C’è un rito a cui l’italiano medio, con l’arrivo dell’estate, non sa rinunciare: l’abbandono del cane. Infatti la barbara usanza di portarsi in appartamento, in casa una bestia, in questo caso un cane, un cagnaccio, non importa se di razza, o bastardo come i padroni, va a farsi benedire con l’arrivo delle agognate ferie.
Abbandonare il portatore estivo di pulci, per la legge dello Stato italaino è considerato, non si capisce perché, reato. Ma, la colpa di questa moda autunno-inverno, è da imputare ancora una volta, agli “umani” che per un assurdo ed immotivato bisogno di compagnia, si fanno traviare dagli occhioni tristi del bastardino di turno, del randagio abbandonato, dell’altezzosa bestiaccia di razza, che scruta osservando l’uomo, come se questi fosse la bestia, e lui l’umano.
Ma, l’animale parlante a due zampe: l’uomo, ha anche un'altra colpa atroce, un'altra colpa infame, che svilisce proprio la sua natura superiore. La colpa è quella di umanizzare la bestia a quattro zampe, elevandola quasi al rango di protoumano, abbassando l’uomo a protobestia. D’altronde basta vedere, come la massa informe degli umani, gettano fiumi di denaro per coccolare cani e cagne. Cucce riscaldate, abiti firmati, cibi sfarzosi perché il povero sacco di pelo pulcioso non si becchi la diarrea, veterinari felici, quando vedono “persone” affette da animalite cronica così scemi che piangono per una bestia, che soffrono inutilmente, quando questa prende il volo verso il paradiso canino, o quant’altro di più ameno l’uomo possa concepire per ridursi allo stato animalesco, mettendo sotto stronzio la ragione.
È evidente, alla fine, che dopo quasi otto o nove mesi passati ad occuparsi della bestia, l’uomo riprenda contatto con se stesso, sentendo il bisogno, almeno per un breve periodo dell’anno, per almeno due settimane, di non pensare più a merda di cane da tirare su con secchiello e paletta, cibo specifico ad alto contenuto proteico, bocconcini di carne o pesce selezionati, per il miglior benessere psicofisico della bestia a quattro zampe,e che l’uomo riprenda contatto con il mondo vero, quello reale, il mondo che non abbaia, che non ringhia, che no morsica, ma col mondo che comunica con la parola, con i pensieri, con la ragione, riprendendosi quello spazio che giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, ha lasciato – stupidamente – alla bestia, lasciando che questi lo soffocasse con le proprie esigenze, non naturali, ma apprese dalle bestie umane a due zampe.
Ma l’aspetto più rivoltante sono gli animalisti. Quei gruppi di invasati, di persone più simili al cane, piuttosto che all’uomo, che per salvare la pelle ad una bestia, ammazzerebbero, senza scrupolo di coscienza, un proprio simile, in quanto portavoci umani delle istanze canine o altro. Uomini-cane senza arte e né parte, persone prive del minimo cuore umano,dotate di una sensibilità così primitiva e poco evoluta, in cui spesso, proprio anche il loro parlare, assomiglia ad un latrato, ad un guaito spaventato di una bestia a cui sono appena state ridotte in ragù al pomodoro, odorante di sangue e carne tritata andata a male, le zampe.
C’è un aneddoto personale, che mi sovviene in mente. Circa vent’anni fa, anno più o anno meno, morì il bastardino di famiglia. Un cagnaccio rompiballe, infimo, che abbaiava anche ai topi morti. Insomma, un perfetto rifiuto del mondo animale, tant’è che questo sacco di pulci ambulante, finalmente è finito sotto un’auto, ridotto ad una massa informe, che respirava come un mantice bucato. Si sentiva il sibilo dei polmoni bucati, dalle costole, che usciva come il fischio di un treno a vapore dell’ottocento. E puzzava. Puttana cagna se puzzava. L’odore, il tanfo premorte è nauseante. Ti colpisce la bocca dello stomaco, peggio di un calcio sulle palle, facendoti espettorare contemporaneamente vomito e catarro.
La cosa peggiore, però non era il bastardo agonizzante. No, quello poteva essere considerato interessante. La cosa peggiore era il pianto di mio fratello. Io avevo circa diciassette anni e lui undici. A quell’età, gli impuberi sono soggetti a sbalzi di umore, peggio delle donne a cui salta il marchese. E piangeva, piangeva, piangeva a dirotto, urlando un dolore inutile e senza senso, lacrimando come una candela accesa. Facendomi ridere. Era una sensazione bellissima. Il cane rantolava, per poi, troppo brevemente, crepare, e il fratellino, in quel momento più simile alla bestia, piangeva, quasi come se con i suoi singhiozzi volesse seguire gli ultimi respiri del sacco di pelo morente.
Per terminare. Abbandonare Fido, per la legge non è giusto, ma bisogna anche capire la rottura di palle che dura per quasi dieci mesi all’anno. Meglio – non tanto se si amano gli animali, visto che amare o affezionarsi alle bestie, non importa di che specie, è da perfetti deficenti – o non acquistarli, non farseli regalare, non raccoglierli per strada, cadendo nell’illusione d’essere dei novelli San Francesco, ma portarli in un canile, possibilmente municipale, con tutti i crismi di legalità, per il benessere – secondo la legge assurda – del rispetto dei “diritti(?)” degli animali, non tanto, per amore nei loro confronti, ma per non incorrere, se si viene beccati ad abbandonare il cagnaccio per strada, in autostrada, alle dissanguati multe che manderebbero a puttane, non solo le vacanze, ma anche il rientro, facendovi passare – per fortuna – la voglia di perdere tempo con cani, cagne e bestie varie tenute in casa.
Marco Bazzato
18.07.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/
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