mercoledì 26 novembre 2008

Spagna: via il crocifisso




"A volte è necessario saper dimenticare".
Cardinale Antonio Maria Rouco Varela


In molti l’avevano sperato, in pochi però ci credevano veramente. Ma alla fine in Spagna, ex Paese di franchismo e spalleggiamento politico dell’Opus Dei al regime, la democrazia ha vinto. Ha vinto nonstante le forti resistenze e pressioni già partite dai vescovi integralisti spagnoli.


Questi infatti tutt’ora non gradiscono il processo di riscoperta della memoria strorica del presidente Zapatero che vuole mettere fine a decenni di rimozioni – dietro pressioni ecclesiastiche – che coinlgono direttamente la chiesa spagnola. Infatti per la stessa esistono memorie e memorie. Memorie che vanno contro per assurdo al senso di verità assoluta propagandadata – quando fa comodo – da Benedetto XVI, ma se si stratta di memoria storica imbarazzante non deve comparire nei testi scolastici, non deve essere ricordata, ma rimossa dalla coscienza collettiva, affinchè le giovani generazioni siano private del diritto di sapere e conoscere. E alla luce di questo sorge la domanda spontanea: perchè la Chiesa cattolica romana e spagnola non attuano questa rimozione nei confronti della Shoa? La risposta potrebbe essere: le vittime del franchismo essendo di sinistra possono essere tranquillamente calpestate e dimenticata la memoria.


Una parte della Spagna, sopratutto la chiesa spagnola ha paura della verità, ha paura delel verità storiche che potrebbero emergere, ha paura di fare atto pubblico d’ammenda delle proprie responsabilità non solo storiche e politiche, ma anche penali che l’apertura degli archivi potrebbe comportare, e quindi parte all’attacco del giudice ateo, reo – al loro dire – di voler intaccare le radici cristiane occidentali, mentre chiaramente è solo un problema di “strizza” all’ennesima potenza.


I vescovi spagnoli attaccano come tori imbufaliti gridando allo scandalo per la decisione di un giudice che ha imposto che i crocefissi debbono essere tolti dai lughi pubblici, andandoci giù pesantemente con gli anatemi – leggesi maledizioni – che sputano ad ogni piè pari.


Questi pensano di vivere ancora ai tempi del pensiero unico medioevale – Galileo e Giordamo Bruno docet – con la presunzione di imporre il loro volere, anche a coloro che non si riconoscono nei valori diattoriali di natura teocratica.
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A volte è necessario saper dimenticare". Dice il cardinale Antonio Maria Rouco Varela. Perchè allora questo cardinale non la smette, lasciando che un Paese laico si comporti da Paese laico, e che il crocifisso sia presente solo nei luoghi sacri, dimenticando il vespaio di polemiche e i polveroni incredibili che sta innalzando, semplicemente per la paura di veder crollare il numero di fedeli, leggesi ergo denaro di donazioni e altro, se venissero svelati tutti gli altarini che la Chiesa spagnola ha tenuto con la dittatura.

La laicità, esattamente come la religione, ha bisogno dei proprio spazi per essere rivelata, facendo si che ogni persona, priprio per il rispetto dell’individualità privata delle singole credenze religiose, ormai ampiamente diffuse grazie alla società multietnica, ed i luoghi pubblici, appartenendo a tutti non devono essere un ricettacolo di simboli, che in base ad ogni cultura d’appartenza assurgono ad un significato diverso, meritando ogununo il medesimo rispetto.

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Il crocifosso per i credenti è un simbolo religioso da rispettare ed adorare, ma non va dimenticato che per quasi duemila anni nel Suo nome si ha ucciso, distrutto, cancellato, raso a suolo vestigia passate, si sono demoliti Templi considerati pagani, o sono stati riconvertiti alla nuova divinità dominante, come per opposto il crocifisso stesso è stato visto come simbolpo – dell’individuo – del riscatto tramite la Fede personale e sociale.


Oggi il Crocifisso è laicamente un simbolo scomodo, un immagine che deve essere messsa esclusivamente nei luoghi di venerazione appropriati, non per cancellarlo dalla storia, ma proprio perchè esso ha la sua storia, che nonpuò esser confusa col preente attuale, così diverso dal passato prossimo e remoto, dove l’imposizione ecclesiastica ha dominato per quasi venti secoli sulle menti e sulle coscienze delle persone, plasmandole a volte in modo positivo, ma spesso – specie certe gerarchie religiose, vittime della loro stessa ignoranza e sete di potere sulla psiche altrui – in modo negativo, ed è proprio per questo che un cardinale integralisto-talebano afferma che "A volte è necessario saper dimenticare".

Marco Bazzato
26.11.2008
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domenica 23 novembre 2008

Medico stacca la spina a neonato


Medico stacca la spina a neonato. Finalmente.

Accade a Treviso dove un medico, durante un congresso a Padova, ha candidamente ammesso d’aver staccato la spina ad un neonato di cinque giorni, dopo un’operazione infausta, che comunque non gli avrebbe lasciato scampo e avrebbe – forse – potuto sopravvivere alcune ore, e dopo averne parlato coi genitori, assieme hanno deciso la sospensione – umana – di ogni accanimento terapeutico.

Ora la magistratura indaga per appurare se non si sia trattato di omicidio, sebbene il confine tra diritto alla morte e accanimento terapeutico sia molto labile. Il medico trevigiano ha saggiamente deciso di lasciare che la natura – neutrale e cinicamente equilibrata e senza pietà – facesse il suo corso, portandosi con se la vita del piccolo.

D’altronde c’è poco da scandalizzarsi, da avere disgusto e rabbia, provando sentimenti di repulsa nei confronti della classe medica, che apparendo cinici agli occhi dei profani, rapidamente mettono una croce sul capo di persone ancora vive, con la stessa facilità con cui ci si degusta un caffè ben zuccherato.

Non accade di rado che un dottore, senza troppi peli sulla lingua, dica chiaramente ai familiari del malato, o al malato stesso, anche con un sorriso sprezzante sulle labbra e allargando le braccia: “Andatevene a casa a morire, qui non c’è più nulla da fare. Ora sono affaracci vostri!” Cinismo, barbarismo, disprezzo per la vita altrui, o semplice constatazione di una realtà inoppugnabile? Ad ognuno la propria risposta, secondo coscienza, ma alla fine, come cantava Franco Califano “Tutto il resto è noia”.

Lo scrivente stesso anni fa, si è sentito rivolgere pressappoco parole simili da un primario “Hai voluto farti operare? Ora arrangiati! La medicina con te ha fatto quello che poteva fare…ora sono problemi tuoi!” Il fatto che lo si possa oggi raccontare, ai fini statistici è irrilevante.

In questi giorni di sterili polemiche – da parte dei fautori della vita a tutti i costi – a proposito del caso Englaro, va ricordato che un medico in tempo di guerra, commuta sentenze di morte con la velocità di un tribunale del popolo di staliniano; pochi attimi, uno sfuggente sguardo alle ferite del moribondo e la condanna alla vita o l’assoluzione alla morte giunge inappellabile, diritta al petto squarciante come un colpo di fucile sparato a distanza ravvicinata in faccia che spappola il cervello, cospargendo grumi di materia celebrale sul cuscino dell’ex vivo che istantaneamente si cadaverizza.

Alcuni la chiamano cultura della morte, mentre ancora una volta non è altro che rapida “Selezione darwiniana”, il più forte vive, il più debole crepa, senza tanti favoritismi e senza sconti o abbuoni per simpatie personali.

Le corsie degli ospedali – che dia fastidio o no – da quando esistono sono costellate di cadaveri. Ci si potrebbe tranquillamente camminarci sopra, schizzandosi i piedi sangue e inzaccherandosi le scarpe di materia organica in via di decomposizione. Le corsie d’ospedale, per pietà umana, o per non ferire le “sensibilità” di chi preferisce non sapere e non conoscere, sono il ricettacolo del dolore, il circolo Barum della disperazione, della morte e della vita, appestante – come al tempo della spagnola – di esseri umani che vagano alla ricerca di un utopica salvezza, sebbene dalla natura stessa siano stati condannati. Stupirsi, indignarsi, fingere rabbia perché un medico ha lasciato che la vita facesse il suo corso naturale, non è altro che l’ennesima dimostrazione di viltà da parte dei ben pensanti, che aggrappandosi come sanguisughe all’etica, preferiscono – per non sporcarsi la coscienza con dolorose decisioni – condannare a priori col senno del poi, ma soprattutto dall’esterno, senza prendersi la responsabilità di vivere la morte dall’interno, senza avere la forza del coraggio d’ammettere la sconfitta del medicina nei confronti della naturale morte d’ognuno.

Solo codardi o i poveri di spirito fingono di non sapere che medici e paramedici e suore giocano e scommettono sul futuro morto del giorno seguente, fanno battute salaci sui cateterismi che odorano di sangue raffermo, sull’odore decomposizione che i corpi prima del trapasso emanano, come un avvisaglia del futuro che inevitabilmente arriverà senza complimenti e speranza.

C’è poco da indignarsi. La morte puzza per tutti in modo nauseabondo, ma arriva, senza guardare in faccia a nessuno, e gli operatori medici e paramedici hanno il diritto di crearsi una scorza, una barriera emotiva innanzi al dolore che quotidianamente vedono, anche a costo di trincerarsi dietro un cinismo che non lascia spazio alla speranza, perché proprio spesso la speranza è un lusso che arriva in ospedale già defunto, e che nessuno vuole aprire gli occhi, rendendosene conto.

Marco Bazzato
23.11.2008
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sabato 22 novembre 2008

Terapia Riparativa: ripartono le polemiche

In tempi di “vacche magre” ogni notizia è buona per distogliere l’attenzione dei lettori dalla quotidianità. E cosa c’è di meglio se non prendersela col Vaticano e con i loro adepti anche quando cercano di far del bene?


In questi giorni certi siti estremi dell’area antagonista – di matrice omosessuale – hanno ricaricato spingarde e cannoni con due inchieste, una tutta nuova riferita ai presunti rifiuti – che è un loro diritto – dei padroni di casa ad affittare le loro proprietà a persone dichiaratamente omosessuali. È già qui, senza motivo, si è gridato allo scandalo! Ma non poteva – il giornalista – tenersi per se il proprio orientamento,come fa ogni etero che non ha bisogno d’andare in giro a sbandierare la sua normalità? Infatti, va ricordato che non esiste – visto che è inutile e dannosa la “Giornata dell’Orgoglio Etero”.

Va ricordato che l’autore dell’inchiesta è un giornalista si è spacciato da gay, presentandosi a vari proprietari di appartamenti a Roma, con l’intento provocatorio, probabilmente atteggiandosi e ancheggiando forse da femminello, cercando di prendere casa in affitto, ma naturalmente – nel loro diritto – i proprietari alla vista del tipo/a hanno storto il naso, rifiutandosi. D’altronde un proprietario di casa, o appartamento, si sceglie i propri inquilini, e così come liberamente si sceglie, liberamente si rifiuta.

Da qui l’inutile buriana mediatica, col sindaco Alemanno costretto – sbagliando – a scusarsi (ma di cosa!), per l’inesistente omofobia dei proprietari romani. Evidentemente alle organizzazioni omosessuali ciò non piace, e preferirebbero l’esproprio proletario come forma di condanna contro la libera proprietà privata e il diritto di scelta.

Ma la summa del ridicolo, l’apoteosi delle barzellette da bettole malfamate, piene di bestemmiatori, la si ha quando – sempre i soliti omosessuali praticanti – tirano fuori la tiritera “ammazza libertà di cura” contro le terapie riparative, che mirano a far tornare etero chi etero non pensa più d’esserlo.

La cosa più ridicola di questa situazione è che gli omosessuali, invece di prendersela con chi vuole fuggire dalla propria condizione, ritornando etero - come se secondo loro eterosessuale significasse “appestato” – attaccano in modo smodato psichiatri, psicologi, frati e preti, che non seguono le teorie imposte dall’OMS, considerate da molti dei dogmi laici, ma si rifanno ad altre teorie – lasciate cadere nel dimenticatoio nel nome del politicamente corretto a tutti i costi.

La terapia riparativa non è una crociata contro gli omosessuali, ma è una libera scelta della persona che non si riconosce nell’orientamento o disordine omo o bisex – dipende dai punti di vista – e desidera ritornare all’origine, desidera ritornare etero, riscoprendo la tradizione a discapito del cosiddetto progressismo, in quanto – con disagio – sentono di non appartenere interiormente e socialmente a quella “diversità”sessuale.

Il fatto che questa terapia sia osteggiata è un evidente paradosso proprio di coloro che amano le cosiddette diversità, visto che non accettando le stesse diversità di approfondimento e riscoperta psicologica dell’individuo, arrivando ad attaccare in modo frontale il diritto di libera scelta dell’individuo che intende sottoporsi ad un tipo di cammino fuori dalle convenzioni universalmente imposte proprio dalla stessa maggioranza che non vuole intromissioni sul pensiero unico unificato.

La terapia, mista alla preghiera, a differenza delle terapie progressiste, opera in modo più tradizionale, e cerca di stringere un legame tra l’uomo, che desidera ardentemente tornare ad essere uomo e Dio, riscoprendo quei valori morali tipici del cattolicesimo d’ispirazione Vaticana, che non piace alla sinistra antagonista, ai movimenti gay, forse perché vedono – se la terapia funziona – il pericolo di un escalation di persone che potrebbero portare acqua anche economica al piccolo Stato d’oltre Tevere, smentendo così, con prove incontrovertibili, che le persone che si sentono ammalate di omosessualità possono guarire, amare una persona del sesso opposto e generare dei figli. Stranamente tutto questo per le associazioni gay è sconvolgente perché porterebbe ad uno rivoluzione incettabile – loro dicono ad un ritorno ai tempi bui – perché potrebbe scardinare il loro credo e la venerazione quasi succube che nutrono nella forza salvifica dell’OMS che ha cancellato – senza dire mai che fine abbia effettivamente poi fatto – l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.

Ora indipendentemente dalle prese di posizione politica, bisogna tenere conto in questi casi delicati dell’interesse del singolo, della propria volontà d’accettarsi in un modo o riscoprirsi – così come originariamente è stato concepito – in un altro. Alla fine quello che conta è il risultato individuale, il soddisfacimento psicofisico dei diretti interessati, che devono avere il diritto di scegliere il tipo d’approccio anche medico – in quanto non va dimenticato che anche lo psicologo che porta il “paziente, utente, o fruitore del servizio a pagamento” all’accettazione del proprio disagio, trasformandolo – se ci riesce – in una realtà positiva per se e per chi lo circonda a vivere la propria vita da “diversamente normale”.

Marco Bazzato
22.11.2008
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La fiaba nera di Leni Danarova

«Nonna, mi racconti una storia?» chiese il nipote, con le coperte rimboccate quasi fino alla bocca, bisbigliando le parole per la stanchezza.
La nonna sorrise, ed iniziò.

….C’era una volta in un Paese lontano, una donna brutta e grassa, con gli spessi occhiali, dalla montatura marrone. La donna, amante del denaro, era una professoressa, senza arte e né parte di una lingua, considerata per anni, esotica nel suo Paese.

La donna si chiamava Leni Danarova. Il suo era il cognome di una potente famiglia, i cui nonni prima, e il padre di lei poi, avevano combattuto per la liberazione del suo Paese dai nemici, sia interni che esterni. Il padre di Leni era stato decorato al valore militare per il suo coraggio come partigiano quando nel Paese era arrivato il comunismo.

Il papà che amava moltissimo la bambina, però sin era reso subito conto che non aveva grandi possibilità intellettive. Era capricciosa,dispettosa, egocentrica, ma soprattutto odiava studiare. Imparava sempre lo stretto necessario per riuscire a fatica, a fine anno, ad essere promossa. Ma il genitore non demordeva. Sapeva che una volta che lui fosse decaduto nella materia inerte e decomponibile, la fine di ogni persona socialista, la figlia si sarebbe trovata smarrita in un mondo pieno di lupi ed avvoltoi affamati, pronti a divorarla ad ogni minimo errore.

Fu così che decise, per amore della ragazzina, una volta cresciuta, d’aiutarla in tutti i modi legali possibili. Sapeva che lui, in quanto ex partigiano aveva diritto, assieme ai suoi familiari, ad un trattamento di favore. E così scelse per la figlia le scuole più facili, in quanto col cuore colmo di sofferenza, conosceva ogni suo piccolo e grande limite insormontabile.

Una volta fattasi donna, Leni, entrò all’Università, non dalla porta principale, quello per lei sarebbe stato un scoglio troppo grande da superare, sarebbe stata una cima impossibile da raggiungere con le sue sole forze, ma entrò per una porticina secondaria, stretta, una porticina legale che permetteva a lei, figlia del grande partigiano, d’accedere con tutti gli onori – immeritati – all’istruzione Universitaria.

Trascorsero gli anni, e la giovane donna, maturava – come tutti – nell’aspetto esteriore, rimanendo però chiusa nel suo mondo fatto di invidie, meschinità e mediocrità strisciante che cercava di colmare con l’arroganza, la sopraffazione delle persone che vedeva intellettualmente e più capaci di lei, ma che non poteva sopportane la presenza, in quanto non si sentiva altro che un pulcino nero che zampetta sull’aia sporca della conoscenza, mentre i compagni e compagne erano cigni di sapienza. Alti, slanciati, con la mente acuta ed i riflessi verso il mondo che cambiava, pronti ed aperti.

«Ma nonna…» interruppe il nipotino «Nessuno diceva a questa qui che era stupidina?»

La nonna sospirò e continuò.

…No, nessuno aveva il coraggio di dirglielo in faccia. E più gli atri compagni di università tacevano per paura, più il potere di Leni cresceva. Avevano paura di lei. Aveva una lingua tagliente come un rasoio, e i suoi scatti iracondi erano diventati una leggenda nera che aleggiava tra le aule universitarie, dove proseguiva gli studi, non con la forza del proprio intelletto, ma con le spinte provenienti dal cognome e dalla storia paterna.

E fu così che si laureò, si specializzò in una lingua, che a quel tempo, quando il mondo era diviso in blocchi, era di sola competenza dei membri e dei figli dei membri del partito. Non si poteva conoscere una lingua occidentale, perché l’occidente in quegli anni era il male, era il terrore, era schiavitù dei bambini che lavoravano fin da piccini in fabbrica e non potevano nè studiare nè tantomeno lavorare, perché dovevano produrre e far fare soldi ai signori del capitalismo senza cuore.

Ma Leni aveva un anima socialista, un anima aperta solo a se stessa e alla propria fame di potere. Sapeva marciare a passo spedito, salutava la bandiera con la mano sul cuore, felice del sogno socialista in cui anche lei ne faceva, nel suo piccolo, parte.

Dopo la laurea si specializzò ancor di più, fino a diventare lei stessa insegnate teorica di una lingua che non comprendeva. Cosciente dei suoi limiti intellettuali, imparava come un robot capitalista, tutte le lezioni che doveva fare agli studenti a memoria. Paraola per parola, non dando mai spazio alle domande, non dando mai spazio agli studenti, affinché esprimessero i loro dubbi e le loro paure, perché erano anche le sue. Ma non lo doveva assolutamente dare a vedere a nessuno. Era il suo segreto più oscuro e tenebroso.

Poi, nel suo Paese il mondo cambiò, aprendosi a quell’occidente schiavista e demoniaco, aprendosi a quell’impero del Capitale che per anni le avevano insegnato ad odiare con tutta se stesse. Ma lei non aveva bisogno d’imparare ad odiare. Quel seme malefico e maligno si era istillato in lei sin dalla più tenera infanzia, germogliando piano piano,covando, complice la sua cronica incapacità universalmente acclarata, ma mai detta apertamente in faccia, come un cancro incurabile, un virus antico e primordiale, che avevano reso nel corso degli anni, anche le sue fattezze somatiche simili a quelle della donna di Neanderthal. Il suo istinto di sopravvivenza era pari a quello di un alligatore che non vede l’ora d’azzannare le ignare prede che si addentrano nel fiume paludoso della sua conoscenza, simile ad un cobra che attende, in agguato, per ore la preda, pronta a morderla, iniettandole il suo veleno mortale.

Lei era così. Non aveva amici, non aveva amiche. Voleva per se il palco, la platea, il loggione, voleva essere contemporaneamente primadonna e pubblico di se stessa, si sentiva Uno e Trino, ma soprattutto voleva ai suoi piedi adepti asserviti al suo volere, adoranti.
Nel corso degli anni, si era c
reato un seguito di discepoli neri, un seguito di apostoli in gonnella e non, che obbedivano ciecamente ad ogni suo volere,a d ogni suo comando, ad ogni suo più piccolo capriccio, divenendo anno per anno una cultrice – socialista – del proprio culto e mito, considerandosi la Dea Kali, che come una piovra dotata di innumerevoli tentacoli, atti a tenere in un cappio sempre più stretto e soffocante i suoi adepti, non lasciava a nessuno il diritto di un pensiero proprio.

Neli, a forza del suo passato, riuscì, dando gomitate allo sterno ed in altri posti delicati, sotto la cintola a farsi strada nella vita. La sua primitività esistenziale faceva si che non conoscesse il senso del rimorso, il senso cristiano della parola errore, il senso u mano della parola rispetto nei confronti dell’altro. Per lei, l’altro era solo un nemico, un muro da abbattere, una barriera intellettuale da demolire, seppure non ne fosse all’altezza. Per Leni, le persone erano oggetti da manipolare, oggetti da infrangere a terra e calpestare,se non si piegavano al suo volere, se non si sottomettevano anima e corpo alla sua volontà e al suo delirio di onnipotenza.

Per lei, il mondo era lei, ed il mondo era in lei, tutto il resto erano solo realtà, a suo avviso non senzienti, da assoggettare, da rendere inermi, da rendere arrendevoli e miti al suo volere intriso di una megalomania senza fondo, di una megalomania senza coscienza e senza etica.

Lei era l’etica, l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine di tutte le cose visibili ed invisibili. Lei era il centro del sistema tolemaico universale, la Terra ove il cielo e le stelle si inchinano al suo volere. Si sentiva un dio onnisciente, onnipotente, un dio antico testamentario vendicativo e distruttivo. Si sentiva l’angelo vendicatore di Sodoma e Gomorra, si sentiva quel dio che comandò d Abrano di sacrficare, per la sua sete di sangue,l’unico figlio, Isacco. Lei si sentiva come l’artefice delle Sette piaghe d’Egitto, la signora del Nilo che distribuiva il limo benefico sulle coste del fiume africano.

Eppure si beava della sua bontà sanguinaria e salvifica. Si beava nel torturare psicologicamente gli studenti, che vedeva a lei superiori, schiacciandoli iniquamente, rendendoli zerbini frustrati ove poter pulirsi i tacchi. Quando adescava una preda, non la lasciva, la sfiniva, fino a che questa no capitolava esausta ai suoi piedi. Amava quel senso di potere che il ruolo, il cognome ed i trascorsi paterni le avevano permesso di raggiungere. Amava quel deliro onnisciente in cui spesso cadeva preda, ma a differenza dell’indemoniato sanato dal Cristo, lei era sempre monda, non c’era esorcismo possibile nei confronti della sua persona, del suo spirito abortito durante e prima del socialismo reale. Lì i suoi fantasmi erano nati e cresciuti, lì i suoi demoni avevano trovato un grembo ove accucciarsi e metter radici, come una piaga pruriginosa e pestilenziale. Ma lei non voleva scacciarli. Amava la loro presenza. Amava quelle bave infette che le uscivano dalle labbra, macchiandole i fogli sgualciti da decenni di rilettura sempre uguale. Sempre identica ad un disco incantato e rigato, ad un settantotto giri degli anni sessanta, impossibile da reperire anche al mercato delle pulci.

Il nipote sotto le coperte tremava. Vedeva la nonna trasformarsi e cambiare. Ai suoi occhi di bambino il volto dell’anziana signora tramutava lentamente le sue fattezze in qualcosa di indefinito ed indefinibile. Aveva paura. Aveva paura di quegli occhi neri come la morte, vedeva le sue pupille rimpicciolirsi ed arrossarsi. Sembrava che dietro quel volto apparentemente bonario si celasse un dio nero e sconosciuto. Un dio che emanava lampi di collera. L’aria nella camera si era trasformata e rarefatta, divenendo irrespirabile. La temperatura sembrava salita, lentamente, ma grado dopo grado, al piccolo il respiro risultava sempre più affannoso. Da alcuni minuti aveva iniziato a sudare copiosamente. Aveva la fronte imperlata di sudore. Tremava.

Era un tremito antico ed arcaico. Vedeva il fiato della nonna, nonostante il calore, uscire come fosse avvolto da una nube d’azoto, emanando un odore pestilenziale. Un odore che sapeva di antica tomba scoperchiata, di resta erose dal tempo, scarnificate dal sole ed erose dal vento. Era l’odore nauseabondo e dolciastro di un corpo gonfio di gas, già da settimane divorato da vermi e rapaci.
Il bambino vedeva il sorriso di Leni. Non era più il sorriso della nonna, ma del lupo, del licantropo, del vampiro pronto ad affondarle i canini nella gigulare, succhiandoli il sangue come una sanguisuga, pronta ad esplodere come una vescica infetta e prurolenta, rigonfia.

Il sorriso era cambiato, si era allargato a dismisura, come quello del lupo pronto a divorare, come la bocca dell’alligatore pronta a sbranare e divorare le carni. La bava le usciva dalle labbra, cadendo sul lenzuolo, bagnandolo e creando una macchia simile a quella di un bambino colpito da enuresi notturna.

Le fauci erano spalancate al massimo, pronte a fagocitare il piccolo, che gli apparivano come una caverna dimenticata dall’uomo da millenni. Il piccolo tremava come una foglia, lasciata in balia di venti ed eventi. Aveva paura. Era una paura antica, primordiale, irrazionale, ma terribilmente vera. L’anziana signora cambiava sotto i suoi occhi a velocità vertiginosa, sfocandosi come una foto sbiadita, come una foto scattata con una macchina fotografica impolverata dallo scorrere del tempo.

Il piccolo iniziò a gridare con quanto fiato aveva in gola, ma improvvisamente i suoni striduli uscirono muti ed afoni. Sembrava un animale braccato,come una gazzella immobilizzata dal terrore nella savana,in attesa delle fauci mortali del leone che gli strappassero la carne.

E così avvenne. L’essere mutato innanzi ai suoi occhi, gli si avventò sul volto, affondando i canini cresciuti a dismisura nelle carni. Il sangue zampillò improvvisamente copioso, mentre con le mani cercava d’allontanare quel mostro che la stava divorando. Senza riuscirci.

La donna-licantropo grugniva come un maiale affamato di piacere, godendo della sofferenza che stava infliggendo, mentre il piccolo, sotto di lei, cercava d’allontanarla con forza, senza riuscirci.

L’esile figura del piccolo andò in arresto cardiaco, emettendo bava bianca dalla bocca, afflosciandosi improvvisamente come una bambola di pezza, gettata in un angolo, disarticolata.

Solo a quel punto il licantropo abbandonò la presa, rendendosi conto di quanto aveva compiuto, lasciandoli posto alla donna, che con sguardo impaurito innanzi al corpo, apparentemente privo di vita, continuava ad eruttare sangue dalle vene squarciate dal morso vampiresco.

La donna iniziò a battere furiosamente con il pugno destro sul piccolo cuore arrestatosi, cercando di far tornare in lui la vita che stava fuggendo via. Il massaggio cardiaco durò alcuni interminabili minuti, finchè il piccolo riprese per alcuni minuti conoscenza, guardando con occhi vitrei la nonna sopra di lui che continuava a colpirlo.

La donna non udì le parole biascicate a fatica dal nipote, stava infatti cercando di tamponare la ferita al collo con un suo fazzoletto sporco di muco ed espettorato, senza riuscivi, ma impregnandosi completamente del sangue che rapidamente si coagulava.

L’anziana disperata iniziò a gridare il nome del piccolo, ma questi ormai indebolito per le ferite subite non poteva udirla.

Alla fine il cuore del piccolo cedette. Il dolore, il trauma, il sangue uscito era troppo anche per il suo giovane corpo, e quando la nonna si rese conto che quello era un corpo senza vita, fu presa – come gli accadeva con i migliori studenti che la sovrastavano per conoscenza ed intelletto – nuovamente dalla rabbia e dall’odio primitivo che la divorava e sollevò il cadavere,che già si stava irrigidendo per il rigor mortis, scagliandolo con quanta forza aveva in corpo sul pavimento. Scese dal letto ed iniziò a colpirlo, prima al volto e sul capo, fracassandogli la testa, poi, non paga dello scempio che stava commettendo, prese a colpirlo sul torace, sugli arti inferiori e superiori, saltandoli sopra con tutto il suo peso.

La stanza da letto era ormai un mattatoio bagnato di sangue e materia celebrale, era una camera degli errori e degli orrori senza fine che la donna si teneva in se sin dal giorno della venuta al mondo, e che come un grido proveniente dagli antefatti più oscuri del suo essere, come un drago iracondo, uscito dal vaso di Pandora, si era scagliata contro il mondo da lei conosciuto e creato nella mente da sempre disturbata.

Il piccolo continuava a rimanere col volto nascosto sotto le coperte. Svegliandosi improvvisamente sotto di esse spaventato e sudato. La nonna, accanto a lui, continuava a narrare imperterrita, come se entrambi fossero caduti in uno stato di coscienza alterata, ritrovandosi in un mondo diverso, in un viaggio verso l’orrore senza fine, dove al termine del tutto c’era solo sangue e distruzione, solo sangue, morte ed un cadavere distrutto dalla furia degli eventi celati in una mente malata.

Il nipote trasse un profondo sospiro, sollevando improvvisamente le coperte, ed uscendo con la piccola testa di capelli ricchi dall’oscurità. La nonna era, con lui, tenera e dolce, era li con lui affettuosa come sempre, sebbene per alcuni lunghissimi istanti avesse visto in lei qualcosa di oscuro, fuori dal tempo, eppure in lei che la soggiogava e rendendola schiava passiva e gaudente dei propri fantasmi.

Il piccolo fece un sorriso stanco rivolto alla nonna. Lei gli rispose con tenerezza, cercando di scacciare i pensieri e le visioni che da entrambi, simultaneamente, erano stati vissuti e convissuti.

«Non ti preoccupare, Nicolas, era solo una fiaba nera per far crescere forti e senza paura i bambini. Il mondo reale, anche se ti sembra diverso, è uguale. Solo quelli senza paura vincono, mentre gli altri debbono soccombere atrocemente, senza pietà. Spero che tu abbia imparato la lezione» disse tutta d’un fiato.

«Si, nonna Leni» biascicò confuso il piccolo. »Ho capito la lezione della fiaba».

«Bravo, ora dormi. Anche la nonna deve andare a dormire. Domani ho lezioni e non posso tardare. Sai, ho degli studenti presuntuosi, che hanno la pretesa di sapere più di me, e questo non posso permetterlo. Dovrò essere giustamente feroce, senza pietà perché il mondo della conoscenza non deve appartenere ai migliori, ma solamente alle persone – che come me – hanno potere e lo sanno usare con tutti i mezzi, senza provare pietà e sentimenti per nessuno».

Il bambino non capì quello che la nonna voleva dirgli, e preferì non dire nulla.
La nonna, alzandosi dal letto, gli accarezzò i capelli ed uscì dalla camera, spegnendo la luce.

Il piccolo rimase solo ed impaurito. Si mise una mano sul collo e la sentì stranamente bagnata di sangue e saliva e rabbrividì. E dentro di se capì che la nonna era veramente un licantropo, un vampiro, un demone nascosto in corpo di donna, e ne ebbe paura. Chiuse gli occhi cercando d’addormentarsi, ma non ci riuscì. L’unica cosa che vedeva era quella del suo corpo, in un angolo della camera, morto e ricoperto di sangue e materia celebrale, sparsa sui muri e sul pavimento. Ed in quel momento si rese conto che stava osservando la scena da un punto impossibile, dall’alto della camera. Cercò di scoppiare a piangere, ma l’unica certezza che ebbe era quella di una libertà celestiale e divina. Finalmente, grazie all’orrore di nonna Leni, era stato liberato da tutte le paure. Si sentì finalmente libero, lontano dall’orrore che sapeva ogni giorno la nonna commetteva.

Silenziosamente pianse per lei, avendo visto per pochi attimi, dove lei, al termine dei suoi giorni terrestri sarebbe decaduta, verso l’orrore e lo stridore di lacrime e sangue, per l’eternità.
Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti è puramente casuale.

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venerdì 21 novembre 2008

Leni Danarova: concubina e saccheggiatrice culturale


Nelle precedenti puntate abbiamo parlato della “signora” Leni Danarova. Una donna veramente tutta d’un pezzo, infatti nessuno riesce a distinguere dove terminino i seni e dove inizi l’addome, che appare rigonfio forse per ingurgitazione d birra e superalcolici in quantià industriale.


Ma non è di questo “barile” che deambula con gli occhiali da miope come una talpa, che oggi ci si vuole soffermare. La nostra esimia – senza entrare nel suo privato – che forse farebbe rabbrividire un licantropo, essendo liberamente divorziata, forse perchè il tapino che in tempi oscuri l’aveva presa in sposa – senza richiederne dalla familgia il certificato di garanzia, soddisfatti e rimborsati, ha poi visto la luce, o forse un bel mattino, svegliandosi di buon ora ed essendo a stomaco vuoto, avendola vista flaccidamente distesa sul letto, forse a stento a trattenuto un moto di disgusto, sebbene la vedesse in penombra, ma il dramma potrebbe essersi compiuto completamente al momento che ha acceso la luce. E solamente allora si è reso conto di che razza di coso si muovesse sul letto e camminasse, per troppi anni, al suo fianco. Fu così che prese per se la salvifica decisione di lasciarla. E si vocifera, naturalmente alle spalle della barile con le gambe, che l’ex marito non le abbia lasciato nemmeno i mutandoni spochi e reggiseni tarmati e pulciosi.


Effettivamente per amore della verità, bisogna dire che la principessa di Monte Escremento, puzza come un topo andato a male, come un calzino sporco da mesi, con l’alito così fetido che sembra abbia ingurgiato un rotolo di carta igenica usato. Naturalmente, per rispetto della “persona” si evita di raccontare l’odore di sudore secco e vecchio emanato dalla decrepite ascelle, forse non rasate dal giorno della sconfitta di Napoleone Bonaparte a Waterloo.


Ma la nostra autodefinatasi regina di una lingua straniera – che dicono aver imparato a forza di nerbate sulla schiena, inflittele da padre, così stanco che il frutto dei suoi lombi si sia da sempre dimostrato intellettuamente sterile, dopo esser stata – saggiamente – lasciata dal marito, si è unita, come una pubblica peccatrice, con un vecchio ronzino, che da voci circolanti sembrerebbe avere moglie e figli ignari che l’attendono in Patria. Ma la nostra non si cura delle cose etiche, non sapendo infatti cosa sia proprio l’etica. Molti giurano d’aver vidto il barile camminante a braccetto col nonnetto, d’aver visto la lingua – nera – di lei infilarsi nell’orecchio dell’amanto, sbavando saliva come un San Bernardo, e macchiando i vestiti del povero marito che ha fatto la moglie cornunta in patria.
A volte però dispiace prendere a calci sul ventre obeso “della donna morta che cammina”, ma innanzi alle scorie fisiche rilasciate dalla “nostra” ad ogni piè pari, ma sopratutto disgustati dai rifiuti intelletuali che escono dalle sue vetuste e cadenti labbra superiori e inferiori, grandi e piccole, non rimane altro che la forza del silenzio, il non proferir parola davanti alle vette abissali di un esistenza vuota, camminante come una coprofaga a caccia dello stesso cibo emesso da uno dei suoi orifizi. Ed è brutto per descrivere una “persona” del genere, dover spingersi ad abbassarsi, degradandosi sino al suo livello, ma la verità seppur deprimente, malefica e maledetta, deve essere scritta, affinchè rimanga ai posteri testimonianza.


Ma la nostra non si ferma solo al concubinato cornificatore dovuto ad un marito traditore che vive – forse scappando da qualcosa o qualcuno – fuori dalla sua patria, nonostamte le slinguazzate bavose al suo concubino-amante – in pubblico, alla fine non rimane altro che un turpe e squallido comportamento privato. Ma sfortunatamente per chi la conosce, che sono sempre troppi, direttamente o indirettamente, non si limita a ciò. Circolano delle voci, non si sa se vere o leggende metropolitane, che quando la Leni in passato ha tradotto, oppure malelingue di ex suoi studenti che dicono che la “grande traduttrice” - incompetente affermano sotto i baffi in molti – invece d’aver, in questo caso in quanto donna, le ovaie per tradurre, sia solita, visti anche i presunti numerosi impegni – di scaldasedia, dovutaall’adipe, composta di cellulite e buccie d’arancie marcie – non abbia il tempo, o forse effettivamente, la capacità di mettere in pratica con se stessa, quanto a suon di bacchettate, nerbate, frustate e forse bestimme, visto il suo storico ateismo militante, impone, anche grazie alle sue sadiche e zitelle collaboratrici, prima fra tutte Arida Karapetkrava, ai suoi studenti.


In molti, come si usa dire in quel Paese, “scopano la mamma” si presume a sangue, in ogni orifizio, in particolare quelli più stretti, il che seguendo il Kamasutra che ne elenca ben sette, compresi i due principali, non dovrebbe essere una cosa facile. Ma a mali estremi, estremi rimedi.


Circolano chiacchere, voci , anche di molte sue ex allieve, che la “nostra malattia ” insegni con i metodi del Giurassico, dove a fatica, riesce a trovare nella sua impolverata e artereosclerotica memoria gli esempi più basilari. Ma in molti sussurrano che mai deve esserle fatto notare ciò, altrimenti il rapace, il serpente, il topo, il microbo culturale presente in lei, e che le alimenta il suo ego smisurato, espolde. Espolode come con la forza deflagrante che rischia d’assordare amici e nemici vicini e lontani, espolde con la rabbia cieca di chi superbamente crede, d’essere immune ad ogni critica, di chi – inconsciamente conscio della propria medicrità stratosferica – si aggrapperebbe anche al Signore delle Mosce, vendendo l’anima – atea e quinidi inesistente – a Satana,sperando che questo non s’accorga d’essere stato truffato, anche lui, come gli altri.


Naturalmente i male informati, cioè gli amici – se ne ha – della nostra, ma sopratutto quanti con questa – per interesse – sono costretti a lavorarci, pena la scomunica pubblica nel caso dicano qualcosa contro il Kappò, la sostengono a spada tratta, come cavalieri – ubriachi – senza macchia e senza paura, tranne le macchie di vomito raffermo da anni sulle tuniche, dovute alle abbondanti sbronze fatte per dimenticare la “capetta” o capretta senza arte e nè parte. Questi infatti, vinti dal terrore, si prostrano adoranti, come se costei fosse una divnità pagana, un essere superiore – per nequizia – al mondo intero. I suoi “bravi” la difendono anche a sprezzo del ridicolo, come dei frati medioevali, che avevano conoscenze teologiche pari a quelle di una zebra africana.


Leni, come un primate, cerca in tutti i modi d’arrampicarsi sugli specchi, ma ignomignosamente, ogni volta scivola – ruzzolando a terra – come se questi fossero cosparsi di sapone. La donna prova a mettercela tutta, ma la tapina non riesce, la tapina, cercando d’elevarsi oltre la mediocrità, ignomignosamente fallice, e con gli occhi colmi di rabbia, piange, impreca, urla come una pecora che sente l’odore della morte, prima che il boia la infilzi con la lama alla gola per immolarla come olocausto pasquale.


Il bello è che tutti sanno, ma pubblicamente tacciono, e con rabbia serrano le labbra, morsicandosi la lingua disgustati da quanto sanno, ma che hanno paura di di dire.
Anche i sassi del suo Paese, generalmente ignoranti conoscono Leni, e quando l’acqua scorre a rivoli, con la loro voce diffondono le loro conoscenze su di lei, che gingono in sogno ai bambini puri di cuore, facendoli tremare d’orrore per quanto odono.


Innanzi a tutto questo assordante, non rimane altro che gridare come, osservando il mondo dall’alto come un aquila sapiente, che diffonde il messaggio – senza paura – al mondo intero.


Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti è puramente casuale.



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Marco Bazzato
21.11.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

sabato 15 novembre 2008

Eluana Englaro ha il diritto di morire




Finalmente Eluana Englaro può morire. La Cassazione ha ammesso l’innammmisibilità del ricorso, e quindi alla donna potrà essere – dopo sedici anni –sospesa l’alimentazione forzata che la tiene in vita.

Ma ecclesiastiche cornacchie nere si avventano, come avvoltoi famelici, contro lo Stato italiano, sbraitando come ossessi indiavolati: “Omicidio, Omicidio, Omicidio”, alzando il solito polverone politico-ideologico-religioso contro un Paese sovrano, che ha l’unica colpa d’avere un parlamento artistico, che piuttosto di legiferare sul diritto alla morte, preferisce accapigliarsi – come tante comari nullafacenti –
sui servizi delle Jene, o far passare sottobanco Leggi ammazza Blog, peggiori di quelle applicate ,alla “democratica” secondo Berlusconi, Repubblica Popolare cinese.

Dopo sedici anni di coma irreversibile e allo stato vegetativo, Eluana, piaccia o no ai preti, ha il diritto di morire, ha il diritto d’andare in quel Paradiso tanto invocato dai religiosi che promettono – senza dimostrare mai come – la salvezza eterna, se qualcun altro, più in alto da l’assenso. Eppure, stranamente, non vogliono che un sofferente parta liberamente prima del tempo, non vogliono che una persona ormai consumatasi anno giorno per giorno, settimana per settimana, mese per mese, anno per anno, lustro per lustro, si stacchi dall’agonia di non essere, si allontani dalla sofferenza del non vivere, accostandosi a quell’eternità dei vivere supremo così superbamente descritta, quando è astrazione teologica o di fede, dai religiosi.

L’uomo, piaccia o no, come ha il diritto alla vita, deve avere il diritto di morte, il diritto di dire basta, il diritto di decidere il proprio destino usando il “Libero Arbitrio” se in grado, oppure lasciando che siano i parenti più prossimi a lui a decidere per il medesimo.

Così come la vita, anche la morte è un dono, infatti lo stesso Gesù, si favoleggia nei Vangeli, ad un certo punto stremato dalla croce, avrebbe gridato “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Stranamente però, Eluana non ha il diritto – secondo il Vaticano o chi per lui – a gridare queste cose, i suoi vicini più prossimi non hanno il diritto d’invocare questo Dio sordo e assente, sperando ad un certo punto – se esiste – che la prenda con se.
Ma Lui non ha sentito, non ha voluto sentire, e facendo orecchie da mercante, come Ponzio Pilato se ne è lavato le mani, salvo poi mandare i suoi sgherri nero vestiti, come “I Bravi” di don Rodrigo dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, a lanciare i loro strali, i loro anatemi, nel nome di uno che sempre si nomina, ma mai si mostra, apparendo sempre di più come un membro de “Il Gran consiglio dei dieci assenti” di fantozziana memoria.

La stampa in genere, sta gridando che l’Italia si sta dividendo sulla questione del diritto di cessazione della vita di Eluana Englaro, ma gli unici che fanno cagnara, sono le gerarchie cattoliche, che cercando di aizzare gli anime dei pochi fedeli rimasti su problemi etici inventati, ma che se esistenti sono dovuti decennale volontà di lassismo imposto dal Vaticano – vedi il caso del
magistrato Luigi Tosti, contro la presenza del crocifisso nelle aule di giustizia – condizionante i politici del Bel Paese, che da dopo i Patti Lateranensi, come per due millenni prima, sempre sin sono prostrati – per necessità elettoralistiche – al piccolo Stato d’oltre Tevere, andando a piè pari, non importa di che colore politico fossero, ad omaggiare il monarca assoluto in carica del piccolo ma economicamente – sebbene indebitato fino al collo – Stato Città del Vaticano.

Volendo essere cinici, fino all’inverosimile, l’appello lanciato dalla Clinica Beato Luigi Taomini e dalle suore di Lecco, che si occupano della degente da ormai quattordici anni, hanno dichiarato d’essere disposte a continuare a prendersi cura della donna, senza che però finora nessuno abbia specificato quanto costerebbe – alle casse della Sanità Pubblica – questa ulteriore elargizione ad un istituzione religiosa, di denaro, per un essere umano il cui padre da anni dichiara di non poter più sopportare – ed è comprensibile – lo spegnimento lento della vita, sapendo benissimo che il risveglio di Eluana è impossibile e che il Capo supremo non vuole, o in una direzione, oppure in un'altra, esaudire.

Ma evidentemente alla Chiesa questo non interessa. Nessuno di loro infatti ha figli, nessun ecclesiastico ha visto l’agonia costante e quotidiana della propria progenie, e parlare dei problemi altrui, come sovente anche la politica troppo spesso – incautamente fa – è facile, comodo, semplice, ma soprattutto non comporta alcun coinvolgimento emotivo, ma solamente sterili e vuote disquisizione filosofiche sul”diritto alla vita” sul “diritto alla morte”, su questo presunto – detto poi dal Vaticano, che ha praticato l’eutanasia proprio a Giovanni Paolo II, sotto sua esplicita richiesta, dicono. Sebbene l’anziano pontefice da settimane fosse impossibilitato a parlare – diritto della difesa della vita, dal concepimento fino alla morte naturale.

Il Vaticano farebbe meglio a tacere. Farebbe meglio a rispettare, in primo luogo il dolore e il dramma del padre, e poi, non in secondo piano, lo Stato italaino e le sue istituzioni. Mentre questi continuano ad interferire nella vita pubblica, ma anche nelle scelte private dei cittadini, come se fossero i padroni assoluti dei loro pensieri e delle loro scelte.

Ad ogni prete, ad ogni cardinale, vescovo o suora, sarebbe utile che prima di parlare, mettessero al mondo dei figli e li seguissero durante un coma irreversibile di sedici anni, allora e solo allora, saprebbero scendere dal piano delle disquisizioni sofistiche, di cui sono maestri inarrivabili, teorici senza arte e ne parte, a quel piano umano, a quel piano paterno e materno, a quel piano di un genitore che da la vita al proprio figlio e poi per anni lo vede inerte, assente, vegetativo.

Solo quando si avrà provato quel dolore lacerante e distruttivo, si potrà avere l’ardire, non di esprimere giudizi morali, etici, ma semplicemente tacere, lasciando che come ha detto Gesù, “Tutto e compiuto”e che chinando il capo, spirò.

Marco Bazzato
15.11.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

martedì 11 novembre 2008

Matrimoni gay: California no grazie



A volte il responso popolare rivolta le imposizioni del potere politico centrale che aveva imposto alla maggiornaza dei cittadini la digestione dell’indigeribile. È accaduto infatti,in California – grazie alla democrazia, che lascia ai cittadini il diritto d’esprimersi liberamente – che siano state rese nulle gli impropriamente detti “Matrimoni gay”, quei – ora pezzi di carta straccia – contratti firmati davanti ad un pubblico ufficiale comunale che sancivano l’equiparazione tra il matrimonio etero (fertile) e quello tra le persone dello stesso sesso (sterile per legge naturale).

Ora alla luce di quanto dai cittadini, democraticamente espresseso, 17.000 “coppie” californiane si trovano con un pezzo di carta – quasi plebiscitariamente – illegale.
Naturalmente per
le vie californiane, San Francisco in particolare, non si sono viste scene di gioia, parate vittoriose – stile giorno dell’Indipendenza, anche se legittime, ma si è assistito invece al solito tam tam dei delusi, all’arrabbiarsi contro la democrazia stessa, prendendosela immotivatamente con i presunti estremisti della destra religiosa americana, che evidentemente hanno preferito non tanto la tradizione religiosa ma naturale, dichiarare decaduto l’imposizione della Corte Suprema statunitense, che evidentemente è stata vista come una spada di Damocle destrutturante a livello sociale.

Dall’altra parte, da parte degli sconfitti cioè, non si può che provare comunque un minimo di dispiacere, perchè vedono sfumati i loro sogni, ma non bisogna dimenticare però, che indipendentemente dall’affettività privata di due persone dello stesso sesso, questi non possono avere la pretesa d’avere un equiparazone legale a quella della famgilia naturale, fondata per la sopravvivenza e l’evoluzione non solo della specie umana, ma anche animale, sull’unione riproduttiva di due individui di sesso opposti.

Il problema personale di queste persone, se proprio desiderano dare una forma di legalità alla loro unione potrebbe essere ovviato, senza eccessivi clamori mediatici, con delle leggi apposite, con dei contratti di mutua assistenza da firmare davanti ad un notaio, che abbiamo valore legale presso le Istituzioni e che siano riconosciuti, previe leggi a a livello nazionale, evitando così gli inutli clamori, anche di personaggi famosi, che hanno preso la brutta abitudine di mettere in piazza la loro vita affettiva in modo spesso pruriginoso, alimentante gossip e dicerie che proprio non fanno onore ai ruoli pubblici che queste persone hanno, col rischio anche di perdere credibilità o seguito proprio per lo sbandierameno pubblico del proprio orientamento sessuale, diverso da quello della maggioranza dei cittadini, che nonostante divorzi e liti, contribuiscono i modo pratico e rale – tramite la procreazione – al proseguimento della vita umana sulla Terra.

D’altronde è chiaro. L’america ha scelto si un presidente progressista, e questo è un bene per un Paese ridotto alla carità per colpa dei colpi di testa della precedente amministrazione, però la base del Paese rimane ancorata ai valori stessi della “frontiera” delle tradizioni – anche religiose, ma sopratutto sociali - che l’hanno reso, nonostante gli orrori inferti, sovente perdendo miseramente, nei quattro angoli del mondo, non volendo però rinuciare al calore della famiglia tradizionale, seppur sempre più allargata e decotta da corna tradimenti ed amenità varie.E già questo all’americano medio è sufficente, basta e avanza, e saggiamente non vuole supeare l’ultima frontiera, e per questo senza squilli di trombe e fanfare, hanno scelto – a ragione – di dar torto al potere. Basta questo piccolo gesto, questa piccola croce, per campire quanto può essere grande l’America, solo se vuole però.

Il tutto , ben capendo il desisderio delle minoranze, non deve essere interpretato come un attodiscriminatorio nei loro confronti, anzi, ma come una chiara indicazione che le loro esigenze - legittime – debbono trovovare sbocchi costituzionali differenti, che tengano conto delle necessità dei singoli, ma anche della maggioranza delle sensibilità sociali di ogni Paese, dove nel nome dei diritti sacrosanti di pochi, non possono essere messi alla berlina millenni di storia e tradizioni familiari, culturali, sociali ed evolutive, che hanno portato il genere umano, con tutti gli innmerevoli errori della storia, ad essere ciò che oggi è.

Marco Bazzato

sabato 8 novembre 2008

Loredana Cannata



Incontro con Loredana Cannata durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”

L’attrice italiana Loredana Cannata con la scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova

Loredana Cannata


Incontro con Loredana Cannata durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”

L’attrice italiana Loredana Cannata con la scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova

Loredana Cannata


Incontro con Loredana Cannata durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”
L'attrice italiana Loredana Cannata con la scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova

Loredana Cannata



Incontro con Loredana Cannata durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”
L'attrice italiana Loredana Cannata con la scrittrice bulgara Vessela Lulova Tzalova

Sebastiano Somma



Incontro con Sebastiano Somma durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”
L'attore Italiano Sebastiano Somma con la scrittice bulgara Vessela Lulova Tzalova

Sebastiano Somma



Incontro con Sebastiano Somma durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”
L'attore Italiano Sebastiano Somma con la scrittrice Bulgara Vessela Lulova Tzalova

Sebastiano Somma


Incontro con Sebastiano Somma durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”

Sebastiano Somma


Incontro con Sebastiano Somma durante le riprese di “Un Caso di Coscienza 4”

Barack OBama: Un nero alla Casa Bianca


Effettivamente sembra un ossimoro: un uomo di colore alla “Casa Bianca”. In molto forse si chiederanno se visto il cambiamento radicale – per fortuna si spera – di rotta, che vede per la prima volta nella storia di questo Paese ancora impubere, capriccioso, armato fino ai denti, guerrafondaio quasi per dogma dei Padri Fondatori, l’unico Paese al mondo ad aver usato – per ben due volte – la bomba atomica contro i civili, in una guerra già vinta, solo per sperimentarne gli effetti, un Paese che voleva candidare un ex prigioniero di una guerra perduta, assurdamente definito eroe, perché è stato così poco accorto, perché si è fatto catturare, se ora la White House in onore del suo nuovo inquilino sarà ridipinta, diventando la “Blak House”.

Barack Obama l’abbronzato, come l’ha definito Silvio Berlusconi – lui dice scherzosamente – dando dell’imbecille a chi non approvava la sua battuta, mettendo l’Italia alla berlina, e facendoci bacchettare come se il Primo Ministro italiano – con le sue esternazioni – rappresentasse una masnada di ignoranti, dove a parte qualche spaurito gruppuscolo di rincitrulliti “bacia deretano” , la maggioranza degli italiani, anche quelli non di centro sinistra,avrebbero voluto nascondersi sotto terra, dopo le “boiate” geriatricamente sparate dal nostro esimio settantaduenne, che invece di guidare un Paese, come ormai si fa solo nei Paesi dittatoriali, dovrebbe restarsene a casa a giocare coi nipotini, visto che della sua “esperienza” come la chiama lui, tutti ne farebbero volentieri a meno, guadagnandoci, se al suo posto, ma non certo Veltroni, ci fosse una persona più giovane, preparata con un minimo di buona creanza istituzionale, non solo in patria, ma anche all’estero, quando si rappresenta – a nome di tutti i cittadini – il Paese.

Ora sperando di non essere tacciati di razzismo, per dirla com’era nominato il figlio di Tex Willer, Kit: il mezzosangue, il meticcio, perché figlio di padre bianco e madre indiana, un po’ com’è per il neoeletto, ma a parti invertite: madre bianca e padre di colore, alla fine – come la genetica, secondo natura impone – un mix, che però spesso può dar adito a malelingue, dove però non può essere né pensato, né detto, né scritto, altrimenti si rischia di beccarsi il Brand – di moda – di Razzista, ma che indipendentemente dall’orientamento della pigmentazione dell’epidermide del nuovo presidente, tutti si augurano, a parte i perdenti che tifavano per “l’eroe” della guerra perduta in Vietnam, dove in posizione servile si poneva anche l’attuale Presidente del Consiglio italiano, che questi riesca ad invertire la rotta de “La corazzata Potëmkin” americana allo sbaraglio, che sappia far evitare al “Titanic America” l’iceberg che si è auto costruito per anni, facendo piombare l’economia mondiale in uno stato semi comatoso, senza che nessuno sia stato – come si faceva ai bei tempi della “Frontiera” impiccato a qualche quercia e poi sepolto senza complimenti nella “Collina degli Stivali”.

In molti forse vorrebbero – si spera che il nuovo presidente decida positivamente a tal proposito – veder prima flagellati, poi incamminarsi tra ali di folla urlanti e lancianti pietre e sputi, e appesi sulla “Collina del Cranio”, terminando il loro “Calvario” terrestre a penzoloni, i colpevoli, le Teste dei Pesci, le prime che da tempo puzzavano, ma che tutti hanno volutamente – per l’interesse di sostenersi a vicenda, come il Gatto e la Volpe di Collodi – scambiato per un nuovo aroma d’acqua di Colonia. Ma per realizzare questo favoloso sogno storico, questo gioco usato dai Romani contro i ladri, quando veramente erano una grande civiltà ed un grande impero, non oggi, che al grido di “Più diritti per Tutti”, impongono il dovere di tolleranza a tutti i costi, usando i manganelli contro i più deboli e piegandosi vigliaccamente ai Poteri Forti, ci vorrebbe un coraggio politico oggi totalmente deficitario, non solo in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti, paese che ha dato il via all’ecatombe economica, con la complicità di fondi d’investimento, banche e banchieri di mezzo mondo, che hanno coscientemente invitato il parco buoi dei risparmiatori – come accaduto per il crak Parmalat – ad acquistare azioni o fondi che sapevano già in partenza essere avariati, e che se fossero stato cibo scaduto od adulterato, trovato in un qualche negozio avrebbe improvvisamente comportato la chiusura dell’esercizio commerciale e la confisca della merce, regole però che la grande speculazione economica non applica a se stessa,in nome del liberismo assoluto e senza regole, che ha come risultato finale il tracollo che tutti i cittadini subiscono, senza che non si sappia – ad alcun livello politico ed economico – come arginare il problema, creando una vera inversione di rotta ed un etica vera anche nel cosiddetto grande mondo – composto da nani e ballerine – della finanza internazionale.

Barack Obama ha un compito arduo, anche se ci è già riuscito almeno in parte, conquistare “Cuori e Menti” come hanno provato a fare per quasi dieci anni con i Vietcong, chiamati anche “Charlie”, salvo poi scappare come vigliacchi e – lasciandosi alle spalle devastazione e morte – da Hanoi come cani bastonati, sconfitti da villici male armati, come sta accadendo, guarda un po’ in Iraq e in Afganistan, con la grande Coalizione della Libertà che sta perdendo accoliti, visto che la Bulgaria ha deciso di ritirare il suo contingente dal teatro di guerra Iracheno.

Barack Obama – se glielo lasceranno fare – dovrà dare un segno di discontinuità imperialista, ritirando le truppe d’occupazione dai due Paesi invasi, presentandosi al mondo non come nazione vincitrice, ma nuovamente, dopo il Vietnam, come Paese vinto, perdente in patria,vista la crisi economica ammazza investimenti, e all’estero, come conquistatore perdente, privo di credibilità politoco-economica sullo scacchiere mondiale, solo così gli Stati Uniti potranno – forse – tornare ad essere quel faro di ci-viltà, che vorrebbero inglorosiamente continuare a far credere, altrimenti, con Barack o senza Barack, sarà per gli U.S.A. e per il mondo l’abisso.

Marco Bazzato
08.11.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/