo rapporto con noi è impostato su basi tali da comprometterlo alla radice,” Non credo che sia stata colpa della candidata la compromissione alla radice del rapporto, in quanto il problema della radice non è della straniera che si avvicina all’università italiana per fare un Master, ma del dipartimento universitario che getta semi che fanno crescere radici non ancorate in una solida terra, ma in un terreno paludoso e forse non sempre salubre, come la storia di quel posto d’Italia insegna.
La candidata esclusa e riammessa forse è stata troppo combattiva per gli standard con qui il professore e il suo assistente è abituato a trattare.
Non è colpa dello straniero se la scadenza della domande di riammissione è stata spostata senza evidenziarlo nel bando stesso, lasciando fuori forse altri aspiranti corsisti che avrebbero voluto provare a candidarsi.
Non è colpa dello straniero se il dipartimento non è avulso ad ordinare ai i suoi esaminatori di prendere appunti veritieri delle risposte date dai candidati durante il colloquio conoscitivo, non è colpa della cittadina straniera se a seguito di una selezione in un ateneo prestigioso nessuno si prende l’onere di verbalizzare i colloqui dei candidati.
Non è colpa dello straniero che vive in uno Stato diverso dall’Italia se durante il colloquio con il direttore del dipartimento le viene consegnata un pezzo di carta privo di valore.
A queste domande dovrebbero rispondere l’esaminatore che non ha redatto il verbale e il direttore del dipartimento che permette un sistemico caos amministrativo. Dovrebbe rispondere dove sta la radice sana e la radice guasta, e sarebbe interessante a riguardo conoscere l’opinione del Rettore dell’Università in merito a questa serie spiacevole di incresciosi incidenti di percorso.
“...Ma deve sapere che se lo farà, dovrà da subito assumere nei confronti del nostro lavoro un ben differente atteggiamento.” Nel suo paese la candidata riammessa è stata abituata al confronto con i professori, abituata all’arte della dialettica, del contradittorio dove l’allievo o il candidato doveva con la forza delle parole convincere il professore della bontà dei suoi argomenti, ma forse in quell’univesità italica non si usa così, forse in quel rinomato dipartimento non è concesso il pensiero individuale, il ragionamento analicico e critico, forse i professori non amano gli studenti che cercano di uscire dagli schemi convenzionali e che fanno domande pertinenti, forse gli assistenti non sono avulsi ricevere critiche inerenti al loro operato.
Come italiano provo imbarazzo per questi comportamenti, con le risposte non proprio Oxfordiane che la candidata ha ricevuto tramite mail. Trovo avvilente il pontificare su giudizi non lusinghieri che la candidata avrebbe espresso a riguardo la situazione del suo Paese, che con tutto il rispetto, credo che conosca meglio del professore e dell’assistente che si è vantato d’esserci andato qualche volta, senza conoscere lingua, usi, costumi, avendo però la supponenza d’avere una visione d’insieme perfetta e non criticabile e indiscutibile.
Ho un appello da rivolgere a tutti gli eventuali corsisti esclusi attuali e futuri: quando vi rifiutano fate valere le vostre ragioni, chiedete spiegazioni esaurienti, chiedete di visionare i vostri verbali personali, non arrendetevi, non chinate la testa credendo che solamente voi potete essere in errore, o che il giudizio che vi è stato dato sia effettivamente obbiettivo. Non abbiate paura dell’assistente, dell’accademico, del direttore del dipartimento, sono persone come voi, con le loro virtù e con i loro difetti e forse anche con i loro errori, perchè anche voi come la candidata straniera esclusa che alla fine ha rifiutato, potreste essere ammessi al Master, anche se vi hanno esclusi.
Su una cosa il professore ha ragione e riguarda l’indulgenza ed è riscontrabile nella sua affermazione: “Se abbiamo "peccato" in un senso, è nella direzione di essere con Lei fin troppo indulgenti” Il peccato sicuramente c’è stato e si chiama presunzione, per quanto l’indulgenza non quella che è stata concessa alla candidata, ma quella che la candidata riammessa ha dato al dipartimento dopo l’accaduto. Alla fine ci sono degli sconfitti morali, e non è la rinomata istituzione universitaria, ma nemmeno la persona che dopo essere stata riammessa si è concessa di rinunciare al Master, gli sconfitti son ben altri.
Marco Bazzato
29.10.2006
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