venerdì 21 novembre 2008

Leni Danarova: concubina e saccheggiatrice culturale


Nelle precedenti puntate abbiamo parlato della “signora” Leni Danarova. Una donna veramente tutta d’un pezzo, infatti nessuno riesce a distinguere dove terminino i seni e dove inizi l’addome, che appare rigonfio forse per ingurgitazione d birra e superalcolici in quantià industriale.


Ma non è di questo “barile” che deambula con gli occhiali da miope come una talpa, che oggi ci si vuole soffermare. La nostra esimia – senza entrare nel suo privato – che forse farebbe rabbrividire un licantropo, essendo liberamente divorziata, forse perchè il tapino che in tempi oscuri l’aveva presa in sposa – senza richiederne dalla familgia il certificato di garanzia, soddisfatti e rimborsati, ha poi visto la luce, o forse un bel mattino, svegliandosi di buon ora ed essendo a stomaco vuoto, avendola vista flaccidamente distesa sul letto, forse a stento a trattenuto un moto di disgusto, sebbene la vedesse in penombra, ma il dramma potrebbe essersi compiuto completamente al momento che ha acceso la luce. E solamente allora si è reso conto di che razza di coso si muovesse sul letto e camminasse, per troppi anni, al suo fianco. Fu così che prese per se la salvifica decisione di lasciarla. E si vocifera, naturalmente alle spalle della barile con le gambe, che l’ex marito non le abbia lasciato nemmeno i mutandoni spochi e reggiseni tarmati e pulciosi.


Effettivamente per amore della verità, bisogna dire che la principessa di Monte Escremento, puzza come un topo andato a male, come un calzino sporco da mesi, con l’alito così fetido che sembra abbia ingurgiato un rotolo di carta igenica usato. Naturalmente, per rispetto della “persona” si evita di raccontare l’odore di sudore secco e vecchio emanato dalla decrepite ascelle, forse non rasate dal giorno della sconfitta di Napoleone Bonaparte a Waterloo.


Ma la nostra autodefinatasi regina di una lingua straniera – che dicono aver imparato a forza di nerbate sulla schiena, inflittele da padre, così stanco che il frutto dei suoi lombi si sia da sempre dimostrato intellettuamente sterile, dopo esser stata – saggiamente – lasciata dal marito, si è unita, come una pubblica peccatrice, con un vecchio ronzino, che da voci circolanti sembrerebbe avere moglie e figli ignari che l’attendono in Patria. Ma la nostra non si cura delle cose etiche, non sapendo infatti cosa sia proprio l’etica. Molti giurano d’aver vidto il barile camminante a braccetto col nonnetto, d’aver visto la lingua – nera – di lei infilarsi nell’orecchio dell’amanto, sbavando saliva come un San Bernardo, e macchiando i vestiti del povero marito che ha fatto la moglie cornunta in patria.
A volte però dispiace prendere a calci sul ventre obeso “della donna morta che cammina”, ma innanzi alle scorie fisiche rilasciate dalla “nostra” ad ogni piè pari, ma sopratutto disgustati dai rifiuti intelletuali che escono dalle sue vetuste e cadenti labbra superiori e inferiori, grandi e piccole, non rimane altro che la forza del silenzio, il non proferir parola davanti alle vette abissali di un esistenza vuota, camminante come una coprofaga a caccia dello stesso cibo emesso da uno dei suoi orifizi. Ed è brutto per descrivere una “persona” del genere, dover spingersi ad abbassarsi, degradandosi sino al suo livello, ma la verità seppur deprimente, malefica e maledetta, deve essere scritta, affinchè rimanga ai posteri testimonianza.


Ma la nostra non si ferma solo al concubinato cornificatore dovuto ad un marito traditore che vive – forse scappando da qualcosa o qualcuno – fuori dalla sua patria, nonostamte le slinguazzate bavose al suo concubino-amante – in pubblico, alla fine non rimane altro che un turpe e squallido comportamento privato. Ma sfortunatamente per chi la conosce, che sono sempre troppi, direttamente o indirettamente, non si limita a ciò. Circolano delle voci, non si sa se vere o leggende metropolitane, che quando la Leni in passato ha tradotto, oppure malelingue di ex suoi studenti che dicono che la “grande traduttrice” - incompetente affermano sotto i baffi in molti – invece d’aver, in questo caso in quanto donna, le ovaie per tradurre, sia solita, visti anche i presunti numerosi impegni – di scaldasedia, dovutaall’adipe, composta di cellulite e buccie d’arancie marcie – non abbia il tempo, o forse effettivamente, la capacità di mettere in pratica con se stessa, quanto a suon di bacchettate, nerbate, frustate e forse bestimme, visto il suo storico ateismo militante, impone, anche grazie alle sue sadiche e zitelle collaboratrici, prima fra tutte Arida Karapetkrava, ai suoi studenti.


In molti, come si usa dire in quel Paese, “scopano la mamma” si presume a sangue, in ogni orifizio, in particolare quelli più stretti, il che seguendo il Kamasutra che ne elenca ben sette, compresi i due principali, non dovrebbe essere una cosa facile. Ma a mali estremi, estremi rimedi.


Circolano chiacchere, voci , anche di molte sue ex allieve, che la “nostra malattia ” insegni con i metodi del Giurassico, dove a fatica, riesce a trovare nella sua impolverata e artereosclerotica memoria gli esempi più basilari. Ma in molti sussurrano che mai deve esserle fatto notare ciò, altrimenti il rapace, il serpente, il topo, il microbo culturale presente in lei, e che le alimenta il suo ego smisurato, espolde. Espolode come con la forza deflagrante che rischia d’assordare amici e nemici vicini e lontani, espolde con la rabbia cieca di chi superbamente crede, d’essere immune ad ogni critica, di chi – inconsciamente conscio della propria medicrità stratosferica – si aggrapperebbe anche al Signore delle Mosce, vendendo l’anima – atea e quinidi inesistente – a Satana,sperando che questo non s’accorga d’essere stato truffato, anche lui, come gli altri.


Naturalmente i male informati, cioè gli amici – se ne ha – della nostra, ma sopratutto quanti con questa – per interesse – sono costretti a lavorarci, pena la scomunica pubblica nel caso dicano qualcosa contro il Kappò, la sostengono a spada tratta, come cavalieri – ubriachi – senza macchia e senza paura, tranne le macchie di vomito raffermo da anni sulle tuniche, dovute alle abbondanti sbronze fatte per dimenticare la “capetta” o capretta senza arte e nè parte. Questi infatti, vinti dal terrore, si prostrano adoranti, come se costei fosse una divnità pagana, un essere superiore – per nequizia – al mondo intero. I suoi “bravi” la difendono anche a sprezzo del ridicolo, come dei frati medioevali, che avevano conoscenze teologiche pari a quelle di una zebra africana.


Leni, come un primate, cerca in tutti i modi d’arrampicarsi sugli specchi, ma ignomignosamente, ogni volta scivola – ruzzolando a terra – come se questi fossero cosparsi di sapone. La donna prova a mettercela tutta, ma la tapina non riesce, la tapina, cercando d’elevarsi oltre la mediocrità, ignomignosamente fallice, e con gli occhi colmi di rabbia, piange, impreca, urla come una pecora che sente l’odore della morte, prima che il boia la infilzi con la lama alla gola per immolarla come olocausto pasquale.


Il bello è che tutti sanno, ma pubblicamente tacciono, e con rabbia serrano le labbra, morsicandosi la lingua disgustati da quanto sanno, ma che hanno paura di di dire.
Anche i sassi del suo Paese, generalmente ignoranti conoscono Leni, e quando l’acqua scorre a rivoli, con la loro voce diffondono le loro conoscenze su di lei, che gingono in sogno ai bambini puri di cuore, facendoli tremare d’orrore per quanto odono.


Innanzi a tutto questo assordante, non rimane altro che gridare come, osservando il mondo dall’alto come un aquila sapiente, che diffonde il messaggio – senza paura – al mondo intero.


Questo racconto è frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, circostanze, passate e/o presenti, uomini o donne vivi o morti è puramente casuale.



Inizio
Continua

Marco Bazzato
21.11.2008
http://marco-bazzato.blogspot.com/

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