lunedì 9 gennaio 2012

Boicottare la Golden Lady?

Continua la polemica sulla libertà imprenditoriale di de localizzare all’estero. Non ultima in ordine di tempo è il gruppo italiano Omsa, proprietaria del marchio Golden Lady, famoso anche all’estero, che ha deciso di de localizzare parte della produzione in Serbia. E da qui sono iniziate le polemiche, oltretutto strumentali, da parte delle forze politiche, così brave a pretendere la libertà d’impresa, quando si investe in Italia, ma pronte alla barriate ideologiche quando un imprenditore sceglie di recarsi all’estero, dove il costo del lavoro e la manodopera è inferiore, senza contare gli eventuali sgravi fiscali che riceve per l’apertura in determinate aree di uno Stato, per impiantare un nuovo stabilimento.

Certo è chiaro il dolore e la disperazione delle dipendenti licenziate, che non sono poche, ma come contrappunto non va dimenticato che l’azienda non chiude per cessata produzione, ma la sposta, creando dei posti di lavoro – mandando al diavolo la cosiddetta solidarietà tra i lavoratori, quando tocca il proprio portafoglio, un po’ come i politici che non vogliono veder intaccati i loro privilegi e aggi – in un Paese che ha il diritto di veder crescere la propria economia interna, attirando investitori stranieri, cosa che l’Italia non riesce a fare con quelli nazionali,figuriamoci con quelli stranieri.

Tra le altre cose è assurda anche la proposta di boicottaggio dei prodotti Golden Lady come misura di solidarietà nei confronti delle lavoratrici – mancando totalmente di solidarietà e ben augurio nei confronti delle neo assunte serbe – in quanto oltre ad essere demagogico, è strumentale, in quanto l’azienda potrebbe e nel suo diritto farlo, pensare alla delocalizzazione altri stabilimenti all’estero, lasciando in Italia, il settore “ricerca e sviluppo”, continuando ad avere ancora il marchio “Made in Italy”, in quanti alle leggi europee interessa dove un prodotto è stato pensato e creato e non prodotto, cosa che già avviene da anni per le confezioni di abiti, scarpe, che spesso anche dai grandi marchi vengono prodotti nei Paesi dell’Est, tramite aziende locali e importate in Italia ed etichettate come “Made in Italy!”

Così come non dobbiamo dimenticare che molte cittadine italiane non hanno bisogno di boicottare la Golden Lady, in quanto vista la stretta economica, che incombe come una cappa nera sul Paese, si preferisce recarsi nei negozi gestiti da cinesi, con la merce in vendita che è reperibile a prezzi inferiori, anche per qualità, ma non sempre però è detto che sia così, perché a proposito di qualità non dobbiamo dimenticare che negli anni ’80 determinati marchi di pneumatici, provenienti o dalla Corea dal Giappone o dall’Austria venivano visti come di qualità inferiore, perché stranieri, ma che hanno saputo dimostrare nel corso degli anni la loro qualità e sicurezza, conquistando fette di mercato non indifferenti, senza che nessuno gridasse al boicottaggio per le ristrutturazioni in tatto nelle aziende produttrici italiane,con le conseguenti perdite di posti di lavoro a causa delle minori richieste. Alcuni esempi tra tutti: Semperit, Vredestein, Toyo e Yokoma.

D’altronde è chiaro perché il governo è non è intervenuto sulla vicenda, in quanto l’Ambasciatore italiano a Belgrado (1), perché gli incentivi che l’Omsa, sono gli stessi della Fiat (2), impensabili nell’Unione Europea, che verranno tolti quando il Paese entrerà nell’Unione Europea, sempre che questa non si dissolva antro pochi mesi e c’è chi giura che forse l’Euro e l’UE stessa, non arriverà a dicembre 2012..

Senza contare che la politica italiana non ha alcun diritto di interferire sulla libera imprenditoria, in quanto il primo “must di un’impresa, grande o piccola che sia, è quella di creare ricchezza per gli investitori, siano essi soggetti fisici, così come giuridici, così come non va dimenticato che le Ambasciate fanno servizi di collegamento tra le imprese individuali e le grandi azienda che delocalizzano all’estero, quindi anche gli eventuali incontri con il governo, invocati da sindacati, sono in questi casi virtualmente inutili, ma buoni a livello demagogico e d’immagine, tanto per dare l’impressione che si sia interessati alle questioni, referendum Fiat – Fiomm docet.

Gli imprenditori e la grande industria italiana continuerà ad andare a produrre all’estero, aumentando l’Emorragia – legale – di posti di lavoro, fino a quando il governo, sia esso tecnocratico come quello attuale, o quello democraticamente eletto dai cittadini, non si metterà al lavoro alacremente, in modo che gli imprenditori italiani restano in patria e che l’Italia, torni a essere un Paese interessante per gli investitori, come lo fu in passato, quando alla fine della Seconda Guerra mondiale,con il Piano Marshall (3) la nazione era industrialmente arretrata, come oggi lo è la Serbia ma sempre meno, grazie anche agli imprenditori italiani che delocalizzano, così come in passato fu per gli imprenditori stranieri che venivano in Italia a produrre, per via del basso costo della manodopera e dalla mancanza di controlli legali, che permettevano agli imprenditori e agli industriali di fare il bello e il cattivo tempo con le maestranze. Così come non va dimenticato che la Serbia è stata “umanitariamente bombardata” durante la guerra del Kossovo (4), colpendo anche industrie e attività non strategiche –  si vociferava al tempo, Fiat esclusa –  per il piacere di ricostruire, come è accaduto pochi mesi fa con la Libia, per metterli in ginocchio, e “colonizzarli” meglio.
Il che è quello che accade da anni, dopo il termine della “festa” è la raccolta degli utili, da parte degli investitori.

L’imprenditoria, sia essa grande o piccola ,cerca luoghi di produzione con il minori vincoli fiscali, legali e imposizioni statali meno invasive possibile, non tanto interessati alla crescita economica della ricchezza delle maestranze, ma perché votati a creare utili per gli investitori o gli azionisti, e in questo momento la Serbia rappresenta per l’imprenditoria italiana e non solo lo stesso “Bengodi”che fu l’Italia per gli investitori stranieri e italiani, che diede vita al “miracolo economico” (5) degli anni cinquanta del millennio scorso.



Marco Bazzato
09.01.2012

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