sabato 11 ottobre 2014

Incipit di “Aborto d’amore” romanzo e-book



Capitolo I

   “Ancora queste maledette nausee…” imprecò con la mente la donna.
   Succedeva così da quasi una settimana “Devo prendere appuntamento dal medico…” continuò a riflettere, mentre sceglieva cosa indossare per uscire.
   Ogni giorno la stessa storia. Il marito si alzava a orari impossibili in quanto faceva i turni in una fabbrica di calzature che produceva a ciclo continuo, rincasava esausto, si accomodava sulla poltrona, e fingendo di guardare la tv, cambiava i canali con l’indice premuto sul telecomando, dandole sui nervi.
   Finalmente si era decisa: avrebbe indossato la camicetta gialla abbinata ad un paio di jeans neri, e ai piedi le immancabili scarpe da tennis. Se solo fosse stata qualche centimetro meno alta avrebbe portato i tacchi, ma il marito era due centimetri più basso di lei, e quando li indossava, non faceva che lamentarsi che si sentiva un pigmeo al suo confronto. Ma non aveva tempo per pensare a discorsi idioti, aveva l’appuntamento con la parrucchiera. Diede un ultimo sguardo al trucco, e aggiunse altre gocce di profumo dietro i lobi delle orecchie. «Sono pronta!» si disse ammirandosi allo specchio.
    Aveva una bella figura, era alta un metro e settanta centimetri, portava una terza abbondante di seno, e le tette, ancora non mostravano segni di stirature o abbassamenti, e, nonostante la gelosia del marito, sfoderava spesso un decolté di tutto rispetto. Aveva da poco compiuto trentacinque anni, e le sembrava ieri quando aveva detto “Sì” a Francesco davanti al sacerdote del paese ubicato ai confini tra Padova e Venezia. A volte si interrogava se aveva scelto giusto per se, e per il suo futuro. Ma piangere lacrime sul passato, era un esercizio abbandonato da tempo, perché le costavano delle interminabili emicranie e un numero infinito di kleenex.
   «Francesco, io esco…arrivo verso le sette per prepararti la cena» strillò la donna.
   «Va bene, fa che cazzo vuoi. Tanto lo fai sempre!» imprecò senza alzare lo sguardo dalla tv.
  Arianna Marini in Rampin uscì dall’appartamento, chiuse la porta, e si appoggiò con le spalle rivolte al muro traendo un sospiro di sollievo.
   «Finalmente fuori da quella prigione» si disse sottovoce, ripensando al marito che fissava bestemmiando inebetito lo schermo tv.
   Dove erano andati a finire i sogni sul principe azzurro? Se mai c’erano stati, quel bastardo a cavallo aveva scelto un’altra principessa, e lei si era dovuta accontentare di un mozzo di stalla, che passava le giornate a montare scarpe in mezzo a neri, cinesi, cingalesi, arabi e marocchini, lasciandosi sottomettere dal caporeparto, che non vedeva l’ora di far volare nella fabbrica qualche scarpa mal fatta, colpendo il disgraziato di turno, e guarda caso, spesso beccava Francesco, che di attenzione e precisione, a volte non voleva sentirne parlare.
   Scese velocemente le scale, l’esercizio faceva bene al fisico e rassodava i glutei. Non voleva trovarsi a quarant’anni come le sue amiche, che erano un ammasso informe di brufoli adolescenziali, e cellulite dovute alla mancanza di esercizio, e a una dieta fatta di cioccolatini, frappé, gelati e hamburger, ingurgitati in scala industriale.
   La fresca aria pomeridiana le accarezzava i capelli che scendevano liberi fino a quasi le natiche. In effetti sapeva che la cascata nera, unita agli strani occhi azzurri e ai seni che fissavano davanti a se, con la durezza di un sergente maggiore, facevano girare la testa ai maschi. Ma lei, nonostante la rabbia che nutriva nei confronti del marito, non riusciva a tradirlo.
   Tante volte durante le serate del venerdì sera con le vecchie compagne del liceo, era stata accusata perché non aveva la forza d’essere vacca come la maggior parte di loro. Spesso gli attacchi partivano da Vanessa, la sua ex compagna di banco, che annoverava, tra tutte, un nutrito carnet di amanti veri o inventati, ma non riusciva a essere come lei. Le regole religiose inculcatele fin da bambina, avevano costruito un muro di pudore e sensi di colpa che non riusciva a scrollarsi. Vanessa invece, da quando la conosceva era sempre stata piena i grilli per la testa. Da sempre in prima fila alle manifestazioni studentesche, pronta a sventolare la bandiera di Che Guevara, Comunista, o Anarchica, a seconda dall’umore del momento, in difesa di qualsiasi cappellone drogato, o finocchio che reclamava parità dei diritti sociali davanti alla legge bigotta e genuflessa alle gerarchie Vaticane dello Stato Italiano. Negli ultimi anni si era unita ai gruppi radicali che predicavano l’aborto libero, la pillola del giorno dopo, unioni Gay, i Di.Co, cadendo come una preda nella sua foga da affabulatrice politica, portando a tracolla la sgualcita sacca da perenne studentessa fuoricorso di Filosofia all’Università di Padova.
  Scese nel garage, prese lo scooter, attenta a non ammaccare l’Alfa 146, comperata a rate dal marito. Si maledisse l’ennesima volta per aver acconsentito all’acquisto, avallando il finanziamento presso la concessionaria il giorno della firma del contratto. Mise il casco in testa, e avviò il piccolo mezzo a due ruote.
   Lina, la vecchia parrucchiera aveva il negozio a un chilometro dal suo appartamento, e Arianna non vedeva l’ora di accomodarsi sulla poltrona e sfogliare le riviste di moda e pettegolezzi per sapere vita morte e miracoli dei Vip della Costa Smeralda, e altre amenità, sperando che quelle letture non compromettessero oltre il necessario la sanità mentale.
  Varcò la soglia, e trovò la solita fila di vecchiotte ultra settantenni sedute, che desideravano mostrarsi come adolescenti infatuate e rivoluzionate dai presunti ormoni della crescita, che nel loro caso, erano ormoni della gotta e della senilità galoppante. Le conosceva quasi tutte. Alcune erano le madri delle sue amiche, che da quando, erano rimaste vedove, si erano abbonate a ogni genere di divertimento, diventando esperte nell’arte amatoria verso aitanti giovani, e con la loro esperienza facevano da mamme, nonne e navi scuola sessuale.


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