mercoledì 22 agosto 2007

Ricordi di fanciullezza

L’infanzia è una stagione della vita che passa in un lampo. I giochi, i divertimenti, i momenti allegri e tristi, tutto però come una calda estate finisce, poi arriva il grigiore invernale dell’età adulta, delle responsabilità, dei condizionamenti sociali, dove tutto è inquadrato, segnato, scadenziato, carico di assurde responsabilità.
Ci sono dei momenti in cui tutto si ferma, momenti, dove il film della vita sembra fermarsi, e le immagini iniziano a scorrere, andando a ritroso nel tempo, riconducendo tramite i ricordi, ai momenti felici, ormai morti.
Come quel giorno,quando Fabio giocò a far morire i piccoli meticci, partoriti da poco.
Suoni, sensazioni e colori, erano ancora tutti lì, che tornano uguali a prima, ma più forti, come se rivivesse con la stessa intensità dell’attimo, il tutto.
Era un caldo giorno d’agosto, e la cucciolata era nata da pochi giorni. La piccola meticcia, che da mesi si era accasata in un angolo nascosto del giardino, allattava i sei cagnolini, che indifesi, poppavano allegramente dalle vecchie mammelle della madre.
La mamma di Fabio, da anni non sopportava gli animali, e le grida che la donna emetteva, quando questi randagi si avvicinavano a lei, avrebbero potuto mandare in frantumi un lampadario di Murano. Anche nei giorni successivi alla nascita della cucciolata, non aveva mai smesso di lanciare improperi e strali, contro quella cagna che si era selvaggiamente accoppiata, quando forse per l’ennesima volta, era andata in calore, e quei lamenti costanti, quell'abbaiare musicale le danzava sui nervi, impedendole a volte, il quotidiano riposini pomeridiano.
Fabio, sebbene non amasse particolarmente i cani, non vedeva in loro quel pericolo apocalittico che la mamma come una predicatrice dell'avvento del giorno del giudizio, vedeva nelle sue visioni misticheggianti, era un bambino moderatamente tranquillo, anche se di tanto in tanto, i guizzi in libertà, lo portavano ad eccedere in giochi e scherzi, al limite dell’incolumità fisica. Ma non quel giorno.
Quel sabato pomeriggio, aveva deciso, visto che era rimasto solo in casa, di far contenta la madre, facendo un liberatorio gioco diverso. Erano giorni che ci pensava, e questi pensieri nascevano, ogni volta che l'onda ululatoria della madre loraggiungeva, rischiando di perforare, i suoi delicati timpani.
Sapeva come fare un regalo alla madre, e a se stesso. Si era lambiccato il cervello, e aveva trovato la soluzione equilibrata per tutti.
Sorrideva per quell’idea così diversa dalle altre, sorrideva perché finalmente, forse aveva trovato il modo di divertirsi senza far danni, ma facendo un servizio familiare, che lo avrebbe reso diverso e superiore, rispetto agli altri fratelli, agli occhi della madre.
Prese il mastello che la donna, durante il periodo estivo usava per mettere a mollo gli abiti, e lo portò senza fatica vicino alla cuccia della cagna, mentre uesta lo guardava con i suoi tristi, ma riconoscenti.
“Aspetta a guaire di gioia. Vedrai cosa succederà tra poco" pensò mentre correva a prendere la gomma che il padre utilizzava per irrigare il giardino. Andò al rubinetto e dopo aver aperto l’acqua, prese il tubo di gomma e accucciandosi a terra, riempi il mastello. La cagnetta nel frattempo, aveva momentaneamente lasciato i cuccioli per uscire dalla cuccia e vedere meglio cosa stava facendo il ragazzino. Forse era incuriosita, forse spaventata, o entrambe le cose assieme, o presagendo la triste fine della cucciolata, iniziò a girare attorno a Fabio e al mastello ormai colmo, guaendo.
L’acqua era arrivata fino all’orlo del grande contenitore di plastica, e Fabio dopo aver gettato sull’erba il tubo in gomma, si alzò in piedi, stiracchiandosi i muscoli e sfregandosi le mani. Il momento stava per arrivare. La piccola bastardina meticcia continuava a girargli attorno, e Fabio, che non voleva farsi distrarre dal gioco, senza troppi complimenti la scalciò sul fianco, facendola volare ad alcuni metri di distanza. «Così impari! Vecchia troia!» gridò quasi con la stessa voce di sua madre, e si diresse verso la cuccia.
Si inginocchiò a terra, e dopo aver inserito il braccio all’interno, iniziò a cercare i cuccioli, che nel frattempo, seppur incapaci di camminare, cercavano forse la madre, oppure provavano, sentendo il pericolo ,ad allontanarsi.
La piccola cuccia puzzava di urina stantia, feci, vomito e paglia vecchia. Era un tanfo nauseabondo, che nemmeno la cleorina ,gettata pochi giorni prima in quantità industriale, era riuscita a cancellare.
Fabio riuscì a prendere a due alla volta,i piccolo bastardini in mano. Sentiva i loro cuori battere come martelli pneumatici impazziti. Avrebbe potuto stroncare quelle piccole ed inutili vite solamente stringendoli forte, stritolandoli, ma così il divertimento non sarebbe durato che pochi istanti. Il gioco doveva continuare il più possibile, e così, a due a due, dopo aver fatto tre giri su e giù, gli gettò tutti sul mastello colmo d'acqua.
La cagna dopo essersi ripresa dal volo senza paracadute, corse, nel limite di quanto le permettevano le vecchie zampe verso il mastello bianco, e cercando di sollevarsi sulle zampe posteriori, provò ad osservare la sua nidiata che annaspava guaendo nell’acqua, e non poteva fare nulla per salvarli.
Fabio sorrideva, ma non era ancora contento. Li vedeva andare a fondo e poi riemergere, ad ogni minuto che passava, sempre con maggior difficoltà, ma visto che anche lui aveva un cuore, prese il bimattone che lo depose dentro il mastello, che affondò subito, schiacciando i cucciolii sul fondo.
La madre cagna aveva gli occhi sbarrati, sembrava incredula anche lei, per quello che era accaduto ai suoi piccoli. Forse avrebbe voluto piangere, azzannare come un'animale inferocito il polpaccio di Fabio, ma non fece nulla di tutto ciò rimase impietrita, ad osservare l'acqua che smetteva di muoversi, e le bolle d'aria che salivano in superficie, ad ogni secondo sempre meno, finchè si arrestarono del tutto.
Fabio guardava incantato lo spettacolo della vita che se ne andava. Della vita animale che moriva, tragicamente affogata dall’acqua assassina, sorridendo beato. Aveva ogni muscolo del corpo contratto per l'emozione, ogni fibra del suo essere vibrava di gioia infantile, sapendo che un momento così sarebbe stato, per sempre, irripetibile.
Improvvisamente si scosse dal torpore, La cagna in lutto si era attaccata ai lacci della scarpa da tennis cercando di morderli rabbiosamente, ma il piccolo non si scompose. Anzi. Prese il bimattone e lo tolse dall'acqua, depositandolo a terra, sull'erba fresca. I cagnolini, tutti morti affogati, salirono i superficie quasi istantaneamente, come gli gnocchi fatti in casa dalla mamma, e li estrasse dall’acqua, depositandoli vicino alla madre, che subito guaendo, iniziò a leccarli in preda alla disperazione più nera.
Fabio compiacendosi della sua bontà d'animo, lasciò che lacagnetta continuasse a leccare i cadaveri per alcuni minuti, per poi stancarsi improvvisamente di quello spettacolo necrofilo e nauseabondo, la riscagliò distante, con un nuovo calcio ben assestato.
Era stanco di quel gioco ormai. Quei piccoli cadaverini gli davano il voltastomaco. Prese la borsetta di nylon che teneva in tasca. Li raccolse da terra. Erano bagnati, scivolosi, le testoline penzolavano in modo innaturale, vero terra, come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili, e li gettò senza troppi complimenti nella borsetta, e la chiuse con un pò di nastro adesivo.
Si sentiva stanco, quel peso morto che teneva in mano, gli sembrava un serpente pronto a morderlo in ogni momento, e decise che avrebbe gettato il tutto, nel piccolo canale di scolo, a poche decine di metri da casa.
Quella sera sebbene eccitato ed affamato, non disse nulla alla madre, avrebbe lasciato che scoprisse la gioia d’essersi liberata di quelle malefiche creature, da sola. Era contento perché sapeva d’averla fatta felice, e questo per lui era il miglio premio che potesse ricevere.

Fabio tornò immediatamente al presente, provando una fitta di nostalgia per quel giorno. Accanto a lui, la Dalmata che da poco aveva partorito, era accucciata vicino ai sette cuccioli, partoriti due settimane prima, e dopo aver ricacciato alle spalle la malinconia del passato, sorrise.
«Su, andiamo è ora di fare un bel bagnetto!» disse improvvisamente, mentre negli occhi della dalmata corse un brivido di paura…«oggi è il giorno che si commemora la morte di mia mamma» si disse sorridendo, sentendo l’adrenalina della vita che gli scorreva dentro.

Marco Bazzato
22.08.2007
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