mercoledì 29 ottobre 2014
Aborto e omosessualità, un binomio letterario nel romanzo “Aborto d’amore”
Aborto e
omosessualità un binomio che fa paura a molti, specie se legato ai continui
progressi della genetica prenatale. I coniugi Rampin sprofondano in un abisso
emotivo e sociale quando scoprono
che il loro figlio, a seguito di un esame genetico illegale, potrebbe avere il
gene dell’omosessualità. Accettare la nuova vita che giunge, oppure prendere
una decisione drastica, causata dalla pressione mediatica a cui sono stati
involontariamente sottoposti.
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Buona lettura.
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sabato 25 ottobre 2014
Iran, giustiziata Reyhaneh. Condannata a morte per aver ucciso l'uomo che tentò di stuprarla
Appena appresa la notizia, la rete è
letteralmente è esplosa in contumelie contro l’Iran e la legge di quel Paese,
in cui vige legittimamente la pena di morte. Pena di morte che del resto esiste
in molti Paesi civilizzati, dagli Stati Uniti al Giappone.
Solo che se è l’Iran ad applicarla nel
caso di un omicidio avvenuto per eccesso di legittima difesa, a seguito di un
tentativo di tentato stupro, ecco che il mondo, ipocritamente, si indigna.
Partiamo da un presupposto: la giovane aveva
tutto il diritto/ dovere di ribellarsi contro colui che cercava di stuprarla, e
si è difesa con le unghie e con i denti, arrivando come si sa a ucciderlo.
Il problema sta
proprio qui:l’eccesso di legittima difesa, dove all’atto pratico la vita della
donna non era in pericolo – raramente i violentatori uccidono le loro vittime –
il loro imperativo è possederle, in quanto
la vittima del tentativo di stupro viene uccisa perché tenta di
ribellarsi e colui che tenta lo stupro in preda ad un raptus, la uccide. Un po’ ciò che è accaduto, si
suppone, a parti invertite. Ossia Reyhaneh
Jabbari, nella concitazione di difendersi – legittimamente – ha ucciso l’aggressore,
passando dalla ragione, in quanto vittima, a quella del torto, come carnefice. È
come carnefice è stata condannata.
I punti salienti
sono altri: erano legittime le interferenze straniere di mezzo mondo contro il
sistema giudiziario iraniano? No. No perché
la pena di morte, checché ne dicano i detrattori, ha la sua valenza e gli
italiani, che sono un popolo di forcaioli a corrente alternata, basta leggersi
cosa scrivono quando è menato o ucciso barbaramente un animale da affezione, in
determinate situazioni: torture degne della Santa Inquisizione, come quelle
inferte all’eretico di Giordano Bruno o i supplizi che avvenivano nel carcere
iracheno di Abugraib, rendendo così, in via del teorica, un popolo, degno di
andare a lavorare per qualche servizio segreto, in qualità di esperti in
torture, sempre che dalle parole siano in grado di passare ai fatti e che non
siano invece solo dei boccaloni, sono sempre pronti ad attaccare il carro, non
dove sta la ragione, ma dove sta l’emozione.
Comunque la ragazza
poteva avere salva la vita. Poteva salvarsi la vita, ma ha scelto di morire. Sì.
Checché ne dicano i media, il sistema iracheno funziona meglio di ciò che si
crede. Alla donna era stata offerta,
come viene offerto a tutti i condannati a morte per omicidio in Iran, la possibilità
di aver salva la vita, come da legittima richiesta dei parenti della vittima, se avesse avuto il coraggio di fare come
Galileo Galieli, ossia abiurare,
rinnegando ufficialmente la teoria Copernicana, a favore di quella eliocentrica
– tolemaica – entrando, tra le altre sue
scoperte, nella storia con il suo mitico “Eppur si muove!”
La giovane avrebbe
potuto “abiurare”. I famigliari della vittima erano disposti a perdonarla, imponendo
una condizione, offrendole l’ancora di salvataggio, il salvagente e la cima, se
avesse ritrattato il tentativo di stupro, ma ha rifiutato il “Do ut des”, Sarebbe stata una ritrattazione convenite, in
quanto non si sarebbe messa, con il suo rifiuto, da sola il cappio al collo, optando
per fasi dare “l’eutanasia”.
Come per uno
strano scherzo del destino, Reyhaneh Jabbari ha sbagliato mortalmente non una
ma bensì due volte. La prima quando ha ucciso colui che tentava di violentarla,
la seconda quando ha scelto di morire, vittima del proprio orgoglio. Orgoglio che
non ha avuto lo scienziato Galileo Galieli, il quale, per dirla alla
Montalbano, se ne è “catafottuto” e come recita una famosa pubblicità
televisiva, andata in onda in Italia anni fa, ha scelto il mitico motto: “Io
preferisco vivere!”
La cosa assurda
è che adesso i media di mezzo mondo faranno passare l’Iran come Stato despota e
tiranno, nemico delle donne e misogino, mentre i fatti, se analizzati nella
loro interezza complessità, sono diversi.
Se la donna fosse
stata intelligente, di morti invece di due, ce ne sarebbero stati uno solo, tanto
tutto il mondo sapeva che era stata vittima di un tentato stupro, che se non si
fosse attaccata al proprio orgoglio, sarebbe libera grazie un formalismo che le
avrebbe resa salva la vita.
Reyhaneh Jabbari
non ha saputo prendere il treno quando passava, non ha voluto come un cammello
attraversare la cruna dell’ago –il formalismo della ritrattazione – e si è
fatta dare la morte, “suicidandosi”, mettendo lei stessa la corda nelle mani
del boia.
Come dice il
proverbio: “Chi è causa del suo mal piaga se stesso”.
Marco Bazzato
25.10.2014
venerdì 24 ottobre 2014
«Aborto d’amore», recensione di Carlo Di Pietro *
«Lacrime eugenetiche», romanzo firmato
dall’attento autore italiano Marco Bazzato, attualmente residente in Bulgaria,
racconta, a mio avviso, il dramma dell’essere disilluso dalla contemporaneità.
Tragedia umana che adesso assume il volto del conflitto a sfondo sessuale, «mantra»
dei media, talvolta con dipinte accentuazioni di farsa, che certamente nasce dalla
«pneumatica contraddizione» insita nell’animo «alterato» dell’uomo moderno. Mi
stupì, anni fa, il titolo alternativo, oggi divenuto quello definitivo, all’opera,
«Aborto d’amore», sicché mi interrogai su come fosse possibile associare,
certamente non manco di vena polemica, la parola «amore», massima espressione
della vita, con la parola «aborto», che della morte indegna fa vanto.
Nulla di più contraddittorio quindi,
sicché anche l’assunto di partenza, utilizzato dall’amico Bazzato per estendere
la sua narrazione - ovverosia gli articoli inerenti alla sussistenza del presunto
«gene dell’omosessualità», poi seguiti dalle dichiarazioni rilasciate dal
cantante, ex Wham, George Michael nel 2007 -
appare evidentemente «pretesto» di una certa «illogicità alla moda».
La grottesca ma avvincente
circostanza della famiglia Rampin - protagonisti sono il padre Francesco, la
madre Arianna ed il figlio Mattia - è ambientata nel Veneto ed in parte nel
Lazio, in un Comune del veneziano, ma a ridosso della provincia di Padova e a
Roma. Il linguaggio e le espressioni gergali, scritte in italiano, sono per lo
più tipiche della realtà identitaria veneta, spesso proposizioni attinte dal
folklore locale.
Arianna, donna riflessiva perciò
combattuta, ha già avuto un primo figlio, Mattia, poi due gravidanze purtroppo
interrottesi a causa di due aborti spontanei, ed ora, alla quarta attesa -
ottima occasione per superare le normali problematiche coniugali (accentuate
dal «passionalismo» dei soggetti coinvolti) - la donna decide di consultare la
sua ginecologa per accertarsi sullo stato di salute del feto. Su consiglio
della dottoressa «di fiducia», si rivolge pertanto ad un centro privato di
Padova, non convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, dove potrà fare anche
degli accertamenti prenatali genetici più approfonditi.
A questo punto, non prima, la mano
dell’autore si tuffa totalmente nella conflittuale modernità - con tutte le sue
conquiste, nel bene ma purtroppo anche nel male - quando, oltre alle
rassicurazioni che il feto non soffre di malattie genetiche, i due coniugi,
Francesco ed Arianna, ricevono la notizia che l’indifesa creatura, custodita in
grembo dalla donna, porta il «gene dell’omosessualità», che, in base a diversi fattori ambientali e sociali,
potrebbe, una volta cresciuta, diventare omosessuale.
Marco Bazzato così facendo, dunque prendendo
spunto da un assunto che può apparire anche «diversamente scientifico»,
descrive il dramma interiore della donna e dell’uomo, futuri genitori di un
probabile «gay», ponendo l’accento sui rapporti interpersonali dei due soggetti
con i loro amici, buoni o cattivi consiglieri, con la società, vilipesa
nell’intelletto o meno, e finalmente con i media. Il caso diviene così,
dapprima, d’interesse regionale e, successivamente, nazionale, prestandosi alle
più spietate strumentalizzazioni, coinvolgendo anche il marito di una nota
giornalista TV che, durante un servizio in loco, sembra manifestare
privatamente particolari attenzioni per un uomo. È scandalo negli stessi
ambienti dove non lo è. Quale risibile incoerenza!
In un turbinio di «sentimenti» e nell’alternanza
di vicende, fra rimorsi di coscienza e timori di essere etichettati come
«omofobi», non già come probabili assassini, si accende così il dilemma dei
protagonisti all’insegna del conflitto fra l’uso della retta ragione, che ha
origine nella Natura e ad essa porta, e la visione «esasperatamente romantica»,
che il mondo vuol dare oggigiorno alla «diversa sessualità vissuta».
Una serie di interrogativi turba
fortemente i già fragili coniugi: tenere il bambino o ucciderlo, in ragione
della sua presunta futura omosessualità? E cosa c’è di difficile nell’avere
tendenze oggettivamente disordinate? E cosa di sbagliato c’è in un aborto? È
forse peggio correggere un disordine (morale) o uccidere una creatura? Queste
le principali domande, difficili da risolvere per chi è intellettualmente
confuso. Ecco che l’autore riesce a cogliere acutamente, sebbene forse
inconsciamente, la somma dei pensieri veramente turpi di quei soggetti (che
appaiono, a tratti, anche in «buona fede»), che sono da una parte abbandonati
nel discernimento, dall’altra totalmente soggiogati alle loro disordinate
passioni, vittime dei «consiglieri della porta accanto», eppure la loro
coscienza «borbotta».
La triste vicenda, che poteva
concludersi in un attimo, prosegue, come conviene al miglior dramma, fino
all’esasperazione, con due lutti e addirittura con una scelta inaspettata del
figlio Mattia e, lo si leggerà, con la conclusiva assurda decisione del signor
Francesco.
Di lettura piacevole ed
appassionante, il testo deve per forza far riflettere su come l’uomo contemporaneo
ami complicarsi l’esistenza vivendo di attenzioni per l’effimero - dalle facili
critiche, alle inutili paure di risultare invisi ad un mondo logoro e corrotto
- e di quanto possa essere abbandonato a se stesso, in un ambiente che ha fatto
della morte e della sovversione un messaggio quasi normale, buono, sussistente
al bene. Niente di più illogico e contraddittorio, come dimostrano la scienza e
la storia!
Se anche l’innocente creatura fosse
stata «affetta» da questo presunto «gene dell’omosessualità», ed io non lo
credo affatto, è forse la morte (ovvero l’aborto) la giusta soluzione? Perché
pensare ad un gesto così disumano e condannato dalla storia, invece di capire
che il giusto esempio coniugale e che il vero amore insegnato, correggendo il
disordine, producono vita e bene in ogni dove? Ecco che l’intelletto, quando
sposa la Causa Superiore del Bene metafisico - per me che sono cattolico: Dio -
è in grado di portare l’uomo alla comprensione del vero senso della vita, realtà
che si ottiene e si trasmette, ascoltando così il messaggio interiore della
Legge Naturale che, di certo, non vuole né l’aborto né tantomeno la pansessualizzazione; tutti disordini
indotti da fattori esterni e sovversivi, questi, che inequivocabilmente si
presentano come un ostacolo allo sviluppo della società civile che intende a
tal fine riprodursi, essere ordinata alla Natura e durare fin quando sarà
necessario.
Marco Bazzato coglie e dipinge
esattamente le tante sfumature dell’illogica esistenza di chi vive - alla mercé
del mondo - di contraddizioni. Questo ho percepito e tanto scrivo, comunque
ignaro delle intenzioni dell’autore.
*Carlo
Di Pietro, Giornalista e scrittore, autore di numerosi libri e saggi a sfondo
religioso e teologico. La sua ultima pubblicazione è “Apologia del Papato”, ed
Effedieffe, 2014, molti suoi articoli si trovano su RadioSpada.
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Aborto d'amore,
Letteratura
sabato 11 ottobre 2014
Incipit di “Aborto d’amore” romanzo e-book
Capitolo I
“Ancora queste maledette nausee…” imprecò
con la mente la donna.
Succedeva così da quasi una settimana “Devo
prendere appuntamento dal medico…” continuò a riflettere, mentre sceglieva cosa
indossare per uscire.
Ogni giorno la stessa storia. Il marito si
alzava a orari impossibili in quanto faceva i turni in una fabbrica di
calzature che produceva a ciclo continuo, rincasava esausto, si accomodava
sulla poltrona, e fingendo di guardare la tv, cambiava i canali con l’indice
premuto sul telecomando, dandole sui nervi.
Finalmente si era decisa: avrebbe indossato
la camicetta gialla abbinata ad un paio di jeans neri, e ai piedi le
immancabili scarpe da tennis. Se solo fosse stata qualche centimetro meno alta
avrebbe portato i tacchi, ma il marito era due centimetri più basso di lei, e
quando li indossava, non faceva che lamentarsi che si sentiva un pigmeo al suo
confronto. Ma non aveva tempo per pensare a discorsi idioti, aveva
l’appuntamento con la parrucchiera. Diede un ultimo sguardo al trucco, e
aggiunse altre gocce di profumo dietro i lobi delle orecchie. «Sono pronta!» si
disse ammirandosi allo specchio.
Aveva una bella figura, era alta un metro e
settanta centimetri, portava una terza abbondante di seno, e le tette, ancora
non mostravano segni di stirature o abbassamenti, e, nonostante la gelosia del
marito, sfoderava spesso un decolté di tutto rispetto. Aveva da poco compiuto
trentacinque anni, e le sembrava ieri quando aveva detto “Sì” a Francesco
davanti al sacerdote del paese ubicato ai confini tra Padova e Venezia. A volte
si interrogava se aveva scelto giusto per se, e per il suo futuro. Ma piangere
lacrime sul passato, era un esercizio abbandonato da tempo, perché le costavano
delle interminabili emicranie e un numero infinito di kleenex.
«Francesco, io esco…arrivo verso le sette
per prepararti la cena» strillò la donna.
«Va bene, fa che cazzo vuoi. Tanto lo fai
sempre!» imprecò senza alzare lo sguardo dalla tv.
Arianna Marini in Rampin uscì
dall’appartamento, chiuse la porta, e si appoggiò con le spalle rivolte al muro
traendo un sospiro di sollievo.
«Finalmente fuori da quella prigione» si
disse sottovoce, ripensando al marito che fissava bestemmiando inebetito lo
schermo tv.
Dove erano andati a finire i sogni sul
principe azzurro? Se mai c’erano stati, quel bastardo a cavallo aveva scelto
un’altra principessa, e lei si era dovuta accontentare di un mozzo di stalla,
che passava le giornate a montare scarpe in mezzo a neri, cinesi, cingalesi,
arabi e marocchini, lasciandosi sottomettere dal caporeparto, che non vedeva
l’ora di far volare nella fabbrica qualche scarpa mal fatta, colpendo il
disgraziato di turno, e guarda caso, spesso beccava Francesco, che di
attenzione e precisione, a volte non voleva sentirne parlare.
Scese velocemente le scale, l’esercizio
faceva bene al fisico e rassodava i glutei. Non voleva trovarsi a quarant’anni
come le sue amiche, che erano un ammasso informe di brufoli adolescenziali, e
cellulite dovute alla mancanza di esercizio, e a una dieta fatta di
cioccolatini, frappé, gelati e hamburger, ingurgitati in scala industriale.
La fresca aria pomeridiana le accarezzava i
capelli che scendevano liberi fino a quasi le natiche. In effetti sapeva che la
cascata nera, unita agli strani occhi azzurri e ai seni che fissavano davanti a
se, con la durezza di un sergente maggiore, facevano girare la testa ai maschi.
Ma lei, nonostante la rabbia che nutriva nei confronti del marito, non riusciva
a tradirlo.
Tante volte durante le serate del venerdì
sera con le vecchie compagne del liceo, era stata accusata perché non aveva la
forza d’essere vacca come la maggior parte di loro. Spesso gli attacchi
partivano da Vanessa, la sua ex compagna di banco, che annoverava, tra tutte,
un nutrito carnet di amanti veri o inventati, ma non riusciva a essere come
lei. Le regole religiose inculcatele fin da bambina, avevano costruito un muro
di pudore e sensi di colpa che non riusciva a scrollarsi. Vanessa invece, da
quando la conosceva era sempre stata piena i grilli per la testa. Da sempre in
prima fila alle manifestazioni studentesche, pronta a sventolare la bandiera di
Che Guevara, Comunista, o Anarchica, a seconda dall’umore del momento, in
difesa di qualsiasi cappellone drogato, o
finocchio che reclamava parità dei diritti sociali davanti alla legge bigotta e
genuflessa alle gerarchie Vaticane dello Stato Italiano. Negli ultimi anni si
era unita ai gruppi radicali che predicavano l’aborto libero, la pillola del
giorno dopo, unioni Gay, i Di.Co, cadendo come una preda nella sua foga da
affabulatrice politica, portando a tracolla la sgualcita sacca da perenne
studentessa fuoricorso di Filosofia all’Università di Padova.
Scese nel garage, prese lo scooter, attenta a
non ammaccare l’Alfa 146, comperata a rate dal marito. Si maledisse l’ennesima
volta per aver acconsentito all’acquisto, avallando il finanziamento presso la
concessionaria il giorno della firma del contratto. Mise il casco in testa, e
avviò il piccolo mezzo a due ruote.
Lina, la vecchia parrucchiera aveva il
negozio a un chilometro dal suo appartamento, e Arianna non vedeva l’ora di
accomodarsi sulla poltrona e sfogliare le riviste di moda e pettegolezzi per
sapere vita morte e miracoli dei Vip della Costa Smeralda, e altre amenità,
sperando che quelle letture non compromettessero oltre il necessario la sanità
mentale.
Varcò la soglia, e trovò la solita fila di
vecchiotte ultra settantenni sedute, che desideravano mostrarsi come
adolescenti infatuate e rivoluzionate dai presunti ormoni della crescita, che
nel loro caso, erano ormoni della gotta e della senilità galoppante. Le
conosceva quasi tutte. Alcune erano le madri delle sue amiche, che da quando,
erano rimaste vedove, si erano abbonate a ogni genere di divertimento,
diventando esperte nell’arte amatoria verso aitanti giovani, e con la loro
esperienza facevano da mamme, nonne e navi scuola sessuale.
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romanzo
giovedì 9 ottobre 2014
Aborto d’amore – romanzo e-book
Gentili
lettori,
È
con immensa gioia che Vi comunico l’uscita del romanzo “Aborto d’amore”, avente
come sottotitolo “lacrime eugenetiche”.
Questo
romanzo ha avuto una gestazione lunghissima. Sebbene la scrittura sia iniziata
nel 2006, la stesura definitiva è dell’anno scorso, il 2013. Ho scelto la
versione e-book, pubblicando con la
piattaforma di lulu.com perché alla fine ho
creduto che il romanzo meritasse di uscire, anche in virtù del particolare
momento storico che stiamo vivendo, almeno osservando l’Italia da una posizione
privilegiata, dove il Paese e la politica italiana, in gran parte, a torto o a
ragione, si è schierata a favore o contro la proposta di legge contro l’omofobia,
con in prima linea, per il mantenimento dell’attuale legalità e status quo, le Sentinelle in piedi, come se questi
presunti problemi, nonostante il rischio Ebola, immigrazione incontrollata e
una crisi economica che scaraventato lo stivale in una depressione economica,
in quanto l’attuale quadro politico va avanti spedito a proclami e slogan di
facciata, non avesse altro a cui pensare.
“Aborto
d’amore” è un romanzo che potrebbe accendere molti animi, ma sta a voi, miei
fedeli lettori, dare fuoco alla polveri. Sì, perché l’opera letteraria tratta
un tema apparentemente digerito dall’opinione pubblica italiana: l’aborto. Ma quando
questo si mescola, all’interno di un romanzo, con l’indagine prenatale e il
presunto gene dell’omosessualità, a lungo dibattuto tra gli scienziati e di cui
non è ancora stata confermata la scoperta ufficiale, in prestigiose
pubblicazioni scientifiche, ecco che la fantasia romanzata può offrire diversi
scenari ipotetici.
Naturalmente
non è compito del romanziere dare giudizi scientifici, etici, morali, legali,
all’interno di un opera di fantasia. Il compito del romanziere, a mio avviso è
di creare realtà parallele, mondi o futuri alternativi, ove poi, al termine, il
lettore potrà, se vorrà, scegliere con chi schierarsi.
“Aborto
d’amore” è ambientato in un paese mai citato della profonda provincia
veneziana, che si trova, come se ci fosse un inesistente Muro di Berlino,
diviso dalla linea continua di una strada provinciale, dalla provincia di
Padova. Narra delle vicende della
famiglia Rampin e l’abisso emotivo nel quale è sprofonda a seguito di un esame
genetico prenatale, illegale, che ha diagnosticato la presenza nel feto del
gene dell’omosessualità. Le certezze di Arianna e Francesco collassano, avvolgendo
tutti i protagonisti, principali e secondari, in un turbinio senza fine di
situazioni personali e sociali che sconvolgeranno le loro vite e le presunte
certezze che credevano acquisite, salde e costruite sopra la roccia, dove alla
fine nessun personaggio è come appare e nessuna sicurezza e così certa da
essere incrollabile e assoluta.
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Marco
Bazzato
09.10.2014
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martedì 27 maggio 2014
Ma il “Made in Italy” italiano è veramente buono?
È da molto tempo che ho iniziato
a dubitare della cosiddetta bontà e genuinità del “Made in Italy”. Più passa il
tempo e più mi rendo conto, ma non solo io, anzi, la cosa è abbastanza
eterogenea tra gli italiani che vivono all’estero, che gli italiani in casa
sono sottoposti a un continuo e costante lavaggio del cervello da parte dei
media, che se la tirano tanto con il cosiddetto falso “Made in Italy” o perché si
usano delle analogie, usando un tricolore che potrebbe richiamare – lentamente –
all’Italia, secondo gli italiani, visto che non è detto che fuori dai patri
confini, gli stranieri debbano essere obbligati a conoscere i colori della
bandiera italiana.
I salumi italiani sono i migliori
al mondo! E chi lo dice? Gli italiani. Ah.
Il prosciutto crudo italiano è il
migliore al mondo! E chi lo dice? Gli italiani. Ah!
I formaggi italiani sono i
migliori al mondo, per via delle diversità italiane. E chi lo dice? Gli italiani.
Ah!
L’olio italiano è il migliore al
mondo. E chi lo dice? Gli italiani. Ah.
E si potrebbe continuare.
Peccato però che le cose non stiano
come ce l’hanno contata.
Ci sono un sacco di prosciutti
cotti, crudi e cotti stranieri, che, dispiace dirlo, sono mille volte meglio di
quelli italiani e costano assai meno. Lo
stesso dicasi per l’olio di oliva, per i pomodori. Stendo un velo pietoso sulla
passata di pomodori italiana, perché se ci penso, mi girano ancora le balle.
A tal proposito vi racconto il
primo dei due aneddoti. La settimana scorsa abbiamo acquistato – finalmente-
della salsa di pomodoro italiana. Prodotta in Italia, inscatolata in Italia ed
esportata. Bene mi sono detto: finalmente il sapore della mia terra. Il sole
dei pelati italiani, del sugo fatto secondo la tradizione.
Bene una sega! Bene un cazzo!
Bene una fava! Bene una michia! E con le parolacce potrei proseguire ancora a
lungo. Sta di fatto che la famosa e mitica salsa italiana, tanto bramata, prima
di mangiarla con tagliatelle e ragù, faceva letteralmente, come diceva un mio
conoscente di tanti anni fa, “schifo al cazzo!” Il sugo era insipido. Forse ci
stava il sole di qualche infima stella dello spazio profondo. I pomodori
sapevano quasi da suola di anfibio che ha camminato dentro una stalla piena di
vacche. Insomma: una vera cloaca.
Queste parole sono offensive per
il “Made in Italy” del Bel Paese? Beh, se quel prodotto e intanto mi riferisco
a quel prodotto era una schifezza, certo non è colpa mia della sua pessima
qualità. La colpa semmai e la tragedia è che in Italia si produce e gli
italiani acquistano tale schifezza, almeno secondo il mio palato!
Lo stesso dicasi per i salumi
italiani. Lo scorso anno acquistai in un negozio rinomato di Sofia, Bulgaria,
dei salumi italiani. Anche in quel caso, come avvenne poi in seguito per il
sugo di pomodoro, mi dissi, prima di mangiarli: “Finalmente, veri salumi
italiani”…bleah. Mio zio, pace all’anima sua, che i salumi li faceva in casa,
ammazzando il porco, si sarebbe rivoltato nella tomba, se gli avesse
assaggiati. Un vero obbrobrio. Si è salvata solo il prodotto più economico: la
mortadella. Con lei nulla da eccepire. Ma per tutto il resto, disgusto
assoluto. Sicuramente, a mio avviso, il prosciutto crudo bulgaro non ha nulla
da invidiare a quello italiano, anzi, per certi aspetti potrei dire che è
addirittura di qualità migliore e costa relativamente meno.
La battaglia portata aventi, assurdamente,
dall’Italia, anche in sede Europea è, per fortuna una battaglia che spero sia
persa in partenza, per un motivo molto semplice. Chi vive fuori dai patri
confini italiani, se ne strafotte del “Made in Italy”, anche se sull’etichetta
ci sta la bandierina italiana o vaghi accenti al Bel Paese, per un motivo molto
semplice: guarda dove è stato prodotto il cibo e non essendo un idiota, capisce
benissimo che il prodotto non è italiano e quindi sceglie secondo il suo
palato, non secondo il palato italiano, come vorrebbe l’industria
agroalimentare italiana, anche se ormai la maggior parte è in mano a società
straniere.
Quindi la battaglia per la protezione
del “Made in Italy” è una buffonata che fa spendere vagonate di denaro è una
battaglia persa in partenza. Una battaglia priva di senso e di logica, giacché
avere la supponenza che i prodotti italiani siano migliori rispetto ai
prodotti, anche se con nomi simili a quelli italiani, è un atto di superbia e
di arroganza senza eguali, perche lo straniero una volta assaggiato il “Made in
Italy” originale, quello che l’Italia vorrebbe imporre all’estero con forza e
virulente violenza, almeno così la raccontano i media, ne rimarrebbe il più
delle volte deluso, perché, piaccia o no, quando un prodotto ha viaggiato per
migliaia di chilometri per raggiungere la destinazione finale, ossia i
distributori nazionali, prima, quelli regionali poi, quelli provinciali poi,
fino alla grande o piccola distribuzione, per giungere al termine sulle tavole
dei consumatori, è logico che sia una schifezza, se privo di conservanti, ed è
logico che sia una schifezza, se colmo di conservanti, naturali o non. E voler
imporre all’estero che gli stranieri acquistino prodotti italiani, quando in
Italia gli italiani sono martellati ai coglioni fino alla nausea perché acquistino
prodotti locali, a chilometro zero, beh, questo significa voler far passare gli
stranieri, ma anche gli italiani che vivono all’estero per dei coglioni.
Agli italiani che vivono in Italia,
probabilmente, la cosa non piacerà, ma dovranno farsene una ragione alla fine,
quindi sarebbe meglio prima, piuttosto che poi: gli stranieri che vivono a casa
loro e gli italiani che vivono all’estero non sono dei coglioni!
Marco Bazzato
27.05.2014
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Sole nero
Piangerete.
Sì, piangerete.
Le grida si leveranno
al cielo
le lacrime bagneranno
la terra
concimando campi ormai
secchi.
Sentiremo la morte nera
che si avvicina
Voci barbariche
provenienti da sud
e la faglia distruggerà
l’Italia.
Tanti popoli
scacceranno il Popolo
barche di legno
invaderanno i porti
i morti saranno il pane
quotidiano.
Ci servono le vostre inutili
vite
Bianchi schiavi da
ardere nei nostri falò.
Guarda, l’orizzonte è
nero.
Osserva:il cielo è brumo.
Piangi: il tuo presente
è gramo.
Tu, bianca carne morta
corri verso un futuro che non esiste
tu, bianca carne
sanguinante, sei barbaro da assoggettare e conquistare.
Non ridere, sarai
spazzato via.
Non ribellarti, sarai
schiacciato.
Non aprire bocca o
sarai nominato per l’eternità:
razzista.
Marco Bazzato
27.05.2014
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La vittoria del Pd alle Europee è un colpo basso?
Ciao a tutti, gentili lettori. E ben ritrovati.
Anzi, per la verità sono io che – forse – ha
deciso di ritrovare o di tornare a voi, se naturalmente vorrete ancora
continuare a seguirmi. È praticamente da tre mesi che non scrivo un articolo.
Le motivazioni? Molteplici, disparate, diverse. Ma non è detto che possano
essere di grande interesse per voi. Comunque, in poche parole, avevo bisogno di
staccare. Per la verità mi sentivo saturo, satollo, pieno. Quindi, detta in
parole povere: nauseato. Nauseato, sì, ma non da voi, naturalmente. Nauseato
dalla realtà italiana, nauseato da ciò che è accaduto in Italia in
questi ultimi tre mesi ma oggi, ancora di più da quanto ho visto accadere
proprio in occasione delle elezioni europee, ossia la vittoria straccia mutande
del Pd.
Vittoria legittima? Non lo so, non ho prove che sia
stata una vittoria illegittima, così però come non ho prove che sia stata una
vittoria legittima e quindi, fare un atto di fede politico, oltretutto con la
politica italiana degli ultimi tre anni, beh, mi sembra avventato assai, poiché
più che fare un atto di fede, commetterei un atto di creduloneria e
facioloneria politica, senza precedenti.
La cosa che più mi ha lasciato stordito, ma non solo
me, ma anche molti lettori di Facebook, poiché in questi giorni ho tenuto
sott’occhio il social network, è stato il senso di stupore per la vittoria
inaudita dei post puzzoni,perdonatemi, del Pd. Infatti, persone che
venerano ancora il vecchio Enrico Berlinguer come un totem marxista leninista,
beh, non da molta sicurezza a riguardo al concetto di democrazia di cui gli
italiani avrebbero in teoria bisogno.
Già in teoria gli italiani avrebbero bisogno di
democrazia. Ma in pratica? In pratica hanno venduto il culo, soprattutto chi li
ha ricevuti, per ottanta fottutissimi euro al mese. Certo, è vero che quando
uno sta per annegare accetta anche di attaccarsi alla testa di un cobra, pur di
illudersi di portare a casa la pellaccia. Ma è anche vero che il cobra certo
non se ne sta con le fauci chiuse entro la bocca, anzi, appena può, infila i
suoi denti aguzzi dentro il povero disgraziato, mordendolo e conducendolo verso
una morte dolorosa, se non ci sta l’antidoto a portata di mano.
Ma crediamo veramente che il Pd, dopo aver
“avvelenato” gli italiani, abbia il reale desiderio di salvargli, iniettandogli
l’antidoto, siccome l’antidoto non sarebbe altro che l’antidoto
dell’anticomunismo e dell’antieuropeismo?
Mi dispiace, sono un miscredente, un senza dio
laico, un senza dio politico. Intimamente non credo alla superiorità morale
della vittoria del Pd alle ultime elezioni. È più forte di me, e molti italiani
sicuramente condivideranno intimamente il mio pensiero, solo che hanno paura di
esprimerlo.
È strano: ma è possibile che questa volta nessun
giornale online abbia dato voce a qualche problema dentro seggi, durante gli
scrutini? Abitualmente con le politiche questo accade sempre. Gli scrutatori
spesso si accapigliano per l’interpretazione di una scheda, per un segno o una
scritta, fatta in un modo o in un altro e non di rado in passato è accaduto
anche che siano finiti alle mani. Questa volta invece? Tutto è filato liscio,
liscio come l’olio di ricino che al tempo dei fascisti si faceva ingurgitare ai
dissidenti...
Non so, ma l’aria dopo queste elezioni puzza
tremendamente. È una puzza di marcio, di rancido, una puzza che entra nelle
narici e che colpisce il cervello come una freccia avvelenata.
Ho un dubbio dentro di me, che non voglio esprimere
pubblicamente: “Ma siamo sicuri che il Movimento cinque stelle” abbia perso
legittimamente? I sondaggisti di solito beccano cantonate, ma con una forbice
massima del tre -4%... Questa volta sono giunti addirittura a quasi il
20%. Non sentite anche voi, cari lettori, puzza di marcio?
Oppure, ma la cosa sarebbe più tragica ancora: è mai
possibile che gli italiani abbiamo dimenticato in quanti scandali politici e
finanziari molti esponenti del Pd sono implicati? Ah, i media,
servi, tacciono. Non fanno servizi. Stendono una “cortina di ferro” sui media,
e il popolo, specie gli anziani, ha la memoria corta, oppure comprende una
parola sì e tre no. E quella che comprende manco gli sembra interessante.
Voglio terminare solo con un’osservazione: ieri sera
ci stava il Renzi a Porta a Porta.
Quando il Bruno Vespa gli ha posto la domanda: “Si
aspettava una vittoria così netta?” il Renzi prima è diventato rosso come un
peperone, poi, tentennando, ha risposto “No”.
Se Cal Lightman di “Lie to me” studioso ed
esperto di comunicazione non verbale avesse avuto la possibilità di osservare
tutti i micromovimenti facciali e degli occhi, e avesse avuto la possibilità di
rendere pubbliche le sue osservazioni, beh, si dubita che gli italiani
continuerebbero ad avere fiducia in Matteo Renzi e nel Pd.
Purtroppo oggi si è costretti ad accontentarsi delle
menzogne della realtà, piuttosto che affidarci alla verità della finzione di
una serie televisiva, che certo non è Happy Days il giubbotto di pelle nera di
Fonzie, che indegnamente Renzi ha cercato di assomigliare. Ma Fonzie era Fonzi,
mentre Renzi è solo Renzi e gli italiani, senza averlo votato, se lo sono
trovati come Presidente del Consiglio.
Condoglianze!
Marco Bazzato
27.05.2014
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lunedì 17 febbraio 2014
Vladimir Luxuria arrestata a Sochi?
Il comunista italiano Vladimiro Guadagno, affetto da disturbo di identità di genere (1a), che vorrebbe essere
chiamato da tutti Vladimir Luxuria e taluni italiani in passato, cadendo nella
trappola politica l’hanno pure votato,
mandandolo in Parlamento tanto che aveva anche la pretesa,
anche se maschio a tutti gli effetti, anche biologici, per quanto riguarda la
tubazione esterna, di utilizzare i
servizi igienici femminili. (1)
Ebbene, il Dottor Vladimiro Guadagno, laureato in lettere e linue
straniere, dopo esser entrato legalmente
in Russia, via cielo, non è dato a sapere se vestito come da certificato di
nascita e passaporto, o se travesito da donna, con tanto di mammelle false,
mostrando che già alla frontiera, alla faccia della propaganda, i russi sono
stati tolleranti con una persona affetta da disturbo
da idenità di genere, che rispettano le leggi del Paese.
Ma il Dottor Vladimiro Guadagno, noto “agitatore politico” che si spaccia
per difensore dei diritti civili anche in patria, ha fatto fare una pessiama
figura all’Italia e agli italiani, recandosi scientemente in Russia con lo
scopo di provocare dare scandalo, pur di diffondere anche in quella terrra la
sua ideologia figlia della toria dell’idenittà di genere. E lo fa, esponendo
allo stadio, una delle tante famigerate bandiere arcobaleno, con la scritta in
russo, “gay è ok”.
La polizia, gistamente ha preso subito in consegna il fascinoroso
mascarato, portandolo al più vicino posto di Polizia, dove il Dottor Vladimiro
Guadagno, al passaporto, si è poi lamentato, prima via telefono (2),
poi, dopo il rilascio, a mezzo stampa (3),
durante un intervista in un inglesse maccaronico, che la Polizia russa, senza
dirlo espressamente, è ignorante, perchè non parlava una sola parola di
inglese, ma solo il russo. Bisognerebbe che se il Dottor Vladimiro Guadagno
andasse in grio a parlare con i sottofuciali che prestano servizio in strada o
dentro le caserme, della Polizia o dei Carabieneri per sincerarsi se tutti
parlano l’inglese e se lo parlano, stia sicuro che forse si esprimono megliodi
costui. Senza dimenticare che i russi, trovandosi a casa loro, parlano la loro
lingua e non sono obbligati ad usare una lingua straniera per comunicare cona
persona fermata, la quale, al massimo la forza
pubblica può mettere a disposizione un interprete. Ma evidentemente
essendo solo stato in stato di fermo e quindi poi rilasciato, come spesso
accade in Italia, con i fascinorosi da stadio o con gli ubriachi che vengono
messi in guardina fino a quando non smaltiscono la sbornia, per fare un
controllo dei documenti, magari una
piccola ricerca in rete dopo aver visto qualche sua immagine o video, hanno
deciso di lasciarlo andare, aprendo le finestre, dopo la sua uscita, per cambiare
l’aria, e andando in bagno,a turno, a lavarsi le mani, come loro all’igiene
personale.
Ma la cosa esilarante è stato il web, Facebook in particolare, sembrava impazzito. Nemmeno durante l’11
settembre del 2001 si vedevano le informazioni scorrere a tale velocità. Ma la
cosa che scaldava il cuore erano i commenti d’amore nei confronti della Russia
e dei polizziotti dell’ex Unione Sovietica, che avevano preso in momentanea
consegna il Dottor Vladimiro Guadagno, per via del suo comportamento illegale e
antisociale, a dimostrazione che gli italiani si stanno svegliando dai narcotici
buonisti,a base di morfina mediatica e di laica ideologia religiosa che altro
non è che il nuovo oppio dei popoli e come persone che aprono gli occhi dopo
anni di sonno della ragione, imparano a distinguere non solo ciò che è giusto
da ciò che è sbagliato, ma sopratutto ciò che è male da ciò che è bene.
E in questo caso il giusto e il bene era ed è dalla parte della polizia
russa che con rispetto e diligenza della persona, ha fermato il fascinoroso per
identificarlo, salvo poi rilasciarlo senza, e forse questo è stato un errore,
ma evidenteente il codice pnale russo non lo prevede, un ingiunzione di
rimpatrio immediata e un timbro nero sul passaporto, impendendogli di rimettere
piede così nel suolo russo per almeno una decina di anni.
Se al Dottor Vladimiro Guadagno non è stata ingiunta l’espulsione immediata,
oltretutto dopo averlo identificato e forse compreso che ruolo ha avuto in
Italia nel corso dell’ultimo decennio, è un chiaro segno che le presunte
diesciminazioni russe nei confronti degl LGBT sono solo una fantasia dentro le
teste degli LGBT russi, riportate dai media occidentali come forma di pressione
politica e di ingerenza nei confronti delle leggi ruse, perchè se così i locali
gay di Shochi e nin solo, non sarebbero mai stati aperti e sopratutto pubblicizzati
nei giornali online e nei media occidentali, affinchè i locali e gli ospiti
potessero continuare a sguazzare sui loro gusti sessuali diversi da quelli
etero. (4).
Tutta questa storia di “lussuria” o Luxuria ha mostrato in modo
inequivocabile che il Dottor Vladimiro Guadagno, comunista di sangue e di
professione, è diversamente amato dalla maggioranza silenziosa e non degli
italiani, ma sopratutto che non
disegegna il denaro dell’odiato nemico, Silvio Berlusconi, amico di Vladimir
Putin, in quanto sembrerebbe che fosse al seguito degli inviati della
trasmissione le Iene di Italia 1, di proprietà Mediaset, che di cui una parte
consistente delle azioni appartiene al grupppo Finivest, dove l’azionista di
maggioranza è il pregiudicato Silvio
Berlusconi, decaduto dalla carica di Senatore, ma Presidente di Forza
Italia.
Quando si parla di coerenza politica di un comunista.
Marco Bazzato
17.02.2014
(2)
http://video.repubblica.it/dossier/sochi-2014/luxuria-arrestata-a-sochi-battaglia-mi-ha-chiamata-dal-posto-di-polizia/156161/154656?ref=HREC1-3
(3) http://video.repubblica.it/dossier/sochi-2014/sochi-luxuria-volevo-solo-riprendere-la-bandiera/156164/154659?ref=HREC1-3
sabato 15 febbraio 2014
Vigonvo: il Sindaco sostituisce la foto del Presidente della Repubblica con quella di un Capo di Stato teocratico
Damiano
Zecchinato ne ha combinata un’altra delle sue.
A nemmeno un giorno dalla sua
lettera indirizzata al consigliere dell’opposizone, con il Sindaco che iniziava con “Non lascio perdere un bel niente!. Forse
la mente di tutti è andata Goffredo Hamori di Malafesta, conte de Montmirail, d'Appremont
e di Papincourt detto “l'Ardito”e,al suo grido di battaglia: “Ch’io deceda se recedo” del film “I visitatori” del 1993, intepretato da Jean Reno. Però se si
riguarda il film non si può fare a meno di non notare una lontanissima
somiglianza del Sindaco con l’attore francese di “genere burlesco”, Christian Clavier, che intepretava del fido scudiero Jean
Cojon il Marpione , detto anche “palle molli”/Giacinto Maria Jeanco . (-1).
Nella sua missiva pubblica, il Sindaco,
Damiano Zecchinato, affermava il valore del rispetto delle Istituzioni e del
Comune che gli paga l’indennità, combinandone
un’altra delle sue: ha sostituito la foto del Presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, con quella di un Capo
di Stato straniero, ossia il Monarca dello Stato Città del Vaticano.
Damiano Zecchinato ha
detto: “Non mi riconosco nella figura del presidente della Repubblica, bensì in
quella del Papa che trasmette più valori. Non volevo il presidente Napolitano
sulla mia testa, per me non sta facendo una grande figura, non è assolutamente
super partes. Se mi vogliono obbligare devono fare una legge su questi simboli:
quello è il mio ufficio e decido io chi avere sulla testa”(1)
– (2).
È certamente vero che rispetto a Sandro Pertini l’attuale Presidente della
Repubblica, entrato in Parlamento nel
1958, vedil’Elezione di Napolitano è incostituzionale?” (3),risulta
assai lontano lontano dallo share che
al tempo riscuoteva, come cantava Toto Cutungno
ne “L’italiano”, “...un partigiano come Presidente....” Ma da qui a
sostiture la foto dell’attuale inquilino del Quirinale con quella di un Capo di
Stato straniero, Papà Francesco, può portare a pensare che la visione della
società dell’attuale Sindaco sia orientata verso i principi e i valori –
teorici – di uno Stato teocratico. E
tra le teocraziе non possiamo non citare l’Arabia Saudita e l’Iran
e lo stesso Stato Città del Vaticano (3).
Cche Vigonovo abbia un Sindaco Talebano? Si ricorda che “talebano nel suo
significato originale in Pashito e in Persiano significa Studente.(3bis). Studiare i testi
sacri, non importa di che religione, o
filosofia religiosa, allarga la mente.
Ora, con tutto il rispetto nei confronti di Papa Francesco, per la sue
figura di Sommo Pontefice, 266º Vescovo
di Roma e vicario di Cristo sulla Terra, è politicamente accettabile che un
Sindaco, in virtù della carica pubblica che ricopre e del rispetto che
pretenderebbe dai cittadini, possa
esporre la foto di un monarca, che a rigor di diritto internazionale e di
Concordato, quando entra nel suolo del Territorio Italiano, ma non solo in
Italia, per le sue visite ufficali, è accolto con gli onori riservati ai Capi
di Stato?
Il Sindaco, nella
sua volontà di far parlare si se, ha dimenticato che l’Italia è un Paese laico,
non sottoposto ad alcuna monachia teocratica, dove l’articolo 7 della Costituzione italana,
recita: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono
regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due
parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
(4)
Nel sito deln Governo Italiano (5)
al quesito16 si può leggere: Negli uffici pubblici si può esporre la foto del Presidente della
Repubblica? SÌ, ma non si possono esporre foto di altre autorità.
Papa Francesco è a tutti gli effetti un Capo di Stato regnante,dove il
passaporto privato è Argentino e quello Diplomatico è messo dallo StatoCittà
del Vatiano, nel pieno dei suoi poteri
temporali (6). Quindi,
anche ammesso che il Sindaco, Damiano Zanonato, abbia affosso la foto del
monarca della Città del Vaticano, nel mio
ufficio “privato”, il Sindaco, riceve, come tutti
possono leggere ne sito del Comune di Vigonovo,(7) lunedì dalle 10.00 alle 12.00,
giovedì dalle 10.00 alle 12.00 su appuntamento, e-mail: sindaco@comune.vigonovo.ve.it.
Quidi, quando riceve i cittadini nell’ ufficio che ha in uso, non tiene conto
dei diritti di costoro, non solo
battezzati, ma anche sbattezzati, atei o
che professano altre confessioni religiose, venendo meno al suo obbligo di
rispettare il il principio di di laicità, nei pbblici uffici, di tutti i cittadini di Vigonovo e non solo.
Questo per quanto riguarda l’aspetto temporale, l’aspetto, spirituale è molto meno “elastico” di quanto il relativismo contemporaneo vorebbe far
supporre.
Chiaramente visto che il Sindaco dice di ispirarsi ai valori trasmessi da un Capo di
Stato Straniero, teocratico, sarebbe
auspicable che avesse il coraggio e il rigore morale di non celebrare più i matrimoni civili, perchè per la Chiesa
Cattolica, quindi anche quella di Papa Francesco, il matrimonio civile è
considerato convivenza moreuxorio,
mentre il vantaggio coloro che sono sposati in Chiesa, è che se invece di passare per il divorzio
legale, tramite la Giustizia Italiana, si passa attraverso la Sacra Rota, il Tribunale Ecclesiastico che fa capo allo
Stato città del Vaticano,quando il matrimonio religioso viene annullato, la
sentenza, in virtù del Concordato tra Stato Italiano e Stato città del
Vaticano, permette di non pagare un centeismo di mantenimento alla non mai moglie, perchè con
l’annullamento del matrimonio religioso si annulla anche quello civile, come se il matrimonio n non fosse mai stato
eseguito, nè in Chiesa e nè innanzi ad un pubblico ufficiale, anche se era il
sacerdote stesso in quel ruolo.
. Teniamo presente che Papa Francesco, prima di tutto è un Gesuita. I
gesuiti sono ecclesiastici di formazione intellettuale assai fine, anche se
mantengono all’apparenza un aspettopacioso e bonario, come quelli dei preti di
campagna degli anni ’50, in stile Don Camillo.
Ma dietro l’apparenza, ci sta il
giusto rispetto del mandato terreno che
Bergoglio. come Papa, continua a portare avanti in quanto Vicario di Cristo in Terra. Lo stesso giusto rigore che è sempre stato insenganto fin da bambini
quando si frequentava il Catechismo perchè i valori e principi trasmessi nel
corso dei secoli da Gesù, come Figlio di Dio per i Cristiani o ccome principi
filosofici ed etici per inon credenti o per coloro che professano altre
confessioni, sono immutati.
Certo,come tutti
coloro che hanno frequentato il catechismo o che andavano o vanno tutt’ora alle
messe domenicali, Gesù è venuto per i
peccatori, per qutti quelli che non rispettano in primis le tavole della Legge
che Dio ha dato ad Mosè sul Monte Sinai,
dove in quest’epoca di convivenze more-uxorio,
di non rispetto dei Comandamenti 8 e 9 (non
dire falsa testimonianza e non
desiderare la donna d’altri – ossia non fornicare fuori dal sacramento
del Matrimonio), oppure gli ammonimenti contro i sette vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola
e ira, che hanno terrorizzato in passato generazioni di fancilulli, quali
una ovlta adulti scelgono di tenre i
piedi sulle due sponde di un fiume, su quattro o più poppe/zizze/mammelle o
fallo/1 altrui, anzichè sulle due della/del legittima/o consorte.
Il sindaco Damiano Zecchinato per gistificare
il suo gesto dice tra l’altro: “bensì in quella del Papa che
trasmette più valori... Se mi vogliono
obbligare devono fare una legge su questi simboli: quello è il mio ufficio e decido
io chi avere sulla testa.
Analizziamo queste due frasi, riporatate dai quotidiani..
Il Papa certo, a dire del Sindaco
esprimerebbe più valori, dell’attuale inquilino del Quirinale, però va ricordato che quando ogni Sindaco
presta giuramento pruncia la seguente frase: “Giuro di osservare lealmente la Costituzione Italiana”. È grazie
alla Costituzione italiana che il Parlamemento approva le leggi, dove lo stesso
Presidende della Repubblica, anche quando firma un D.p r, le approva. E si sa: la Legge è
uguale per tutti e La legge non
ammette ignoranza, anche se l’imputato è extracomunitario e poco
scolarizzato,come conferma una recente sentenza, della Corte di Cassazione. (7bis)
Quindi quando un sindaco si “schiera”,
mettendosi sopra la testa un Capo di
Stato straniero è come se si sottomettesse a costui e non alle Leggi della
Repubblica Italiana.
Privatamente a casa sua, ogni cittadino può fare ciò che vuole, ma non può
arroccarsi la presunzione del diritto di poter affermare pubblicamente decido io chi avere sulla testa,
dicendo “quello è il mio ufficio”. Peccato però
che che “MIO”
non può essere utilizzato, in quanto presuppone un diritto di proprietà della stanza adibita ad ufficio che
semplicemente usa e/o occupa in virtù del fatto che i cittadini l’hanno eletto
nel 2011.
Il Sindaco, Damiano Zecchinato, dice
qualcosa di contrario all’ottavo comandamento,
visto che ha la foto di un Capo di Stato straniero e Capo Spirituale di uno
Stato teocratico della Chiesa Cattolica Universale, nell’ufficio che ha in uso, in quanto quando
afferma che non esiste la legge.
La legge esisite eccola.
È il
D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 Regolamento
recante disciplina dell'uso delle bandiere della Repubblica italiana e
dell'Unione europea da parte delle
amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 maggio 2000, n. 121 (8),
, esposte, oltre che nei
luoghi indicati dall'art. 2,
commi 1 e 2 della legge 5 febbraio 1998,(9) scrivendo quanto segue: 3.
Nei luoghi indicati nel comma 1 si espone anche il ritratto del Capo dello
Stato.
Un altro punto essenziale non è se il Vicario di Cristo in Terra e
successore al soglio pietrino trasmette più
valori. Il punto è semmani, anche
se la tramissione dei valori inclusi nei messaggi è ottima ,non è detto che la
stazione ricevente riesca a decodificarli in modo esatto, corretto, giusto e
poi metterli in pratica.
L’eventuale giudizio di merito o l’entrare nel merito, non spetta certo
allo scrivente, ma le opinini possono essere tranquillamente espresse in casa,
al bar, davanti ad uno spritz, ad un bianchetto o ad un folpetto al mercato del
lunedì mattina, o innanzi ai gradini della chiesa, dopo la messa delle 11.00.
Sappiamo tutti che il Papa trasmette con le più moderne tecnologie digitali
e i segnali vengono inviati in tutto il mondo, ma poi se esistono politici,
pubblici amminstratori, che dicono di rifarsi a questi valori, ma usano vecchie
radio a transistor o televisori a valvole, in bianco e nero, che non sanno
manco aprirsi internet e fare una ricerca in rete, hanno ha voglia andare in
piazza a decantare questi valori tramessi, quando si sono compresi e messi in
pratica, quando fa comodo, a smozziconi, solo per raccattare gli ultimi voti di
qualche vecchiatta baciapile o di qualche canuto baciabanchi del giorno di
Natale o Pasqua nelle prime file alla messa delle 11.00, perchè alle loro
spalle, i cittadini li mettono alla berlina!
Nel Discorso della Montagna di Gesù , di cui
Papa francesco è vicario di Cristo in Terra, ci stanno alcuni versetti di Matteo, capitoli 5 e 6, ma
tutti e quattro evangelisti sono illuminanti, tanto che qualsiasi persona,
anche atea, solo per un fatto culturale può leggerseli, senza attenere : (10)
via etere la trasmissione di valori aggiunti, forniscono a tutti interessanti
spunti di riflessione.
: 27Avete inteso che fu
detto: Non commettere adulterio; 28ma io vi dico: chiunque guarda una
donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere
di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro
parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
2Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te,
come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli
uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. 3Quando
invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua
destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel
segreto, ti ricompenserà.(11)
Alla fine di tutto, il Sindaco di Vigonovo, Damiano Zecchinato, ha
dimostrato ancora una volta sua totale mancanza di conoscienza delle Leggi
tialiane, mancanza di rispetto per la figura del Santo Padre, visto che esiste
stima reciproca tra il Presidente della Repubblica italiana e il monarca dello
Stato Città del Vaticano.
Oltre a tutto ciò i danni di immagine causati ai cittadini di Vigonvo, per
questa sua uscita estemporanea che ha reso i vigonovesi, a causa del suo Sindaco,gi
zimbelli di tutta Italia e non solo.
Non sarebbe sbagliato se si costituissero in un comitato dando il via da
una class action contro Damiano Zecchianto, non prima di aver consultato un
legale circa la fattibilità, per il danno di immagine causato a tutti i
vigonovesi, per considerare “mio” l’ufficio
che occupa come Sindaco eletto e per non essersi preso l’onere di controllare
come afferma, non esiste una legge che impone la presenza della foto del
Presidente della Repubblica, Giogio Napolitano.
Marco Bazzato
15.02.2014
(1) http://www.gazzettino.it/NORDEST/VENEZIA/sindaco_leghista_vigonovo_venezia_sostituisce_foto_napolitano_papa_francesco_bergoglio/notizie/519662.shtml
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