mercoledì 10 ottobre 2007

Italia Talebana


Cosa siamo andati a fare in Afganistan? La propaganda governativa, affermava al tempo, che la presenza italiana con una forza di “Pace Guerrafondaia” era essenziale per togliere dalla schiavitù le donne afgane, costrette, non dalla religione islamica, visto che nel Corano, non è contemplato l’utilizzo del burqua, ma dalle tradizioni tribali afgane, che imponevano alle donne la totale copertura del corpo in pubblico, e che i nostri soldati, avrebbero riportato anche la libertà alle donne afgane, sottraendole al vile giogo di una cultura maschilista e pastorale.
Ora scopriamo che tutto questo è una bufala, che la presenza italiana è una menzogna, in quanto, dopo la decisione del Prefetto di Treviso, Vittorio Capocelli, che da il via libera per l’utilizzo del burqua , a patto che le donne, in caso di controllo, mostrino il volto alle autorità. Questa sentenza, apre in Italia, un pericoloso precedente, perché in nome di un precetto religioso inesistente, lesivo della dignità della donna, in un futuro non molto nelle scuole, nei loghi di lavoro e per le strade, si potrebbero trovare, legalmente, donne bardate in questo modo tribale.
Lascia sconcerti la dichiarazione del Ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi, ove dichiara: «Che prima di vietare l'uso del burqa occorre pensarci bene, perchè se esso è «segno di oppressione va combattuto, ma se è simbolo di una cultura liberamente scelta» allora va tollerato.» Il Ministro deve poter dimostrare, come una donna, impaurita dal marito, andrà mai a dichiarare d'essere costretta ad indossarlo. Certo che dichiarerà, onde evitare percosse e violenze in casa, che è una sua libera scelta.
Ma ad affilare le armi, contro la decisione, è il Ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, che si dichiara sconcertata. «Ritengo la copertura integrale del volto un'offesa alla dignità delle donne. Sul burqa non può esistere alcuna ambiguità. Il no è netto. Nel nostro Paese esiste la legge numero 152 del 1975 che, all'articolo 5, vieta di fare uso, in luogo pubblico, di una copertura totale del volto. Questa normativa va applicata con fermezza e saggezza. E del resto, il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il Ministro degli Interni Giuliano Amato sono sempre stati chiari in merito».
Proviamo a fare un ipotesi: una donna viene fermata da un agente di polizia - maschio - per un controllo. Questa, nel nome della sua cultura, dichiara che non si scopre il volto in pubblico, innanzi ad un uomo, perchè la religione non lo consente. Come dovrebbe procedere l’agente? Portarla in caserma, in stato di fermo, attendere l'arrivo di un’agente donna che ne accerti le generalità? Sempre col rischio, che poi, qualche sinistra anima nobile, non si metta a sbraitare come un ossesso di discriminazione culturale e religiosa, dando avvio ad una spirale d'intolleranza e sfiducia, interventi politici in giornali e programmi televisivi, fuori controllo.
Nel nome di una presunta pluralità culturale, che non tiene conto dei più elementari diritti umani, si aprono voragini legali e normative, che in caso di necessità, di pericolo per l'ordine pubblico, o per il rispetto della persona nella sua integrità, sono difficili da chiudere, dove il Paese potrebbe pagare amaramente queste aperture alle culture tribali. Oggi il burqua, domani, forse per merito di qualche prefetto anche l'infibulazione , perché la cultura della violenza e della violenza, della coercizione, specie se di un altro Paese deve essere sempre rispettata. Complimenti all'Italia e alla sua giustizia.

Marco Bazzato
10.10.2007
http://marco-bazzato.blogspot.com/