mercoledì 21 gennaio 2015

Il Giardino dell'inferno



Vago, vago, vago 
nel giardino dell’inferno 
ricolmo di frutti morti, 
anima in pena 
danzante il macabro nulla. 
Vite morte 
camminano vicino a me 
in spirito consunti 
bruciate nella dissoluta vita. 
Foglie morte 
a terra marcite 
corpi sfiniti dall’eterno bruciare, 
membra divelte 
cercanti l’antico tronco di vita. 
Nulla 
il vuoto é nulla 
tutto nelle oscure tenebre 
è desolazione e pianto 
immagine deforme 
di vita informe. 
Giardino dell’inferno 
in te bramo l’eterno nulla piangente, 
millenaria ricerca d’una pace persa. 
Fiumi d’acqua pregni di pece 
Come il sospiro che nulla crea. 
Bramo il Verbo del vibrante Dare 
distante, assente, 
nel cuore presente 
oscurato dal dolore dell’odio 
rifuggente l’antico presente mai vissuto. 
Mano tesa 
nel giardino dell’inferno 
lampo di luce viva 
le tenebre squarcianti. 
S’aprono squarci sull’infinito 
spazzanti il buio nulla. 
Cechi occhi bruciati 
innanzi all’immanente mostrante il volto. 
Udito chiuso per non sentire 
il richiamo d’amore puro 
dal cielo scendente 
dal cuore ascendente; 
fermo, ingabbiato e bloccato, 
vivendo in paura mai doma. 
Giardino dell’inferno 
terra di vita e morte 
d’oscuri presagi, 
d’albe nascenti luminose e morenti 
aggrappati nel rancore dell’odio 
vittima senza fine d’affanni passati 
sospeso nel tempo, senza speranza. 
Giardino dell’inferno, 
bramante il riposo del nulla 
guerriero stanco di ventrali battaglie 
matriarcale immagine d’un disegno preposto 
odiato insultato, 
accettato e amato. 
Trovo ristoro 
nel giardino di vita 
placante anima e corpo 
abbandonandomi al dono ricevuto 
d’un volere diverso. 
L’odiato antico è passato 
in me, ora vivente l’addominale segno 
di vita vera, viva. 

Marco Bazzato
28.10.2004

mercoledì 14 gennaio 2015

Aborto d’amore – romanzo: quando la letteratura contro l’omofobia fa paura


Lo sapevo fin dall’inizio, ossia quando nel lontano 2006 iniziai a scrivere il mio secondo romanzo, Aborto d’amore – Lacrime eugenetiche, opera pubblicata in e-book – che la tematica avrebbe spaventato tutti. Ma è compito dello scrittore mettere, grazie alla finzione letteraria, in evidenza le ipocrisie della nostra società contemporanea, e i fatti mi stanno dando ampiamente ragione. A parte pochi casi isolati e in forma privata, pochi hanno avuto il coraggio di scriverne una recensione, in quanto mettere a nudo il falso perbenismo  imperante e veder riflesse le proprie paure – leggesi omofobia – vedendosele spiattellate in faccia, non fa piacere a nessuno. Ma la realtà, a meno che noi non desideriamo intimamente cambiare il nostro punto di vista è approccio,  non cambia da sola e   fare gli struzzi mettendo la testa sotto la sabbia, per paura che le fobie  sopite escano allo scoperto, non si cambia mai da sola.

In molti privatamente mi hanno scritto che il romanzo è crudo, a tratti brutale, privo di fronzoli, orpelli e “leccaculismo”, in quanto non fa sconti a nessuno, perché la vita non fa mai sconti e  se si prova ad attraversala attraverso vie traverse, alla fine volente o nolente ti presenta il conto.

Ho proposto la lettura dell’opera al gruppo le Sentinelle in Piedi, a vari gruppi che pubblicamente sono contro gli omosessuali, anche in modo feroce e linguisticamente parlando offensivo…la risposta? O il romanzo non è stato letto, come loro diritto, o se letto, hanno preferito tacere. Forse, giustamente dal loro punto di vista per non offrire spazio mediatico a me, oppure, ma questa è una supposizione, perché timorosi che un’eventuale vetrina potesse metterli sotto una luce diversamente positiva. Lo stesso per l’Associazione Provita, a parole contro l’aborto, ma poi quando nei fatti ci sta un’opera letteraria e di fantasia che ipotizza una realtà che potrebbe avvenire nei prossimi anni, ossia l’indagine genetica prenatale sui feti per stabilire se questi abbiano o non abbiano il gene dell’omosessualità e che potrebbe attivarsi in determinati contesti sociali e o ambientali, ecco che allora…silenzio.

Come se la vita di un eventuale feto che potrebbe essere  omosessuale o lesbica, fosse meno importante di un feto etero. Ricordiamoci che oggi ciò che è fantasia, un domani potrebbe essere il pane quotidiano della scienza e di riflesso delle gestanti e quindi del loro diritto di scelta, individuale e terreno di riflessione politica su cambiamenti della società e dei diritti del nascituro,senza mai mettere in discussione il diritto d’aborto della donna.

Mi hanno stupito poi alcuni che privatamente si sono attaccati alla forma del romanzo, probabilmente senza comprenderlo nella sostanza, probabilmente perché, anche per via della loro professione, si sono sentiti tirati in ballo e quindi, come se avessero toccato una cosa particolarmente ripugnante, sono scappati quasi a gambe levate, usando scuse pretestuose, non tipiche del loro carattere.

Debbo confessarlo, questo romanzo mi ha fatto cambiare, perché, non che rinneghi le mie posizioni passate, “l’abiura” non fa parte della mia cultura, però  sposo in toto il proverbio arabo che recita:
“Onesto è colui  che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero”.

È risaputo che l’essere umano non è detentore della Verità Assoluta, questa appartiene, per chi è credente alla divinità alla quale egli si rivolge, però essere volutamente ciechi e ottusi innanzi ai cambiamenti, rifiutandoli a priori, per motivi ideologici o religiosi, perché credono che questa divinità indichi la retta via, significa abdicare il diritto di pensare e osservare il mondo che circonda tutti con gli occhi scevri dal pregiudizio. Non importa se questo pregiudizio è rivolto alla realtà LGBT o qualsiasi altra realtà nella quale aprioristicamente sbarriamo le porte.  Poi, naturalmente deve rimanere il diritto di dissentire, ma negare aprioristicamente i diritti altrui, potrebbe essere in alcuni casi un boomerang, che prima o poi potrebbe ritorcesi contro, attraverso vie al momento ignote e imperscrutabili.

 Limitare il proprio discernimento per ragioni che nulla hanno a che fare con la Fede, perché legati a una visione fanatica e letterale della religione, equivale a negarsi la possibilità di essere diversi, equivale a chiudersi entro un fortino fatto di paure e di pensieri chiusi, soprattutto quando si ha paura di guardare, attraverso un’opera letteraria, ciò che è il proprio io e le proprie visioni ideologiche che sovente però potrebbero nascondere anche dei disagi psicologici profondi.

Il romanzo “Aborto d’amore” è, a mi avviso, un romanzo che potrebbe piacere alle Associazioni LGBT, perché snuda l’ipocrisia perbenista e ipocrita non solo della profonda provincia italiana, perché probabilmente tutti, davanti agli eventi che vedono coinvolti i coniugi Rampin, potrebbero all’inizio comportarsi da provinciali, così come è vero che non tutti coloro che vivono nella provincia profonda debbano giocoforza avere una visione provincialista e ottusa del mondo che li circonda, che cambia, che evolve che li mette innanzi a nuove sfide   personali, culturali, sociali, cambiando radicalmente il loro pensiero e la loro prospettiva, nei confronti del diritti dell’uomo e della loro accettazione sociale.

Marco Bazzato

14.01.2015

lunedì 12 gennaio 2015

La straordinaria nevicata dell’85


Romanzo di Massimo Acciai

Devo ammetterlo, il romanzo inedito  di Massimo Acciai all’inizio mi ha lasciato titubante.  “La straordinaria nevicata dell’85” è un romanzo che, passatemi il paragone motoristico, scalda lentamente il lettore come un motore diesel della VM, fabbricato a Cento, in provincia di Ferrara, della prima metà degli anni ’80, ma che poi può portarti ovunque, in quanto a robustezza e affidabilità, scorrendo lungo le vie della narrazione in modo, fluido omogeneo e senza strappi.

Eppure Massimo Acciai mi ha stupito perché non è facile raccontare oggi, quando si ha come arco di volta uno scrittore H. G. Wells e il suo più celebre romanzo The time machine, dove se all’inizio questo accostamento può apparire pesante, poi è un po’ come se ci fosse un padre che getta l’occhio benevolo su un suo ammiratore-discepolo,  proveniente dal futuro.

Il viaggio del tempo è sempre stato il sogno irrealizzato dell’uomo e attualmente impossibile, per via dei limiti della scienza attuale e i paradossi che esso potrebbe comportare, ma lo scrittore fiorentino entra nell’orizzonte degli eventi, nella singolarità, attraverso una porta non certo nuova, ma di sicuro effetto: l’ipnosi regressiva. In questo viaggio “onirico” è accompagnato come ogni paladino che si rispetti da due “scudieri”, Amarilla e il padre Guidoberto Negrini, per incontrare nel passato se stesso, non in una data scelta a caso, no, ma come recita il titolo, nella grande nevicata del 1985, con l’autore  che ci porta nella sua amata Firenze, rapendo il lettore guidandolo all’interno della Firenze della vita quotidiana del 1985, per incontrare se stesso, o meglio una proiezione dei suoi ricordi  che, tramite l’ipnosi regressiva, ma che a differenza e in antitesi  Back to the future partII , il romanzo prende avvio nel 2015.

È  ben evidente e presente nell’opera  il lavoro di ricerca storica e documentaristica  fatto dallo scrittore per trasportare il lettore  nel 1985,  che apparentemente sembra dietro l’angolo, ma che nei fatti appartiene addirittura al millennio passato e Massimo Acciai lo fa con delicatezza e soprattutto senza quella retorica che sovente colpisce lo scrittore poco smaliziato che si lascia prendere la mano dalle parole, facendoci scoprire non la Firenze turistica, quella delle luci e dello sfarzo artistico del Rinascimento dei De Medici, ma  la  capitale mondiale del Rinascimento dell’uomo comune, fatta di piazze, stradine, vicoli, supermercati, negozi, profumi e sapori, che oggi sono cambiati, o come per i dinosauri che si sono estinti, se riscoperti e scrostati dall'erosione del tempo,  sono fossili e vestigia di un mondo perduto.

Ritrovarsi catapultati nel 1985 e incontrare se stessi, confrontarsi con quelle che erano le aspettative di un fanciullo con ciò che poi si è diventati, o che la vita ha fatto diventare non è un impresa facile, anche perché i ricordi cambiano, il cervello ne crea di falsi, sovrapponendoli ed eliminando quelli che ritiene inutili, ma fermando il tempo, come l’orologio della torre nella piazza centrale di Hill Valley, quando venne colpita da un fulmine nel 1955,  e  nel caso del  protagonista, assistiamo al classico scontro generazionale – con se stesso, dove tutto è in parte ricordi malinconia e gioia per ciò che è stato, ma nel se stesso bimbo, vedersi e conoscersi e riconoscersi da adulto è uno shock, in quanto, quasi mai,  nessuna vita prende le direzioni limpide e pure che si sognano da ragazzini.

Nel romanzo gioca un ruolo importante Amarilli, la giovane figlia del suo amico Guidoberto Negrini, la quale, almeno nella mia percezione, sia per il carattere e le movenze in determinate situazioni sembra un personaggio di un manga giapponese, una cosplay dai grandi occhi luminosi e pieni di vita, dotata di forza e temperamento non indifferenti, nonostante la grave malattia cardiaca che la affligge.

È interessante come l’ipnosi regressiva si sovrapponga con la buca del coniglio, dove il professor Jake Epping entra/esce, quando riemerge/ritorna nel/dal 1958, scendendo/salendo da una scala di un magazzino della tavola calda “Al’sDinner”  di Al Templeton, nel romanzo 22.11.1963, di Stephen King, come una sorta di tunnel spaziale letterario,che  senza mai essere in simbiosi, mette in contatto due universi sconosciuti, uniti dal desiderio di rendere reale, nella realtà romanzata, ciò che forse è una delle maggiori aspirazioni dell’uomo: illudersi di cambiare, cambiando e interagendo con il proprio passato, il proprio o l’altrui futuro.

Massimo Acciai,innanzitutto racconta e si racconta, si spoglia pezzo dopo pezzo, come quando, rientrando a casa dai grigiori imbiancati dell’inverno, al caldo, ci si toglie indumento dopo indumento, mettendo a nudo il suo Io bambino e il suo essere uomo, l’uno innanzi all’altro, così’ diversi, ma in fin de conti uguali, perché in ogni uomo ci sta l’evoluzione del suo Io bambino, che alla fine, anche se invecchia, rimane sempre se stesso, modificandosi sì nell’aspetto esteriore, ma sviluppando e  facendo emergere il suo Io interiore, lungo le strade i percorsi che lo formano e lo modellano, a volte come la morbida creta, altre, facendo emergere il freddo marmo dell’anima.

Ne “La straordinaria nevicata dell’85” ci sta un filo ancora più sottile che lega tutta la storia, è un filo che si è spezzato, il filo, presente nel cuore, nei ricordi e nelle immagini che conserva nella mente della propria madre. Attraverso le parole dell’autore possiamo sentire la struggenza del dolore che lo accompagna. Quel dolore che può essere compreso nella sua devastante purezza solo da chi è stato segnato da questo lutto, e che lo scrittore ci fa omaggio, condividendo con leggerezza melanconica quel peso che è tutt’ oggi è presente nel suo personaggio letterario.

Massimo Acciai, come l’orologio della torre di Hill Valley, ferma il tempo. Ferma il suo tempo, come metafora di quelle lancette bloccate che ogni persona si porta appresso, lancette bloccate per un evento positivo, negativo, per un dolore o per una perdita, ma quelle lancette, devono prima o poi prendere i loro bei “1,21 gigowatt” per ripartire, perché, come scrisse la moglie di Hubert Fiorentini Miko, in Wasabi , ognuno dovrebbe avere il coraggio di andare La dove tutto ebbe inizio...la dove tutto finì”, perché come ci fa capire l’autore, quello è forse l’unico modo per  ricominciare, in pace con il proprio passato e la propria storia.

Marco Bazzato
12.01.2015

Biografia dell’autore tratta dal sito dell’Associazione Culturale PotetiKanten


Massimo Acciai nasce a Firenze nel 1975. Laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Firenze nel 2001, con una tesi sulla comunicazione nella fantascienza. Si è interessato molto presto al genere narrativo fantascientifico e fantastico in generale, scrivendo e pubblicando brevi racconti su riviste in italiano e in Esperanto e classificandosi in vari concorsi letterari.

Nel 2003 fonda la rivista culturale online Segreti di Pulcinella (www.segretidipulcinella.it) insieme a Francesco Felici. Dal 2007 al 2008 collabora con il musicista siciliano Paolo Filippi, per il quale ha scritto circa 140 testi di canzoni, ed altri artisti tra cui Matteo Nicodemo. 

Nel 2009 appare il suo primo e-book, edito da Faligi, in esperanto e in italiano, "La sola absolvita / L'unico assolto". Presso la stessa casa editrice sono usciti anche il romanzo fantasy "Sempre ad est" e il saggio "La metafora del giardino in letteratura", scritto insieme a Lorenzo Spurio, entrambi nel 2011.
Presso Lettere animate è uscito nel 2012 la raccolta di racconti "Un fiorentino a Sappada". In seguito sono uscite "La nevicata e altri racconti" (Edizioni Montag, 2013), la silloge poetica "Esagramma 41" (Faligi, 2013), "C'era una casa su in collina..." (Photocity, 2014) e "Apologia del perduto" (con Lorenzo Spurio, Arpeggio Libero, 2014). È redattore della rivista letteraria "L'area di Broca" dal 2006.
E' anche autore di video, musicista e performer nel gruppo dei PoetiKanten.

sabato 10 gennaio 2015

Gli attentati di Parigi e il “terrorismo mediatico” italiano

Innanzitutto voglio esprimere il mio vivo cordoglio per i morti a Parigi ai famigliari e agli amici delle vittime – tutte. Senza distinzioni tra vittime e carnefici. I vivi da vivi si possono insultare e offendere, quando sono morti ancora caldi, il discorso cambia, piaccia o no, altrimenti diventeremo tutti come quelli dell’ISIS!

Detto questo, tralasciando le dietrologie, ormai se ne contano a centinaia, quello che mi preme analizzare in questo articolo è la bagarre e il “terrorismo mediatico” scatenato dai  media, classici e digitali, in seguito a questa strage.

Va fatta però una doverosa premessa, e la faccio con un proverbio:  “Scherza con i fanti e lascia stare i santi!”, questa è la saggezza popolare dimenticata dall’assurdità del modernismo relativista.

È vero che in una normale democrazia il diritto di satira e di espressone deve essere salvaguardato a prescindere, purtroppo però vivendo  noi tutti in una società imperfetta, anche qui regna un relativismo politico assurdo, peloso e vigliacco. Infatti, se si fanno vignette antisemite, ecco che partono gli strali dell’opinione pubblica, e  a volte qualcuno si cosparge il capo di cenere e fa pubblica ammenda. Se le vignette sono anticristiane e altri si indignano,  l’opinione pubblica e la sinistra soprattutto grida alla censura, parla e straparla di un Paese retrogrado e bigotto, attaccato a dei valori morali e sociali che vanno derisi e soffocati, nel nome della laicità e della pluralità di pensiero. Giusto?  Se invece le vignette sono anti islamiche, si assiste alla cosa più assurda, specie se si è abituati ad osservare determinati siti,  e parlo di coloro che scrivono nei siti atei o dell’ateismo razionalista, quindi delle opinioni personali dei lettori:  silenzio assoluto, di tomba, nessuna condanna, nessuna esultanza per aver sbeffeggiato il Profeta o l’Islam, in quei casi lì, tutti zitti come mosche.

E sapete perché? Perché in Italia ci stanno due paure fetenti che fanno inzaccherare le mutande: la paura di essere marchiati come antisemiti e quella di essere affetti da islamofobia, mentre sono felicemente fieri se malati cristianofobia.
Già perché in Italia è politicamente e socialmente accettata dai più, da coloro che si credoo radica chic – mentre i più sono una manica di ignorantoni e lazzaroni senza arte, né parte ,  privi di spessore intellettuale e culturale –  la cristianofobia, mentre è pubblicamente esecrata l’islamofobia, anche se la legge in teoria dovrebbe punirli tutti  in egual misura sebbene  non  si è mai sentito nessuno che sia stato denunciato e processato per cristianofobia? Qui ci vorrebbe un estensione della legge Mancino. Mentre per l’antisemitismo e l’islamofobia, tutti ci fanno con i piedi di piombo, attenti a come aprono bocca. (vigliacchi!)

Resta da capire se alla fine sono idioti i cristiani o se sono più volpi gli altri?

Rimane in ballo un fatto essenziale da comprendere, ma di cui nessuno ha avuto le palle di affrontare il problema alla radice: il limite etico della satira. Sì, perché piaccia o no un confine, se non impartito dalla legge, deve almeno essere frutto della libera coscienza dell’individuo o del vignettista, ci deve essere.
Noi crediamo che la libertà sia un valore assoluto, infatti lo è.  La libertà, come tutte le libertà è un diritto che va dosato, centellinato e usato con estrema accortezza. Nessuno di noi è Signore e Padrone assoluto della propria libertà, ogni persona ne è beneficiario,ma come colui che beneficia di un dono, questo va usato e manipolato come se fosse una persona inferma, malata, bisognosa di cure e attenzioni, perché altrimenti la presunzione dell’eccesso di libertà può far attivare in alcuni strati della società delle formazioni cancerose, che poi attaccano all’improvviso e con esisti difficilmente poi controllabili, soprattutto quando si è nelle mani di una politica infingarda e che usa, per i propri tornaconti personali, il terrore della gente e delle persone, gridando ai quattro venti: “siamo in guerra, andiamo felici alla guerra, dobbiamo schierarci. Bisogna combattere”, e altre amenità del genere. Certo, ma poi a fare la guerra mica ci vanno questi che la invocano.

Non difendo l’Islam in quanto tale, ma difendo la buona fede di milioni  persone di islamici, anche quelli che vivono in Europa e in Italia, a cui si è chiesto di fare pubblica condanna di questi atti terroristici.  Hanno fatto bene a  tacere, perché in ogni caso, qualsiasi cosa avessero detto, visto il panico mediatico che stanno scatenando politici e giornalisti, sarebbe stato distorto, manipolato e manco sarebbero stati creduti, perché alla fine anche loro sono vittime,  come è stato vittima il poliziotto musulmano che aveva fatto giuramento alla bandiera francese,  freddato dai terroristi.
L’Europa, le Istituzioni Europee, i politici italiani e i cittadini italiani devono innanzitutto interrogarsi sul significato vero di libertà, perché troppo spesso si crede che libertà significhi fregarsene degli altri, in nome del proprio libero arbitrio. Ebbene, questa non è libertà, questa è anarchia, è assenza di regole e l’assenza di regole certe per tutti, fa covare nel tempo anche questi mostri, sebbene a questi le armi morali siano state messe in mani da altri: ossia su chi, nel nome assolutamente relativo della libertà assoluta di satira, ha permesso che si passasse sopra tutto, a tutti. A sentimenti, a credi, a culture, non importa che queste culture siano islamiche, cattoliche,ebree o di altre confessioni religiose non appartenenti alle tre religioni monoteiste.

Le stragi di Parigi sono i frutti avvelenati di questa libertà, che oggi va sotto il nome assurdo di t”tolleranza”.

Personalmente trovo osceno il termine “Tolleranza”, perché tolleranza significa solo mandare giù e/o far mandare bocconi amari nel nome del diritto – arbitrario – proprio e/o dell’altro, e questo diritto ci ha resi proni e/o arroganti,  lavando il cervello, mentre il termine più corretto dovrebbe essere accettazione, perché la tolleranza è come una bombola di gas , prima o poi esplode, con esiti deflagranti.

 Il termine migliore è reciprocità, ma il termine reciprocità e riconoscimento reciproco è un termine sconosciuto alla razza umana, visto che il più delle volte è la politica, per  interessi economici apparentemente occulti, che soffia sul fuoco delle divisioni, fomentandole e facendo leva  sugli istinti più biechi dell’essere umano, il quale, come un fuscello al vento, è facilmente manipolabile.

Marco Bazzato

10.01.2015 

venerdì 9 gennaio 2015

Stampare libri in Bulgaria

Comunicato indirizzato a scrittori e piccole case editrici italiane

In molti nel corso degli anni mi hanno scritto per avere informazioni su come poter vedere la propria opera stampata e spedita in Italia, a seguito di un mio articolo uscito nel lontano 2006.
Come si dice: di acqua ne è passata assai sotto i ponti, molte cose rispetto ad allora sono cambiate in meglio, soprattutto per via dell’ingresso della Bulgaria nell’Unione Europea, e quindi anche i costi sono  diminuiti, per quanto riguarda i trasporti e la facilità di spedizione.
A tutt’oggi però gli autori emergenti italiani, Associazioni culturali, piccoli editori che vogliono risparmiare, aumentando i margini di profitto, nutrono delle resistenze per quanto riguarda lo stampare un libro in piccola tiratura all’estero, preferendo la stamperia sottocasa, o le numerose stamperie che raccolgono gli ordinativi online, con servizio tutto compreso, con l’opera spedita a casa, tramite corriere.
Però chi vuole andare oltre al proprio orizzonte, sappia che è si può risparmiare – e in questi tempi di crisi la parola risparmio dovrebbe far attizzare le orecchie – scartare pregiudizialmente  un Paese come la Bulgaria, che in quanto a tecnica e qualità di stampa, non ha nulla da invidiare alle stamperie italiane, anzi, significa anche venir meno al concetto stesso di Unione Europea e di qualità a  minor costo, sia per i materiali, così come per la mano d’opera, costi che incidono fortemente nel costo finale del prodotto.
Farsi stampare un libro in Bulgaria in piccola tiratura è semplice e conveniente.
Vediamo esempio di costi, tutto, stampa e spedizione, compreso, I.V.A. – da tenere conto che a differenza del Bel Paese, in Bulgaria l’I.V.A. sui libri è del 20%, anziché del 4%  –  e spedizione in Italia libro di 175 pagine, in formato A5, 14 x 21, 80gr, copertina morbida, patinata, stampa in quattro colori:
Il prezzo indicativo, alla data odierna, è di 320 euro x 50 copie,franco destinatario, cifra ben distante dalle  600 che  la maggioranza delle stamperie chiedono in Italia, consegnato al domicilio del cliente, pari a  6,4 euro a copia, contro le  12,00, risparmiando ben 280 euro.
Per essere protagonisti e artefici di se stessi, avendo un risparmio sicuro anche per gli editori, ci sono delle piccole “regole” da seguire:
1 – inviare il testo in formato word e pdf, con l’opera impaginata, o in alternativa l’opera impaginata con InDesing CS5 o superiori, comprensiva di rientro, numero di pagine e le informazioni di terza pagina;
3 – inviare la copertina fronte-dorso-retro estratta dal file Adobe Photoshop e trasformata in pdf, finita, ossia con dorso, comprensiva di tutti gli elementi caratteristici e identificativi di ogni copertina;
4 specificare se l’opera deve contenere il codice ISBN, nel caso si desiderasse l’ISBN bulgaro, va messo tenuto presente che come opera di un autore straniero – per la Bulgaria, tre copie andranno spedite alla Biblioteca Nazionale Bulgara, dall’editore.
5 – tutto  i file possono essere spediti o via mail, tramite jumbo mail, o via skype.
Per  informazioni,  preventivi, e ulteriori delucidazioni contattatemi  a marco.bazzato at liberoit, oppure via Facebook  e/o Skype: Marco Bazzato

Marco Bazzato  


09.01.2015