mercoledì 18 novembre 2015

Intervista a Marco Bazzato


di 
Masssimo Acciai
Ho in passato intervistato Marco Bazzato in qualità di consulente letterario(nel 2006), ma Marco è principalmente uno scrittore e un poeta. Stavolta l'intervista verterà sulla sua attività narrativa, ed in particolare sul suo ultimo romanzo "Aborto d'amore", tradotto in bulgaro e presentato recentemente a Montana, in Bulgaria.






Quali sono stati i tuoi modelli letterari, gli autori che hai amato di più, che hanno contribuito a formare il tuo stile?


Amo un numero ristretto di autori classici. Non posso a tal proposito non citare Bram Stoker, Mary Shelly, H.P Lovercraft, Arthur Conan Doyle, Stendhal, Goethe, Victor Hugo. E tra i poeti sicuramente Baudelaire e Dimcio Debelianov. Mentre per i contemporanei, anche se molti storceranno il naso, metto Stephen King, Tom Clancy, Wes Craven, George Marget, Ken Follet, Massimo Carlotto, Paolo Roversi e Fabrizio Berlincioni. Come storici Renzo de Felice, Mario Cervi e Indro Montanelli e tra i filosofi Noham Chomsky e Toni Negri.
Come modello in assoluto Stephen King. Autore considerato di cassa e di massa, ma analizzando con attenzione la sua scrittura, la sua tecnica, i contenuti e le tematiche possono piacere oppure no, credo che abbia una limpida crudezza, in moltissime sue opere, soprattutto le prime, partendo da Carrie lo sguardo di Satana, La lunga marcia, passando per la Zona morta, L'ombra dello scorpione, It, Dolores Claiborne e 22.11.63, una pulizia e una scorrevolezza difficile da eguagliare. Per quanto riguarda i classici, adoro la letteratura inglese dell'epoca vittoriana e la letteratura gotica in generale.

Quanto conta per te l'ispirazione, quanto la tecnica? Sottoponi spesso i tuoi lavori ad un lungo labor limae oppure ha maggior peso la spontaneità del momento creativo?

Senza ispirazione la tecnica è inutile, ma senza tecnica l'ispirazione rimane solo un'idea in testa. Perciò come due separati in casa, volenti o nolenti entrambi sono costretti ad accettarsi, non tollerarsi, reciprocamente. Di solito sono istintivo, forse anche troppo. Diciamo che per me il più delle volte è buona la prima. Non amo riscrivere la stessa pagina decine di volte, rischierei di snaturare la creatività di quanto è stato concepito la prima volta. Certo però che al termine di un'opera apporto delle correzioni, magari riscrivendo un periodo, cambiando un aggettivo con il sinonimo migliore. Ma tutto deve essere istintivo. Altrimenti io stesso sentirei il mio lavoro come plastico e ampolloso.

Cosa pensi dei concorsi letterari?

Dipende da che concorsi. Esistono concorsi buoni e altri meno buoni. Quello che posso dire e che alcuni concorsi di caratura nazionale il più delle volte, a mio avviso, i vincitori sono tali per apparentamenti politici, che nulla hanno a che fare con la vera letteratura. È un business. Questa è la verità. Vende il nome, anche se la qualità è mediocre. Credo che, anche tra gli scrittori contemporanei, ci siano un sacco di capolavori che vivono la loro esistenza letteraria underground, dove o gli autori vengono rivalutati da morti, ma questo è un classico, oppure, peggio distrutti e dimenticati nell'indifferenza. E trovo ipocrita e quasi blasfema la rivalutazione postuma di uno scrittore, come se da morto a costui potesse importare il divenir immortale. Che senso ha applaudire le opere di un cadavere se costui è stato bistrattato e deriso da vivo?

Quale peso ha il retroterra culturale nella creazione letteraria?

Sono figlio della mia terra, il Veneto. Terra ricca di bellezza e contraddizioni culturali e storiche non indifferenti e naturalmente l'essere figlio di questa regione, in alcune opere mi ha influenzato nello stile e nella formazione psicologica di alcuni personaggi. Ma in altri no, perché è stato uno stimolo per uscire dal "provincialismo", accostandomi, grazie anche al fatto di risiedere all'estero, a una visione più cosmopolita ed eterogenea all'interno delle mie opere, ma non solo.

Le parole chiave dell'èra attuale, battezzata "èra digitale" sono: multimedialità, mass media, integrazione, virtualità. Cosa hanno cambiato le nuove tecnologie digitali nella creazione artistica, se hanno cambiato qualcosa?

Mi sento figlio di questa rivoluzione digitale, anche se oggi, le tecnologie informatiche corrono a velocità impossibili. Oggi mi rendo conto che da figlio sono diventato "nonno." Ho iniziato a scrivere in "analogico" alla fine del millennio scorso, grazie ad una macchina da scrivere "Lettera 22" come quella utilizzata da Indro Montanelli, per poi passare al computer. Onestamente non sarei in grado di scrivere un romanzo a mano, utilizzando la penna, come fanno tutt'ora molti scrittori. Il mio processo creativo ne uscirebbe rallentato e non lineare, senza dimenticare che ho una calligrafia illeggibile persino a me stesso. Sicuramente l'era digitale, per quanto mi riguarda, mi ha dato una marcia in più. Mi ha dato la possibilità di muovermi in tutto il mondo, standomene a casa e questo mi ha permesso di saper costruire il mio mondo letterario con la fantasia in modo dettagliato, più velocemente, ma non per questo in modo meno incisivo, rispetto a quanto avveniva solo una trentina di anni fa.

Manterrà il proprio ruolo il testo cartaceo di fronte al dilagare di internet e degli ipertesti?

No, credo che nel volgere di una ventina d'anni il testo cartaceo sarà consegnato alla storia. In America le vendite del digitale hanno superato quelle dei libri materiali, quindi a noi "dinosauri" non resterà altro che adattarci o estinguerci.

Quando e come hai iniziato a scrivere?

Ho iniziato tardi si può dire. Ho preso in mano proprio per rispondere correttamente il mio primo raccoglitore. Era il 29 settembre 1993. Avevo compiuto da quattro giorni ventiquattro anni. La prima fu una poesia, infantile direi oggi, senza titolo. 
Ho sempre reputato e lo reputo tutt'ora la poesia come il test d'ingresso nel mondo della letteratura, per poi passare ai poemi e infine ai romanzi. Insomma un viaggio iniziato quando ancora ci stava la Lira, e quando per usare internet pagavo in un Internet Point a Padova, a poche centinaia di metri dalla Basilica del Santo, diecimila lire all'ora e già tutto sembrava fantascienza.

Ho avuto il piacere di leggere in anteprima due tuoi romanzi: il thriller "Progetto Emmaus" e "Aborto d'amore", il tuo ultimo lavoro. Prendiamo il primo: com'è nata l'idea? Che dire del lavoro di ricerca che sta dietro il romanzo? Quanto tempo ha richiesto la stesura?

La genesi di Progetto Emmaus nasce grazie ad un amico bulgaro. Il figlio del grande poeta Ivan Dinkov, Stoyan, il quale mi ha raccontato della corrispondenza epistolare tra lui e Karol Woytila. Corrispondenza che al momento, per volere degli eredi, non è ancora stata resa pubblica. Prima di iniziare a scrivere il romanzo ci sono state intere notti passate tra sigarette e birra profuse in grande quantità, a parlare con Stoyan Dinkov, anche lui poeta e scrittore, dell'attività di poeta del padre e della Massoneria. Contemporaneamente libri e libri della mia biblioteca personale. Libri di massoneria, Bibbia, Vangeli Apocrifi, libri di archeologia, testi esoterici, Cabala e via discorrendo, sparsi per lo studio, per documentarmi su tutti i passaggi e le ambientazioni dell'opera, i linguaggi, le gestualità e i passi logici necessari allo svolgimento del romanzo. Quando alla fine ho messo tutte le informazioni dentro la testa, mi sono sentito pronto per iniziare a scriverlo. Insomma tra ricerche, bevute, sigarette e scrittura, se ne sono andati via in totale circa sei mesi.

L'altro tuo romanzo, "Aborto d'amore", è anch'esso un'opera che suscita molte riflessioni. Ti rivolgo le stesse domande che ti ho fatto per "Progetto Emmaus" ed in più ti chiedo chi ha fatto la traduzione in bulgaro e l'accoglienza che questo romanzo ha ricevuto in Bulgaria, tua terra d'adozione.

Sono due opere in totale antitesi, con tematiche completamente differenti. Il primo è un thriller fanta-teologico, il secondo un romanzo sociologico. E, come è accaduto in Italia, per motivazioni contrapposte, ideologiche in Italia, culturali in Bulgaria, "Aborto d'amore" è stato accolto con un misto di entusiasmo e timore, a causa del connubio legato al "romanzato" gene dell'omosessualità e aborto.
Così come è stato per Progetto Emmaus, ma ancora di più per Aborto d'amore, credo che lo scrittore abbia il diritto e il dovere di proporre temi scomodi, spinosi. Temi che si preferirebbe ignorare, ma che potrebbero divenire un domani, ciò che oggi è fantasia, una realtà di tutti i giorni. Solo che il lettore sovente ha paura di mettersi innanzi alle proprie paure, preferendo cullarsi nelle sue ideologiche e teoriche certezze.
La genesi di "Aborto d'amore" è stata una genesi strana. Il romanzo è nato a seguito di mesi e mesi di osservazioni e letture in rete a riguardo il tema dell'omosessualità. Ho provocato discussioni, ho cercato di vedere le reazioni più disparate innanzi alla tematica, passando anche per un omofobo incallito. Ma tutto questo era necessario per inserire ogni tassello del puzzle che avevo in testa nel modo adeguato. Da lì l'ambientare la storia in Italia, nella mia regione, in paese a cavallo tra la provincia padovana e quella veneziana, è venuto da se. Anche per questo romanzo la stesura, poi, quando tutto era ben delineato in testa, non ha occorso più di tre mesi. Salvo una breve pausa di qualche settimana, per lasciare che il finale prendesse corpo, dando alla storia la svolta che meritava e la sua naturale conclusone.
La traduzione di Aborto d'amore, a differenza delle altre mie opere, tutte tradotte da Vessela Lulova Tzalova, è stata affidata a Teodora Ivanova, una giovane laureata in filologia italiana presso Università di San Clemente di Ocrida di Sofia.

Hai mai pensato ad una trasposizione cinematografica dei tuoi romanzi? In caso affermativo, quali attori e attrici vedresti bene nei vari ruoli principali?

Sì, sarei un mendace se dicessi che non ho mai fantasticato sul fatto di veder trasformato un mio romanzo in un film, ma non al punto da immaginarmi questo o quell'attore o attrice in questo o quel ruolo. So per certo che è già difficile essere scrittore e quindi la visione che può avere uno scrittore della sua opera, sarà differente da quella che potrebbe avere un regista o uno sceneggiatore. Per questo è giusto, secondo me, tenere i ruoli separati e lasciare ad ognuno il proprio mestiere.

Una domanda anche sulla tua attività poetica. Ricordiamo ai lettori la tua silloge "Il campo del vasaio. Mt. 27,7" (Slaviani editore, 2004) e il fatto che hai scritto moltissime poesie inedite. Ti chiedo la genesi di questo primo libro poetico e cosa rappresenta per te la poesia, qual è secondo te il ruolo del poeta nella società contemporanea?

Il Campo del Vasaio ha raccolto alcuni dei miei poemi, non tutti. Molte delle opere presenti sono state scritte proprio per questo libro, ma non tutte. È una raccolta a cui sono particolarmente legato non solo perché in Bulgaria è stata accolta in modo fantastico, ma soprattutto perché mi ha permesso di fare un salto evolutivo ed esistenziale. Per fare un paragone improprio, come essere passato da primate ad homo erectus.
Le opere inedite, poesie e poemi è vero, sono moltissime. Forse rimarranno tali per ancora molti anni. Al momento non so il perché. Forse perché credo che debbano maturare ancora, o forse perché penso che siano troppo acerbe e che non matureranno mai. 
In ogni caso il ruolo del poeta nella società ha perso di valore, siamo inflazionati come la vecchia lira, probabilmente perché non sappiamo essere più corrosivi come in passato. Rimango dell'idea che un poeta debba innanzitutto essere un soggetto di rottura, la poesia deve essere una spina nel fianco, pronta a pungere come un bisturi affilatissimo l'animo umano e la società, ma purtroppo spesso leggo poesie di poeti sdentati, privi di mordente, incapacitati ad "aggredire" la parola e piegarla al proprio volere.
In occasione della mia presentazione in Bulgaria della mia prima raccolta, "Libero arbitrio" dissi che "Il poeta era morto". Oggi come allora ne sono sempre più convinto, a meno che non si ritrovi quel coraggio di denuncia che la poesia e i poeti hanno sempre avuto nel corso della storia.

Progetti per il futuro?

Al momento sono impegnato nella revisione di due romanzi. Il primo è un thriller liberamente ispirato a una storia vera accaduta in Italia dieci anni fa, il secondo è il proseguo di Aborto d'amore, in quanto credo che l'opera abbia ancora molto da dire. In ogni caso il
romanzo finale lo revisionerò nelle prossime settimane, poi, quando sarà il momento, metterò in cantiere anche il secondo libro della trilogia. Le idee ci sono già tutte, basta che dia il giusto ordine mentale e che metta le dita sopra la tastiera, lasciandole scorrere liberamente.


Da Segreti di Pulcinella, rivista di letteratura e cultura varia, direttore Massimo Acciai

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