giovedì 12 ottobre 2017

Jus Soli: le motivazioni per il no

Questa mattina mi sono guardato la famigerata proposta di legge sullo Jus Soli,per consegnare in mano a dei minori stranieri, previa richiesta di uno dei due genitori, l’altro, a differenza degli Stati Uniti, che se irregolare viene rimpatriato, in possesso di un permesso soggiorno, al compimento del dodicesimo anno d’età, il genitore in regola può fare richiesta di naturalizzazione del discendente, a patto che questi abbia compiuto un ciclo di studi di almeno cinque, jus culturae.

Come se cinque anni di scuola fossero sufficienti per plasmare una persona alla cultura e alla mentalità italiana.

Stiamo scherzando, vero?

I cinque anni di Jus Culturee sono pochi, perché non va dimenticato il retaggio culturale in cui cresce il minore, ossia la famiglia, soprattutto se entrambi i genitori sono stranieri e quindi, come si sa, spesso quando arrivano alla prima elementare, manco sanno parlare uno straccio di lingua italiana e gli insegnanti sono costretti a rallentare i programmi scolastici, a discapito degli indigeni italiani, degli autoctoni, che avendo i genitori nativi, a parte il fatto del dialetto in alcuni casi, o degli zucconi patologici, sono poco o tanto intessuti di lingua e cultura italiana e la riprova di quanto affermo è che spesso dove ci stanno le famigerate classe multietniche – dove giustamente, a mio avviso, i genitori indigeni, spostano i figli, per timore che l’apprendimento ne risulti rallentato –  tanto care alle  sinistra, che vuole diluire e annacquare l’italianità, perché più si annacqua il sangue e la cultura di un popolo, seguendo il moto latino divide et impera, tanto più facile,  nel breve e medio periodo, sarà fottere quel popolo, in quanto privo di radici storico-culturali comuni, molti genitori indigeni, con discendenza italiana indigena da generazioni, per tutelare i loro figli, fanno il possibile, cosa ahimè non sempre fattibile, per farli andare a scuola con i loro connazionali, figli e discendenti del Jus Sanguies.
Jus Sanguies che anche gli stranieri naturalizzati potranno trasmettere ai loro figli, senza alcun problema. Come già avviene adesso, senza che nessuno se ne abbia mai avuto da lamentare, nascendo così indigeni italiani de facto.

Dico no a questa legge perché andrebbe ad anticipare di sei anni un processo che già avviene con la legge vigente, quando lo straniero, al compimento del diciottesimo anno di età, può farne richiesta, ma l’accoglimento, non è automatico, essendoci dei filtri che ne potrebbero impedire l’ottenimento.

Se ci si riflette bene è più corretto che sia un maggiorenne, da straniero nato in Italia, a farne richiesta, perché, nel caso avesse dei carichi pendenti, oppure avesse già  subito delle misure di custodia cautelare, o altro, questo potrebbe essere un motivo di legittimo impedimento alla naturalizzazione. Mentre naturalizzare un dodicenne, quando questi a causa della minore età, non essendo perseguibile per legge, potrebbe accadere, una volta cresciuto, avendo ottenuto  in tempi immaturi la cittadinanza italiana,  non possa essere espulso, o rimpatriato – cosa che già accade  assai raramente, nel Paese di origine del genitore, residente in Italia, anche con regolare permesso di soggiorno.

Certo, sto parlando di casi estremi, e questo non sta a significare che questi  siano la regola, per fortuna, anzi, statisticamente parlando, è l’esatto opposto, ma è un po’ come i vaccini obbligatori o la vaccinazione antinfluenzale, come asseriva una nota pubblicità: Prevenire è meglio che curare.

Va detto che la propaganda di sinistra da più di due anni sta alzando la cortina fumogena delle menzogne e della disinformazione, contro i nativi da generazioni in Italia, spacciando fake a rotta di collo, asserendo che un minore straniero è già un italiano fatto e finito, soprattutto se ha compiuto un ciclo in Italia, come se ciò fosse un assioma, un postulato matematico.
Ma crediamo veramente a queste bugie politiche?

A dodici anni i ragazzi e le ragazze sono frutti acerbi, incapacitati ad analizzare la complessità della realtà e avere la presunzione che cinque anni di scuola possano creare degli italiani fatti e finiti, integrati e/o assimilati, vedetela come meglio credete, oppure, con il nuovo termine che va tanto in voga oggi, inclusi , non solo è una visone ideologica, ma anche utopica e come la storia insegna, ogni visione utopica o ideologica, genera pesanti ricadute nella realtà e nel mondo reale, dagli esiti spesso nefasti. Basta ricordarsi quanto è accaduto in Belgio e in Francia con gli attentati terroristici, in quanto gli attentatori, sebbene naturalizzati, erano di origine straniera, segno evidente che nei casi più estremi, l’integrazione o l’assimilazione non è avvenuta e cerchiamo di non dare la colpa allo Stato o alla società che non ha saputo integrali. Spesso taluni soggetti che non sono minimamente interessati ad integrasi e quindi chi può escludere che ciò non possa accadere anche in Italia?

Molti potrebbero addurre che i miei siano pretesti politici, razzistici o altro; mentre la realtà è più semplice, visto che vivendo da anni all’estero, so quanto sia difficile integrarsi, assimilarsi e lasciarsi assimilare  da una cultura non propria, certo, ci sono giunto ad un età non più di primo pelo, non vetusta, ma che era quasi “Nel bel mezzo del cammin di nostra vita….”, quindi è giocoforza che il processo sia stato più lento, ma questa lentezza ha l’aspetto positivo che non è mai stata in alcun modo forzata, ma introitata giorno per giorno.

Come molti sapranno vivo in Bulgaria, l’integrazione è, sperimentata sulla mia pelle, è un processo lungo, che non si apprende né in un anno e nemmeno in cinque e forse manco in una vita. Certo, personalmente, con tutte le difficoltà che si possono incontrare ogni giorno, mi sento abbastanza integrato in quello che in passato per me non era il mio tessuto sociale e che ora, almeno in parte, lo sento parte di me, senza però tradire la mia italianità.

Già, senza mai tradire le proprie origini.

E certo sappiamo tutti quanto siamo “sboroni”, soprattutto nei servizi giornalistici di cultura, quando si tratta di italiani all’estero che portano la cultura italiana, facciamo la ruota come i pavoni, in netto contrasto con quello che però quotidianamente è la realtà dei fatti.  

Il punto è proprio questo: le proprie origini.

Siamo quello che siamo,in base alle origini e le stratificazioni culturali del nostro Paese di provenienza, certo, possiamo ampliare la nostra cultura, possiamo ampliare la nostra conoscenza della lingua, apprendendo altre lingue, vivendo in culture diverse da quella materna, non me ne vogliano i cultori del politicamente corrotto in quanto con il termine cultura materna, non ho incluso gli omosessuali che affittano l’utero di una donna per avere un figlio, ma a me il termine cultura materna, con tutto il rispetto per mio padre, piace molto.

E lo stesso vale, che ci piaccia o no, anche per gli stranieri nati in Italia.
Certo per loro il processo di dissoluzione della cultura materna potrebbe essere, forse, teoricamente più breve, ma quel seme istillato dalla nascita, quelle prime parole pronunciate dai loro genitori nella loro lingua, saranno l’imprinting, quelle prime nozioni culturali, apprese all’interno di un consesso straniero, perché, non nascondiamoci dietro una foglia di fico, negando, oppure fingendo che così non sia, tutti coloro che vivono all’estero,   io compreso, mantengono i contatti con la madrepatria, non solo grazie alla rete, a internet, agli smatphone, ma a livello informativo e ludico, grazie alle parabole per la ricezione dei canali satellitari dei Paesi di provenienza, possono essere, dentro la loro abitazione, come in una specie di “Bolla  Extraterritoriale”, ancora in patria.

Io stesso, qui in Bulgaria, guardo principalmente la tv italiana, ma se lo fa un italiano all’estero, quello è positivo perché continua a essere informato su quanto avviene nel suo Paese Natale.  Ma poi, la politica fa la struzza, negando che gli stessi cittadini stranieri, con figli nati in Italia, non facciano crescere i loro figli, almeno la maggioranza, nella stessa “Bolla extraterritoriale” in Italia, perché come fa un italiano all’estero, vogliono mantenere, per quanto possibile, il contatto con le loro radici.

Infatti i bambini stranieri nati in Italia, piaccia o no, passano la maggior parte del loro tempo all’interno di questa “bolla extraterritoriale”, in stretto contatto, linguisticamente e culturalmente con la terra d’origine dei loro genitori, oppure se sono figli di famiglie miste, la cosa risulta ancora più stressante, in quanto si sentono figli di due culture differenti, ma alla fine di nessuna, che lì fa  sentire come piante senza radici, confuse e a volte anche socialmente disadattate. E posso assicurarvi che questi discorsi ne ho uditi tantissimi nel corso degli anni, grazie ai miei contatti, non solo in Italia, ma anche in Bulgaria e Germania.

E anche alla luce di tutto ciò che francamente sono assurde quelle mense scolastiche che offrono piatti multietnici, così i bambini italiani sanno come si alimentano i bambini stranieri, preparando i cosiddetti piatti etnici, tramite nuove esperienze gastronomiche, che faciliterebbero la loro integrazione e/o assimilazione,come gesto di accoglienza e fraternizzazione, dimenticando che i bambini a casa loro,all’interno della “Bolla Extraterritoriale” quei piatti li mangiano quotidianamente, in quanto non è che i genitori appena arrivano in Italia, immediatamente  si mettano a mangiare all’italiana, ma continuano a consumare i pasti e le cene, secondo i loro usi e costumi.

Oltretutto, se diciamo sempre che la cucina italiana è la migliore al mondo, per cosa dobbiamo “imbarbarirci” più del necessario, facendo mangiare ai bambini indigeni piatti di cucine che noi stessi, reputiamo inferiori ai nostri, sia a livello di gusto e di genuinità? E quindi per essere multiculturali, facciamo mangiare male i bambini indigeni italiani e non educhiamo quelli stranieri alla buona tavola? Siamo in contraddizione con la nostra stressa propaganda gastronomica, no?

 Esattamente come faccio, qui, nella mia “Bolla Extraterritoriale. Tanto è vero che quando vado a mangiare in casa d’altri, mangio i piatti bulgari che mi piacciono e declino, gentilmente, quelli che non sono di mio gradimento. Ma non per questo mi sento vittima di razzismo o di discriminazione, anzi, come invece la propaganda politica e buonista fa vedere in Italia, che se non ci si adegua in casa propria alle culture altrui si è dei razzisti o si vuole emarginare qualcuno.

Attenzione però, con tutto il discorso precedente non voglio affermare che un minore straniero, anche se nato in Italia, debba sentirsi isolato o respinto o non accettato nella cultura dove nasce e cresce, ma tengo a precisare che un conto è il piano legale, legato al Jus Soli e un altro, più importante del precedente, è il piano umano e di assimilazione sociale e culturale. È risaputo che la vera integrazione non passi attraverso un passaporto dato anzitempo, messo nelle tasche di un dodicenne, ma la vera integrazione o assimilazione, nasce all’interno dei rapporti sociali, dei rapporti umani,interpersonali,  nella capacità di tutti non  far sentire l’altro un diverso. E tutto ciò vale per l’italiano nei confronti dello straniero nato in Italia, così come per lo straniero appena giunto in Italia e naturalmente viceversa, indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione professata o altro.

Sorpassare legalmente questo lento processo di elaborazione per legge non aiuta l’integrazione, soprattutto dei minori, ma fa a costoro bruciare le tappe, un po’ come vedere i loro genitori fare sesso, spiandoli attraverso il buco della serratura.

Purtroppo la politica di sinistra e sfortunatamente questo modo insulso di ragionare, sta appestando anche alcuni settori del centrodestra, dove con distinguo più o meno sfumati, cercano, perché a caccia di voti, di far passare questo bruciare le tappe, come un qualcosa di utile per i minori stranieri nati in Italia, ma la realtà dei fatti, rispetto alle folli logiche ideologiche della politica, è ben diversa e dove l’apoteosi dell’ipocrisia di una classe politica da strapazzo, la raggiunge quando dichiarano di fare lo sciopero della fame, a favore di questo scellerato disegno di legge.

Invece di fare lo sciopero della fame a livello simbolico, magari solo al sabato, dovrebbero essere costretti a cibarsi di pane ammuffito e acqua contaminata di sostanze chimiche tossico-nocive per qualche mese, mettendosi veramente per un certo periodo a vivere nel mondo reale, evitando i voli pindarici, perché coloro che hanno cercato di edificare la Civiltà dell’Utopia, sono miseramente caduti a terra, inzuppando il terreno di cadaveri, lasciando dietro si se, solo morte, desolazione e devastazione.

Marco Bazzato

12.10.2017

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