martedì 9 dicembre 2008

Crisi dell’auto: godimento americano


Non c’è che dire, gli americani, specialmente l’industria automobilistica, hanno l’acqua alla gola, hanno paura di dover chiudere baracca e burattini, in quanto i loro mastrodonti, vista la crisi dei mercati globali, sono dinusauri ngombrati che devono autoestinguersi quanto prima. E ora spaventati, piangono miseria, strozzate da debiti di natura speculativa e da mediocrità produttiva.

I grandi manager, pagati centiania di migliaia di dollari al mese, dall’alto dei grattaceli brillanti e luccicanti, hanno sempre pensato che il cittadino medio americano, ma non solo, fosse per sempre un eterno dormiente, che potesse permettersi senza problemi l’acquisto di sanguisughe economiche, pesanti come elefanti, dalle cubature sproposiate. Ma il giocattolo alla fine si è rotto. Gli americani – con anni di ritardo – hanno capito che potevano viaggiare da un capo all’altro del Paese, anche con vetture più minute e parsimoniose, senza necessariamente rimetterci più di tanto in abitabilità e comodità. I manager a questo non ci erano arrivati, spinti anche dalle stesse industrie petrolifere, a non investire in ricerca per progettare auto a più basso impatto ambientale, o addiritura, – eresia contro il petrolio – ecologiche.

Infatti, per il governo americano, è meglio che due persone dello stesso sesso si accopino sull’altare di una chiesa, piuttosto che sia pronunicata pubblicamente la parola blasfema “ecologia”.

L’america, patria del liberismo più sfrenato, per assurdo riscopre la sua anima socialista – comportandosi come l’ex Unione Sovietica, dove lo Stato era presente in ogni settore dell’economia con i suoi piani quinquellani di investimenti – per togliere le castagne dal fuoco a degli amministratori delegati miopi, privi della lungimiranza straggica d’accoregesi che il mondo cambia, che i bisogni dei consumatori si evolvono, specie in periodi di “vacche magre”.

I tre giganti, dai piedi d’argilla, hanno battuto cassa al governo federale, per un importo complessivo di 134 miliardi di dollari, per ristrutturare un settore in agonia, un settore che da anni fior di analisti indipendenti, non sui libri paga dell’industria petrolifera, profetizzavano “La caduta degli dei”, venendo tacciati e ridotti al silenzio in quanto disfattisti e antipatriotici, o peggio al soldo di qualche casa automobilistica straniera.

Ora i nodi sono giunti al pettine, lasciandolo imbrattato di pidocchi economici, che hanno infettato il comparto, rendendolo moribondo. Quello che fa riflettere è che in questo accattonaggio stratosferico, non si parli di restituzione a breve dei prestiti, come se una volta fottuto il malloppo, usando la solita banale clava del rischio della perdita di milioni di posti di lavoro, i tre zombi (GM, Ford e Chrysler) abbiano la sfrontatezza di chieder udienza e pecunia al Congresso e che questi si accontenti di vaghe promesse di cambiamento e di inversione di rotta, tanto i tagli sul personale e la chiusura degli stabilimenti in mezzo mondo lo faranno comunque, visto che hanno l’acqua alla gola, non vedono l’ora di veder galleggiare sul mare della disoccupazione qualche centinaia di migliaia, se non milioni di ex dipendenti a spasso, e famiglie sul lastrico, con gli investitori felici visto che hanno gettato agli squali le carcasse - a loro dire – inutili.

Va ricordato, che se “I tre cadaveri” fino ad oggi non hanno investito delle miserie in ricerca, rispetto alla concorrenza di altri colossi del settore, avendo così un gap tecnologico non facile da colmare nel breve periodo, in quanto tra la progettazionzione e la vendita di un nuovo modello mediamente trascorrono circa 36 mesi, se va bene, senza contare i costi esorbitanti per la riconversione delle linee di produzione, aggiornate per gli eventuali nuovi modelli.

A voler essere cinici, sarebbero in molti, sopratutto in Europa e Asia che vedrebbero di buon occhio la chiusura dei “tre morti sacri” dell’industria statunitense, indipendentemente dal fatto della perdita di miolini di posti di lavoro, anche dell’indotto, i n quanto il drenaggio economico che queste idrovore assetate di denaro, al pari delle auto da loro prodotte, ormai non sono più all’altezza della concorrenza e delle necessità degli utenti.

C’è poco da girarci attorno, alla fine è sempre il consumatore finale che decide le sorti di un azineda, che decide chi deve vivere o chi deve morire, chi deve essere elevato agli altari delle vendite, o chi deve essere cacciato nell’abisso dell’amministrazione controllata, nel tunnel della distruzione e dannazione eterna.

I tre colabrodi americani, sono da tempo come un esser eumano, in stato vegetativo, a cui è praticata l’alimentazione e l’idratazione – in questo caso economica – forzata, dove alla fine ben sapendo che non esistono più speranze di recupero, la cosa migliore sarebbe l’eutanasia economica, lasciando che veramente alla fine il mercato si ristrutturi da se, premiando i virtuosi e seppellendo per sempre i falliti, amministratori delegati compresi.

Marco Bazzato
08.12.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

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