Perché la “Verità di Ali Agca” in Bulgaria, dopo più ventisette anni da quel 13 maggio 1981?
Perché la Bulgaria, la città di Sofia in particolare, fu all’epoca il luogo in cui i molti fili del complotto che portò all’attentato al Papa cominciarono a intrecciarsi, per poi essere manovrati, sui mercati dell’Occidente, dai veri burattinai. Sono convinta, avendo conosciuto il personaggio Agca e la sua psicologia, che, come lui afferma, la lettera minatoria che inviò in Turchia a Wojtyla, quando questi vi arrivò da ospite non gradito, fu una minaccia bluff, un gesto da megalomane. In Bulgaria il latitante, irrequieto, megalomane Agca rilanciò l’idea che, attraverso i mafiosi suoi protettori e i Lupi Grigi di estrema Destra, collusi con i Servizi di mezza Europa, fu magari senza troppa convinzione portata avanti e presentata in determinati ambienti.
Il suo libro si muove, non solo attraverso un’intervista, ma anche su direzioni diverse. Perché secondo Lei la Bulgaria prova ancora un così forte coinvolgimento per quei fatti?
Perché incriminando un regime si colpevolizzò un popolo. La stessa cosa avvenne in Turchia. Agca fu rimproverato di aver messo sotto accusa tutto il popolo turco. Secondo me, queste furono le accuse più brucianti per lui e da lui considerate come le più pericolose per la sua incolumità. Se poi, come sostengo nel libro, egli accettò di essere la mano armata di preti cattolici ribelli, doppia vergogna gliene verrebbe agli occhi dei suoi, e cioè del mondo islamico, se raccontasse la storia nei suoi dettagli concreti ma anche banali. L’unica scappatoia per lui è quella di collocare il suo gesto nella dimensione del Destino, del Soprannaturale, della Profezia uscita dalle labbra di Maria, che è venerata anche dai musulmani, e di un Segreto che porta il nome, guarda caso, di Fatima, la figlia di Maometto.
Lei è la prima volta che arriva in Bulgaria, cosa si aspetta da questo viaggio e dall’incontro con Sofia e col Paese?
Mi aspetto delle possibilità di dialogo. Naturalmente la mia tesi farà piacere ai Bulgari. Ma anche in questo caso possono saltar fuori delle novità.
Da quanto si è potuto apprendere, il calendario degli eventi è corposo. Come pensa che i bulgari accoglieranno questo ritorno al passato?
Vedo che l’interesse è grande. L’emozione? Bisogna affrontarla per non aspettare “cinquecento anni” quando gli Stati si decidono finalmente a sollevare i coperchi sulle loro faccende interne.
Anna Maria Turi è una giornalista accreditata in Vaticano. In che modo questo libro è stato accolto negli ambienti? E che eventuali reazioni, secondo Lei, in futuro potrebbero esserci?
La Chiesa cattolica non limita la libertà altrui, massimamente quella di parola e di opinione. Ne ho avute molte prove, anche sul piano personale. Il primo libro, quello del 1996, non ha avuto alcuna ripercussione negativa.
È veramente stata completamente scritta la storia di Ali Agca, oppure secondo lei ci sono ancora molte pagine bianche?
Agca è recluso da quando aveva 23 anni., e cioè da 27 anni. Nelle svariate centinaia di sue pagine autografe in mio possesso, ho potuto constatare come già nel 1996 il suo delirio mistico fosse radicato, pervasivo e come fosse forte, caparbia la sua volontà di rimozione di tutto il resto.. Invece possiamo aspettarci l’intera storia da Oral Celik, che vorrei incontrare. Anzi, lei mi dà l’occasione per lanciargli un appello. Signor Celik, perché non c’incontriamo a Sofia?
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